2
E troviamo così i temi principali: la questione della lingua; il rapporto con Pascoli;
l’esperienza di ‹‹Officina››; il ruolo di Dante Gadda e Penna nella definizione di sé
stesso; letture varie pasoliniane.
Ma se questo telescopio era necessario per dare un ipotetico percorso ad una tesi su
Pasolini critico, ha dato anche la chiave per l’analisi della sua critica. L’atto critico di
Pasolini è un atto di razionalità che si innesta su un momento irrazionale, senza
riuscire a risolverlo mai interamente. A questo punto vediamo che il telescopio non
era realmente un telescopio: il punto che Pasolini stava guardando cambia forma e
anche colore, lo strumento che credevamo un telescopio è in realtà un caleidoscopio.
Gli autori puntati razionalmente da quell’utensile vengono amalgamati nei frammenti
che Pasolini usa come mezzo per rintracciare una definizione critica: partirebbe tutto
da un frammento in cui è racchiuso il dato stilistico, che grazie all’aggiunta del
frammento contenente l’analisi psicologica creerebbe un disegno fatto di
un’apparente analisi storica. Ma proprio nel momento in cui sembra essere giunti a
una fine, e quindi a una definizione, Pasolini gira il suo giocattolo e il disegno critico
che avevamo davanti agli occhi cambia nuovamente, mutando forma e sfumando i
colori; e anche se i frammenti sono sempre gli stessi, ciò che abbiamo davanti appare
completamente diverso. Il caleidoscopio pasoliniano è implacabile; quando ci sembra
di essere vicini a una definizione, ecco che un secondo dopo essa ci pare già
cambiata. È da questo che nasce l’etichettatura di una critica contraddittoria,
etichettatura reale poiché se per due interi saggi pasoliniani abbiamo creduto che la
sua diagnosi per un autore fosse ben determinata, al terzo che leggeremo non sarà più
3
così e il giudizio sarà diverso da quello precedente. Questo è dovuto
all’estemporaneità con cui Pasolini scriveva le sue pagine critiche.
I nomi per la sua formazione critica sono in genere sempre gli stessi, Contini,
Gramsci, Spitzer, Auerbach e Longhi; ma anche qui dobbiamo tener presente che
oggi sarà Contini, domani, dopo una rilettura di Longhi, il primo verrà rinnegato e
scacciato, mentre il secondo diventerà Bibbia. Pasolini era un lettore terribilmente
attento al momento e terribilmente influenzabile a ciò che credeva gli fosse più
vicino; quindi se da giovanissimo restava incantato da una prima lettura di Ungaretti,
con il passare degli anni, con lo scoprire nuovi autori e il fortificarsi delle proprie
ideologie, vedremo sbiadire questa prima lettura e Ungaretti diventerà un autore che
Pasolini non avrà tanta voglia di leggere.
Un attimo fa ho usato il vocabolo “incantato”, ora vorrei aggiungerne un altro che
quasi tutti conosciamo: “appassionato”. Il giudizio critico che viene fuori dalle sue
pagine saggistiche è all’insegna della passione; la critica pasoliniana è una critica
talmente appassionata da far perdere al nostro autore la reale definizione del letterato
che sta analizzando. Pasolini stesso diventa schiavo della propria passione, e se
nell’autore trova un qualche motivo che si riconduce alla sua figura, non capiamo più
di chi egli stia parlando: sembra che parli di Pascoli o di Dante, in realtà parla di sé
stesso. Diventa vittima della passione, al punto da vedere in alcuni scrittori, ad
esempio Gadda, aspetti che sembrano a loro estranei. Se da una parte questa passione
è negativa, dall’altra ha un enorme pregio: fa sì che Pasolini non si fermi dinnanzi ad
alcuni luoghi comuni della critica corrente. Il nostro autore non si fermerà a una
4
prima interpretazione di un Bertolucci, la passione che glielo fa leggere lo porta a
scoprire qualcosa che nessun altro aveva mai sentito; se fino ad allora i nuclei verbali
ungarettiani erano mero artificio grafico, per Pasolini sono momenti di rievocazione;
se Penna sembrava rifiutarsi a una definizione critica, Pasolini invece riesce a
dargliela.
La passione non è l’unico elemento che gli è favorevole; un altro elemento, che
abbiamo già citato, lo aiuta: la psicologia. Tra i nomi che costruiscono il Pasolini
critico va aggiunto anche quello di Freud, un Freud ridotto all’essenziale, ma sempre
presente nell’atto critico pasoliniano. La psicoanalisi ha aiutato il nostro autore ad
arrivare per primo a soluzioni che molti altri hanno invece visto solo molto più tardi,
ma anch’essa, come la passione, ha in sé un lato negativo. Negli ultimi anni, il ruolo
della psicoanalisi nella critica dell’autore si fa predominante e forse talora eccessivo.
Ora bisogna dire che la psicologia applicata da Pasolini è anch’essa molto personale:
quando analizzerà il complesso edipico in Manzoni o in Dostoevskij verrà fuori lo
studio del suo complesso edipico; se infatti ci soffermiamo solo sulla patologia
pasoliniana, anche grazie a uno studio di Edi Liccioli
1
, vediamo come in Pasolini
l’amore per la madre viene scisso in due aspetti narcisistici già descritti da Freud: un
aspetto narcisistico primario che porta ad amare se stessi in quanto incarnazione
materna e un successivo narcisismo secondario che spinge il soggetto a ricercare gli
adolescenti per amarli come la madre ha amato lui. Da qui spiegato il perché alla fine
dell’indagine psicologica su I promessi sposi, Delitto e castigo e I fratelli Karamazov
1
Si veda E. Liccioli La scena della parola. Teatro e poesia in Pier Paolo Pasolini, Firenze, Le Lettere, 1997.
5
troviamo la parola “omosessualità”. Tale parola risulterà poi costante anche quando
avrà dell’incredibile e sarà un altro aspetto che caratterizzerà la critica pasoliniana
degli ultimi anni.
Per tornare ai cinque temi che abbiamo elencato, il primo è fra tutti il più noto: la
“questione della lingua”. Secondo un suo racconto mitopoetico (Dal laboratorio in
Empirismo eretico, Milano, Garzanti 2000), Pasolini nella prima giovinezza viene a
contatto con la lingua orale, sente per la prima volta il suono della parola ‹‹rosada››;
da qui nasce l’amore per questa forma primitiva ed espressiva della lingua, che
inizialmente diventa modello da imitare nelle proprie poesie e in seguito vera
ideologia da teorizzare. Il friulano è il primo dialetto amato da Pasolini, lingua
materna e sua prima piccola patria; ma per via di alcune vicissitudini si deve
allontanare da questo mondo e dovrà ricercare altre piccole patrie con altre splendide
lingue “vergini” da analizzare e cantare. Ma lo studio del dialetto non rimane poi
limitato alla lingua della poesia, diventa anche problema sociologico negli anni ’60,
problema che verrà indagato sotto l’aspetto pedagogico e morale.
Un autore che secondo Pasolini si è sempre avvicinato al dialetto è Pascoli. Su di lui
si apre un nuovo discorso critico che prende le mosse da quella sorta di pastiche
pasoliniano che è la sua tesi di laurea. Pascoli diventa un nome costantemente
ricorrente nei saggi pasoliniani, anche se si instaura con lui un rapporto
contraddittorio. La scelta di questo autore come oggetto di tesi è inizialmente
obbligata. Pasolini ‹‹vede›› in Pascoli soprattutto, per non dire esclusivamente, il
poeta delle ‹‹piccole cose››, tratto che in qualche modo assimila il poeta di
6
Castelvecchio al giovane poeta di Casarsa. Il discorso diventa in seguito molto più
ampio e, nell’anno del centenario dalla nascita dell’autore romagnolo, Pascoli diventa
il padre del Novecento italiano, grazie al fatto che in lui convivono lo
sperimentalismo che spinge verso la variazione e l’ossessione di rimanere sempre
identico a sé stesso.
Un periodo fondamentale per la nostra indagine è quello che vede Pasolini alle prese
con la rivista ‹‹Officina››. In questa esperienza abbiamo il vero enunciato teorico di
quella che per il nostro autore è la letteratura. Pasolini rifiuta quello che definisce
“novecentismo”, ovvero un’esperienza poetica basata sul monolinguismo,
l’astrazione lirica, il culto del solipsismo. Inclina a una poesia ‹‹realistica››,
oggettivante che riprenda esperienze della tradizione letteraria, dalle più antiche
(Dante) a quella ottocentesca, in particolare pascoliana. Ne è conferma l’adozione
della terzina dantesca per i poemetti delle Ceneri: un metro di ascendenza dantesca
(Dante è per Pasolini il primo poeta del realismo occidentale), ma ripreso in tempi
moderni da Monti e soprattutto dal Pascoli dei Poemetti. In prosa, l’ideale sarà un
plurilinguismo basato sulla auerbachiana mescolanza degli stili, ivi compreso l’uso
del dialetto, il ‹‹sermo humilis›› che caratterizzerà Ragazzi di vita e Una vita violenta.
Dante, Gadda e Penna sono gli ‹‹auctores›› pasoliniani, le sue ‹‹tre corone››. Per
quanto riguarda Dante e Gadda vediamo come entrambi sviluppano il primo e più
forte ideale letterario e poetico di Pasolini, ovvero quello del plurilinguismo. Gadda è
infatti, per il nostro autore, l’equivalente in prosa dell’Alighieri, anche lui adepto al
pastiche e alla mimesis. Con Gadda si sviluppa un cavilloso lavoro in cui si
7
investigano le “fonti” che vanno a creare la sua prosa, la quale ci dà, secondo
Pasolini, poi modo di capire nell’intimo questo autore e di amarlo
incondizionatamente. Più discusso il discorso su Dante, che viene quasi
completamente stravolto dall’amore e dall’immedesimazione che Pasolini ha con
questo autore fino a perdere l’acume critico. Penna è invece il poeta della poesia
“pura” o “aggraziata”, i cui veri connotati sfuggono a tutti i critici della metà del
Novecento tranne a Pasolini. Il nostro autore è infatti il primo dei grandi interpreti
della poesia penniana ed è l’iniziatore sia della sua definizione poetica, sia di quella
linguistica.
Nell’ultimo capitolo di questo lavoro sono trattati altri momenti importanti della
critica pasoliniana: i primi quattro paragrafi sono dedicati a quattro autori diversi tra
loro, ma che hanno in comune una favorevole interpretazione da parte di Pasolini,
anche se per Ungaretti e per Elsa Morante si avrà negli ultimi anni un giudizio
discordante rispetto quello dei primi saggi. Nel paragrafo seguente si indaga il
rapporto Pasolini-Calvino, che ci dà modo di capire le sostanziali differenze tra due
critici-scrittori della metà del Novecento. Appare poi finalmente un saggio su un
autore, D’Annunzio, che Pasolini desidera disprezzare ad ogni costo, e in esso
vediamo quali sono i motivi del suo “odio”. Nelle pagine dedicate alle letture
pasoliniane dei grandi romanzi dell’Ottocento si cerca di evidenziare l’uso della
psicoanalisi nella critica pasoliniana degli ultimi anni chiarendo quello che dicevamo
inizialmente, ovvero la centralità del tema omosessuale nell’opera critica degli ultimi
anni. Tra i critici studiati da Pasolini l’unico che rimane per anni uguale a sé stesso,
8
nella critica del nostro autore naturalmente, è Giacomo Debenedetti, saggista che il
nostro critico-scrittore ammira e con il quale vuole mettersi in competizione. Non si
poteva non concludere un lavoro sulla saggistica pasoliniana se non con
un’autocritica dell’autore stesso: in essa vediamo motivi nostalgici della propria vita
letteraria e un certo narcisismo per la sua ultima opera in versi (Trasumanar e
organizzare) che lo porterebbe a distanziarsi da qualsiasi altro scrittore di quegli anni.
I temi sono tutti disposti, l’intendimento ora è quello di creare un certo ordine
all’interno di essi per far affiorare un’analisi razionale e concettuale. Il problema è
che trattando Pasolini saremo portati anche noi all’excursus e ad ampie parentesi che
possono creare disomogeneità al lavoro, esse però sono obbligatorie per la
comprensione del nostro autore. E se Cesare Segre ci dice che Pasolini è un autore
che ‹‹proviene dalla critica››
2
, dobbiamo tener presente che il critico è sempre vigile
nel romanziere, nel poeta e nello sceneggiatore. È vero però anche il contrario: il
poeta e il narratore sono sempre presenti nel critico. Pasolini era un personaggio
poliedrico, ma non scisso: possiamo trovare in lui una organicità dialettica, in cui
convivono aspetti apparentemente opposti e addirittura contraddittori.
2
C. Segre Vitalità, passione, ideologia in P.P.Pasolini Saggi sulla letteratura e sull’arte, Milano, Mondadori, 1999, cit.
pag. XIII.
9
I. La “questione della lingua”
… così l’apprendista di filologia romanza
ricorse alla lingua della madre
campì di smalti ladini pale d’altare e d’amore
ne ripeté a piè pagina
in predelle a carattere minuto la dulcedo
nell’italiano della sua classe
appena ombrato da quel mite neo
angloprovenzale inventato
da Pound giovane scalante picchi
smeraldini nella Provenza di Arnault e Piere…
Attilio Bertolucci
‹‹Due frammenti biografici e un envoy a P.P.P.››
‹‹Io amo il Friuli››
Tra il 1941 ed il 1942 Casarsa diventa il luogo della villeggiatura estiva per la
famiglia di Carlo Alberto Pasolini, e lì Pier Paolo ha una stanza tutta per sé, una
stanza degli studi, delle lettere, del colloquio epistolare con gli amici bolognesi
(Farolfi e Serra) .È il luogo di una vocazione, dove si collocano le origini di uno
scrittore e il gesto di sfida di un giovane intellettuale contro il padre fascista non
amante della lingua friulana. Casarsa, comunque, non rappresenta solo il luogo da
ricercare nei versi pasoliniani: l’atteggiamento che Pier Paolo ha nei confronti del
popolo e dei contadini casarsesi diventa subito oggetto di analisi linguistica. Quando
nel 1943 il nostro autore si rifugia a Casarsa comincia a partecipare alla vita culturale
con iniziative scolastiche e letterarie, amplia teoricamente ciò che nel ’42 era stato
intuito. A Versuta, fazione di Casarsa, Pasolini fonda una scuola privata per i figli dei
contadini e coinvolge gli amici Riccardo Castellani, Cesare Bardotto, Giovanni
10
Bemporad, Giuseppe Zigaina, Pina Kalč. Da questa scuola deriverà ‹‹l’ Academiuta
di lenga furlana›› e nasceranno i giornali letterari definiti ‹‹Il Stroligut››, cioè piccoli
almanacchi dialettali. Andando con ordine nell’ Aprile del 1944 compare lo
‹‹Stroligut di cà da l’Aga››, l’almanacco che identifica l’area geografica alla destra
del Tagliamento. Qui Pasolini esordisce esclamando:
quando parlate, chiacchierate, gridate tra voi, usate quel dialetto che avete imparato da vostra
madre, da vostro padre e dai vostri vecchi. E sono secoli che i fanciulli di questi luoghi
succhiano dal seno della loro madre quel dialetto […] . Nessuno di voi saprebbe scriverlo
questo dialetto e, quasi quasi , nemmeno leggerlo. […] Così il dialetto che è la più umile e
comune maniera di esprimersi è solo parlato, nessuno pensa mai di scriverlo . Ma se a qualcuno
venisse questa idea? Voglio dire l’idea di adoperarsi il dialetto per esprimere i suoi sentimenti,
le sue passioni?
3
Con ciò Pasolini cerca di spiegare che il dialetto, oltre ad essere uno
strumento di comunicazione quotidiana, può diventare espressione scritta di
sentimenti e passioni, farsi portavoce di cose elevate e difficili. Se poi si riesce ad
essere più di una persona a praticare tale soluzione, se viene raccolto un certo numero
di materiale scritto, allora il dialetto diventa lingua : ‹‹la lingua sarebbe così un
dialetto scritto e adoperato per esprimere i sentimenti più alti e segreti del cuore››
4
. È
poi quello che è successo all’italiano: dalla “volgare” bocca del popolo alla penna
degli scrittori , da umile dialetto a lingua nazionale. Tale trasformazione deve
implicare un passaggio ancora più forte di una semplice messa per iscritto, deve
3
Dialet, lenga e stil , ‹‹ Stroligut di cà da l’Aga ››, n. 3, aprile 1944, ora in P.P.Pasolini Saggi sulla letteratura e
sull’arte, Milano, Mondadori, 1999 cit. pag. 64.
4
Dialet cit. pag. 65.
11
confrontarsi con la storia, avere una tradizione, e tutto ciò può succedere con
l’avvento di nuovi scrittori che siano capaci di dare al dialetto un’impronta personale,
sprigionando uno stile, un segno interiore , privato e individuale.
La trasformazione da ‹‹Stroligut di cà da l’Aga›› si ha nel 1945, quando
Graziadio Isaia Ascoli rivendica l’autonomia linguistica del friulano e Pasolini con i
suoi amici fonda solo ora ufficialmente ‹‹l’Academiuta di lenga furlana››, da questo
momento la rivista diventa semplicemente ‹‹Il Stroligut››. Sulla copertina compare il
disegno del cespo di dolcetta – l’‹‹ardilut››, versione locale delle colte myricae
pascoliane – con la divisa ‹‹O cristian Furlanut Plen di veca salut›› (o cristiano
piccolo friulano, pieno di antica salute). La pagina di presentazione, scritta in italiano
e non più in friulano, ribadisce il bisogno di una tradizione che non sia un semplice
recupero della linea dialettale già esistente; anzi, la ricerca procede in due direzioni
cronologicamente divaricate: da una parte l’origine, ‹‹una tradizione romanza, donde
doveva nascere quella friulana, e che invece è rimasta sterile››, dall’altra la modernità
assoluta da rinvigorire, ‹‹l’odierna letteratura francese ed italiana, che pare giunta ad
un punto di estrema consumazione di quella lingua››
5
. Ad ogni modo la linea di
polemica di Pasolini fino a questo punto rimane complessa. Egli traduce o fa tradurre
in friulano Tommaseo, Jimenez ed altri poeti, come ricerca di un dialetto che sia
anche lingua della poesia, e non manca lo scontro con la tradizionale letteratura
dialettale poggiata su un ‹‹dialetto-antidialetto››; ciò si vede nel saggio Cronacuta di
Paisdomini , intervento mirato contro Zorutti e i vari Zoruttiani. Purtroppo l’idea di
5
Academiuta di lenga furlana, ‹‹ Il Stroligut ››, n. 1, agosto 1945, ora in P.P.Pasolini Saggi sulla letteratura e sull’arte,
Milano, Mondadori, 1999 cit. pag. 75.
12
creare teoricamente un dialetto assoluto poggia comunque le basi su un dialetto
munito di tutte le caratteristiche della polemica dialettale. Pasolini non rimane
indifferente a questa nuova contraddizione e nell’aprile del ’46 pubblica il breve
saggio Al lettore Friulano rivolgendoglisi, però, in italiano. Cerca di dare un tono
diverso alla rivista, di non coinvolgere solo spettatori Casarsesi, ma punta ad un
pubblico regionale. Nello stesso numero interviene (sempre in italiano) con Volontà
poetica ed evoluzione della lingua. Qui ribadisce il valore primordiale del casarsese
‹‹lingua antichissima e pur del tutto vergine››, vicina al momento in cui Adamo ha
pronunciato le prime parole che ancora corrispondono alle ‹‹immagini originarie››.
Ma ancora più importante viene ormai registrata come realtà la trasformazione del
friulano in lingua poetica , e il poeta-filologo può parlare della propria esperienza
guardandola già dalla riva della cultura moderna, dove Rimbaud giustifica il ricorso
all’inesprimibile e Pascoli l’‹‹evasione estetica in quell’infinito che si estende vicino
a noi››. La diagnosi è estremamente chiara e tornerà poi in tutti gli interventi
successivi ‹‹per noi ormai lo scrivere in friulano è un fortunato mezzo per fissare ciò
che i simbolisti e i musicisti dell’ottocento hanno tanto ricercato (e anche il nostro
Pascoli, per quanto disordinatamente) cioè una melodia infinita››
6
. All’interno del
fascicolo viene riportata la recensione di Contini a Poesie a Casarsa (pubblicata sul
‹‹Corriere del Ticino›› dell’aprile del 1943) sottolineando che il documento può
servire per attestare una storia o preistoria della letteratura friulana. Sono presenti
ancora traduzioni e Pasolini sceglie, dal Sentimento del tempo di Ungaretti, L’ultimo
6
Volontà poetica ed evoluzione della lingua, ‹‹ Il Stroligut ››, n. 2, aprile 1946, ora in P.P.Pasolini Saggi sulla
letteratura e sull’arte, Milano, Mondadori, 1999 cit. pag. 161.
13
quarto, a cui cambia il titolo in Luna. Il mese seguente pubblica sul giornale di Udine
‹‹Libertà›› Presentazione dell’ultimo Stroligut, dove riassume le tappe salienti del suo
discorso teorico ed elenca i vari interventi nell’almanacco. Il saggio viene inaugurato
ancora una volta con un accenno alla polemica anti-Zoruttiana e nello svolgere in
minimi termini tale polemica la riassume in ‹‹Zoruttiano equivale a dialettale››, cioè
poesia ritardataria rispetto ai nuovi sviluppi. Spiega il lavoro di traduzione della
poesia di Ungaretti, dove ha cercato ‹‹attraverso il meccanismo delle analogie, una
ineffabile corrispondenza tra parola e parola››, puntualizzando poi che tale lavoro è
‹‹di ricostruire, e non di tradurre, in friulano››
7
. Cita i componimenti e i saggi dei suoi
amici e colleghi, come Bortotto e Bruni; conclude con un passo di una lettera di
Nievo in cui è presente la descrizione romantica dei paesaggi del Friuli e che, in
seguito, Pasolini riporterà definendola sempre come uno ‹‹stupendo frammento››.
Seguono due interventi, di cui uno fortemente polemico: il primo Lettera dal Friuli
su ‹‹La Fiera Letteraria›› e Tranquilla polemica sullo Zorutti uscita su ‹‹Libertà››. Per
quanto riguarda il primo, saggio la discussione prende spunto dal XXI Congresso
della Filologica; Pasolini incomincia puntando il dito sulla borghesia friulana fatta di
ombre, grandi ombre che hanno trasformato la filologia in ‹‹piccole e attente attività
marginali››. Parla del Tessitori e dell’associazione per l’autonomia friulana, fallita
quasi immediatamente senza stupore da parte dei friulani privi di grandi prospettive.
Esalta come unica fiamma il settimanale ‹‹Patrie dal Friul›› di don Giuseppe
Marchetti, ma subito dopo si scaglia contro lo stile da loro usato, dialetto e non stile
7
Presentazione dell’ultimo Stroligut, ‹‹ Libertà ››, 26 maggio 1946, ora in P.P.Pasolini Saggi sulla letteratura e
sull’arte, Milano, Mondadori, 1999 cfr. pag. 162 sgg.
14
ed urla: ‹‹È ancora lo Zorutti che vi fa scuola››. Continua con il sottolineare la
differenza tra il dialetto e quella che ora chiama ‹‹favella inventata››. Prima di
concludere cerca di far crollare le accuse di freddezza nella vita culturale del Friuli
dicendo che a Udine vi sono tantissimi club, tra cui il Circolo artistico friulano, ma
sono piuttosto chiusi, pari a delle sette, ed è perciò che ‹‹la nostra piccola patria
coltiva delle grandissime ombre, e non una tradizione che sola le consentirebbe la
quiete necessaria agli entusiasmi››
8
. Conclude con un accenno a una dolorosa
confessione e nel ricordo del fratello e degli altri giovani morti contro l’invasore
tedesco. Il secondo articolo nasce come risposta a Provini e alle accuse della sua
Lettera dal Friuli. Lo ringrazia di avergli dato l’occasione per poter parlare
finalmente dello Zorutti qui ci troviamo nuovamente di fronte alle sue idee su questo
autore, anche se ora vengono trattate con più calma e meno cursoriamente. Pasolini
incolpa l’autore di aver reso in qualche modo il friulano un mediocre dialetto, nello
stesso tempo, però, ammette che ‹‹Zorutti non fa che trasferire nei suoi versi, con una
certa fedeltà, lo spirito del suo ambiente››
9
, quindi si rivolge a tutta quella
pioggerellina di zoruttiani che non si discostano da quello stile-dialetto per affrontare
invece uno stile-lingua,diventando così loro i veri colpevoli di questa cristallizzazione
del Friuli.
Il quinto ‹‹Stroligut››, con il titolo cambiato in ‹‹Quaderno Romanzo›› e con
la figura dell’ardilut senza più il motto, compare nel giugno del 1947: ad aprirlo è un
8
Lettera dal Friuli, ‹‹ La Fiera Letteraria ››, a. I, n. 21, 29 agosto 1946, ora in P.P.Pasolini Saggi sulla letteratura e
sull’arte, Milano, Mondadori, 1999 cfr. pag. 172 e sgg.
9
Tranquilla polemica sulloZorutti, ‹‹ Libertà ››, 16 ottobre 1946, ora in P.P.Pasolini Saggi sulla letteratura e sull’arte,
Milano, Mondadori, 1999 cit. pag. 179.
15
intervento di Pasolini; Il Friuli autonomo. Già in una nota della presentazione al
numero 1 dello ‹‹Stroligut›› si diceva: ‹‹Insieme al nostro disinteressatissimo e deciso
amore per l’Italia, dichiariamo subito apertamente la nostra tendenza ad una parziale,
o piuttosto ideale, autonomia della Piccola Patria››. Ora al di sopra di qualunque
ragione pratica ed economica, si sostiene una ‹‹poetica della poesia dialettale come
antidialetto, cioè come lingua››
10
. La poetica della poesia dialettale diventa presa di
posizione politica. Il nucleo del fascicolo è poi costituito da un’antologia della poesia
catalana dal Quattrocento al Novecento curata da Carles Cardò, poeta esule a
Friburgo e sostenitore dell’autonomia Catalana contro l’assolutismo franchista.
Pasolini chiude con un altro attacco allo Zorutti e alla poesia vernacolare.
Dal 1947 al 1953 i saggi sulla lingua friulana tendono a diminuire e molto
spesso ricalcano le tematiche trattate nei saggi degli ‹‹Stroligut››. Tra quelli più
significativi ricordiamo l’articolo uscito su ‹‹Ce fastu?›› Dalla Lingua al friulano; in
esso ribadisce che il friulano ha bisogno di traduzioni per una sua promozione in
lingua, dice che tale operazione ‹‹non si tratterebbe di trasferire la materia da un
piano superiore (la lingua) a un piano inferiore (il friulano), ma di trasportarla da un
piano all’altro a parità di livello››
11
. Abbiamo poi l’intervento Ragioni del friulano
pubblicato su ‹‹Il Mattino del Popolo››, in cui Pasolini fa scuola, si arma delle proprie
conoscenze filologiche per insegnare al “buon friulano” le differenze tra ‹‹lingua
parlata›› e ‹‹lingua scritta››: la distinzione tra lingua letterale come inventum e di
10
Il Friuli autonomo, ‹‹ Quaderno Romanzo ››, n. 3, giugno 1947, ora in P.P.Pasolini Saggi sulla politica e sulla
società, Milano, Mondadori, 1999 cfr. pag. 41 e sgg.
11
Dalla lingua al friulano, ‹‹ Ce fastu? ››, a. XXIII, n. 5-6, 1947, ora in P.P.Pasolini Saggi sulla letteratura e sull’arte,
Milano, Mondadori, 1999 cit. pag. 283.
16
lingua come inventio, e cioè la prima come costituzionale e la seconda come
anticostituzionale. Prende le parti degli ‹‹scriventi-poeti›› poiché sono gli unici che si
preoccupano ‹‹della salvezza del friulano come istituto o del friulano come atto
poetico››
12
. È naturale sentire tra queste righe una propria autodefinizione: Pasolini
usa queste parole e queste frasi per creare un modello critico di se stesso, una
presentazione al pubblico della propria identità di autore e di poeta che non si trova
solo in queste righe, ma in tutta l’opera critica pasoliniana. Qui difende la propria
scelta delle poesie in friulano come la più giusta poiché tali componimenti
costituiscono ‹‹salvezza›› per questa lingua. Alla fine ribadirà l’amore per il Friuli
fatto della sua gente e dei suoi piccoli momenti che ‹‹sono in noi “pura
sentimentalità”, o, meglio ancora, “pura emozione”››.
13
Prima di passare agli ultimi due saggi di rilievo dedicati al Friuli bisogna
ricordare che la figura pubblica di Pasolini nasce proprio in queste paginette
antologiche, su questi fogli che raccolgono poesie degli amici, piccole prose di
ragazzi friulani, brevi saggi e qualche illustrazione.
I due ultimi saggi riportano entrambi lo stesso titolo, Il Friuli ; il primo,
postumo, era un testo radiofonico trasmesso dalla Rai l’8 Aprile del 1953; il secondo,
scritto da Pasolini nel 1952, è uno dei saggi che formano la raccolta critica Passione e
ideologia. Vanno citati insieme poiché la struttura in cui scivola il discorso è analoga,
anche se il midollo dei due saggi è molto diverso.
12
Ragioni del friulano, ‹‹ Il mattino del popolo ››, 2 novembre 1948, ora in P.P.Pasolini Saggi sulla letteratura e
sull’arte, Milano, Mondadori, 1999 cit. pag. 299.
13
Ragioni cit. pag. 300.