7
Camp Delta, creato nella primavera del 2002 per sostituire il vergognoso Camp X-Ray,
consiste in un reticolo di diciannove blocchi di detenzione rettangolari, costituiti da quarantotto “stie”
di due metri e mezzo di profondità per poco meno di due metri di altezza ciascuna, divisi in tre campi
accomunati dall’indice di sorveglianza “massimo”. Fatta eccezione per l’unità Camp Four, che
accoglie i detenuti disposti a collaborare con le autorità, e Camp Iguana, ove si trovano i minori di
quindici anni, in tutto il campo vige la pratica dell’isolamento, situazione che diviene ancora più
insopportabile a Camp Echo, recentemente allestito.
Le condizioni di detenzione a Camp Delta sono per lo più fisicamente e psicologicamente
intollerabili. I prigionieri, premi di buona condotta a parte, hanno diritto ad uscire tre volte alla
settimana per venti minuti, per sgranchirsi gli arti in una cella più spaziosa, con il pavimento in
cemento, cui seguono cinque minuti di doccia. Prima di abbandonare la cella, devono indossare il “tre
pezzi”, il set di manette e ceppi per le caviglie, scortati da due guardie. I prigionieri, le cui identità sono
state solo parzialmente rivelate, non possono parlare tra loro, avere contatti con i familiari, con un
avvocato o con un medico indipendente, né con le autorità consolari. Ma l’aspetto più grave della loro
detenzione è il totale stato d’incertezza e di abbandono in cui vivono, poiché non sanno se e quando
usciranno dal campo di prigionia e non possono contestare in nessun tribunale la legalità della propria
detenzione. A due anni dalla loro permanenza a Cuba, sono state formulate delle accuse solo a due dei
reclusi, i quali rischiano così di comparire davanti ad una Commissione militare, ai sensi
dell’Ordinanza militare del 13 novembre 2001 emanata dal Presidente Bush, che non dà garanzie di
svolgimento di equo processo.
Il 7 febbraio 2002 il Presidente degli Stati Uniti aveva deciso che al conflitto con gli
appartenenti al regime dei Talebani si applicavano le Convenzioni di Ginevra del 1949 sul diritto
umanitario, poiché il Governo afghano è parte alle stesse, ma aveva specificato che i prigionieri
talebani non godono dello status di prigionieri di guerra poiché non soddisfano i requisiti previsti
dall’art. 4 della III Convenzione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra. Per quanto
riguarda i detenuti membri di al Qaeda, il Presidente non solo aveva negato loro lo status di prigionieri
di guerra, ma aveva dichiarato che essi non possono ricadere nell’ambito di applicazione delle
Convenzioni di Ginevra poiché non sono organi di uno Stato parte alle Convenzioni, bensì di
un’organizzazione terroristica internazionale, priva di qualsiasi status ai sensi del diritto internazionale.
I prigionieri di Guantanamo vengono pertanto considerati, collettivamente e unilateralmente, dagli
Stati Uniti “combattenti illegittimi” (o “prigionieri di battaglia”), fattispecie creata da una sentenza
della Corte Suprema statunitense nel 1942, prima dell’emergere e del diffondersi del diritto
internazionale umanitario e dei diritti umani. Nonostante ciò, il Governo statunitense si è dichiarato
8
disposto a trattare i prigionieri di Guantanamo in conformità alle disposizioni, o a una parte di esse,
delle Convenzioni di Ginevra, impegnandosi a rispettarne “i valori e lo spirito”. Quanto al mancato
rispetto delle disposizioni di accordi internazionali sui diritti dell’uomo cui gli Stati Uniti sono parte e
di garanzie dei diritti dell’uomo previste dalla Costituzione, esso viene giustificato dal governo
statunitense affermando che, essendo Guantanamo in territorio cubano, quindi non sottoposto a
sovranità americana, le autorità statunitensi non sono tenute ad osservare il diritto costituzionale
statunitense e le norme di diritto internazionale che sarebbero tenuti a rispettare ove i presunti terroristi
si trovassero in territorio statunitense.
Inoltre, gli Stati Uniti giustificano questo trattamento ritenendo di essere, dall’11 settembre
2001, implicati in un’inedita tipologia di conflitto armato: “la guerra contro i terroristi internazionali”.
Secondo l’Amministrazione statunitense, trattandosi non di un conflitto internazionale tradizionale, ma
di un conflitto contro un nemico impalpabile, invisibile, sostengono che le norme del diritto
internazionale umanitario esistenti sono ormai obsolete, inadatte a fronteggiare un nemico la cui
esistenza non poteva essere prevista nel 1949, quando sono state adottate le quattro Convenzioni di
Ginevra, che costituiscono il corpus principale del diritto internazionale umanitario.
In questo lavoro di tesi ci occuperemo di valutare se la posizione assunta dal Governo
statunitense sia da considerarsi legittima, focalizzando la nostra attenzione in particolar modo sullo
status e sul trattamento dei membri di al Qaeda, escludendo dall’indagine la questione dello status
degli appartenenti al regime Talebano. È infatti la condizione dei membri di tale organizzazione
terroristica che sembra sollevare maggiori problematiche. In sostanza, se sotto questo profilo la nostra
indagine può apparire più ristretta rispetto al dibattito in corso sulla condizione giuridica delle persone
detenute a Guantanamo, essa si rivela sotto un altro profilo più ampia in quanto volta in generale a
ricostruire quale sia il trattamento dovuto, in base al diritto internazionale umanitario e dei diritti umani
(convenzionale e consuetudinario), alle persone detenute e sospettate di appartenere ad una
qualsivoglia organizzazione terroristica internazionale.
La nostra indagine proseguirà con l’analisi del citato Military Order e dei relativi decreti
ministeriali e istruzioni, con i quali il Presidente degli Stati Uniti ha adottato alcune misure per la
detenzione e l’eventuale processo di individui, esclusivamente stranieri, “presuntivamente coinvolti a
qualunque livello” in attacchi terroristici, o in progetti di attacchi contro gli Stati Uniti o i suoi cittadini.
Ai sensi di tale ordinanza qualunque individuo che non sia cittadino statunitense (in violazione del
principio di non discriminazione sulla base della nazionalità) e che il Presidente degli Stati Uniti
dichiari con disposizione formale di ritenere “un terrorista internazionale”, che abbia cioè partecipato,
preparato o contribuito a preparare un atto di terrorismo contro gli Stati Uniti, sarà soggetto
9
esclusivamente alla giurisdizione di Commissioni militari nominate ad hoc dal Segretario della Difesa.
Nella conduzione di eventuali processi e nella raccolta delle prove, tali commissioni dovranno
applicare speciali regole di procedura stabilite in via generale dalla stessa ordinanza. L’imputato può
essere infatti tradotto davanti a un numero variabile da un minimo di tre a un massimo di sette membri
dell’esercito, subordinati al Presidente, loro Comandante in Capo, può essere costretto ad accettare
come proprio difensore un altro membro dell’esercito, può essere processato sulla base delle regole
probatorie stabilite dal Segretario della Difesa, può essere detenuto e condannato se i due terzi dei
giudici lo decidono, può essere condannato a morte all’unanimità e può appellarsi soltanto al
Presidente degli Stati Uniti. L’ordinanza impedisce altresì ogni riesame giurisdizionale della decisione.
In tale ordinanza, infine, non vi è menzione alcuna in merito all’applicazione del diritto internazionale
umanitario o delle norme internazionali sui diritti umani.
Il caso di Guantanamo solleva l’importante e più generale problematica dell’applicazione
delle norme del diritto internazionale umanitario e dei diritti dell’uomo nei confronti di appartenenti ad
organizzazioni terroristiche internazionali.
Di conseguenza, il focus della tesi si è spostato sul problema generale, in una prima parte, tesa
a ricostruire lo status giuridico delle persone detenute appartenenti ad un’organizzazione terroristica
internazionale e l’eventuale esistenza di obblighi internazionali in capo allo Stato che li detiene circa il
trattamento da riservare loro. Nella seconda parte si farà applicazione delle regole rilevate al caso dei
membri di al Qaeda detenuti a Guantanamo.
La prima parte della tesi sarà così articolata: inizieremo chiedendoci cosa debba intendersi,
sulla base di un quadro prima storico poi giuridico, per terrorismo internazionale e organizzazione
terroristica internazionale (Capitolo I), al fine di delimitare l’oggetto del nostro studio. Passeremo poi
(nel Capitolo II) a domandarci se le norme del diritto internazionale che disciplinano i conflitti armati
trovano applicazione nei loro confronti. Per rispondere a tale quesito dovremo anzitutto accertare se si
sia in presenza di un conflitto armato ai sensi del diritto umanitario (Sezione I) e, ove la risposta sia
affermativa, chiederci se in base a tali norme gli autori di atti terroristici abbiano diritto allo status di
prigioniero di guerra o altro status, in particolare quello di persona protetta, contemplato dal diritto
internazionale umanitario (Sezione II). Qualora si dovesse ritenere che non trovano applicazione (o
non sempre trovano applicazione) le norme del diritto dei conflitti armati, dovremmo chiederci se
trovino applicazione nei confronti dei detenuti le norme internazionali sui diritti umani, convenzionali
e consuetudinarie, applicabili in tempo di pace (ma nella loro essenza anche in tempo di guerra) sulle
garanzie giudiziarie e il trattamento dei detenuti (Capitolo III).
10
La seconda parte della tesi avrà come oggetto l’applicazione delle norme rilevate al caso
specifico dei detenuti di Guantanamo. Inizieremo parlando del conflitto armato condotto in
Afghanistan in seguito agli attentati dell’11 settembre 2001. La nostra indagine proseguirà
nell’appurare se i terroristi internazionali catturati nell’ambito del conflitto armato e detenuti a
Guantanamo possano essere considerati prigionieri di guerra, mentre ci chiederemo quale status
giuridico sia da accordare a coloro che sono stati catturati in tempo di pace (Capitolo I). Dopo aver
verificato se i detenuti siano trattati in conformità alle norme di diritto internazionale umanitario e sui
diritti umani, in particolare se siano sottoposti ad atti di tortura o ad altri trattamenti crudeli, inumani e
degradanti nell’ambito del regime di detenzione, passeremo ad esaminare il Military Order del 13
novembre 2001. Infine, esamineremo la posizione degli Stati Uniti in merito alla non applicabilità
extraterritoriale delle norme contenute in trattati internazionali da essi ratificati, che trova riflesso i
alcune sentenze emanate da tribunali civili statunitensi (Capitolo II).
11
Parte Prima:
Il trattamento di persone detenute appartenenti ad organizzazioni
terroristiche internazionali
12
CAPITOLO PRIMO
Terrorismo e organizzazioni terroristiche internazionali
1. Origine ed evoluzione del terrorismo
In seguito agli attentati dell’11 settembre 2001, una delle affermazioni più ricorrenti nel
mondo politico e, in parte, nella dottrina giuridica è “viviamo nell’era del terrore”
1
, in quanto mai
prima di allora erano stati commessi atti di terrorismo su scala globale da una rete transnazionale di
gruppi terroristici dai vari obiettivi politici, ma che collaborano nell’addestramento, nel rifornimento di
armi e nello scambio di “manodopera “ effettiva.
Il fenomeno del terrorismo ha tuttavia antiche origini storiche. Il diffondere uno stato d’ansia e
di paura causato da attacchi più o meno violenti e più o meno indiscriminati è stato da sempre
considerato come il mezzo “illecito” più immediato per raggiungere determinati obiettivi, la cui natura
può variare, di volta in volta, a seconda dei fini perseguiti dai suoi autori, attraverso attacchi contro
obiettivi civili o autorità politiche.
L’uso del termine terrorismo, inteso in senso moderno, nasce in Francia con il Regno del
Terrore (1793-1794) di Robespierre e dei giacobini. Robespierre giustificò arresti, esecuzioni, torture,
ghigliottina, sorveglianza sistematica su tutti gli strati della società e altri atti di terrore come il mezzo
più efficace per combattere l’anarchia interna e l’invasione esterna
2
. Nel 1794, Babeuf utilizza il
termine “terrorista” per qualificare i partigiani e gli agenti del Regno del terrore, soprattutto i
rivoluzionari che avevano svolto funzioni pubbliche durante quel periodo
3
.
Negli anni che vanno dal 1878 al 1914 in Europa e in Russia proliferano gruppi di anarchici
che, creando un clima di insicurezza attraverso attentati terroristici, tentano di indebolire e distruggere i
vari regimi d’Europa.
1
V., ad esempio, DINSTEIN, Humanitarian Law on the Conflict in Afghanistan, in ASIL Proceedings, 2002, p.
23.
2
Secondo il Dizionario enciclopedico Treccani, il primo significato della parola “terrorismo” è infatti quello di
“regime politico, metodo di governo fondato sul terrore”. V. La piccola Treccani Dizionario enciclopedico, vol.
XII, Roma, 1997, p. 30.
3
V. HUGUES, La notion de terrorisme en droit international: en quête d’une définition juridique, in Journal du
droit international, 2002, p.755.
13
I gruppi anarchici più conosciuti sono quelli dei nichilisti russi
4
, i quali introdussero la strategia
del terrorismo individuale, cioè l’uso selettivo del terrore contro un individuo o un gruppo, scegliendo
gli obiettivi sulla base del loro ruolo di governo e della loro posizione nella nobiltà
5
. Con i nichilisti e
gli anarchici la parole terrorismo assume un altro significato, designando l’uso della violenza
illegittimo al fine di incutere terrore nei membri di una collettività organizzata e destabilizzarne
l’ordine.
Per terrorismo non si intende più solamente il terrorismo di Stato, ma anche quello esercitato
contro lo Stato, o a fini politici, da un individui o gruppi di individui privati.
Agli inizi del XX secolo si assiste ad una nuova diffusione del terrorismo politico, anche per
l’emergere di vari movimenti nazionalisti in Europa
6
, che si intensifica tra le due guerre mondiali
7
.
Nel secondo dopoguerra il terrorismo diventa una costante nella prassi del XX secolo,
continuando ad essere utilizzato come strumento per la liberazione, soprattutto dal colonialismo, in
Africa, in Asia, in Medio Oriente e in Europa. I promotori sono gruppi di individui, solitamente
incardinati in gruppi organizzati, che agiscono talvolta con il sostegno di Stati. A partire dagli anni
sessanta e settanta si riscontrano forme tradizionali e forme nuove di terrorismo internazionale,
alcune delle quali sopravvivono sino ai giorni nostri. Tra le prime, gli attentati contro la vita
o l’incolumità di personalità politiche, contro edifici ed installazioni pubbliche o private
8
e le
4
Zemeya i Volya (Società del Paese e della Libertà, 1876-1881) Narodnaya Volya (Volontà del popolo, 1879-
1881). In particolare, Narodnaya Volya rivendica l’assassinio dello zar Alessandro II (1881) e del Ministro degli
interni Plehve (1914). Dostoevskij, nel romanzo I demoni, illustra le radici del nichilismo attraverso il progetto
di Piotr Stéphanovic: “…scardinare sistematicamente le basi, rovinare sistematicamente la società e i principi;
[…] demoralizzare le persone, trasformandole in una massa uniforme, cancellare la società, renderla malata,
triste, cinica e scettica, affinché sia posseduta dalla sete imperiosa…dell’istinto di sopravvivenza[…]”.
Ravvisiamo delle similitudini tra il progetto dei nichilisti, così come esposto da Dostoevskij, ed il progetto degli
autori degli attentati dell’11 settembre 2001
5
Tra il 1880 e il 1908 si verificano numerosi attentati terroristici imputati ad anarchici, quali l’assassinio del
presidente francese Carnet (1894), del re d’Italia Umberto I da parte di Bresci (1900) e del Presidente
statunitense McKinley (1901) e vari attentati dinamitardi, come quello di Meunier al ristorante Véry di Parigi nel
1892.
6
Due esempi emblematici sono: l’attentato di Sarajevo, nel quale l’8 giugno 1914 l’arciduca Francesco
Ferdinando, erede al trono austriaco, venne ucciso ad opera di un giovane irredentista bosniaco, Gavrilo Princip,
membro del gruppo terroristico clandestino “Black Hand” e con l’asserita complicità delle autorità serbe e
l’attività dei terroristi macedoni dell’ORIM contro l’Impero ottomano.
7
Il 9 ottobre 1934 il re Alessandro di Jugoslavia ed il ministro degli esteri francese Barthou furono assassinati a
Marsiglia dal terrorista croato Gueroguiev, attentato che determinava notevoli ripercussioni negli ambienti
giudiziari, politici e diplomatici d’Europa. Tra il 1919 e il 1921 si ha la ribellione irlandese, guidata da Michael
Collins, allo scopo di ottenere l’indipendenza dal Regno Unito. Con la ribellione irlandese del 1919 sono stati
aggiunti tre nuovi mezzi nella tattica del terrorismo: 1) il terrorismo selettivo, 2) l’uso del terrore prolungato nel
tempo, 3) le operazioni condotte da cellule. Quest’ultima caratteristica sarà ripresa dalle contemporanee reti
terroristiche transnazionali.
8
Si ricordano i numerosi attentati dinamitardi verificatisi in Alto Adige, in Italia, dopo il 1961, contro edifici e
specialmente contro installazioni elettriche ad opera di terroristi le cui basi operative si trovavano in Austria ed
in Germania.
14
stragi
9
; tra le seconde, il dirottamento di aeromobili, altri atti illeciti contro la sicurezza dell’aviazione
civile
10
, il sequestro di agenti diplomatici e di altre persone internazionalmente protette
11
, la cattura di
ostaggi
12
, l’invio di plichi esplosivi mediante il servizio postale
13
e le incursioni di bande armate
14
.
Parallelamente, si assiste ad un cambiamento delle vittime del terrorismo: non più obiettivi selezionati
e scelti tra le personalità della classe politica contro cui si combatte, bensì civili e simpatizzanti dei
regimi di occupazione in Africa e nel Medio Oriente. Negli ultimi due decenni è emersa un’altra
forma di terrorismo, oltre a quella condotta a scopi di liberazione nazionale, che viene considerata la
minaccia attuale più grave nella comunità internazionale: quella condotta dai fondamentalisti islamici.
Il fondamentalismo islamico o Islamismo ha l’obiettivo su scala globale di cambiare la società ai sensi
dell’interpretazione del Corano data nel VII secolo. Dell’Islamismo fanno parte sia coloro che
intendono raggiungere lo scopo attraverso la conversione di tutti gli infedeli all’Islam, sia coloro che
vogliono sopprimere con l’uso della forza tutti gli infedeli, ma anche quei regimi islamici moderati,
non teocratici, accusati di corruzione o apostasia
15
. Il loro obiettivo è quello di eliminare ogni
influenza politica, culturale, sociale e religiosa dell’Occidente dal Medio Oriente, reintrodurre la legge
sacra islamica - Sharia - in tutto il mondo arabo e creare un unico Stato islamico teocratico Legati al
fondamentalismo islamico sono gli attentati suicidi compiuti in nome di un’interpretazione
9
Numerosi stragi sono state compiute da terroristi sia su territorio arabo che israeliano che su territorio di Stati
terzi: in mercati pubblici israeliani, nell’Università ebraica, contro autobus di studenti, presso il Muro del Pianto.
Particolare clamore ha suscitato la strage compiuta da tre giapponesi militanti nell’Armata della stella rossa che
il 30 maggio 1972 aprirono il fuoco contro passeggeri in transito nell’aeroporto israeliano di Lod e quello
compiuto da un gruppo di feddayn palestinesi all’aeroporto di Fiumicino, in Italia, nel 1973.
10
Emerge il fenomeno del dirottamento di aeromobili, effettuato da un o più passeggeri che, con la minaccia o
l’uso della violenza nei confronti dei membri dell’equipaggio o dei passeggeri, impongono al pilota di adottare
una rotta diversa da quella del piano di volo (Il dirottamento di aeromobili non va confuso con il fenomeno della
pirateria aerea che consiste in atti di violenza illegale o di detenzione commessi per scopi privati dai passeggeri
di un aereo privato contro un altro aereo sull’alto mare o al di fuori della giurisdizione di uno Stato. V.
POULZANTZAS, Hijacking and Air Piracy: a Substantial Misunderstanding not a Quarrel over Semantics, in
RHDI, 1970, p. 82).
11
Si ricorda il sequestro e l’uccisione dell’ambasciatore della Repubblica federale tedesca, von Spreti, in
Guatemala. Quanto agli attentati contro personalità politiche internazionalmente rilevanti e compiuti con finalità
terroristica si deve ricordare, in relazione alla questione palestinese, l’uccisione del negoziatore palestinese
dell’ONU, il conte Bernadotte, a Gerusalemme il 17 settembre 1948 ad opera di appartenenti al gruppo sionista
Stern.
12
Si ricorda l’episodio della cattura di alcuni atleti israeliani, in seguito uccisi, da parte di un gruppo di terroristi
aderenti a “Settembre nero”, alle Olimpiadi di Monaco nel 1972.
13
Si ricorda l’episodio di una bomba contenuta in un pacco spedito alla missione cubana presso le NU nel 1967.
14
Numerosi sono stati i raids in Israele di gruppi di terroristi palestinesi con basi negli Stati limitrofi,
specialmente in Libano. Tali incursioni presuppongono l’esistenza di un consistente gruppo di soggetti operativi,
un apparato organizzativo dotato di un certo sviluppo e la complicità o la tolleranza dello Stato sul cui territorio
le bande hanno le basi operative. Il diritto internazionale vieta agli Stati di consentire che il proprio territorio sia
utilizzato per l’espletamento di attività lesive dei diritti degli Stati limitrofi, come l’organizzazione di bande
armate destinate ad operare in territorio estero.
15
Stati come l’Egitto e l’Arabia Saudita vengono considerati collaboratori dell’Occidente; gli Stati Uniti
vengono visti come uno Stato corrotto nella morale, nella religione e nella società, la cui influenza deve essere
eliminata dal Medio Oriente.
15
massimalista del Corano, soprattutto nell’ambito dell’integralismo sunnita.
Il 23 febbraio 1998 Osama bin Laden, un esule saudita, guida della rete terroristica
transnazionale al Qaeda, proclama in una fatwa il suo jihad contro gli ebrei e i crociati sostenendo, tra
l’altro, che gli Stati Uniti stanno occupando le terre più ricche e prosperose dell’Islam; che i crimini e i
peccati commessi dagli Stati Uniti costituiscono una dichiarazione di guerra a Dio; che è dovere di
ogni musulmano partecipare alla lotta contro gli americani e i loro alleati per liberare la Moschea di Al
Aqsa e la Moschea Santa (a la Mecca) e per far fuggire gli eserciti occidentali dalle terre dell’Islam.
La fatwa del 1998 era preceduta da una dichiarazione di guerra del 1996 dallo stesso bin
Laden contro gli americani che occupano la terra dei due luoghi santi, luoghi in cui l’Islam è stato
fondato, nella quale venivano enumerati i peccati commessi dagli Stati Uniti, tra i quali i massacri in
Palestina, in Iraq, in Tajikistan, in Myanmar, nel Kashmir, nelle Filippine, in Somalia, in Cecenia e in
Bosnia-Erzegovina. Tra il 1993 e il Settembre 2001 sono stati commessi sette attentati di ispirazione
mediorientale e fondamentalista contro gli Stati Uniti, con l’obiettivo primario di compiere stragi.
Il primo attacco al World Trade Center (WTC) nel 1993 ha causato sei vittime e gravi danni
all’edificio. Nel 1995, un’autobomba ha causato la morte di cinque persone nel quartier generale
statunitense in Arabia Saudita, e nel 1996, sempre in Arabia saudita, diciannove persone sono morte
alle Torri di Khobar. Attacchi simultanei sono stati commessi alle ambasciate statunitensi in Kenya e
in Tanzania nel 1998, causando la morte di duecentoventiquattro persone; nello Yemen, diciassette
marinai sono stati uccisi in seguito all’attacco allo USS Cole nel 2000.
L’11 settembre 2001, diciannove persone di nazionalità non statunitense si sono imbarcate in
quattro aerei passeggeri a Boston, Washington e Newark, li hanno dirottati e fatti schiantare contro il
WTC, la sede del Pentagono e la campagna della Pennsylvania, provocando un numero di vittime che
ammonta a circa tremila. La reazione mondiale a tali attacchi è stata particolarmente intensa, non solo
per la loro eccezionale gravità, ma anche a causa del legame con il conflitto mediorientale.
Dopo l’11 settembre, gli attentati suicidi si moltiplicano: si intensificano in Israele, ma
investono anche il Nord Africa (il Marocco e la Tunisia), in particolare l’Arabia Saudita, la Turchia e
la Russia (una delle azioni più eclatanti è quella del 23 ottobre 2002, quando trentacinque guerriglieri
ceceni e sei donne kamikaze sequestrano novecento persone nel teatro Dubrovka a Mosca).
Attualmente, in risposta all’occupazione in Iraq si assiste ad un’escalation di attacchi terroristici quasi
quotidiana (tra cui ricompaiono i sequestri di persona) i cui obiettivi non sono solo le forze statunitensi
e della coalizione, ma anche le sedi delle organizzazioni internazionali più importanti, come quella
dell’ONU e della Croce Rossa. Per ciò che concerne il terrorismo al di fuori dell’Iraq, va ricordato il
recente attentato compiuto nel cuore di Madrid, avvenuto l’11 marzo 2004.
16
2. Nozione di terrorismo internazionale o transnazionale
2.1. L’elemento dell’internazionalità
Dopo questo breve excursus storico, è necessario specificare quale forma di terrorismo ricada
nel campo di indagine della nostra tesi che è quello del terrorismo internazionale o transnazionale.
Infatti, le organizzazioni terroristiche internazionali, come vedremo anche in seguito, commettono atti
di terrorismo che trascendono, in un modo o in un altro, i confini nazionali.
Per tentare di definire il terrorismo, iniziamo dunque con specificarne l’elemento di
internazionalità. Taluni sostengono che si ha terrorismo internazionale (o transnazionale) qualora
venga violata una norma di diritto internazionale volta a proteggere un interesse esclusivo della
comunità internazionale; talaltri sostengono che vi sia bisogno di almeno un elemento di
extraterritorialità o di estraneità per determinarne l’internazionalizzazione
16
.
L’elemento di estraneità può essere relativo all’autore o agli autori, ad esempio che agiscono al
di fuori del territorio d’origine. Può essere relativo alla vittima o alle vittime: dei cittadini stranieri
possono trovarsi coinvolti in un attentato terroristico su un territorio straniero; oppure oggetto del
attentato terroristico possono essere persone (membri delle missioni diplomatiche o consolari) o beni
internazionalmente protetti. Può essere relativo al luogo di esecuzione: cittadini di uno Stato possono
essere coinvolti, sia come autori che come vittime, in un attentato terroristico commesso all’estero. In
questo senso si può fare riferimento anche alle conseguenze, che possono avere effetto anche al di
fuori dello Stato vittima. Può essere relativo agli interessi in causa, alla natura degli interessi colpiti o
persino del crimine
17
, se si tratta di interessi delle persone fisiche o giuridiche straniere colpite sul
territorio nazionale o cittadini colpiti sul territorio straniero. Può essere relativo ad un attentato
preparato da uno Stato e commesso in un altro. Si può avere, infine, terrorismo internazionale qualora
l’autore si rifugi all’estero.
Infatti, se lo Stato che intende processarlo fa richiesta di estradizione, il fatto stesso della
richiesta costituisce un elemento di estraneità (essendo la richiesta d’estradizione un atto che fa
riferimento alla sovranità dello Stato)
18
.
16
V., ad esempio, A. M. LA ROSA, Dizionario di diritto penale internazionale, 1998. L’autore, partendo
terrorismo interno, aggiunge l’elemento catastrofe mondiale.
17
V. GILBERT, The Law and “Transnational Terrorism”, in NYIL, 1995, p. 10.
18
Possono esservi delle difficoltà di classificazione, qualora il gruppo di terroristi si percepisca non essere
membro dello Stato vittima, ad esempio nel caso in cui si tratti di una minoranza etnica che cerca di attuare una
secessione. In quest’ultimo caso, non è chiaro se si possa effettivamente parlare di terrorismo transnazionale.
Tuttavia, la nozione di terrorismo transnazionale è abbastanza elastica da includere anche questa ipotesi.
17
Oltre al terrorismo transnazionale commesso da singoli individui o gruppi di individui non
organizzati, vi è il terrorismo internazionale commesso da Stati
19
o altri attori internazionali, in
particolare le c. d. organizzazioni terroristiche internazionali, oggetto del paragrafo 3.
Per terrorismo di Stato possono intendersi due diversi tipi di terrorismo.
1) L’impiego della violenza organizzata da parte di uno Stato come metodo di Governo al suo
interno o in territori comunque soggetti al proprio potere (l’espressione “Stato terrorista”, termine
utilizzato dall’ONU negli anni settanta con il sostegno dei Paesi in via di sviluppo, riconduce sotto la
figura di terrorismo di Stato le c.d. pratiche di governo oppressive, quali l’occupazione, il
colonialismo, l’apartheid). Tra gli Stati terroristi può essere enumerato Israele.
2) L’appoggio fornito da uno Stato a terroristi od organizzazioni terroristiche internazionali
che dirigono la propria attività contro obiettivi situati all’estero. Si tratta del c. d. terrorismo
sponsorizzato dallo Stato (state-sponsored terrorism), apparso nel corso degli anni ottanta del XX
secolo
20
. Tra gli Stati sponsor, che si limitano a fiancheggiare, sponsorizzare o finanziare gruppi
terroristici o organizzazioni terroristiche internazionali, vi sarebbero, secondo una lista pubblicata
annualmente dal Segretario di Stato statunitense: Iran, Corea del Nord, Cuba, Sudan e Siria
21
.
Non è chiaro se in questo caso gli atti di terrorismo siano direttamente imputabili allo Stato
sponsor o se questo debba rispondere del comportamento dei propri organi che hanno aiutato le
organizzazioni che usano il terrorismo.
Come dimostra la sentenza della Corte internazionale di giustizia (CIG) nel caso Nicaragua c.
Stati Uniti del 1986: “dare un sostegno materiale, finanziario e logistico a dei gruppi che commettono
atti terroristici internazionali senza avere un controllo diretto su quegli atti” non implica la
responsabilità dello Stato per tali atti
22
.
19
Secondo un altro autore, Wilkinson, il terrorismo è internazionale quando è diretto contro cittadini stranieri o
obiettivi stranieri , quando è pianificato dai Governi o dalle fazioni di più di uno Stato o quando ha lo scopo di
influenzare la politica di un Governo straniero.
20
L’Iran appoggiava gli Hezbollah; la Libia appoggiava Abu Nidal; l’Iraq, Cuba, il Sudan e l’Algeria fornivano
campi di addestramento e sostegno politico ed economico a vari gruppi terroristici sparsi nel mondo.
21
V. il sito: http://usinfo.state.gov.
22
V. Attività militari e paramilitari dentro e contro il Nicaragua, ICJ Rep. 1, 1986, par. 115.
18
Tuttavia, pare si sia avuta in merito un’evoluzione. La risoluzione 1368 (2001) emanata del
Consiglio di Sicurezza in seguito all’ 11 settembre 2001 dispone che “gli autori, gli esecutori o gli
sponsors” e coloro che hanno la responsabilità di “aiutare, sostenere e dare rifugio” ai terroristi
dovranno “renderne conto”. Questa tendenza potrebbe portare ad un allargamento della responsabilità
internazionale fino a rendere il semplice sostegno da parte di uno Stato ad un gruppo terroristico
sufficiente a far sorgere la responsabilità dello Stato per ogni attentato commesso da tale gruppo.
2.2. La nozione di terrorismo
Spostiamoci all’altro elemento della definizione: il termine “terrorismo”.
Il terrorismo è un fenomeno estremamente ambiguo, dalle molteplici forme e dai più svariati
aspetti, traducendosi necessariamente in una parallela polisemia del termine. A queste difficoltà si
aggiunge il fatto che molti dei crimini considerati terroristici sono già oggetto di codificazione
internazionale (il genocidio, i crimini contro l’umanità, i crimini di guerra, il traffico di droga o di armi
illegali, la pirateria ecc.) rendendosi apparentemente superflua la questione di prevedere una fattispecie
diversa per il terrorismo. Nonostante ciò, il qualificare tali crimini, già gravi in sé, come terroristici
implica l’aggiunta di un ulteriore elemento di condanna connesso al particolare stato emotivo che
suscita il fenomeno del terrorismo.
Nella comunità internazionale non esiste un accordo sul concetto di terrorismo; il motivo
principale della mancanza di una definizione esaustiva universalmente accettata risiede nel fatto che,
mentre su certi elementi chiave, come la non discriminazione e la casualità delle vittime e l’infondere
terrore collettivo, può esserci un accordo generale, rimangono troppe “aree grigie” e considerazioni di
natura politica per rendere possibile una definizione di terrorismo inequivocabilmente accettata
23
e
poter tradurre la nozione del terrorismo in una definizione che possa essere recepita in una norma
incriminatrice.
23
V. ELAGAB, International Law Documents Relating to Terrorism, London/Sydney, 1997, p. 19. Alcuni
esempi concreti di queste difficoltà e dell’ambiguità nel qualificare determinati atti come terroristici sono i
seguenti: l’uccisione di oltre tremila civili in Nicaragua da parte dei contras supportati dagli Stati Uniti non è
stata generalmente classificata come terrorismo; la distruzione di Grozny da parte delle forze armate russe nel
1999 durante la guerra in Cecenia, i bombardamenti di Tripoli da parte degli Stati Uniti nel 1982 che
provocarono la morte di circa seimila civili, o ancora i bombardamenti in Cambogia durante la guerra del
Vietnam da parte degli USA non vengono considerati atti di terrorismo. Nemmeno la violenza istituzionalizzata
esercitata contro i civili palestinesi da parte di Israele durante il suo trentacinquesimo anno di occupazione della
West Bank e della striscia di Gaza consistenti in torture, deportazioni, punizioni collettive ecc. sono considerate
terrorismo. Tuttavia, tutti questi atti presentano numerose caratteristiche che potrebbero farli rientrare nella
categoria degli atti terroristici.
19
Una breve rassegna dei tentativi di definizione che sono stati fatti in trattati internazionali,
nell’ambito delle NU e in dottrina può esser utile per mostrare gli sforzi in merito a tale questione.
2.2.1. La nozione di terrorismo internazionale nei trattati internazionali
La prima Convenzione internazionale sulla repressione del terrorismo è stata adottata in seno
alla Società delle Nazioni, il 16 novembre 1937
24
, in seguito all’attentato di Marsiglia del 1934,
contestualmente alla Convenzione relativa all’istituzione di una Corte penale internazionale
competente a giudicare gli individui di uno dei reati previsti dalla Convenzione. Lo scopo era quello di
obbligare gli Stati parti a qualificare gli atti di terrorismo come illeciti penali nei propri ordinamenti
interni, prevedendo pene adeguate per i colpevoli, e di obbligare lo Stato nel cui territorio si trovasse il
presunto terrorista ad arrestarlo e processarlo, o in alternativa, a consegnarlo a uno Stato che ne facesse
richiesta per esercitare la giurisdizione penale (secondo il principio aut dedere aut iudicare, che sarà
ricorrente nelle successive convenzioni).
L’art. 1 della Convenzione stabilisce che per atti di terrorismo devono intendersi quei « faits
criminels dirigés contre un Etat et dont le but ou la nature est de provoquer la terreur chez des
personnalités déterminées, des groupes de personnes ou dans le public » . Tale definizione, basandosi
sul concetto di terrore per individuare gli atti da incriminare, è del tutto tautologica. Inoltre, lascia fuori
dalla sfera di applicazione della Convenzione tutti gli atti di terrorismo che, pur verificandosi nel
territorio di una delle parti contraenti, non siano diretti contro uno Stato bensì contro un gruppo
politico, una minoranza etnica, un’organizzazione internazionale.
Nel secondo dopoguerra, gli Stati hanno seguito un approccio settoriale alla repressione del
terrorismo internazionale, concentrando l’attenzione su singoli aspetti del fenomeno, adottando alcuni
trattati che si occupano di specifiche figure criminose e adeguandosi alle nuove forme di terrorismo
25
.
Il terrorismo diviene infatti oggetto di una incriminazione internazionale nella misura in cui
determinati atti, e non la nozione di terrorismo in se stesso, sono oggetto di una incriminazione
internazionale convenzionale.
Con l’emergere e l’intensificarsi del terrorismo aereo, l’Organizzazione per l’aviazione civile
internazionale (ICAO), uno degli istituti specializzati delle Nazioni Unite, promuove l’adozione di
varie convenzioni: la Convenzione di Tokyo sulla sicurezza dell’aviazione civile del 1963; la
24
Società delle Nazioni, Doc. C.94.M.47.1938.V. La Convenzione non è mai entrata in vigore, probabilmente
anche a causa dello scoppio della II guerra mondiale.
25
V. GIOIA, Terrorismo internazionale, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, in RDI, 2004, p. 5 ss e
VON KRIEKEN, Terrorism and the International Legal Order, The Hague, 2002, p. 22 ss, per le varie
convenzioni internazionali in materia di terrorismo e le definizioni di atti terroristici adottate.
20
convenzione dell’Aja del 1970 per la repressione della cattura illecita di aeromobili, cioè i fenomeni
della c. d. pirateria aerea, impiegata in senso atecnico; la Convenzione di Montreal del 1971 per la
repressione degli atti illeciti diretti contro la sicurezza dell’aviazione civile non contengono una
definizione di terrorismo, pur attribuendo natura terroristica ai crimini che disciplinano.
L’Organizzazione marittima mondiale (IMO) promuove, nel 1988, l’adozione della
Convenzione per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima, che fa
riferimento, per le fattispecie da incriminare, alle risoluzioni dell’Assemblea Generale, soprattutto alla
risoluzione 40/61 del 9 dicembre 1985.
I sopraelencati trattati seguono uno schema abbastanza uniforme che si basa sul modello della
Convenzione del 1937
26
.
In genere, quanto alle fattispecie criminose contemplate, i trattati meno recenti non
contengono alcun riferimento espresso al terrorismo internazionale. In sostanza, al momento di
descrivere tali fattispecie, non viene dato rilievo alla specifiche finalità, terroristiche o meno,
perseguite dagli autori
27
. Tuttavia, emerge comunque che esistono determinati comportamenti che,
qualificati o meno come atti di terrorismo, la comunità internazionale ha interesse a reprimere, in
quanto ledono beni protetti dal diritto internazionale, indipendentemente dalle finalità terroristiche
degli autori.
Sempre seguendo l’approccio settoriale vi sono numerose convenzioni anche a livello
regionale.
A livello regionale americano, ricordiamo la Convenzione di Washington del 1971 sulla
prevenzione e la repressione degli atti di terrorismo consistenti in reati contro persone e atti di
estorsione di importanza internazionale, adottata nell’ambito dell’Organizzazione degli Stati
americani, che si occupa dei reati commessi contro gli agenti diplomatici e le persone ad essi
assimilate, nonché la Convenzione interamericana contro il terrorismo, adottata il 3 giugno 2002,
entrata in vigore il 17 ottobre 2003, volta a rafforzare la cooperazione internazionale nella prevenzione
e repressione del terrorismo in genere ma che si applica ai reati già contemplati dalle convenzioni
mondiali tassativamente elencate nell’art. 2.
Per la regione europea, ricordiamo la Convenzione europea sulla repressione del terrorismo
del 1977, adottata nell’ambito del Consiglio d’Europa, volta a facilitare l’estradizione dei terroristi.
Essa menziona il terrorismo solo nel titolo e nel preambolo, senza definirlo, ed è volta ad impedire la
26
Solo la Convenzione di Tokyo del 1963 non contiene un preciso obbligo in tal senso.
27
Eccezioni in tal senso sono costituite dalla Convenzione del 1979 sulla presa di ostaggi, dalla Convenzione del
1980 sulla protezione dei materiali nucleari, dalla Convenzione del 1994 sulla sicurezza del personale dell’ONU,
dalla Convenzione del 1988sulla repressione degli attentati terroristici mediante esplosivi.