4
2. Il principio di intangibilità e la sua portata
La legittima, o quota di riserva (altrimenti detta indisponibile)
1
,
configura un limite alla capacità di disporre del testatore.
Essa è definita, dalla dottrina, in due modi diversi: quota di eredità
2
, in
accordo con la lettera dell’art. 536 c.c., oppure quota di utile netto
3
,
cioè entità economica, piuttosto che giuridica.
Indipendentemente dalla definizione scelta, possiamo dire che la quota
di riserva spetta per legge ai legittimari, ossia ai soggetti individuati
dall’art. 536; ciò, a prescindere dall’eventuale difforme volontà del de
1
Discostandosi dalla comune dottrina, CICU A., Legato in conto o in sostituzione di legittima ed
usufrutto del coniuge superstite, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1952, pagg. 278 - 279, ritiene che le
nozioni di riserva e legittima siano nettamente distinte, in quanto la riserva è quota di eredità, ossia
il relictum, mentre la legittima è quell’entità che si calcola secondo l’art. 556 c.c., mediante la
riunione fittizia del relictum e del donatum, detratte le passività. Da ciò deriva che la quota
riservata pone automaticamente il legittimario in comunione ereditaria con gli altri eredi, ed è
tutelata dall’azione spettante ad ogni erede, mentre la quota di legittima non è quota di eredità, non
determina comunione ereditaria ed è tutelata dall’azione di riduzione.
2
MESSINEO F., Manuale di diritto civile e commerciale, vol. VI, Giuffré, Milano, 1962, pag.
291; ROMANO CASTELLANA A., Natura giuridica della quota di legittima. Intangibilità
quantitativa e qualitativa. Deroghe, in Giur. compl. Cass. civ., 1950, XXIX, pag. 297; MENGONI
L., Successioni per causa di morte. Parte speciale. Successione necessaria, IV ed., in Trattato di
diritto civile e commerciale già diretto da Cicu A. e Messineo F. e continuato da Mengoni L.,
Giuffré, Milano, 2000, XLIII, tomo II, pag. 83
3
FERRI L., Dei legittimari, in Commentario al codice civile a cura di Scialoja A. e Branca G.,
Libro II, Delle successioni, Zanichelli, Soc. ed. del Foro Italiano, Bologna – Roma, 1981, pag.
102. L’autore osserva che, mentre la quota di eredità non muta nella sua consistenza giuridica, se
gravata da un peso, e l’erede per un terzo di eredità resta tale, anche se onerato di un legato o di un
modus, al contrario, la legittima come quota di utile netto viene alterata, ossia subisce un
mutamento di natura sostanziale, se gravata di un onere. Questa teoria si affianca, quindi, a quelle
che, specialmente sotto il vigore del precedente codice, qualificavano la legittima come pars
bonorum, attributiva non della qualità di erede, bensì di quella di creditore dell’erede.
5
cuius, il quale potrebbe non aver lasciato testamento, oppure potrebbe
averlo redatto, ledendo in varia misura i diritti dei riservatari. Nel
primo caso, soccorreranno le norme disciplinanti la successione
necessaria
4
; nel secondo, troverà applicazione il principio di
intangibilità della legittima, agevolmente enucleabile dal combinato
disposto degli artt. 457
3
e 549 c.c.
5
Da queste norme, infatti, si deduce
che il testatore non può pregiudicare la posizione dei legittimari, né
tramite disposizioni testamentarie, né mediante l’imposizione di pesi o
condizioni sulla quota di riserva (salve le ipotesi in cui trovano
applicazione le norme del titolo IV del libro II, relative alla divisione
ereditaria).
La dottrina ha compiuto notevoli sforzi per delineare la sanzione
derivante dalla violazione di questo principio. Chi, con fine analisi,
distingue per ciascuna delle due norme che lo compongono una
sanzione differente – pur concordando con la dottrina dominante circa
la nullità (a vario titolo) quale sanzione derivante dal mancato rispetto
del divieto di imporre pesi e condizioni – ritiene che nell’ipotesi di
4
Benché i termini “successione necessaria” e “successione nella legittima” siano considerati
sinonimi da gran parte degli studiosi, un autorevole giurista ritiene che la successione necessaria
sia la successione nella legittima qualificata dall’impugnazione di disposizioni lesive dei diritti
riservati ai legittimari. Vedi MENGONI L., op. cit., pag. 77.
5
Sono altresì espressioni del principio di intangibilità della legittima l’art. 483
2
c.c., che tutela il
legittimario erede contro i legati contenuti nel testamento scoperto successivamente
all’accettazione, e l’art. 46
2
, ultima parte della legge 31 maggio 1995, n. 218 (Riforma del diritto
internazionale privato), che, dopo aver attribuito al testatore il potere di sottoporre l’intera
successione alla legge dello Stato in cui risiede, anziché a quella dello Stato a cui appartiene,
stabilisce che in ogni caso “la scelta non pregiudica i diritti che la legge italiana attribuisce ai
legittimari residenti in Italia al momento della morte della persona della cui successione si tratta”.
MAGRI’ A., Principio di intangibilità della legittima e legato, in Riv. dir. civ., 1998, I, pag. 25,
nota 2.
6
violazione del terzo comma dell’art. 457 si debba parlare di inefficacia
relativa sopravvenuta, conseguente al vittorioso esperimento
dell’azione di riduzione (art. 554 c.c.) ad opera dei legittimari i cui
diritti sono stati lesi
6
.
Osserviamo tuttavia che la maggior parte degli interpreti limita la
propria attenzione all’art. 549, ritenendo, come accennato, che la sua
violazione comporti la nullità della disposizione con la quale il de
cuius impone pesi o condizioni sulla quota di riserva
7
.
6
MAGRI’ A., op. cit. pag. 26. Questa convinzione deriva dalla divisione in due categorie delle
disposizioni che ledono le ragioni dei legittimari: nella prima categoria vanno ricompresi gli atti
dispositivi che producono l’effetto diretto di beneficiare un terzo e che solo in via riflessa ledono
gli interessi dei riservatari, in quanto sottraggono loro elementi patrimoniali attivi in misura
eccedente la porzione disponibile. Essi sono donazioni, legati e istituzioni di erede lesive della
riserva. Nella seconda categoria rientrano le imposizioni di pesi o condizioni sulla legittima, ossia
quelle disposizioni che comprimono in via diretta le prerogative del legittimario. Solo gli atti
rientranti nella prima categoria violerebbero il terzo comma dell’art. 457, con la conseguenza che
l’ordinamento giuridico reagirebbe a tale violazione attraverso il rimedio dell’inefficacia relativa,
subordinata al vittorioso esperimento dell’azione di riduzione. Si vedano infra l’esposizione più
dettagliata della teoria e le conseguenze cui la sua accettazione dà luogo.
7
Nonostante gli studiosi concordino circa la nullità, varie sono le posizioni assunte in relazione
alla tipologia della stessa: secondo MENGONI L., op.cit., pag. 90, FUNAIOLI C.A., La
successione dei legittimari, in Riv. dir. civ., 1965, I, pag. 29 e CRISCUOLI G., Le obbligazioni
testamentarie, Giuffré, Milano, 1965, pag. 348, in caso di violazione del divieto di pesi e
condizioni si deve parlare di nullità assoluta per violazione di norme imperative. Questo perché
occorre dare prevalente rilievo alla situazione di illiceità in cui vengono a trovarsi le disposizioni
in contrasto col divieto legislativo. Secondo COVIELLO L., Successione legittima e necessaria,
Giuffré, Milano, 1937, pag. 316, CATTANEO G., La vocazione necessaria e la vocazione
legittima, in Trattato di diritto privato diretto da Rescigno P., UTET, Torino, 1982, vol. 5,
Successioni, tomo I, pag. 405 e CARIOTA FERRARA L., Un caso in tema di legato a carico di
legittimari lesi, in Riv. dir. civ., 1959, I, pag. 551, nota 8, tale nullità va qualificata come relativa
(o meglio annullabilità, come precisato da quest’ultimo), poiché essa non è pronunciabile
d’ufficio, ma deve essere eccepita dal legittimario.
7
Ad una più approfondita analisi si può rilevare che il disporre un peso
od una condizione a carico della legittima, non equivale a compierne
una comune lesione, ma configura una lesione qualificata della stessa
e, in un certo senso, mutuando dal diritto penale, aggravata
8
. In una
disposizione di questo tipo, vi è la volontà dichiarata del testatore di
gravare, quindi di diminuire o ledere, la legittima. “La lesione è voluta
dal disponente e quindi assurge a causa o ad oggetto della
disposizione. La quale è, di conseguenza, da considerare nulla per
illiceità della causa o dell’oggetto”
9
. Questo non accade nella
disposizione accidentalmente lesiva: in questa, il testatore potrà anche
aver previsto e voluto la lesione, ma, eventualmente, solo come
motivo, che non influisce sulla sua validità, per l’irrilevanza giuridica
dei motivi (salvo quanto precisato dall’art. 626 c.c.).
Da questa argomentazione discendono due conseguenze, accolte
pressoché dalla totalità degli interpreti: la disposizione
accidentalmente lesiva non è né nulla, né annullabile; per questo
motivo, il rimedio concesso al legittimario leso nel suo diritto di
riserva, è l’azione di riduzione; al contrario, la disposizione
volontariamente lesiva (ossia quella disponente un peso o una
condizione gravanti sulla legittima), è nulla.
8
FERRI L., op. cit., pag. 103.
9
FERRI L., op. loc. ult. cit.
8
Se l’ambito di operatività della norma di cui all’art. 457
3
è facilmente
delineabile
10
, in quanto vi ricade qualsiasi disposizione testamentaria
che distrae un bene della porzione indisponibile dalla sua naturale
destinazione, impedendo che il legittimario riceva, in tutto o in parte
la quota di beni a lui spettanti, maggiori difficoltà sorgono nel
delimitare la portata del dettato dell’art. 549.
Il divieto di imporre pesi, di cui all’art. 549 c.c., si ritiene consista
nella proibizione al testatore di ordinare la non alienazione dei beni
costituenti la legittima, o di ritardare la divisione, al di là dei casi
previsti dalla legge
11
. Il richiamo delle norme relative alla divisione,
ad opera dell’ultimo comma dell’art. 549, potrebbe far pensare
all’applicabilità di tutti gli articoli del titolo IV; tuttavia, il contesto in
cui la norma è collocata, ne limita il riferimento soltanto ad alcune
norme
12
.
10
In dottrina, tuttavia, si riscontrano divergenze di opinione in relazione alla qualificazione del
legato come disposizione testamentaria a titolo particolare, piuttosto che come peso gravante, in
certe circostanze, sulla legittima, e quindi vietato dall’art. 549 c.c. Di queste posizioni si darà
conto in seguito.
11
MESSINEO F., op. cit, pag. 296.
12
MESSINEO F., op. cit. pag. 297, fa notare che non possono ritenersi compresi nella deroga
prevista dall’ultimo comma dell’art. 549, gli artt. 715, 716 (abrogato), e 717 c.c, poiché la loro
applicabilità, anche in caso di divisione, cui partecipino legittimari, discende dalla legge e non è
necessaria alcuna manifestazione di volontà del de cuius; contra AZZARITI G., Successioni dei
legittimari e successioni dei legittimi, UTET, Torino, 1997, pag. 126; MENGONI L., op. cit., pag.
97, nota 28, ritiene che, contrariamente alla relazione al progetto preliminare del codice, p. 18, non
siano ricompresi nella deroga prevista dall’art. 549 u.c., anche gli artt. 720, 721 e 722, per lo stesso
motivo indicato da Messineo nella nota precedente.
9
In particolare, l’art. 713 c.c. prevede la possibilità che il de cuius
disponga il non farsi luogo a divisione fino a dopo un anno dal
raggiungimento della maggiore età dell’ultimo nato, oppure fino a
quando non sia trascorso un quinquennio dalla morte. L’ultimo
comma del citato articolo, stabilisce, comunque, che, qualora
ricorrano gravi circostanze, su istanza di uno o più coeredi, l’autorità
giudiziaria possa imporre la divisione dopo un termine minore di
quello stabilito dal testatore. In quest’ultima parte della norma,
possiamo quindi già ravvisare la volontà legislativa di temperare la
libertà concessa al testatore in ordine alla possibilità di gravare oltre
misura la quota riservata ai legittimari.
L’art. 733 c.c. disciplina l’istituto dell’assegno divisionale. Attraverso
di esso, il testatore può indicare quali beni andranno a comporre la
quota già stabilita per i singoli chiamati, attuando, in questo modo,
una assegnazione nella quota. Letto in combinazione con l’art. 734
c.c., relativo alla divisione fatta dal testatore, l’articolo in esame
costituisce il fulcro della deroga al divieto di pesi e condizioni sulla
legittima, prevista dall’ultimo comma dell’art. 549 c.c.
10
Il divieto di imporre condizioni sulla legittima, determina
l’impossibilità di imporre non solo modalità onerose, ma qualsiasi
modalità che, pur non intaccando il valore dei beni costituenti la
riserva, modifichi la posizione giuridica del legittimario rispetto ai
medesimi
13
. Tale divieto deroga al principio generale che ammette la
condizione in genere, ossia sospensiva o risolutiva, nelle disposizioni
testamentarie (art. 633 c.c.). Un’eventuale condizione che, gravando
sulla legittima, menomasse il diritto del legittimario, sarebbe, perciò,
illecita, in quanto contravvenente a norme imperative. A differenza di
quanto accade in ambito negoziale, tuttavia, tale condizione illecita,
non darebbe luogo a nullità della disposizione testamentaria, ma si
considererebbe come non apposta, in applicazione della c.d. regola
sabiniana (art. 634 c.c.).
Parte della dottrina
14
, ritiene, però, che risolvendosi la condizione in
una lesione della legittima, il diritto di opporne l’inefficacia spetti allo
stesso riservatario, a differenza di quanto avviene per la condizione
13
MENGONI L., op. cit., pag. 93; A tale affermazione, l’autore giunge osservando che, nel diritto
intermedio, la legittima può tollerare una condizione apposta a favore del legittimario. Questa
interpretazione è però contraria tanto al diritto giustinianeo, quanto al disposto dell’art. 549 c.c.,
dove il legislatore ha distinto tra pesi e condizioni. Nello stesso senso, PINO A., op. cit. pag. 297,
riconosce che il divieto di apporre condizioni va inteso nel senso di generale divieto di imporre
modalità di godimento della legittima che comunque diminuiscano l’efficienza del diritto del
legittimario.
14
AZZARITI G., op. cit., pag. 123.
11
impossibile o le altre condizioni illecite, che possono essere dichiarate
nulle anche d’ufficio
15
.
Notiamo quindi che – se si vuole analizzare il dettato normativo
attribuendo un preciso significato a ciascun termine adoperato dal
legislatore – si perviene ad una distinzione tra le sanzioni conseguenti
alla violazione del divieto previsto dall’art. 549 che non emerge
allorché si considerino unitariamente pesi e condizioni. Infatti, nel
caso di apposizione alla legittima di pesi, non sembra dubitabile la
conseguenza della nullità della disposizione
16
; nel caso in cui alla
stessa vengano apposte condizioni illecite, l’applicazione della regola
sabiniana comporterebbe una sorta di automatica eliminazione della
lesione.
Osserviamo ancora come rivesta una notevole importanza pratica il
distinguere se la condizione o il modus, rispetto al loro contenuto,
siano leciti o illeciti nel caso di attribuzione al legittimario di una
quota superiore a quella riservata
17
.
15
SANTORO – PASSARELLI F., Dei legittimari, in Codice civile, Libro delle successioni per
causa di morte e delle donazioni, Commentario diretto da D’Amelio M., S. A. G. Barbera,
Firenze, 1941, pag. 295, afferma che, diversamente da quanto disposto dall’art. 634 c.c., illecita
non sia la modalità dell’apposizione, bensì l’apposizione stessa.
16
Nullità che abbiamo visto operare a vario titolo a seconda degli interessi che l’interprete intende
far prevalere. Si veda a questo proposito la nota 7.
17
MENGONI L., op. cit., pag. 96.
12
Se per se stessa è lecita, la modalità è solo parzialmente nulla, nella
misura in cui grava sulla legittima; se è illecita, cade interamente a
norma dell’art. 634 c.c., o dell’art. 647
3
c.c. (salvo l’art. 626 c.c.)
18
.
Inoltre, se la modalità apposta all’istituzione del legittimario in una
quota maggiore di quella riservata è in sé lecita, essa può formare
materia di una valida clausola del tipo della cautela sociniana, per cui
il legittimario può scegliere se accettare la quota maggiore cum onere,
oppure, rifiutando il peso, conseguire la sola quota di riserva.
Non si tratta di una disposizione alternativa in senso proprio
19
, ma di
una istituzione condizionata per la parte eccedente la legittima. La
condizione è valida perché il testatore è libero di apporre alla
disponibile qualunque condizione, purché lecita. D’altro canto, il
legittimario è libero di disporre del suo diritto: come può rinunciare
alla legittima, così può accettare la maggior quota lasciatagli dal
testatore sotto condizione di non rifiutare l’onere per la parte gravante
sulla legittima.
18
Meno approfondita l’analisi di AZZARITI G., op. cit., pag.124, secondo la cui opinione, dal
divieto dell’art. 549 c.c, si trae che la condizione imposta nell’istituzione di erede, mediante la
quale viene devoluta una quota maggiore di quella di legittima, è operativa solo in relazione ai
beni che superino la quota spettante al legittimario, mentre, nei limiti del valore di questa, la
condizione si considera per non apposta (arg. art. 634 c.c.).
19
MENGONI L., op. loc. ult. cit.; AZZARITI G., op. loc. ult. cit., concorda nella sostanza, ma
qualifica l’ipotesi come disposizione alternativa.