4
Stando a questa premessa Schaeffer sembrerebbe interrogarsi sulla possibilità
di un ascolto pre-linguistico, su quella modalità percettiva che precede ogni
sistema di valori musicali possibile.
In realtà la domanda schaefferiana appare ancora più radicale se si considera
attentamente l’“oggetto sonoro”, inteso come il manifestarsi del suono in sé
stesso.
Per potersi dire oggetto sonoro, un suono deve poter essere ascoltato non
soltanto al di fuori di ogni valenza culturale, ma anche al di fuori da ogni
rapporto con la realtà da cui esso è scaturito: un oggetto sonoro autentico – e in
ciò consiste la purezza cui allude Schaeffer- è il suono al di fuori di ogni
possibile rimando percettivo. Esso non deve dunque farsi portatore di alcun
significato e soprattutto di alcuna informazione sulla fonte sonora che lo ha
generato.
Analizzando il concetto di “oggetto sonoro” e l’idea, di cui esso si fa portatore,
di un ascolto puro, sarà possibile mostrare in che misura la proposta
schaefferiana di una rifondazione del musicale a partire dal suono stesso possa
essere considerata valida e feconda. Lungi dal voler proporre unicamente una
chiarificazione del concetto-guida del Traitè, il tentativo è piuttosto quello di
mostrarne il fascino e la vivacità: il concetto di oggetto sonoro, pur aprendosi a
considerazioni di carattere metafisico, può portarci a riflettere sul complesso
legame che si instaura tra i suoni e la realtà da cui essi hanno origine.
La ricerca si articola in tre capitoli.
Nel capitolo primo viene introdotto il problema dell’oggetto sonoro e viene
chiarita l’impostazione metodologica di Schaeffer, attraverso l’analisi della
critica nei confronti del metodo della fisica acustica.
5
Il concetto di “oggetto” viene ulteriormente a chiarirsi grazie alla successiva
analisi dei caratteri tipici del suono. Emergono in questo paragrafo i problemi
principali in cui si imbatte il cammino verso l’ascolto puro, primo tra tutti il
problema della fonte sonora. Una prima possibilità di “generare” oggetti sonori
emerge nell’ultimo paragrafo in cui si analizza il discorso schaefferiano sulla
registrazione elettro-acustica.
Nel secondo capitolo viene introdotto il concetto di acusmatica ed analizzata la
teoria schaefferiana dei quattro ascolti.
Nell’ultimo capitolo infine viene presa in considerazione l’analisi del
paesaggio sonoro quotidiano svolta dallo studioso canadese Murray Schafer e
viene analizzato più nello specifico il problema della fonte sonora, lasciato
precedentemente in sospeso.
Prima di introdurre il concetto di oggetto sonoro è però opportuno inquadrare il
Traitè des objets musicaux nel contesto storico e culturale in cui ha avuto
origine.
6
INTRODUZIONE: Elementi di novità della
musica novecentesca
Nel 1948 Pierre Schaeffer, ingegnere e tecnico del suono presso l’ente
radiofonico francese, registrò il rumore dei motori a vapore di alcune
locomotive, arrivando a creare, in seguito a varie manipolazioni del materiale
così ottenuto, una breve composizione dal titolo Etude aux Chemins de fer.
Questo brano rappresenta l’inizio della sua attività di ricerca sonora e musicale
e segna nel contempo la nascita della cosiddetta “musica concreta”. Nel 1949
fu lo stesso Schaeffer a chiarire il senso di questa definizione all’interno della
rivista Polyphonie:
« concreto […] il materiale di base perché presente in natura, e
concreta la musica che trae origine da esso, in opposizione alla
musica tradizionale definita astratta. Noi abbiamo chiamato la
nostra musica concreta, poiché essa è costituita da elementi
preesistenti, presi in prestito da un qualsiasi materiale sonoro - sia
rumore o musica tradizionale. Questi elementi sono poi composti in
modo sperimentale mediante una costruzione diretta che tende a
realizzare una volontà di composizione senza l'aiuto, divenuto
impossibile, di una notazione musicale tradizionale. »
Negli anni successivi si svilupperà a Parigi un vero e proprio gruppo di
ricerca sulla musica concreta, di cui uno dei maggiori esponenti fu certamente
Pierre Henry, il quale collaborò attivamente con Schaeffer nella realizzazione
di alcune delle composizioni più rappresentative di questo periodo, Symphonie
pour un homme seul (1949-1950) e Orpheé (1953). Il gruppo di musica
concreta costituì un’autentica avanguardia all’interno del panorama musicale
europeo di questi anni, ma ciò fu dovuto soprattutto all’elevato livello
tecnologico raggiunto nell’ambito della registrazione elettroacustica; lo stesso
7
Schaeffer era noto più come ingegnere del suono e tecnico radiofonico, che
non come compositore e la sua fama in questo ambito era tale da stimolare i
musicisti di tutto il mondo a raggiungere Parigi per saggiare di persona le
nuove possibilità offerte alla composizione musicale.
La nuova musica potrebbe essere definita come una sorta di “collage” sonoro,
in cui i classici suoni strumentali vengono assemblati e manipolati in vario
modo insieme ad altri suoni di diversa provenienza. Secondo Schaeffer la
concretezza di questa nuova modalità compositiva emergeva dall’utilizzo di
suoni estrapolati dalle situazioni di vita quotidiana, che rispetto a quelli
immateriali della musica tradizionale, apparivano certamente più tangibili e
appunto concreti: il trillare di un campanello o il latrato di una sirena potevano
essere inseriti, previa registrazione, in un brano e mescolati con i suoni eterei
degli strumenti classici.
Gran parte della cosiddetta musica colta o elevata si caratterizza, al contrario,
come “astratta”, proprio per il suo trascurare la vivacità e la ricchezza di
significati posseduti dal paesaggio sonoro dell’uomo. Contro questa musica,
capace ormai soltanto di riflettere viziosamente sulle sue strutture di
riferimento, sul suo linguaggio, è necessario un rinnovamento che mostri
l’importanza di un ritorno ai contenuti ed alla materia sonora concreta.
Tuttavia non è soltanto la musica tradizionale a caratterizzarsi come “astratta”,
ma anche quella nuova corrente che si stava sviluppando in quegli stessi anni:
la musica elettronica. Schaeffer affronta direttamente la polemica nei confronti
di questa disciplina nella parte introduttiva del suo testo teorico principale, il
Traitè des objets musicaux, in cui effettua un raffronto atto a identificare di
ognuna pregi e difetti.
8
Parlando di musica elettronica, egli si riferisce nello specifico a quel nuovo
modo di comporre basato sulla cosiddetta sintesi del suono, di cui il maggiore
esponente fu Karlheinz Stockhausen. Grazie al sintetizzatore la creatività del
compositore poteva finalmente attingere a un ventaglio di possibilità
virtualmente infinito: questo nuovo mezzo infatti consentiva di creare dal nulla
nuovi suoni mai uditi prima d’ora. Tale allettante promessa, che sembrerebbe
permettere il disvelarsi di un universo sonoro sconosciuto, cela tuttavia una
grande limitazione: la sintesi, ovvero la creazione di sonorità nuove, si realizza,
in pratica, inserendo in un calcolatore dei valori corrispondenti ai parametri
fisici del suono che si vuole ottenere. E’ questa l’astrattezza di cui Schaeffer
taccia la musica elettronica: questo modo di comporre non è concreto perché
comporta la perdita di quel rapporto fabbrile con lo strumento musicale, che ha
caratterizzato l’attività umana fin da tempi antichissimi. Se la creazione del
suono non avviene più mettendo direttamente in vibrazione la materia, bensì
inserendo dei numeri in un calcolatore, si perde la possibilità di verificare
immediatamente, attraverso l’ascolto, il suono che si è prodotto.
La pretesa di creare virtualmente qualsivoglia suono rischia inoltre di condurre
al riduzionismo: l’intero universo sonoro, che comprende sia le sonorità
potenziali sia quelle già esistenti, verrebbe così ridotto a scarni rapporti tra
parametri fisici quali ampiezze, durate, ecc… escludendo di fatto la dimensione
concreta dell’ascolto.
Una riflessione sulla nuova tecnica della registrazione elettroacustica, intesa
come la possibilità di catturare e manipolare qualsiasi suono presente in natura,
può invece portare a risultati di ben maggiore spessore.
9
Ed è proprio di un tale studio che si sente la necessità al giorno d’oggi, di un
approccio teorico che a partire dalla frammentarietà dei numerosissimi esempi
di registrazioni oggi disponibili, sappia sviscerarne il senso e la portata
filosofica.
Queste sono in breve le motivazioni che spingono Pierre Schaeffer alla stesura,
nel 1966, del Traitè des objets musicaux, monumentale saggio interdisciplinare
che, lungi dal costituire unicamente un fondamento teorico alla “musica
concreta”, rappresenta un interessante studio sul suono e sulla percezione
uditiva.
Per meglio comprendere quale sia l’importanza del tentativo schaefferiano e
quali i risultati cui esso giunge, è forse opportuno leggere il Traité des objets
musicaux alla luce di quel profondo senso di rinnovamento che investì gran
parte della cultura musicale del ‘900: rinnovamento non soltanto formale e
quindi legato essenzialmente alla ridefinizione di un linguaggio ormai obsoleto
ed inadeguato ad esprimere le tensioni di un’epoca di vorticose trasformazioni,
ma anche sostanziale, nella misura in cui veniva messo in discussione il
materiale stesso di cui si costituisce la musica.
Proprio questi sono gli elementi di novità: il sempre più massiccio ricorso a
nuove sonorità e il tentativo di riformulare il linguaggio musicale.
Per quanto concerne il problema della materia sonora, una delle necessità più
pressanti espresse dalla congerie culturale di questo periodo è il bisogno di
allargare sempre più l’orizzonte musicale, elevando al rango di Musica tutto
ciò che fino a quel momento era stato considerato con il termine dispregiativo
di rumore e relegato nell’ampio dominio del non-musicale.
10
Uno degli antesignani di questa tendenza fu certamente Luigi Russolo, il quale
indicò nel breve testo dal titolo L’arte dei rumori. Manifesto futurista un
possibile percorso per l’ammodernamento della musica. A questo scopo ideò e
costruì l’intonarumori, marchingegno che rispondeva a una duplice esigenza:
in primo luogo consentiva di integrare i materiali timbrici dell'orchestra
tradizionale mediante l’introduzione di rumori e in secondo luogo di regolarne
l’intonazione. L’intento dell’originale invenzione di Russolo fu limitato a
scandalizzare gli ascoltatori del tempo, mostrando loro quanto fossero esigui i
confini dello spazio sonoro in cui si compiacevano d’essere costretti. La sua
provocazione tuttavia restò tale e non fu mai finalizzata all’ampliamento dei
mezzi espressivi messi a disposizione del compositore.
Di spessore ben maggiore furono le composizioni di Edgar Varesé. Qui i
“rumori” ed i suoni della vita quotidiana non sono più, come in Russolo, il fine
ultimo della musica, ma dei mezzi utilizzati all’interno di composizioni
musicali che sono fatte sì di suoni, ma che non si riducono ad essi.
In questo senso Varèse parlava della sua opera Amériques, in un passo del suo
scritto teorico Il suono organizzato:
« Amériques è l’interpretazione di uno stato d’animo, è un pezzo di
musica pura che non ha niente a che fare con i rumori della vita
moderna che alcuni critici hanno voluto ritrovarvi. Se proprio
bisogna applicargli un’etichetta, chiamiamolo un tema meditativo,
nato dalle impressioni di uno straniero che indaga sulla immense
possibilità di questa vostra nuova cultura. L’utilizzo di effetti
musicali intensi è semplicemente la mia reazione istintiva alla vita
così come la vedo, ma si tratta della rappresentazione musicale di
uno stato d’animo, e non di un quadro sonoro. »
1
1
E. Varèse, Il suono organizzato - scritti sulla musica, Ricordi/Unicopli, Milano 1985, p.55
11
Il titolo del saggio propone fin da subito una nuova definizione di musica, che
se da un lato estende l’essere musicale a tutto ciò che è suono, senza
distinzione alcuna tra suono e rumore, dall’altro dimostra l’intento di introdurre
un nuovo modo di comporre, che da qui in poi prese sempre più piede:
assemblare e organizzare in strutture complesse i singoli suoni
precedentemente ottenuti tramite le tecniche di registrazione elettroacustica:
« Poiché il termine “musica” sembra essersi progressivamente
ridotto fino a significare molto meno di quel che dovrebbe,
preferisco ricorrere all’espressione “suono organizzato”, così da
evitare la tediosa questione: “ma è musica?”. “Suono organizzato”
sembra cogliere più precisamente l’aspetto duplice della musica,
che è insieme arte e scienza, con riferimento alle recenti scoperte di
laboratorio che ci hanno permesso di sperare in una sua
incondizionata liberazione; il termine poi, senza alcun dubbio, si
addice agli sviluppi della mia musica e a ciò che essa richiede. »
2
Al di là del dibattito sulla materia sonora, il secondo problema con cui si
confronta la musica novecentesca coincide senza dubbio col superamento del
linguaggio tonale. Questa istanza di rottura rispetto agli schemi del passato è
ben sintetizzata da G. Piana in un passo del suo Filosofia della Musica:
« Ciò che la pratica musicale ha sempre mostrato di sapere – che
nessun privilegio intrinseco spetta al linguaggio della tonalità dal
punto di vista espressivo – arriva infine alla più chiara
consapevolezza teorica, e con ciò viene a cadere l’idea di un
sistema fondamentalmente prossimo più di ogni altro all’essenza
stessa della musica, come anche l’idea di un finalismo interno
capace di operare la subordinazione di ogni forma di espressione
musicale entro una prospettiva unitaria. »
3
2
Ivi, p.68
3
G. Piana, filosofia della musica, Guerini 1991, p.11
12
Se quello tonale è soltanto uno dei linguaggi musicali possibili e perciò, in
ultima analisi, il frutto di una prassi condivisa all’interno di una comunità
storicamente e culturalmente determinata, nulla vieta a questo punto l’apertura
alle altre culture musicali extraeuropee, a quelle forme di espressione che fino
a questo momento venivano relegate al di fuori del dominio della Musica con
la emme maiuscola. Nel ventesimo secolo si assiste alla nascita, sempre
maggiore, di studi etno-musicologici ed all’uso crescente di suggestioni
popolari e strumenti etnici nella composizione musicale.
E’ a partire da questa sommaria e incompleta descrizione di alcuni dei motivi
più tipici della ricerca musicale novecentesca che bisogna leggere il Traitè des
objets musicaux per comprendere come il tentativo di Schaeffer sia per molti
versi in sintonia con questo clima generale di veloci trasformazioni.
Gli elementi tipici cui si è fatto riferimento – il bisogno di nuove sonorità ed il
tentativo di ridefinire il linguaggio musicale – sono per il compositore francese
dei problemi vivi e di una certa complessità. Il volto della musica stava
mutando fisionomia e lo sviluppo crescente delle tecnologie applicate aveva
permesso di raggiungere dei risultati fino a pochi anni prima inimmaginabili.
Tutto stava cambiando in fretta, troppo in fretta forse perché ci si potesse
rendere conto delle reali implicazioni delle trasformazioni in atto.
Nell’opera del francese i due problemi sono strettamente connessi tra loro: se si
estende il dominio del Musicale a tutto ciò che è suono e rumore, si deve
necessariamente fare a meno del linguaggio e del sistema di notazione
tradizionali, non essendo questi più in grado di esprimere l’universo sonoro
nel senso più ampio del termine.
13
Se inoltre, come aveva affermato Varèse, la musica è sostanzialmente suono
organizzato, è necessaria una riflessione sulla materia sonora che riesca a
descrivere quali siano i caratteri tipici del modo d’essere del suono e quali le
modalità del suo presentarsi nel decorso percettivo. Se la musica è in primo
luogo suono, una riflessione sulla musica deve tradursi, in prima analisi, in una
descrizione generale del suono e dei suoi elementi specifici.
L. Russolo e il suo intonarumori