2
In questo lavoro ci si propone di esaminare in particolare il
contratto collettivo nazionale delle aziende di credito, finanziarie e
strumentali (d’ora in poi chiamato contratto nazionale del credito).
Nel I capitolo verrà illustrata l’evoluzione storica del contratto
collettivo fino ad arrivare alla sua forma attuale, della quale verranno
esaminati gli aspetti principali, quali il suo rapporto con la legge e la
sua interpretazione; verrà poi illustrata in particolare la storia del
contratto collettivo nazionale del credito, fino a quello del 1999,
attualmente in vigore.
Il II capitolo tratterà invece il tema delle forme di lavoro
flessibile, con una panoramica generale sulla ricezione delle direttive
europee nell’ordinamento interno, e in particolare sulla successiva
ricezione delle norme nazionali nel contratto collettivo in questione.
Il III capitolo infine illustrerà le novità, riguardanti la
flessibilità, apportate dalla recente legge delega 30/2003 sul mercato
del lavoro, concludendo con le reazioni e le controproposte dei
sindacati dei lavoratori: questo argomento è di grande interesse dal
momento che, proprio nel corso del 2003, verranno preparate le
piattaforme di discussione per l’imminente rinnovo del contratto
collettivo del credito.
3
CAPITOLO I
IL CONTRATTO COLLETTIVO
ED IL SETTORE BANCARIO
SOMMARIO: 1) L’EVOLUZIONE STORICA DEL CONTRATTO
COLLETTIVO E LE SUE TIPOLOGIE 1.1) IL RAPPORTO DI
LAVORO NELL’ITALIA UNITA 1.2) IL CONTRATTO COLLETTIVO
CORPORATIVO 1.3) IL CONTRATTO COLLETTIVO EX ART.39
COST. 1.4) IL CONTRATTO COLLETTIVO DI DIRITTO COMUNE
2) IL CONTRATTO COLLETTIVO DI DIRITTO COMUNE E LA
LEGGE 2.1) LA LEGGE NEI RAPPORTI FRA CONTRATTO
COLLETTIVO E CONTRATTO INDIVIDUALE DI LAVORO 2.2) IL
RAPPORTO TRA LEGGE E CONTRATTO COLLETTIVO 2.3)
L’INTERPRETAZIONE DEL CONTRATTO COLLETTIVO IN
RAPPORTO ALLA SUA FUNZIONE NORMATIVA 3) EVOLUZIONE
STORICA DEL CONTRATTO COLLETTIVO NAZIONALE DELLE
AZIENDE DI CREDITO, FINANZIARIE E STRUMENTALI 3.1) IL
LAVORO IN BANCA FINO ALL’AVVENTO DEL FASCISMO 3.2) LA
CONVENZIONE NAZIONALE BANCARIA ED IL
CORPORATIVISMO 3.3) IL SECONDO DOPOGUERRA ED I
CONTRATTI NAZIONALI DI DIRITTO COMUNE 3.4) IL
CONTRATTO DEL CREDITO FINO AL 1999
4
I.1) L’EVOLUZIONE STORICA DEL CONTRATTO
COLLETTIVO E LE SUE TIPOLOGIE
I.1.1) IL RAPPORTO DI LAVORO NELL’ITALIA UNITA
Nel codice civile del 1865 l’unica figura giuridica riconducibile
al contratto di lavoro era la “locazione di opere” (art.1627), un
contratto individuale fra il prestatore d’opera e colui che fruiva del suo
servizio ispirato al liberismo economico del periodo: la materia lavoro
era pertanto lasciata al gioco del libero mercato.
Ben presto si manifestarono le gravi conseguenze connesse alla
disparità di potere contrattuale che esisteva fra datori di lavoro e
lavoratori: questi ultimi erano obbligati ad accettare condizioni di
lavoro unilateralmente decise e sempre più disumane a causa di una
domanda di lavoro sempre maggiore rispetto all’offerta.
L’estrema povertà del proletariato portò in principio a delle
soluzioni di protesta violenta come il “luddismo” (ossia la violenza
contro le macchine industriali) in Gran Bretagna o strumenti di lotta
quali lo sciopero e l’occupazione delle fabbriche.
1
1
Vedi E.P.THOMPSON, Rivoluzione industriale e classe operaia in Inghilterra, Il Saggiatore,
Milano 1969 e L. CHEVALIER, Classi lavoratrici e classi pericolose, Laterza, Roma 1976.
5
Nel frattempo parte dei lavoratori (in particolare quelli più
evoluti e meglio retribuiti), collegandosi alla tradizione delle antiche
corporazioni artigiane, si organizzarono in associazioni operaie che
avevano tra i loro scopi quello di arrivare a stabilire clausole
contrattuali minime, valevoli erga omnes, che potessero evitare lo
sfruttamento dei lavoratori da parte dei datori di lavoro.
Il legislatore italiano non si pronunciò lasciando ai giudici la
materia del lavoro, i quali avrebbero dovuto creare una legislazione
per singoli casi.
Questo compito non andò al giudice ordinario, ma ai Collegi dei
Probiviri
2
, organismi paritetici che, con giudizi di equità, attraverso
una lunga opera di mediazione fra datori di lavoro e sindacati dei
lavoratori, posero le basi del diritto del lavoro e diedero vita ai
Concordati di Tariffa, un primo nucleo del moderno contratto
collettivo che si occupava in particolare della questione delle
retribuzioni.
2
I Collegi dei Probiviri furono istituiti con la legge 15 Giugno 1893, n. 295.
6
I.1.2) IL CONTRATTO COLLETTIVO CORPORATIVO
Con l’avvento del fascismo anche la disciplina del lavoro
cambiò: si passò dall’astensionismo statale ad una filosofia
inteventista.
Il Governo stipulò gli Accordi di Palazzo Chigi (1923) e gli
Accordi di Palazzo Vidoni (1925) con la Confederazione delle
corporazioni fasciste e la Confederazione generale dell’industria
italiana nei quali venne loro riconosciuto il monopolio per la
stipulazione dei contratti collettivi.
Tale situazione fu giuridicamente confermata dalla legge
563/1926 la quale stabilì il principio secondo cui veniva riconosciuta,
con personalità di diritto pubblico, una sola organizzazione sindacale
“per ciascuna categoria di datori di lavoro, lavoratori, artisti o
professionisti".
3
Tale organizzazione, sottoposta a controlli da parte
dell’ordinamento statale, rappresentava (in forza di un
riconoscimento legale) tutta la categoria ed era legittimata a stipulare
atti bilaterali, con i quali le associazioni interessate concordavano le
3
Art.6, 3° comma della legge n. 563 del 1926. Questa legge istitutiva l’ordinamento corporativo e
fu seguita dal regolamento di esecuzione n. 1130 del 1° luglio 1926; Vedi LUISA GALANTINO,
Diritto Sindacale, Giappichelli Ed., Torino 1998, pagg. 142 ss.
7
condizioni che dovevano essere seguite da tutti i lavoratori e da tutti i
datori di lavoro appartenenti alla categoria cui il singolo atto si
riferiva; le disposizioni degli accordi stipulati non potevano essere
derogate in pejus da parte dei contratti individuali di lavoro.
4
I contratti collettivi fascisti avevano dunque efficacia erga
omnes ed il codice civile del 1942 li inserì fra le fonti del diritto
attribuendo loro una specifica disciplina.
5
L’articolo 2077 cc. in particolare stabiliva al primo comma che
“i contratti individuali di lavoro tra gli appartenenti alle categorie
alle quali si riferisce il contratto collettivo devono uniformarsi alle
disposizioni di questo”, e al secondo comma, sempre sulla falsariga
del regio decreto, che “le clausole difformi dei contratti individuali,
preesistenti o successivi del contratto collettivo, sono sostituite di
diritto da quelle del contratto collettivo salvo che contengano speciali
condizioni più favorevoli al datore di lavoro”.
4
In quest’ultimo senso infatti recitava l’art.54 del r.d. 1° luglio 1926 n. 1130: “I contratti di
lavoro individuali stipulati dai singoli datori di lavoro e lavoratori soggetti al contratto collettivo,
debbono uniformarsi alle norme da questo stabilite. Le clausole difformi dei contratti di lavoro
individuali, preesistenti o successivi al contratto collettivo sono sostituite di diritto da quelle del
contratto collettivo, salvo il caso che siano più favorevoli ai lavoratori”.
5
L’art. 1 disp.prel. c.c. recitava: “Sono fonti del diritto: 1) Le leggi 2) I regolamenti 3) Le norme
corporative 4) Gli usi”; l’art. 5 disp.prel.c.c. poi spiegava che “sono norme corporative le
ordinanze corporative, gli acordi economici collettivi, i contratti collettivi di lavoro e le sentenze
della magistratura del lavoro nelle controversie collettive”. Il punto2 dell’art. 1 disp.prel. e l’art. 5
disp. Prel sono stati abrogati implicitamente dal D.L.L. 23 novembre 1944, n. 369.
8
Dalla dottrina dell’epoca si evince però che il contratto
collettivo corporativo non aveva come scopo principale quello di
assicurare delle condizioni minime di lavoro (che era stato l’obiettivo
principale delle prime organizzazioni sindacali ed il fulcro dei
Concordati di Tariffa) bensì piuttosto un’uniformità di queste: una
conferma di questo indirizzo è data dalla legislazione penale del 1930,
che vietava lo sciopero e la serrata.
6
Pertanto, appare chiaro che lo scopo del contratto corporativo
era la pacificazione sociale, ottenuta mediante l’uniformità
contrattuale sotto un potere statale estremamente centralizzato e
persuasivo, tipico del periodo fascista: uno strumento di ordine, più
che di difesa del contraente debole.
6
Per una panoramica sulla dottrina dell’epoca vedi FRANCO CARINCI, Il diritto sindacale,
Laterza, 3a ed., cap I.
L’art. 502 del c.p , intitolato Serrata e sciopero per fini contrattuali, recitava: “Il datore di lavoro
che, col solo scopo di imporre ai suoi dipendenti modificazioni ai patti stabiliti, o di opporsi a
modificazioni di tali patti, ovvero di ottenere o impedire una diversa applicazione dei patti o usi
esistenti, sospende in tutto o in parte il lavoro nei suoi stabilimenti, aziende o uffici, è punito con
la multa non inferiore a lire quattrocentomila. I lavoratori addetti a stabilimenti, aziende o uffici,
che, in numero di tre o più, abbandonano collettivamente il lavoro, ovvero lo prestano in modo da
turbarne la continuità o la regolarità, col solo scopo di imporre ai datori di lavoro patti diversi da
quelli stabiliti, ovvero di opporsi a modificazioni di tali patti o, comunque, di ottenere o impedire
una diversa applicazione dei patti o usi esistenti, sono puniti con la multa fino a quarantamila”
L’art. 502 è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo dalla Corte Costituzionale con sentenza
4 maggio 1960, n. 29.
9
I.1.3) IL CONTRATTO COLLETTIVO EX ART.39 COST.
Con la caduta del fascismo la posizione del contratto collettivo
ritornò nell’incertezza.
Con il d.lgs. luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 369 venne
soppresso l’ordinamento corporativo, ma si lasciavano in vigore i
contratti stipulati nel periodo fascista, “salvo successive modifiche”
7
:
ciò significava che i contratti collettivi corporativi potevano essere
sempre modificati, anche in pejus, da successivi contratti collettivi
stipulati secondo le regole di diritto comune.
Il legislatore non investì però le nuove organizzazioni sindacali
del potere di stipulare contratti di lavoro con efficacia erga omnes; in
questa situazione precaria s’innestò l’attività dell’Assemblea
Costituente che il 1° gennaio 1948 promulgò la Costituzione
L’articolo 39 Cost. stabilisce innanzitutto il principio della
libertà sindacale e prosegue con alcune disposizioni programmatiche:
la prima riguarda l’imposizione di un unico obbligo alle
organizzazioni dei lavoratori, ossia la registrazione presso appositi
uffici con il risultato di ottenere personalità giuridica: l’unica
7
Art. 43 del d.lgs. luogotenenziale 23 novembre 1944, n. 369.
10
condizione imposta per questa registrazione è che gli statuti dei
sindacati sanciscano un ordinamento interno a base democratica; la
seconda stabilisce che i sindacati così riconosciuti potranno stipulare
contratti collettivi con efficacia che si estende a tutti i lavoratori della
categoria rappresentata.
8
L’art. 39 è rimasto a tutt’oggi inattuato per diverse ragioni: in
primo luogo i sindacati, reduci dell’esperienza corporativa, non
vedevano di buon occhio i controlli statali che sarebbero derivati dalla
registrazione e dal loro successivo riconoscimento come persone
giuridiche, anche se l’unico accertamento avrebbe riguardato in realtà
la sussistenza dei requisiti di democraticità dell’organizzazione.
Inoltre, i sindacati di minoranza, che avrebbero assistito al
progressivo rafforzamento del potere del sindacato maggioritario in
forza del dato normativo costituzionale che sottolinea, quale elemento
fondamentale, la rappresentanza proporzionale, si opposero ancora
più strenuamente contro questo sistema di contrattazione collettiva.
9
8
L’articolo 39 Cost. recita: L’organizzazione sindacale è libera. Ai sindacati non può essere
imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme
di legge. E’ condizione per la registrazione che gli statuti dei sindacati sanciscano un
ordinamento interno a base democratica. I sindacati registrati hanno personalità giuridica.
Possono, rappresentati unitariamente in proporzione ai loro iscritti, stipulare contratti collettivi di
lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si
riferisce.
9
Vedi CLARA ENRICO, Diritto del Lavoro, Ed. Giappichelli, Torino 2002, pagg. 13-14.
11
Infine bisogna considerare il fatto che, nel periodo storico che
stiamo considerando, i rapporti fra lavoratori e datori di lavoro erano
molto più distesi rispetto a quanto avvenne in seguito e i contratti
collettivi erano, in generale, pacificamente applicati: anche per questo
non si sentì l’esigenza di rendere applicative queste norme
costituzionali programmatiche.
Tutto ciò lasciava però irrisolto il problema giuridico
dell’efficacia dei contratti collettivi.
Il legislatore emanò allora la legge 14 Luglio 1959 n.741
intitolata “Norme per garantire minimi di trattamento economico e
normativo ai lavoratori” e nota anche con il nome di “Legge
Vigorelli”.
Questa era, in effetti, una delega al Governo affinché emanasse
decreti legislativi aventi come contenuto la determinazione di
condizioni minime di lavoro per ciascun settore, da desumere però dai
contratti collettivi esistenti, ai quali il Governo doveva uniformarsi.
10
10
L’articolo 7 della Legge 741/1959 così recita: “I trattamenti economici e normativi minimi,
contenuti nelle leggi delegate, si sostituiscono di diritto a quelli in atto, salvo le condizioni, anche
di carattere aziendale, più favorevoli ai lavoratori. Essi conservano piena efficacia anche dopo la
scadenza o il rinnovo dell’accordo o contratto collettivo cui il Governo si è uniformato sino a
quando non intervengano successive modifiche di legge o di accordi e contratti collettivi aventi
efficacia verso tutti gli appartenenti alla categoria. Alle norme che stabiliscono il trattamento di
cui sopra si può derogare, sia con accordi o contratti collettivi che contratti individuali soltanto a
favore dei lavoratori.”
12
Questo èscamotage non poteva funzionare in quanto l’Italia
aveva già una precisa indicazione normativa (l’art.39 Cost) contenente
il giusto iter formativo dei contratti collettivi nazionali e perciò
la Corte Costituzionale salvò la legge delega solo perché essa avrebbe
avuto efficacia provvisoria (1 anno).
La successiva proroga del 1960
11
, che disponeva che il Governo
era tenuto ad uniformarsi alle clausole degli accordi collettivi stipulati
nei dieci mesi successivi all’entrata in vigore della legge 741/59,
suscitò per lo stesso motivo dubbi di legittimità costituzionale.
La Corte Costituzionale vagliò tali dubbi e accolse l’eccezione
di incostituzionalità in quanto, mentre la legge 741/59 era una “legge
transitoria, provvisoria ed eccezionale rivolta a regolare una
situazione passata e a tutelare l’interesse pubblico alla parità di
trattamento dei datori di lavoro e dei lavoratori […] anche una sola
reiterazione della delega toglie alla legge i caratteri della
transitorietà ed eccezionalità che consentono di dichiarare
insussistente la pretesa violazione del precetto costituzionale”.
12
11
Legge 1° ottobre 1960, n. 1027.
12
Corte Costituzionale, decisione 19 dicembre 1962, n. 106.
13
Secondo la Corte la legge 1027/60 sostituiva il sistema
costituzionale con un sistema arbitrariamente costruito dal legislatore
e quindi illegittimo.
Con la dichiarazione di incostituzionalità di questa legge
vennero dichiarati illegittimi anche i decreti emanati in virtù della
stessa, alcuni dei quali avevano recepito contratti collettivi nazionali:
ci ritrovò dunque di nuovo di fronte al problema di partenza.