2
operazioni omette di parlare di questo fuoco, di questa luce senza i quali niente potrebbe
effettuarsi» scrive André Breton, sottolineando l’importanza dell’inespresso.
L’ideale sarebbe avvicinarsi all’opera di un autore senza l’illusione di possederla del
tutto, senza imprigionarla in un percorso obbligato di comprensione a tappe forzate. La
scrittura che si tenta d’indagare non è mai un processo di semplice trascrizione
d’emozioni e pensieri, ma un tentativo di raggiungere orizzonti appena intravisti.
Impossibile coglierne l’essenza con sicurezza, assegnare forme linguistiche certe ai
presagi. Non rimane che approssimarsi alla verità delle cose, con congetture e
supposizioni in ogni momento riscrivibili. Per tracciare prospettive rigorose sarebbe
inoltre necessario allontanarsi da testi vissuti con troppa partecipazione. Confesso di
non aver sempre avuto il coraggio di farlo.
Le abbondanti citazioni sono servite a mettere in luce un pensiero poco conosciuto
garantendo in qualche modo la trasparenza delle mie deduzioni. Il loro montaggio ha
presupposto quello sguardo obliquo di cui parlava Montaigne, che procede accostando
aggregazioni dissimili in apparenza prive di un approdo sicuro.
Nel primo capitolo ho guardato attraverso «le miroir étrange de la mémoire»
avvicinandomi allo spazio privilegiato dell’infanzia, dove il sogno e la fantasia sono
affrancati dai vincoli del pensiero cosciente. Allora le immagini più singolari possono
formarsi liberamente ed alimentare sensazioni che l’età adulta può solamente
rimpiangere. Vitrac ritorna di continuo a quei momenti, leggendovi l’origine delle sue
predilezioni.
Nel secondo capitolo ho analizzato il periodo intercorso fra la «défaite conquérante»
del dada parigino e l’avvio di quell’automatismo psichico puro che si proponeva di
esprimere «le fonctionnement réel de la pensée». Non ho voluto addentrarmi nelle
diverse teorie che affrontano la relazione fra i due movimenti, lasciando aperti i molti
interrogativi sorti. Surrealismo come la forma che assunse dada in Francia? Morte di un
dada nichilista e nascita di un surrealismo impegnato a mutare la realtà che lo circonda?
Cambiamento generazionale? Allontanamento degli elementi anarchici da parte di
coloro che ancora credevano nell’arte? Vittoria del profondo sentimento letterario
radicato nei francesi, anche in quelli che sostenevano il contrario? Ho voluto invece
ascoltare i protagonisti, per capire le diverse sfumature assegnate alla medesima realtà.
3
Indagare il clima che allora si respirava mi è parso aiutasse ad afferrare un pensiero che
«comme une tempête passe au-dessus des mots».
Nel terzo capitolo mi sono chiesta cosa significò per Vitrac l’allontanamento dal
surrealismo e quali furono le cause che lo scatenarono. Percorrendo i passaggi di un
contrasto, ho finito per imbattermi nella cronaca di un fenomeno collettivo fatto di
manifesti, appelli e documenti di varia natura. La speranza condivisa di un cambiamento
della società e dell’uomo, la volontà di negare i principi di un potere opprimente si
scontravano con la dimensione dei rapporti personali. Quando i conflitti si facevano
insormontabili i disaccordi teorici sfociavano in tutta la loro forza, alimentando
opposizioni e prese di distanza spesso violente.
La breve parentesi sul senso dell’amore è giustificata dal carattere di suprema
rivelazione di cui si fa portatrice tale emozione nel pensiero surrealista. Divorante
ragione di vivere, si colloca nel dominio dell’estasi e del meraviglioso. Il culto quasi
sacrale della donna amata incarna valori universali e trascendenti, evocando l’auspicata
rigenerazione del mondo. Vitrac condivide il valore di un sentimento che si spinge ben
oltre la semplice emozione erotica, e riflette sugli amori della propria vita alla luce di
ben più vaste preoccupazioni.
Dopo aver esaminato l’idea di teatro disciolta in una scrittura che in apparenza sembra
parlare d’altro, mi sono volta alle opere teatrali. Emergeva la difficoltà di tradurre molti
dei testi presentati in termini discorsivi. La consequenzialità necessaria alla narrazione
urtava la giustapposizione paratattica delle immagini scaturite da una visione. Nello
stesso modo il racconto mattutino dei sogni li rende diversi da come sono stati,
privandoli della loro forza. Ho cercato di restituire il senso, l’allure che affiora dalle
pagine senza la pretesa di descriverli, ma con la speranza di mostrarne almeno la
potenza evocativa e la violenza delle forme. Escludendo gli opuscoli del Théâtre Alfred
Jarry, scritti in collaborazione con Artaud, Vitrac non ha mai elaborato teorie teatrali
esplicite, preferendo affidare alla voce delle sole opere il compito di tracciare il disegno
dei propri progetti. Per questo diventava importante procedere ad una loro compiuta
disamina, in grado di mostrarne l’evoluzione lungo il corso degli anni.
Per le notizie di carattere più squisitamente biografico rimando all’imponente opera di
Henri Béhar Roger Vitrac. Un réprouvé du surréalisme uscita presso Nizet nel 1966 e
purtroppo mai tradotta in lingua italiana. Sapiente assemblaggio di conoscenze derivanti
4
dalle più disparate fonti, si avvale anche delle dirette testimonianze di chi lo conobbe e
della lettura di corrispondenze private. Lungi dal riproporre un’impresa analoga, il mio
obiettivo è stato quello di concatenare squarci interpretativi, bagliori improvvisi afferrati
per pochi istanti, prima che la scia cangiante della sua opera si eclissasse nuovamente.
Non un disegno architettonico lineare, ma un mosaico di minuscole tessere, un gioco di
ricomposizione di tasselli trapelati dalle sue pagine, di dettagli carichi di un senso che
nessuna struttura arbitraria potrebbe mai contenere.
5
CAPITOLO PRIMO
L’INFANZIA
C’était le beau temps
Je fus cet enfant-là
Regardez-le mes yeux.
Il est vêtu de velours rouge et de dentelles
Et va cherchant les sauterelles
Pour la mésange bleue
Qu’on lui donna
Au mois des buissons blancs où sont les hochequeues.
Sous le pavillon vert de linteaux où la vigne
S’étire,
Il fait des roses de papier pour la fleurir
Et sa mère en peignoir pâle lui fait signe
De venir car le soir est là.
Elle fait signe à l’enfant dans l’or de la lampe
Et l’enfant va
Vers le baiser dont elle attiédira ses tempes,
Et l’enfant porte la plus belle
La plus belle rose de papier peint
Et essaie en posant sa tête sur le sein
De la piquer parmi les volants de dentelles.
Je fus cet enfant-là.
1
1
Roger Vitrac, “Je fus cet enfant-là”, Le Faune Noir, 1919, in Dés-Lyre, Paris,Gallimard, 1964, p.14
6
Sono le prime due strofe di una poesia dove un Vitrac, appena ventenne, si guarda
vivere bambino. Richiama alla mente il giardino silenzioso, il velluto rosso del suo
abito, gli insetti, la vigna, la madre in vestaglia che gli fa segno di rientrare
all’avvicinarsi della sera. Ubbidiente il bambino rincasa e si nasconde nell’abbraccio
materno. Immagini assaporate di un tempo rimpianto, di una felicità colma di
rassicurante pacatezza. La reminiscenza dei momenti infantili ritornerà sovente nella
sua opera, accompagnata da un diletto amaro per quanto nel ricordo appare logoro,
disfatto.
Allons! Le sable est fin. Vois! Les lions de grès
Gardent toujours le perron noir où vont et rêvent
Les lévriers d’autrefois sur les luisants degrés.
Jette-leur les derniers souvenirs qui s’achèvent…
Les pleures-tu, mon cœur? Ils étaient bons. Le feu
Rouge des veilles les réchauffait. Vois! Ils meurent
Il le faut bien. Et les autres, ceux qui demeurent,
Comme eux avant le gel s’en iront peu à peu.
2
I leoni di ceramica custodiscono la nera scalinata, dove una volta dimoravano i
levrieri. Il fuoco rosso riscalda le vigilie e gli ultimi ricordi rimasti si sciolgono poco a
poco. Su tutto soffia un vento di morte, memoria involontaria di consunzione, di
abbandoni. Il fauno nero del titolo ha il corpo d’argilla bruna e veglia il limitare del
prato. La sua figura tormenta il bambino, che rinuncia a dipingere sul vetro per timore
che il disegno assuma i suoi lineamenti.
Fragiles
Cristaux coloriés qu’on prit à la lumière
D’autrefois! J’aurais voulu peindre sur verre
S’il ne m’avait hanté ce vieux faune d’argile.
2
Roger Vitrac, “Le Faune Noir”, Le Faune Noir, 1919, in Dés-Lyre, cit., pp.16-17
7
Le verrai-je toujours. […]
Je m’éloigne. C’est toi. Lumineuse. O miroir!
Je languis à présent de te voir à la lune.
Le verrai-je toujours? Le faune aux flûtes brunes
Sur ton image d’or plaque son profil noir.
3
Il sogno di una donna intravista ed amata, si proietta in quei luoghi perduti e li
trasforma. L’ossessione del fauno non lo abbandona, sorge dallo specchio e si
sostituisce all’immagine di lei. Allora passato e presente s’invertono: non è più la donna
a visitare il ricordo, ma è il passato che si mostra nuovamente. La lampada spenta, che
veglia sull’intimità dei due amanti, si tramuta in argilla. Resa finalmente fragile, si
rompe e lascia che la notte scenda.
Je n’ai pas mis de lampe. L’ombre nous est chère.
Car vois-tu je l’aurais voulue de vieille argile
Elle se fût brisée peut-être.… cœur fragile
Et ce sera la nuit, la nuit que je préfère.
4
La disillusione non tarda a sopravvenire, il castello d’oro in cui credeva di abitare non
è altro che una povera capanna e dietro i vetri delle finestre rimane solo una fiamma
gialla tremolante. L’immaginario viaggio nella casa natale termina con la scomparsa
della donna che lo ha accompagnato. A disincanto avvenuto anche il reale inizia a
sgretolarsi.
Je t’avais promis un palais! Tes mains fraîches
Pose-les sur mon front et dis? es-tu bien sûre
Qu’on ne respire pas l’odeur des pêches mûres?
Si la lampe s’éteint, laisse fumer la mèche.
3
Roger Vitrac, “Ce vitrail qui mourait”, Le Faune Noir, 1919, in Dés-Lyre, cit., p.20
4
Roger Vitrac, “Elle serait ouverte sur le parc”, Le Faune Noir, 1919, in Dés-Lyre, cit., p.21
8
Écoute! Un pied de chèvre a dansé sur les feuilles
-La lune avec les lys fait des nymphes là-bas-
Hélas! c’est le bruit des poiriers morts qui s’effeuillent…
Et toi-même après tout n’es peut-être pas là.
5
L’intera raccolta poetica Le Faune Noir è innervata di una nostalgia che diventa
dolore per quel senso di sicurezza mai più avvertito. Le mura, che difendevano il
giardino della casa di Pinsac, non possono più preservarlo dalla morte. «Mais rien ne
meurt dans ces murs noirs» scrive alludendo ad un abbaglio smorzato. Il talismano ha
esaurito il suo potere e nulla potrà più giungere in suo soccorso. Henri Béhar avanza
l’ipotesi che Vitrac «s’est jeté dans l’aventure littéraire parce qu’il avait la nostalgie,
inconsciemment exprimée, d’un temps idéal où l’action n’entrait pas en conflit avec
l’imagination, où le réel n’était pas le contraire du rêve, où les paroles n’étaient pas des
pièges, où l’univers lui apparaissait totalement et immédiatement accessible: la petite
enfance». Attraverso la scrittura tenta di ritrovare quel tempo ideale, impregnato del
profumo di more e di pesche mature, quando le parole non erano trappole ed i sogni
possedevano lo spessore del vero.
Nella trasfigurazione compiuta, il passato smarrisce lungo il cammino i segni dolenti e
le esperienze avverse. L’infanzia di Vitrac è disseminata d’eventi drammatici, quando
non addirittura tragici. La morte di un fratellino, il conseguente lutto incolmabile della
madre, i problemi finanziari generati dalle leggerezze del padre, le continue liti fra i
genitori. Scacciati dal pensiero cosciente, ritornano come spettri nelle costruzioni
drammaturgiche. Victor Paumelle, il bambino colpito da una forma di gigantismo fisico
e d’ipertrofia cognitiva protagonista di Victor ou les Enfants au pouvoir, personifica le
inquietudini del Roger bambino. I suoi occhi assistono alla dissoluzione del legame fra
il padre e la madre e la sua testa funge da sacrario su cui giurare la millantata fine delle
infedeltà coniugali.
5
Roger Vitrac, “Désenchantement”, Le Faune Noir, 1919, in Dés-Lyre, cit., p.23
9
Simon Dujardin, il marmocchio di Le Sabre de mon père, deve confrontarsi con un
padre bugiardo e sfaccendato, che dilapida il patrimonio della famiglia inseguendo
impossibili vincite al gioco ed amori avventati. Presenzia alle sue risse e percepisce lo
strisciante disprezzo da cui è circondato nella ristretta comunità sociale frequentata.
Amato in modo soffocante dalla madre, che come da copione proietta su di lui le sue
frustrazioni, cerca nella malattia quella via di fuga che invece troverà nel teatro.
Cresciuto di qualche anno, ritroviamo lo stesso Simon Dujardin fra i personaggi di Le
Coup de Trafalgar. Dall’osservatorio privilegiato della portineria di uno stabile
parigino, scruta l’andirivieni degli inquilini, ne giudica le condotte e si burla dei loro tic
verbali e delle loro manie.
Nei testi teatrali di Vitrac, come vedremo meglio in seguito, il punto di vista del
narratore coincide spesso con quello del personaggio e dello spettatore. La soggettiva
generata dallo sguardo di un bambino o di un adolescente, lungi dall’essere permeata di
quell’ingenuità dettata dall’inesperienza, è quanto di più lontano si possa immaginare
dall’innocenza. La comprensione del mondo adulto è, al contrario, puntuale e
disarmante nella sua sagacia. Limitatezze e meschinità sono sottolineate senza
benevolenza alcuna, rendendo ridicoli i tentativi compiuti per dissimularle e la
presunzione di esservi riusciti. I bambini sono la coscienza infelice dei grandi, che non
riconosce se stessa come unità e soccombe sotto il peso delle contraddizioni. Spettatori
di drammi familiari minacciosi, collezionano conoscenze filtrate dai discorsi sussurrati
dietro le porte e dalle altrui movenze inconsapevoli. Testimoni involontari, non
apportano quella redenzione che gli adulti auspicherebbero da loro.
Je passe en revue, indifféremment, les enfants et les grandes personnes, car les familles
ne nous cachaient rien, et nous savions tout. On parlait devant nous qui écoutions et
répétions. D’où les drames.
6
6
Roger Vitrac, “Marius”, Bifur, n.5, avril 1930, in Le Voyage Oublié, Paris,Rougerie, 1974, p.71
10
La visione deformata del mondo e la ripetizione di gesti non completamente afferrati,
fa scaturire repentine modifiche di senso. L’infanzia diventa un luogo attraverso cui
penetrare nel fondo della vera personalità degli individui, una sorta di metro di giudizio
per avvicinarsi alla verità. Ricopre dunque la stessa mansione che sarà affidata alla
finzione teatrale: smascherare gli inganni orditi dalla menzogna e dal senso comune.
Nel frammento in prosa intitolato Marius, che avrebbe dovuto costituire il centro di un
romanzo mai scritto, contrappone l’«honte» dell’età adulta alla «solennité»
dell’infanzia. Tale solennità verte sulla naturalezza di una condizione della vita,
caratterizzata dalla trasparente spontaneità di giudizio e dall’assenza di timori e rimorsi.
Le caractère solennel de l’enfance, naturel serait plus juste, mais le mot s’est encanaillé
-ce n’est pas naturel, avoir du naturel, etc.- cette solennité qui n’est au fond que la
confiance dans le jugement toujours spontané, que l’enfant porte sur par exemple, une
fleur, un sein, un nuage, ce besoin enfin de justifier la vie, sans crainte, sans remords,
s’oppose à cette honte où je ne sais quelle puissance, quels viscères, quel sexe nous
égarent au plus fort de la joie.
7
Nasce il modello di una saggezza precoce, alla cui scuola Vitrac ammette di essersi
formato.
Moi je ne hais (pas) les enfants d’une précoce sagesse. Non seulement je ne le hais pas,
mais je les admire. Je les encourage, je les gifle, je les nourris de vin pur et lourdeur, je
les leste, je leur apprends comment on fait. Je les gâte. C’est mon école. C’est à celle-là
que j’ai été -maladroitement, mais le principe y était- formé.
8
7
Roger Vitrac, “Marius (fragment)”, Front, n.1, décembre 1930, in Le Voyage Oublié, cit., p.81
8
Roger Vitrac, “Marius (fragment)”, Front, n.1, décembre 1930, in Le Voyage Oublié, cit., pp.82-83
11
Il carattere scopertamente autobiografico dell’opera
9
ci consente di utilizzare tali
esternazioni come deliberate confessioni. Preziose alleate nella comprensione di come
l’autore vede se stesso ed il mondo da cui proviene. Alla luce di questo e nel rispetto di
quanto ha voluto invece tenerci celato,
10
proseguiamo la narrazione giungendo nella
città di Souillac, collocata sulle rive del fiume Dordogne. La famiglia Vitrac vi si
stabilisce quando Roger ha circa dieci anni, nel pieno della Belle Époque. La dimora
scelta è una graziosa abitazione di un quartiere aristocratico. Pur se ridotto rispetto a
Pinsac, non viene meno il legame con la natura. Giacinti, giunchiglie, allodole e
calabroni continuano ad alimentare la fantasia del bambino.
Souillac, le milieu souillagais, ah, la belle époque! Chez moi, c’était au-dessus de la
Société Générale, entre la marchande de porcelaine et le Grand Café. La maison était
charmante: trois balcons sur le devant, une terrasse, un pavillon, un jardin, une vigne
remontant jusqu’à l’allée de buis, sur le derrière. Des jacinthes au printemps, des
jonquilles, des frelons, des lilas l’été. L’hiver, la neige, les alouettes. L’automne, rien:
l’école.
11
Tre luoghi della città catturano subito la sua attenzione: il negozio di porcellane, il
Grand Café e la farmacia. Tre universi a se stanti governati da leggi proprie, nei cui
misteri inizia ad introdursi. Il negozio di porcellane custodisce curiose statuette dalla
testa mobile in ceramica di Limoges. Osservandole Roger apprende le vicende storiche
cui sono ispirate ed i meccanismi segreti del movimento. Brocche dalla testa di maiale o
di Zar filtrano l’acqua delle fontanelle e provocano lo stupore in chi ancora non conosce
il comune utilizzo dell’acqua corrente. Un grosso orologio veglia sul silenzio del
corridoio, le sue lancette scricchiolano ipnotizzando chi è capace di lasciarsi sedurre dal
loro tintinnio. «Le temps passait et j’étais sage» appagato da quei momenti di calma
fissità.
9
«En tête, on a pu lire ce nom: Marius. C’est le titre. Et pour la première fois, je l’aurai trouvé avant le
mot: fin. C’est dire que Marius sera métaphysiquement la fin d’un livre dont je serai le centre. […] C’est
bien possible que le patronyme de Marius, qui commence par un V et se termine par un C, les autres
lettres étant dans l’ordre itra, laisse croire qu’elle puisse être établie, et que, Marius et moi, nous soyons
des cousins éloignés» scrive Vitrac nel suddetto frammento.
10
In questo fedeli al motto di Vitrac secondo cui «l’honnêteté exige une certaine forme de l’oubli qu’on
pourrait appeler la discrétion».
11
Roger Vitrac, “Marius”, Bifur, n.5, avril 1930, in Le Voyage Oublié, cit., p.67
12
Il Grand Café apre lo sguardo su anfratti ombrosi; il pavimento, gli intonaci, le gambe
dei tavoli sono interamente dipinti di nero. Il padre sembra risucchiato da quell’oscurità
dove il figlio si perde alla sua ricerca. La farmacia si trova dirimpetto alla casa, sulla sua
soglia compare il proprietario attorniato da quadri illustranti spaventosi serpenti e grosse
farfalle esotiche. Regala al bambino confetti dal sapore di viola e confettura di mele
cotogne. Il dono più prezioso che gli offre è quello di iniziarlo alla bellezza
dell’elemento sorpresa. Un giorno gli si avvicina con due bottiglie in mano, una grossa
di cartone ed una piccola piena di mercurio, e lo invita a sollevarle. «Je tombais à la
renverse en soulevant la première, ou bien je me trouvais dans l’impossibilité de
soulever la seconde, en raison directe ou inverse des efforts que je proportionnais aux
volumes apparents». Come le centocinquantadue zollette di zucchero di Duchamp che
riempiono la gabbia per uccelli col peso del marmo, queste bottiglie minacciano il
riconoscimento delle opposizioni tradizionali. Vitrac preferisce ignorare quella scoperta,
salvo poi rielaborarla più tardi, permettendole di insinuarsi nel suo intelletto.
«L’élément surprise, je lai appris plus tard, m’était entré dans l’intellect».
La rivelazione maggiormente feconda in cui s’imbatte è senza dubbio la visione delle
marionette del Théâtre Provençal. Roger è ammaliato dalla materia di quel teatrino più
che dagli intrecci narrativi messi in scena. Ascolta il cigolio delle carrucole e le voci
sguaiate provenienti da sotto le tavole che accompagnano i movimenti dei fantocci,
senz’alcun rispetto della sincronia. Trasforma quel cosmo nel terreno privilegiato delle
sue fantasie e vi proietta ogni accadimento di rilievo.
Lorsque le Théâtre Provençal s’installait au foirail et présentait ses marionnettes dans
les rôles de «l’Enfant prodigue», du «Comte de Monte-Cristo» et de «la Momie
errante», j’allais voir ça. Ça me donnait des idées. Le grincement des poulies de
traction, les trois ou quatre voix qui criaient sous les planches, presque toujours en
désaccord avec les gestes de ces acteurs d’artifice qui s’embrassaient si mal, qui
tremblaient sur leur base et s’agenouillaient avec un bruit terrible, les flammes de
l’acétylène attirant les chauves-souris, et les grands sphynx nocturnes dans un décor
architectural, toujours blême et profond où tout était fausses fenêtres, portes fermées,
azur, tout cela me donnait à vivre, comme on dit à manger, et il n’est rien de ma
mémoire que je n’ai projeté et animé sur la scène du Théâtre Provençal, rien
13
d’important, que je n’aie réduit à cette échelle aux limites de ce monde où paralysie et
cécité sont les deux dimensions morales.
12
Il suo primitivo incontro con il teatro è antecedente e risale alla prima infanzia,
quando viveva appagato e nascosto dentro le mura del parco della casa di Pinsac. Allora
capitava che la domenica abbandonasse quel mondo di sogno per avvicinarsi ad uno
reale, ma altrettanto fantastico. Le strade della cittadina erano invase da danzatori,
acrobati, ginnasti, cavalli dalle selle argentate, ballerine e pagliacci. Il rumore
assordante, le risate, l’incedere dei tamburi, il suono degli ottoni s’impastavano assieme
in un’allegra confusione. I suoi occhi, ancora pieni delle meraviglie antiche,
s’allargavano a nuove sollecitazioni.
Mes dents se sont fleuries de cette rose blanche
Que le parc m’a tendue au travers de la grille.
Il faut bien voir un peu de monde le dimanche
Mon rêve est dans le parc et je vais vers la ville. […]
Cuivres, tambours, musique.
O les danseuses en tutu d’or dans le soir
Sur l’estrade aux quinquets jaunes. Singes étiques,
Lutteurs, clown pâle en plastron blanc, en habit noir.
Mes yeux émerveillés d’autrefois qui s’étoilent!
-Père ne suis-je point trop petit pour bien voir.-
Viens, mon enfance! viens dans l’enceinte de toiles
Rire, battre des mains. Que je suis bon ce soir!
Gymnastes bleus, voltigeurs verts, danseuses roses
Et chevaux aux selles d’argent. Hélas! Hélas!
Je ne vois plus. Ce ne sont plus les mêmes choses
Ferme le livre bleu mon enfant! Tu es las.
13
12
Roger Vitrac, “Marius (fragment)”, Front, n.1, décembre 1930, in Le Voyage Oublié, cit., pp.91-92
13
Roger Vitrac, “Mes dents se sont fleuries…”, Le Faune Noir, 1919, in Dés-Lyre, cit., p.18-19
14
Iniziato ai misteri del teatro, Roger protende il suo sguardo verso la città di Souillac
raccontandola nella sua valenza prismatica. La descrive come fosse un organismo vitale
dotato di leggi proprie, un ingrandimento microscopico dove discordi porzioni di vita
trovano il loro equilibrio disarmonico. I diversi quartieri racchiudono individui
contrapposti per classi sociali, attitudini, professioni e posizioni politiche. Lavandai,
aristocratici, socialisti radicali, sconosciuti ed idioti si mescolano nell’unico luogo da
tutti condiviso: la strada. «La route est à tout le monde, on ne le dirait pas». È lì che
bisogna sorprenderli per inchiodarli alle loro propensioni e movenze, per farne
personaggi da dramma.
Une ville, unanimisme dans le coin, ceci pour donner plus de poésie, plus d’atmosphère,
et pour ne pas me laisser aller à vous les décrire tous, un par un, une ville c’est comme
un bateau, une pièce de théâtre, un grossissement microscopique. C’est comme un
monde, une étoile, une fleur, un homme. D’un côté c’est rouge et de l’autre clair,
ailleurs c’est feuillu, c’est plâtre dans un coin, bronze, basane, ardoisé, compact,
nuageux, orangé. C’est prismatique. Au nord ça pèse, ailleurs ça voltige, on plane, on
dort. Un quartier rêve, la grand’place agit, et toutes les fourmis n’ont pas d’ombrelles, et
tous les termites n’ont pas de gants. On se voit par équipe. On se bat par nation. On
s’insulte en diagonale. Le plus beau n’est pas le plus riche. La confusion est partout, et
la spécialisation aussi. On vit, on vivote, on voisine, on se dévisage, on voyage, on va,
on vient, on envie.
14
Una strana febbre sembra colpire tutta la popolazione attiva, investita dalle idee di
progresso e di ordine. Mentre le piume di struzzo svolazzano impertinenti sui cappelli
delle signore, «la machine disciplinare accroche l’homme aux bretelles». L’azione, gli
affari, la scienza suggeriscono certezze e fanno presagire circostanze, che saranno
disattese dallo scoppio della guerra. A fianco di questa comunità dinamica scagliata sul
futuro, continuano ad esistere quanti riportano alla fissità di un passato eternamente
presente. Sono i détraqués, i folli persi nella loro realtà immaginaria e crudele. Vitrac
confessa di essersi sempre sentito attratto dall’infelicità altrui. «Enfin, pour parler net, je
n’ai jamais été attiré que par les fous en puissance, et par les morts de moins de trente
ans». Ricorda le urla di una giovane donna sentite in una tarda serata di plenilunio
14
Roger Vitrac, “Marius”, Bifur, n.5, avril 1930, in Le Voyage Oublié, cit., pp.71-72
15
estivo. Le persiane si aprono, le porte si spalancano, tutti gli abitanti del quartiere in
camicia da notte si affacciano ai balconi. Da una delle finestre illuminate Marguerite si
cala con un lenzuolo, nuda, affannata, i capelli disfatti sul seno. Inizia a correre sul
marciapiede e danzando in maniera convulsa fugge attraverso la campagna, dirigendosi
verso il fiume. Temendo che voglia suicidarsi, tutti la inseguono nel tentativo di
fermarla. Una volta raggiunta, lei si dimena, sputa, graffia gli assalitori, finché ancora
urlante viene legata e trasportata nel manicomio di Leyme.
15
Nonostante sia ammaliato da simili eventi, non vuole profanarne il senso sfruttandoli
su un piano letterario. «Je veux me défendre seulement d’exploiter littéralement la folie,
et en général je veux brûler d’assez près ce que j’ai adoré». Ciò che ama in coloro che la
gente definisce in modo spregiativo mabouls è l’alterità di cui sono portatori. Sono le
caselle nere di una scacchiera dove si svolge la partita della vita. Senza di loro il gioco
non potrebbe avere inizio.
Quel étrange damier offre le plan de La borie où claque maison est noire ou blanche, ou
noire et blanche alternativement! Le fou, le rentier; le malade, le notaire; le
commerçant, le failli; l’explorateur, les orphelines; etc., bref, tous ceux qui sont sensés,
tous ceux à qui il manque une case.
16
La famiglia Vitrac si trasferisce a Parigi quando Roger ha circa dodici anni. Il padre,
rovinato dal gioco ed oggetto delle maldicenze della gente perbene di Souillac, ottiene
un impiego ministeriale nella capitale e decide d’iniziare una nuova vita. L’abitazione
scelta come domicilio si trova in Rue de Palestro, nel quartiere Bonne-Nouvelle, nei
pressi delle Halles. Possiamo conoscere i particolari dell’edificio e le caratteristiche
degli altri inquilini del palazzo, perché descritti dettagliatamente nel primo capitolo di
Le Voyage Oublié e trasfigurati nella pièce Le Coup de Trafalgar. Cinque piani, una
portineria, una clinica trasformata in magazzino di vestiti, un deposito di cartoline
postali, popolati dal «petit monde de Paris qui travaille, s’amuse à peu de frais et passe
la vie sans éclat, victime seulement des éclats de la vie».
15
La scena è rievocata nel terzo atto di Les Mystères de l’Amour.
16
Roger Vitrac, “Marius”, Bifur, n.5, avril 1930, in Le Voyage Oublié, cit., p.77