Capitolo 1: Posizione del problema e approccio allo studio 2
Le vibrazioni (ground-borne vibrations) sono riconducibili alla
propagazione per via solida di onde ad ampio contenuto in frequenza e con
un quantitativo energetico significativo per quanto riguarda quelle prodotte
a basse frequenze.
Sorgenti di vibrazioni
Gamma di frequenza
(Hz)
Traffico ( su strada e rotaia) da 1 a 80
Esplosioni da 1 a 300
Battitura di pali da 1 a 100
Macchine esterne all’edificio da 1 a 300
Macchine interne all’edificio da 1 a 1000
Attività umane
-interessanti indirettamente l’edificio
-interessanti direttamente l’edificio
da 0.1 a 100
da 0.1 a 12
Vento Da 0.1 a 10
Tab.1.1: Gamme di frequenza caratteristiche per diverse sorgenti di vibrazioni.
Le vibrazioni possono recare, oltre che un disturbo per gli occupanti
di un edificio, una riduzione della loro efficienza operativa, un
malfunzionamento o danneggiamento delle apparecchiature utilizzate ed
oltretutto, rischi per la stessa integrità strutturale o architettonica della
struttura. Tutti gli organismi soggetti al disturbo delle onde perturbatrici
vengono definiti ricevitori.
Dal punto di vista geotecnico-strutturale le onde investendo le
costruzioni producono due effetti dannosi, che si esaltano enormemente per
particolari frequenze di vibrazione.
Capitolo 1: Posizione del problema e approccio allo studio 3
Il primo è l’assestamento del terreno sottostante la fondazione
investita e conseguenti cedimenti della fondazione stessa; il secondo è la
propagazione delle vibrazioni dalla fondazione alle strutture in elevazione.
Poiché le ampiezze di vibrazione si riducono allontanandosi dalla
sorgente, può succedere che i cedimenti prodotti in una fondazione vicina
alla causa perturbatrice non siano uniformi, ma variabili lungo essa,
producendo quindi dissesti e inclinazioni della sovrastruttura.
Il secondo effetto è in generale meno dannoso poiché ben
difficilmente l’energia messa in gioco può comprometterne la stabilità.
Ciò non toglie che se la costruzione si trova in uno stato di tensione
gravoso che può lambire la soglia della resistenza in alcune parti, per
esempio stati di coazione o aggravi di sollecitazioni dovuti a carichi non
previsti, possano manifestarsi per l’intervento delle vibrazioni dei segni di
dissesto. Questo è tanto più vero se il terreno si trova in fase plastica.
Per chiarire meglio questo aspetto, si osservi la figura 1.2; questa
rappresenta una tipica curva tensione-deformazione di un terreno. È noto
Fig. 1.2: Comportamento tensione-deformazione di un sistema elasto plastico.
∆σ
∆σ
k
k
Capitolo 1: Posizione del problema e approccio allo studio 4
come il comportamento del terreno sia differente nel caso si trovi prima o
oltre il limite elastico (snervamento). Nel primo caso (fase elastica), ad un
ciclo di sollecitazione ∆σ di ampiezza modesta corrisponde una
deformazione limitata e reversibile. Se invece il sistema interessato dalle
vibrazioni si trova in fase plastica, lo stesso modesto incremento e
decremento di tensione ∆σ può provocare delle deformazioni plastiche
tutt’altro che trascurabili. Pertanto, la vulnerabilità di un sistema (terreno
e/o manufatto) nei confronti di vibrazioni anche di ampiezza modesta va
valutata in relazione allo stato di sollecitazione preesistente.
I.2 METODOLOGIA
Per salvaguardare le strutture o parti di esse, nonché i relativi
occupanti, è necessario quantificare le vibrazioni prodotte, attraverso la
determinazione di alcune caratteristiche, come ampiezza massima degli
spostamenti o delle accelerazioni, e confrontare tali valori con quelli
ritenuti ammissibili per ciascun tipo di ricevitore dagli opportuni
riferimenti normativi, ed all’occorrenza cercare di ridurre gli effetti di tale
fenomeno.
In questa sede ci occuperemo precisamente delle vibrazioni prodotte
dal traffico veicolare e ferroviario, superficiale e sotterraneo, focalizzando
lo studio su tre problemi, analizzandoli in modo distinto l’uno rispetto
all’altro.
Il metodo si svilupperà:
o nella caratterizzazione della sorgente;
o nello studio del fenomeno di propagazione;
Capitolo 1: Posizione del problema e approccio allo studio 5
o nel verificare i limiti di ammissibilità delle vibrazioni
prodotte.
I livelli di vibrazione sono influenzati in vario modo dalle condizioni
di generazione degli impulsi alla sorgente, dalla geometria e dalle proprietà
meccaniche, e dal comportamento dei ricevitori.
La disaccoppiabilità di ciascun aspetto, rispetto agli altri due, è
imposto sia dalla complessità dell’argomento, sia per la variabilità di
competenze (ingegneria dei trasporti, geotecnica e strutturale) che ciascuno
degli aspetti da trattare implica rispetto agli altri.
Alla fine della trattazione metodologica, sarà analizzato il caso di un
edificio soggetto alle vibrazioni prodotte dall’esercizio di una linea
metropolitana.
Capitolo 2: Caratterizzazione della sorgente 6
II CARATTERIZZAZIONE DELLA SORGENTE
II.1 VIBRAZIONI GENERATE DA TRAFFICO STRADALE
Le vibrazioni generate al transito di un veicolo sono dovute alla
variazione della forza di contatto fra le ruote del veicolo e la superficie
stradale. Tale variazione è dovuta principalmente al passaggio del mezzo
meccanico su di un profilo stradale irregolare; l’interazione dinamica che
ne segue è responsabile dei moti oscillatori del mezzo di trasporto che vi
transita, e di una forza dinamica che va sommata al carico statico.
L’interazione dinamica dipende dalle caratteristiche inerziali e meccaniche
del veicolo stesso, nonché dalla sua velocità e dalla sua geometria.
La forza verticale dinamica tende a decadere dopo un certo numero
di cicli per la capacità smorzante del sistema di sospensioni del veicolo
collegato alle ruote.
Il tratto di pavimentazione stradale che segue una irregolarità è
conseguentemente soggetto ad una fluttuazione del carico indotto dalla
ruota, che, a sua volta, può causare l’accumulo di ulteriori deformazioni
viscose irreversibili nella pavimentazione stradale, aggravando
l’irregolarità.
La configurazione ed i parametri caratteristici del sistema
sospensioni-ammortizzatori del veicolo hanno, quindi, un importante
effetto sulle caratteristiche del carico dinamico generato.
La maggior parte dei ricercatori ritengono che la forza dinamica
prodotta sia responsabile della generazione delle vibrazioni nella
sovrastruttura stradale, che successivamente si propagano nei terreni di
sottofondo, fino a raggiungere gli edifici adiacenti.
E’ importante osservare che, anche in assenza di irregolarità del
profilo stradale, si generano vibrazioni prodotte dall’applicazione di un
carico costante, ma che si muove con velocità assegnata. Per cui esiste
Capitolo 2: Caratterizzazione della sorgente 7
sempre una componente della risposta dinamica della struttura, che risulta
indipendente dall’interazione veicolo-profilo stradale; tuttavia molti
studiosi sono concordi nel ritenere che tale componente sia molto ridotta
rispetto a quella prodotta da una pavimentazione irregolare, quindi
lecitamente trascurabile.
Ai fini dell’individuazione del sovraccarico dinamico possono essere
seguite due strade: la misura diretta(II.1.1), e la simulazione analitica
(II.1.2).
II.1.1 RILIEVI SPERIMENTALI
Per la misura del carico dinamico sulla pavimentazione stradale,
vengono adottati dei sensori di deformazione (strain gauges) montati sugli
assi dei veicoli, preferibilmente in corrispondenza di ogni ruota, tra il punto
di attacco della sospensione e quello dell’impianto frenante.
Fig.2.1: Disposizione degli strain gauges per la misura dei sovraccarichi dinamici
(D’Apuzzo, 2000).
Capitolo 2: Caratterizzazione della sorgente 8
Il principio su cui si basa questa metodologia è quello di misurare le
deformazioni in corrispondenza di due generatrici opposte dell’asse
cilindrico di rotolamento, per risalire al momento flettente prodotto dal
carico verticale trasmesso dalla ruota e quindi alla stessa forza, la quale va
corretta per tener conto delle caratteristiche meccaniche ed inerziali del
sistema ruota (freni, cerchione, pneumatico). In determinate circostanze si
preferisce misurare lo sforzo di taglio: e in particolare quando sono presenti
forze laterali perpendicolari al piano medio del pneumatico, situazione che
si verifica quando il veicolo percorre una traiettoria curva. Una seconda via
utilizzata per il calcolo del carico è quella di strumentare un tratto di strada
per una assegnata lunghezza. Il principale inconveniente è l’utilizzo di un
elevato numero di sensori (200-300, per soli 100 metri) annegati nella
pavimentazione.
Fig. 2.2: Tappeto strumentato per
la misura dei sovraccarichi
dinamici (D’Apuzzo, 2000).
II.1.2 MODELLI ANALITICI
In questo paragrafo saranno illustrati una serie di modelli che si
occupano dell’interazione dinamica tra il veicolo ed il profilo della
Capitolo 2: Caratterizzazione della sorgente 9
superficie stradale. Il veicolo viene in genere schematizzato come un
sistema meccanico a più gradi di libertà; per sistema meccanico si intende
un insieme di elementi connessi tra di loro e individuati da precise
caratteristiche: geometriche, inerziali, ed elasto-viscose. Una prima
classificazione dei modelli viene fatta in base alla possibilità di distinguere
i parametri che caratterizzano i vari elementi tra concentrati e distribuiti.
Nella realtà, i veicoli sono sistemi a parametri distribuiti, nel senso che la
massa, così come l’elasticità, sono proprietà distribuite sui vari elementi
che compongono la struttura. Tuttavia, una loro trattazione analitica è di
difficile risoluzione, così che si ricorre a modelli semplificati in cui i vari
parametri sono concentrati in punti specifici della struttura. Inoltre, una
distinzione netta tra le due famiglie di modelli non ha valenza assoluta;
molto spesso, infatti, è possibile incontrare in letteratura dei modelli di tipo
ibrido, dove vengono utilizzati parametri sia concentrati che distribuiti.
Una diversa classificazione si basa sul numero di gradi di libertà che
caratterizza il modello; così per un modello a parametri concentrati
abbiamo pochi gradi di libertà (anche detto modello a corpo rigido),
mentre, per un modello a parametri distribuiti il numero di movimenti è
maggiore (modello deformabile).
Per quanto riguarda i metodi di risoluzione adottati, i modelli a
corpo rigido si prestano maggiormente ad una trattazione di tipo analitico.
Ciò significa che è possibile ricondurli ad un sistema di equazioni
differenziali di tipo lineare di secondo ordine. Per un numero di gradi di
libertà non elevato, la soluzione è perseguibile in forma chiusa, e permette
di ricavare la risposta dinamica del veicolo, nel dominio del tempo e/o in
quello delle frequenze, per un assegnato profilo della pavimentazione
stradale. Per un numero di gradi di libertà superiore a due, la soluzione è
perseguibile per via numerica, attraverso un’integrazione al passo del
sistema di equazioni differenziali, talvolta ricondotto ad un sistema di
Capitolo 2: Caratterizzazione della sorgente 10
primo ordine (metodo di Eulero), o attraverso il Metodo agli elementi finiti
(Finite Element Method, FEM). Nei paragrafi successivi vengono descritti i
modelli a corpo rigido più frequentemente adoperati nel calcolo dei
sovraccarichi dinamici, viene inoltre proposto un modello a corpo
deformabile, trattato coi F.E.M..
Prima di procedere alla trattazione analitica dei vari modelli, occorre
rivolgere una serie di riflessioni sul comportamento meccanico delle
sospensioni dei veicoli.
II.1.2.1 La modellazione delle sospensioni
Il compito principale di un sistema di sospensione è quello di ridurre
al minimo il disturbo provocato dall’interazione veicolo-profilo stradale, e
di assicurare, per quanto possibile, un contatto costante della ruota sulla
superficie stradale.
Le sospensioni fungono da ‘’guida’’, impedendo alcuni movimenti, e
lasciando libera la sola traslazione verticale, tra l’asse e lo chassis. Le
principali configurazioni che si incontrano sono quelle ad assale rigido e a
sospensioni indipendenti. Nelle prime le sospensioni sono montate su di un
ponte rigido che connette le due ruote; mentre nelle seconde, le sospensioni
collegano autonomamente le ruote al telaio del veicolo.
La scelta di una configurazione rispetto ad un’altra si riflette nella
successiva modellazione analitica del veicolo. Nel caso di sospensione ad
assale rigido, si possono individuare due gradi di libertà: la traslazione
verticale dell’assale ed il rollio, ovvero la rotazione dell’assale rispetto ad
un asse parallelo a quello longitudinale del veicolo; mentre, nel caso di
sospensioni indipendenti, i due gradi di libertà sono rappresentati dagli
spostamenti verticali delle singole ruote.
Dal punto di vista meccanico, la sospensione è di solito formata da
due elementi assemblati in parallelo: una molla ed un ammortizzatore. La
Capitolo 2: Caratterizzazione della sorgente 11
funzione della molla è quella di seguire le irregolarità del profilo stradale
cercando di garantire una forza di contatto costante e “filtrando” le
sollecitazioni in termini di spostamento, velocità ed accelerazione che
arrivano al guidatore. La presenza della sola molla potrebbe però in
determinati casi (per effetto, ad esempio, di un fenomeno di risonanza tra
pavimentazione ed irregolarità stradale) produrre dei moti oscillatori tra
casse ed assi molto elevati e di ampiezza crescente nel tempo, per cui
risulta necessario smorzare tali moti attraverso l’utilizzo degli
ammortizzatori. Il funzionamento di questi organismi sfrutta
sostanzialmente la dissipazione di energia per effetto del passaggio di un
fluido viscoso, che si muove all’interno di un cilindro a tenuta.
Una delle tipologie di molle più utilizzate è quella a balestra. Questa
è realizzata mediante un fascio di lamine di acciaio, dette in gergo ”foglie”,
curvate ad arco, sovrapposte e rese solidali mediante delle cerchiature
realizzate in specifici punti (Fig. 2.3). Tale morfologia permette di
realizzare quell’auspicata “guida” tra la cassa e l’asse impedendo i gradi di
libertà diversi da quello di traslazione verticale relativa.
Fig. 2.3: Sospensione a balestra (D’Apuzzo, 2000).
Gli ammortizzatori adoperati nella maggior parte delle sospensioni
sono di tipo oleodinamico (Fig. 2.4). Le principali non linearità nel
comportamento meccanico degli ammortizzatori si manifestano attraverso
due fenomeni: 1) una spiccata bilinearità nel legame forza velocità, per cui
Capitolo 2: Caratterizzazione della sorgente 12
il coefficiente di viscosità lineare in compressione è diverso da quello in
trazione; 2) la presenza di un ciclo di isteresi.
Fig. 2.4: Sezione di un ammortizzatore di tipo semi-attivo (D’Apuzzo, 2000).
Nella modellazione analitica la sospensione viene schematizzata
attraverso una molla elastica lineare, definita attraverso un valore di
rigidezza k, assemblata in parallelo ad uno smorzatore viscoso lineare,
definito mediante un coefficiente di smorzamento c. In realtà, la
sospensione è caratterizzata da un comportamento non lineare sia per
quanto riguarda la molla sia per l’ammortizzatore; inoltre il vincolo offerto
dalla pavimentazione è unilaterale, cioè incapace di trasmettere sforzi di
trazione. Tale aspetto, che diventa importante quando l’irregolarità del
profilo diventa elevata, non sempre viene tenuto in debito conto.
Capitolo 2: Caratterizzazione della sorgente 13
Vediamo ora, quale è l’influenza di queste non linearità nella
generazione dei sovraccarichi dinamici. Si è potuto osservare che, per
quanto riguarda gli ammortizzatori, approssimare il comportamento non
lineare con un unico coefficiente di viscosità fornisce dei risultati ancora
accettabili. Per quanto riguarda le molle, si è invece rilevato che un
approssimazione lineare non sempre riesce a descrivere il reale
comportamento. Per capire meglio tale fenomeno, si sono effettuate delle
simulazioni numeriche eseguite con un modello non lineare di sospensione
messo a punto da Potter et Alii [Potter et al. 1977], il cui comportamento
meccanico è illustrato nella figura 2.5.
Fig. 2.5: Modello non lineare di sospensione; dettaglio dei cicli di isteresi della molla e
dell’ammortizzatore (D’Apuzzo, 2000).
La storia temporale del sovraccarico dinamico fornita da tale
modello è stata confrontata con le misure sperimentali eseguite su di una
sospensione reale mediante una speciale apparecchiatura di prova realizzata
presso L’Università di Cambridge e denominata HiL (Hardware In The
Loop).
Capitolo 2: Caratterizzazione della sorgente 14
L’accordo tra dati sperimentali e teorici (Fig.2.6) per effetto di un
identico profilo random risulta abbastanza soddisfacente, mentre se si
confronta la risposta del modello non lineare, con quella del modello
lineare (non disponibile) costituito da una molla e da uno smorzatore in
parallelo, la corrispondenza non è altrettanto accurata (Fig.2.7).
Fig.2.6: Confronto tra il modello non lineare e le misure sperimentali (D’Apuzzo,
2000).
Fig.2.7: Confronto tra il modello lineare e le misure sperimentali (D’Apuzzo, 2000).
Se da una parte questo dato fa riflettere sulle cautele da adottare
quando si sviluppa un modello lineare, dall’altra si deve far rilevare che
Capitolo 2: Caratterizzazione della sorgente 15
l’andamento temporale, in termini di contenuto di frequenze, sembra
descritto sufficientemente, e che il modello lineare quasi sempre sovrastima
la risposta reale fornendo dei risultati leggermente a vantaggio di sicurezza.
Le procedure che permettono di ricondurre un modello non lineare
ad uno di tipo lineare equivalente vanno sotto il nome di tecniche di
linearizzazione.
Il problema principale è quindi quello di ricavare dall’analisi del
comportamento meccanico non lineare, i due parametri principalmente
caratterizzanti: la rigidezza della molla k, e il coefficiente di smorzamento
c, o in alternativa il fattore di smorzamento:
mk
c
c
c
c
2
==β (2.1)
dove:
o c
c
è il coefficiente di smorzamento critico;
o m è la massa del sistema;
o k è la rigidezza del sistema.
Per quanto riguarda il calcolo della rigidezza, individuato l’intervallo
di oscillazione degli spostamenti del fenomeno in esame, si può far
riferimento al valore secante, calcolato in corrispondenza dello
spostamento massimo. Mentre per quanto riguarda il fattore di
smorzamento, si fa riferimento all’energia dissipata in un ciclo di carico,
A
D
, che è quantitativamente definita dall’area racchiusa in un ciclo di
carico dal diagramma forza-spostamento. Per un sistema lineare ad un
grado di libertà individuato da una massa m, una molla di costante k, ed
uno smorzatore di coefficiente c, si può agevolmente dimostrare che tale
energia è espressa attraverso la formula:
piωclA
D
2
∆=
(2.2)
dove ω rappresenta la pulsazione della forza (in rad/s), mentre ∆l
rappresenta lo spostamento massimo attinto in un ciclo.