5
stesso di definire il concetto di eguaglianza. Se tutti gli individui sono
realmente eguali, o almeno molto simili, è verosimile che tutti
concorderebbero nell'affermare che un trattamento giusto consiste in
un trattamento identico; tuttavia è abbastanza evidente che due
individui perfettamente eguali non sono mai esistiti né esisteranno
mai, il che autorizza a concludere che trattare nello stesso modo due
persone distinte può rivelarsi in alcuni casi profondamente ingiusto.
Talvolta, proprio per rendere gli individui più eguali, occorre trattarli
in modo diverso. Occorre cioè predisporre dei piani di intervento
pubblico a favore di alcuni cittadini: così sono sorti i sistemi di
sicurezza sociale, che si sono concretizzati in programmi assistenziali
indirizzati espressamente a certi gruppi o a certe categorie
svantaggiate.
Nella parte centrale di questo lavoro ci si occuperà di una misura
particolare, le cosiddette azioni affermative, cioè una serie di norme
che furono approvate dalle assemblee legislative statunitensi a partire
dalla presidenza Johnson, e furono predisposte per tutelare diritti di
individui appartenenti a determinati gruppi etnici o sessuali.
Nel primo capitolo è presentato brevemente un panorama di alcune
delle principali tendenze contemporanee in filosofia politica, con
riferimento all'area statunitense. Tale rassegna non ha alcuna pretesa
di esaustività, bensì il solo scopo di tracciare le coordinate lungo le
quali si è svolto il dibattito contemporaneo sulla giustizia.
6
Il secondo capitolo presenta la questione della giustizia distributiva
così come è stata affrontata nei decenni recenti dopo l'apporto
fondamentale della teoria della giustizia di John Rawls.
Nel terzo capitolo viene introdotta, facendo riferimento all’opera di
Jon Elster, una nozione nuova, quella di giustizia locale, essenziale per
comprendere come avviene concretamente la scelta allocativa ad opera
delle singole istituzioni, e quindi fondamentale ai fini del discorso
sull'azione affermativa.
Nel quarto capitolo ci si occuperà in modo particolare dell'azione
affermativa, ossia della forma che essa ha assunto storicamente e delle
giustificazioni filosofiche che ne stanno a fondamento.
Il quinto capitolo infine presenta alcuni degli effetti negativi e dei
paradossi che i critici dell'azione affermativa e delle politiche sociali
in generale hanno sottolineato.
La questione dell’azione affermativa non è che una goccia nel mare
dei problemi di giustizia distributiva e allocazione delle risorse,
tuttavia ha suscitato negli Stati Uniti un dibattito di proporzioni molto
ampie e forse inaspettate. La causa di questa reazione (e suo motivo
d’interesse) sta nel fatto che le politiche di scelta preferenziale non
solo sono venute ad interferire direttamente nella quotidianità di molti
cittadini, ma hanno anche avuto il merito di contribuire a rimettere in
discussione temi fondamentali nella vita politica di una nazione, come
giustizia, equità, eguaglianza.
7
INTRODUZIONE
LO STATO ASSISTENZIALE AMERICANO COME
PROBLEMA
Il Welfare State o Stato sociale di diritto è l’assetto istituzionale che
nella storia contemporanea ha affrontato e tentato di risolvere, almeno
in parte, problemi di giustizia distributiva. Le origini dello Stato
sociale si riallacciano da un lato all’antico problema della
responsabilità sociale verso la povertà, dall’altro al problema nuovo di
che cosa lo Stato debba offrire a dei cittadini a carico dei quali pone
oneri sempre più consistenti (dal servizio militare generalizzato alla
tassazione sempre più ampia). Il tema dello Stato sociale è stato
trattato esemplarmente, tra gli altri, dallo storico Gerhard Ritter, che si
è occupato di questo tema non nell’ottica della storia della previdenza
sociale, ma in chiave di legittimazione dello Stato moderno
1
. Ritter
osserva come si possa parlare di uno Stato del benessere in primo
luogo in relazione al piano di riordinamento del sistema britannico di
sicurezza sociale di William Beveridge, presentato al Parlamento nel
1942, e alla legislazione sociale dei governi laburisti del 1945-51,
basata in parte su di esso. A partire dalla Gran Bretagna il concetto si
sarebbe esteso a moltissimi paesi. Il termine “stato del benessere” non
è tuttavia preciso e fu respinto dallo stesso Beveridge, che voleva
sostituirlo con social service state.
1
Ritter, Gerhard A., Storia dello Stato sociale, Bari, Laterza, 1996
8
Si è quindi passati al concetto di social welfare state, che Ritter
attribuisce, tra i primi, ai sociologi Norman Furniss e Timothy Tilton
2
.
Il social welfare state sarebbe un tipo di stato interventista che si basa
sui princìpi di eguaglianza, cooperazione e solidarietà sostituendo
completamente i programmi dell’assicurazione e dell’assistenza
sociale con servizi sociali pubblici uguali per tutti. Tra le sue iniziative
ci sono ad esempio la riduzione dei divari salariali, l’aspirazione alla
piena occupazione grazie alla cooperazione tra governo e sindacati e il
tentativo di dare ai lavoratori un ruolo politico dominante. Queste,
almeno, sono le caratteristiche che si riscontrano nel cosiddetto
modello svedese: ben diversa è la situazione degli Stati Uniti, che
vengono normalmente considerati un modello di stato positivo, “che
privilegia l’assicurazione sociale, si basa sull’individualismo e sulla
tutela di interessi corporativi, non garantisce alcun surrogato della
proprietà per tutti i cittadini, esclude di fatto i lavoratori senza un
posto stabile ed utilizza l’assicurazione sociale come strumento di
controllo sociale”
3
.
Una classificazione più articolata è quella di Richard Titmuss, che è
considerato il maggior difensore del Welfare State inglese.
2
Furniss, Norman e Tilton, Timothy, The Case for the Welfare State. From Social Security to
Social Equality, London, Bloomington, 1979
3
Ritter, Storia…, cit., pag. 13
9
In un saggio del 1956
4
, Titmuss sostiene che tutti gli interventi
collettivi destinati a soddisfare certi bisogni individuali o a servire
interessi più vasti della società, possono essere raggruppati in tre
grandi categorie di welfare: welfare sociale, fiscale e aziendale. La
prima categoria è quella cui normalmente si fa riferimento quando si
parla di “servizi sociali”. In questo caso le responsabilità collettive
vengono adempiute per mezzo di sussidi diretti alle persone
interessate e i servizi si concretizzano in flussi di pagamento
attraverso il governo centrale. Le quote di reddito non tassabili e le
detrazioni di imposta non sono invece considerate parte delle spese
sociali nonostante diano luogo a benefici simili. Anche in questo caso
si riconoscono dei bisogni dei cittadini e il risparmio fiscale della
persona interessata equivale in realtà ad un trasferimento in denaro; la
differenza consiste soltanto in un diverso modo di amministrare. Ma
mentre originariamente questi benefici per le persone a carico della
famiglia erano ristretti alle fasce più povere della popolazione, con il
passare del tempo tali restrizioni sono scomparse. Queste forme di
welfare fiscale sono aumentate di pari passo con le preoccupazioni per
le relazioni familiari e di parentela e per i cosiddetti "stati di
dipendenza".
4
Titmuss, Richard Morris, “La divisione sociale del Welfare: riflessioni sull’equità”, in Saggi sul
“Welfare State”, Roma, Edizioni lavoro, 1986. Titmuss sottolinea che i servizi forniti
collettivamente sono indirizzati sia a dei bisogni sociali, sia a quelli individuali, tuttavia spesso
non è possibile distinguerli completamente. Se si applicano questi concetti alla società moderna, ci
si rende conto dell’importanza della loro definizione, dal momento che non solo i bisogni e le
situazioni sono diversi, ma sono anche percepiti in modo diverso nelle varie epoche storiche.
“L’equazione sociale-individuale del bisogno è diversa, e, per di più, è vista in modo diverso.
Freud da un lato, togliendoci l’innocenza psicologica, e Marx dall’altro, aprendo i nostri occhi alle
realtà economiche, hanno contribuito a cambiare il modo in cui percepiamo l’equazione” (Ibidem,
pag. 49)
10
Un terzo tipo di welfare è quello definito "aziendale", che consiste in
una serie di benefici, in denaro e in natura, il cui peso ricade sul
Tesoro, e che include le pensioni per i lavoratori dipendenti, le mogli e
le persone a carico, assegni familiari, indennizzi in caso di morte,
spese per vacanze, viaggi, divertimenti e molto altro. Se dal punto di
vista del suo scopo questa categoria non si distingue radicalmente
dalle altre due, tuttavia Titmuss vede con sospetto lo sviluppo di
forme fiscali e aziendali di welfare. Queste infatti sollevano una
fondamentale questione di equità, ossia se e in che misura i benefici
sociali debbano essere collegati proporzionalmente alla posizione
lavorativa e al reddito. Secondo Titmuss, con la diffusione al di fuori
di un progetto sociale complessivo di schemi assicurativi o di servizi
differenziati per le diverse categorie di occupati, verrebbe
compromesso l’ideale di giustizia sociale e di solidarietà tra i settori
della società. Lo stesso problema si presenta quando si fa ricorso in
modo incontrollato a forme diverse di esenzione fiscale. “Gli obiettivi
di equità, apparentemente relativi alla società nel suo insieme,
diventano obiettivi settoriali, che inevitabilmente avvantaggiano i
gradi sociali più favoriti in proporzione alla distribuzione del potere e
al successo lavorativo”
5
.
Titmuss fu portato in particolare a valorizzare e difendere l’intervento
pubblico nel settore sanitario e, soprattutto, le realizzazioni del
Servizio Sanitario nazionale britannico.
5
Ibidem, pag. 59
11
In esso egli vedeva attuato il principio del diritto di ogni cittadino alla
protezione della salute, un bene la cui offerta non poteva essere
lasciata al mercato. Egli ebbe modo di sperimentare di persona,
essendo malato di cancro, l’importanza di questo servizio, come egli
stesso racconta in un suo scritto in cui descrive una situazione in cui si
venne a trovare a causa della sua malattia
6
. Ogni settimana si
presentava in ambulatorio insieme a lui un uomo di colore, per
sottoporsi al suo stesso trattamento: ciò che determinava l’ordine di
entrata nello studio del medico era soltanto l’ora di arrivo, che
dipendeva dal traffico di Londra, e non la razza, la religione o la
classe. Il Servizio sanitario nazionale incarnerebbe dunque quei
princìpi di eguaglianza e solidarietà sociale che avrebbero dovuto
informare l’intero edificio “welfarista”. Secondo Titmuss le
potenzialità dell’altruismo vanno ben al di là dei confini della famiglia
e della comunità locale entro cui si erano manifestate durante
l’emergenza bellica, per abbracciare il “cittadino sconosciuto”
7
.
Si può dire che il Welfare State americano ebbe inizio intorno alla
metà degli anni Sessanta. L'azione più incisiva fu quella del 1964-65,
che si sviluppò su tre fronti: 1) avviare il sistema di assistenza
sanitaria (Medicare e Medicaid); 2) realizzare programmi di
istruzione, avviamento al lavoro, community action; 3) emanazione
6
L’episodio è raccontato dall’autore stesso in: Social Policy: an Introduction, London, Allen and
Unwin, 1974, pag. 150-151
7
I primi studi di Titmuss riguardano infatti i problemi della povertà e della malnutrizione, ma
soprattutto le forme di solidarietà a base familiare o comunitaria e lo sviluppo delle politiche
sociali in Inghilterra durante gli anni della seconda guerra mondiale (Problems of Social Policy,
London, H.M. Stationery Office, 1950)
12
del Civil Rights Act e del Voting Rights Act, con i quali veniva
definitivamente messa fuorilegge ogni discriminazione in ambito
lavorativo e educativo sulla base della razza e si assicurava la
possibilità per i neri e le altre minoranze di registrarsi e votare. Il
Welfare State americano tuttavia non si è mai dispiegato
completamente, per quanto non sia del tutto chiaro che cosa manchi
agli Stati Uniti per avere un vero sistema di sicurezza sociale. A
domandarselo non sono soltanto i sostenitori del Welfare State, ma
anche i suoi detrattori.
Tra questi ultimi si può citare ad esempio Nathan Glazer, il quale si è
distinto nell’ambito delle scienze sociali per le sue critiche alle
politiche “welfariste”, che si chiede come sia possibile che il Welfare
State americano sia un esempio “abortive” rispetto ai sistemi
assistenziali pienamente sviluppati di altri stati economicamente
avanzati
8
. Cosa spiega l'eccezionalità di questa situazione? Il
problema non è nuovo, e forse, continua Glazer, la sua soluzione è
analoga alla risposta ad un'altra vecchia questione: perché non c'è
nessuna forma di socialismo in America?
La debolezza delle politiche sociali riflette alcune caratteristiche della
società americana che Glazer ritiene si possano riassumere in una serie
di osservazioni: innanzitutto il federalismo americano è ancora molto
forte, sia ideologicamente, sia istituzionalmente.
8
Glazer, Nathan, The Limits of Social Policy, Cambridge (Mass.) and London, Harvard University
Press, 1988
13
In secondo luogo, il fallimento di qualsiasi "universalismo"
risulterebbe dalle divisioni etniche e religiose esistenti negli Stati
Uniti: la varietà di istituzioni assistenziali è stata creata da una
popolazione eterogenea fin dall'inizio della sua storia. In terzo luogo,
un ostacolo a parte sarebbe costituito dalla questione dei neri,
originariamente schiavi e poi mantenuti per un secolo in posizione di
inferiorità sociale e legale.
Bisogna poi prendere in considerazione anche una tendenza
all'individualismo particolarmente forte nella società americana: ogni
anno, continua Glazer, ci sono seicentomila nuovi immigrati (legali)
negli Stati Uniti, e sono quasi tutti individui che mirano ad un
successo personale da conseguire con le proprie capacità e contando
sulla massima libertà possibile, non certo sull'assistenza da parte dello
stato.
E' anche da questo che deriva il sentimento comune secondo cui i
problemi devono essere presi in carico da istituzioni autonome e
indipendenti, costituite spontaneamente dai cittadini, piuttosto che
dallo stato: le osservazioni di Tocqueville sull'associazionismo sono
ancora validissime
9
.
9
“L'abitante degli Stati Uniti impara fin dall'infanzia che deve lottare con le sue sole forze contro i
mali e gli ostacoli della vita; egli getta sull'autorità sociale uno sguardo diffidente e inquieto e si
appella al suo potere solo quando non ne può fare a meno. Tutto questo si nota fin dalla scuola, in
cui i bambini si sottomettono, anche nei giochi, a regole prestabilite e puniscono fra loro le colpe
da loro stessi giudicate. Lo stesso spirito si trova in tutti gli atti della vita sociale. Sopravviene, per
esempio, un ingombro nella pubblica strada, il passaggio interrotto, la circolazione arrestata: subito
i vicini si costituiscono in corpo deliberativo e da questa improvvisata assemblea uscirà un potere
esecutivo che rimedierà al male, prima ancora che l'idea di una autorità preesistente agli interessati
si sia presentata all'immaginazione di alcuno. (...) Ci si unisce, infine, per resistere a nemici di
natura tutta intellettuale: si combatte in comune, per esempio, l'intemperanza.” Tocqueville, (de)
Alexis, La democrazia in America, Milano, Rizzoli (BUR), 1995, pag. 201.
14
Risolvere problemi come la povertà tramite istituzioni improntate al
profit making può parere bizzarro a molti osservatori, fa notare Glazer,
ma non in America, e non solo tra i Repubblicani.
Glazer conclude che l'atteggiamento presente degli Stati Uniti non dà
segni di voler cambiare, ed è questo che impedisce un pieno sviluppo
di politiche sociali: a dispetto dei costi in termine di disordine sociale
che la propensione all'economia e al mercato comportano, gli
americani continuano a preferire "that way"
10
.
Se Glazer è drastico, Michael Walzer non parla di un vero e proprio
aborto, tuttavia sottolinea che gli Stati Uniti mantengono, attualmente,
"uno dei sistemi di fornitura comunitaria più scalcinati di tutto il
mondo occidentale"
11
. Eppure l'estensione dei beni che la comunità
deve fornire a chi ne ha bisogno è indicata dalla Costituzione degli
Stati Uniti: giustizia, tranquillità, difesa, benessere e libertà
12
.
Tuttavia, se anche consideriamo esauriente quest'elenco, i termini
utilizzati sono vaghi e devono costituire più che altro un punto d'avvio
del dibattito pubblico. Walzer si chiede: quale fornitura può essere
considerata adeguata ad una società come la nostra? L'autore ritiene
che i cittadini di una democrazia industriale moderna debbano
moltissimo l'uno all'altro; inoltre che i beni debbano essere distribuiti
10
Glazer, The Limits …, cit., pag. 192
11
Walzer, Michael, Sfere di giustizia, Milano, Feltrinelli, 1987, pag. 91. Walzer è tra gli esponenti
più significativi del comunitarismo: egli ritiene che il fatto stesso di ricercare una teoria della
giustizia universale e di metterla in pratica è frutto di una distorsione. Non esiste infatti una
prospettiva esterna alla comunità, e l’unico modo di soddisfare istanze di giustizia è comprendere
come ogni particolare comunità valuta l’importanza dei beni sociali e realizzare una distribuzione
che non cerchi di eguagliare le quote di tutti i beni, ma piuttosto di assicurare che le differenze in
una “sfera” (ad esempio la ricchezza) non finiscano per permeare anche altre sfere (come
l’assistenza sanitaria).
12
Walzer, Sfere di giustizia, cit., pag. 87
15
proporzionalmente ai bisogni e che la distribuzione debba riconoscere
e difendere l'eguaglianza di base. Si tratta di princìpi molto generali,
che dovrebbero essere rispettati in modo particolare negli Stati Uniti,
dove la comunità è prospera e la concezione del bisogno individuale
molto ampia. Se questo non avviene, le ragioni sono molteplici e
vanno dal fatto che la comunità dei cittadini è organizzata in modo
"lasco", all'ampia accettazione dell'ideologia del fare affidamento su
se’ stessi e del culto dell'imprenditorialità, alla relativa debolezza dei
movimenti di sinistra e del movimento operaio in particolare. Tutto
ciò si riflette nel processo decisionale democratico, il che, continua
Walzer, in linea di principio non ha niente di sbagliato. Tuttavia il
modello attuale non è per nulla soddisfacente, e non risponde neanche
alle necessità interne fondamentali delle sfere della sicurezza e
dell'assistenza. Walzer si occupa in particolare di un settore che in
America è relativamente poco sviluppato ed è oggetto di continui
dibattiti politici: l'assistenza medica.
Innanzitutto è da notare come, nel mondo moderno, c'è stato un
cambiamento nel modo stesso di vedere la malattia, che ha comportato
anche un diverso rapporto con le istituzioni: si è andata sempre più
perdendo la fiducia nella cura dell'anima, mentre è aumentata
l'attenzione per il corpo, talvolta fino quasi a diventare un'ossessione.
Corrispondentemente a questi cambiamenti nell'atteggiamento, c'è
stata una graduale diminuzione dell'interesse per l'assistenza religiosa
e un aumento di quello per l'assistenza medica.
16
Inoltre è cambiato il concetto stesso di malattia: anche quando questa
è endemica e non epidemica è diventata più che altro una "pestilenza",
cioè un danno che non solo è possibile affrontare, ma è un dovere
farlo. "La gente non vorrà subire quel che non crede più di dover
subire"
13
. Poiché la ricerca medica è assai costosa, la cura di numerose
malattie è qualcosa che oltrepassa di molto le possibilità di un singolo
individuo, il che ha fatto sì che delle cure mediche si facesse sempre
più carico la comunità: da privata l'assistenza è diventata sempre più
pubblica e si è abolito o vincolato il mercato dell'assistenza medica.
Walzer ritiene che non ci sia nessuna ragione per rispettare la libertà
di mercato dei medici. I beni necessari non sono merci: si può
ammettere la possibilità di compravendita solo quando vi sia una
disponibilità così elevata da superare la quantità di forniture
indispensabili stabilita da una decisione democratica, e se il
commercio di tali beni non ne altera la loro distribuzione al di sotto di
quella quantità.
Il rifiuto opposto sin qui al finanziamento di un servizio sanitario
nazionale non è altro che una decisione politica del popolo americano
di garantire a tutti solo uno standard minimo (gli ospedali civici) e per
il resto di affidarsi all'iniziativa privata. Walzer ritiene questo
standard inadeguato, e comunque crede che non rispetti più le reali
aspettative degli americani così come si sono modificate nel tempo:
ormai l'importanza attribuita all'assistenza medica è molto maggiore.
13
Ibidem, pag. 94
17
In realtà, le varie autorità federali, statali e locali sovvenzionano livelli
diversi di assistenza per classi diverse di cittadini: potrebbe andar
bene, continua Walzer, se tale classificazione fosse connessa con le
finalità dell'assistenza, se, per esempio, in tempo di guerra a ricevere
un trattamento speciale fossero i militari e gli addetti all'industria
bellica. Finché si faranno investimenti pubblici nell'ambito della
ricerca medica, per costruire ospedali e pagare medici privati, come
avviene oggi, i relativi servizi dovranno essere accessibili a tutti i
cittadini.
Walzer sottolinea anche un altro aspetto, congeniale alla sua ottica
comunitarista: egli ritiene che la lotta contro la povertà e le
diseguaglianze nell'assistenza sanitaria non possa essere condotta solo
sul terreno politico, bensì bisogna fare leva anche su aspetti tipici della
convivenza comunitaria quali la carità, l'aiuto reciproco, la
beneficenza. In particolare, in ogni comunità ci sarebbe spazio per
quella che Richard Titmuss ha definito “relazione di dono”
14
. Titmuss
ha compiuto una serie di studi comparativi sul modo in cui, nei vari
paesi, si raccoglie sangue per uso ospedaliero, occupandosi in
particolare di due procedure: l'acquisto e la donazione volontaria.
Titmuss privilegia la donazione, sia perché la ritiene più efficiente (si
ottiene sangue migliore) sia perché favorisce lo spirito di altruismo
comunitario. Walzer prova ad immaginare un'altra forma di fornitura,
ossia una tassa sul sangue, che imponga ad ogni cittadino di fornirne
un certo quantitativo all'anno: se è vero che questo aumenterebbe
14
Titmuss, Richard, The Gift Relationship: from Human Blood to Social Policy, London, Allen &
Unwin, 1970
18
notevolmente la disponibilità (e la qualità) di sangue, tuttavia Walzer
sostiene che secondo Titmuss sarebbe ancora preferibile la donazione.
Infatti, innanzitutto una tassa sul sangue nella nostra cultura sarebbe
vista come un eccessivo attacco all'integrità fisica, in secondo luogo la
donazione è un atto virtuoso, per cui ci sarebbe da dubitare che anche
nel caso di un prelievo pubblico, anche se deciso democraticamente, si
possa parlare di virtù.
Con un'argomentazione molto simile si potrebbe sostenere anche che
le donazioni private in denaro dovrebbero essere incoraggiate: donare
è di per sé un atto buono, che crea solidarietà e senso di appartenenza
comunitaria. Inoltre le attività connesse alla donazione, come
organizzare le campagne di finanziamento e gestire il denaro,
potrebbero impegnare i cittadini in attività parallele al lavoro dei
funzionari, aumentando ulteriormente il livello di partecipazione.