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popolazione afro-americana: la discriminazione è rimasta ben radicata nella
società statunitense benché in forme differenti; dalle piantagioni del Sud e dalla
schiavitù si è passati alle differenze sociali, alle segregazioni, all’intolleranza,
alla vita nei ghetti delle grandi città del Nord dove gli schiavi liberati si erano
trasferiti con la speranza di una vita migliore.
Dunque il problema del rapporto tra bianchi e neri si è ripresentato nel tempo
fino a oggi ed è ancora presente anche se la popolazione nera ha compiuto
numerosi passi avanti nel conseguimento dei propri diritti umani e civili.
Nella lotta dei neri per l’emancipazione entra in gioco anche la letteratura
come mezzo di notevole efficacia per la possibilità che essa offre di esprimersi,
raccontare, far conoscere, dare consapevolezza e, quindi, anche di raggiungere
obiettivi e conquistare ciò in cui si crede.
Molti afro-americani hanno scelto questa via per far sentire la propria voce e
per riappropriarsi dell’identità perduta: il diritto di parola ha restituito ai neri
importanza e senso di appartenenza alla storia. Ne è un esempio l’opera The
Souls of Black Folk di W. E. B. Du Bois, primo grande storico afro-americano e
uno dei fondatori della National Association for the Advancement of Colored
People (NAACP). Prima e dopo di lui molti neri si sono serviti della scrittura
ma nei romanzi afro-americani troviamo anche molti esempi di passing, ovvero
di personaggi neri che si fingono bianchi, che nascondono la loro vera identità;
troviamo anche opere in cui si incontrano solo personaggi bianchi quasi a
ignorare l’esistenza del nero o, ancora, personaggi neri presentati come persone
umili e ubbidienti, sempre pronti ad assecondare il padrone bianco.
3
In tutte queste opere sembra esserci una difficoltà nell’affrontare il problema
dell’identità o forse il tentativo è stato fatto ma sempre all’ombra dell’uomo
bianco, senza gridare alla società e al mondo che il nero è uomo e ha i suoi
diritti.
Fortunatamente ci sono anche esempi di vera letteratura a favore dell’identità
grazie a uomini che, attraverso il racconto della loro vita e grazie alla
consapevolezza del proprio valore di esseri umani, hanno fatto della parola
scritta un manifesto della lotta per la libertà e la dignità del popolo afro-
americano: a questo proposito è d’obbligo prendere in considerazione le figure
di Frederick Douglass e Malcolm X, entrambi grandi leader e oratori, autori di
autobiografie e di discorsi e dibattiti accesi e appassionati, due personalità
simboliche vissute in tempi differenti ma vittime dello stesso odio e
rivendicatori del medesimo diritto, la libertà di essere uomini. Le loro non sono
opere di fantasia ma un raccontare la verità, la vita, l’esperienza delle atrocità
causate dal razzismo rendendo più efficace e giustificata la rivendicazione dei
diritti e della libertà.
Douglass fu schiavo nelle piantagioni fin da bambino ma le violenze e le
umiliazioni subite non riuscirono a reprimere in lui il desiderio di imparare,
conoscere e, finalmente, essere libero dall’ignoranza e dalle catene della
schiavitù. Fuggendo Douglass riuscì a diventare un uomo libero ed esempio per
coloro che ancora erano vittime dell’oppressione.
Malcolm X, nato e vissuto nel secolo successivo, subì le conseguenze del
razzismo fin dalla sua infanzia per la morte violenta del padre, ucciso dai
bianchi; dopo anni bui passati nel ghetto, sopravvivendo con ogni mezzo e
4
imitando l’uomo bianco, egli finì in prigione e modificò, con il passare degli
anni e fino alla morte, le sue idee circa il rapporto tra bianchi e neri:
dall’imitazione e sottomissione al bianco passò all’odio e al rifiuto totale di
tutto ciò che era dei bianchi per poi maturare, crescere e comprendere che
l’uomo bianco non è il nemico, che è possibile l’amore tra gli uomini, anche se
di diversa razza. Malcolm X continuò comunque a combattere per la gente nera
divenendo un grande leader, un trascinatore del suo popolo verso la conquista
dell’identità, un uomo coraggioso e tenace che fu pronto a dare la vita per il
risveglio del popolo afro-americano.
Si potrebbero citare molti esempi di validi scrittori che, in periodi differenti e
fino a oggi, hanno dato un contributo alla lotta dei neri per l’identità come, per
esempio, i numerosi schiavi che ci hanno lasciato affascinanti autobiografie e
testimonianze dell’esperienza schiavista, ma saranno le figure di Frederick
Douglass e Malcolm X messe a confronto a essere analizzate per sottolineare
l’aspetto più affascinante della letteratura, quello, cioè, di essere specchio della
vita dell’uomo e, in questo caso particolare, dell’identità umana troppo spesso
repressa e annullata.
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CAPITOLO PRIMO
LETTERATURA e IDENTITA’
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1.1 Razzismo e schiavitù
La schiavitù è sempre stata accettata e praticata dall’uomo nella storia in
modi differenti. La condizione di schiavo non era riservata solo a uomini di un
certo popolo o di una determinata razza né dipendeva dalla posizione sociale:
nell’antichità la schiavitù non era quindi basata su questioni razziali, non vi
erano alla sua base pregiudizi o motivazioni di tipo razzista, gli schiavi non
erano solo neri, si poteva diventare tali indipendentemente dal colore della
pelle, dalla propria provenienza e dalla propria cultura e per svariati motivi;
molti erano schiavi perché prigionieri di guerra, altri per pagare i loro debiti,
altri ancora per avere la protezione di uomini potenti.
Il tipo di schiavitù che si diffuse in America, invece, nacque in base a
concetti e modalità molto differenti: ciò che appare più evidente nella pratica di
questo nuovo tipo di schiavitù è il senso di superiorità dell’uomo bianco nei
confronti del nero e di qualunque uomo di carnagione diversa da quella bianca.
Ecco che questa pratica comincia ad avere uno sfondo razzista e a colpire
solamente coloro che non sono bianchi.
L’atteggiamento razzista era un fenomeno già diffuso tra gli inglesi ancor
prima della nascita della schiavitù e fu poi trasmesso alle colonie. Durante i loro
viaggi i coloni inglesi si trovarono di fronte a uomini di diverso colore, razza e
cultura. I coloni europei, chiaramente interessati all’aspetto economico, videro
nello sfruttamento di queste popolazioni un’ottima fonte di guadagno, un modo
per incrementare i loro affari.
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Da qui essi cominciarono, per convenienza, a considerare gli africani come
selvaggi, come esseri inferiori trovando, in questo modo, una giustificazione per
sfruttarli a loro vantaggio. Il senso di superiorità si trasformò così in una sorta
di rifiuto e di avversione per la diversità, per le razze differenti da quella bianca.
Nacquero delle vere e proprie dottrine razziste che affermavano una superiorità
dei bianchi sul piano biologico e che comportavano quindi il loro diritto di
decidere della vita dei non bianchi, di portarli via dalle loro terre, di sfruttarli,
maltrattarli, ucciderli, privarli quindi dei loro diritti umani e civili.
E’ inutile sottolineare quanto queste teorie fossero basate sull’interesse
economico degli europei, sulla loro sete di conquista e di ricchezza; alcuni
studiosi, però, hanno avanzato un’altra ipotesi riguardo alla nascità del
razzismo. Eugene D. Genovese, nel suo libro The World the Slaveholders
Made
1
, afferma che l’origine del razzismo è da ricercare nei processi di
trasformazione ideologica e psicologica degli europei. George P. Rawick
2
ci
aiuta a capire tale concetto affiancando a quella di Genovese l’affermazione di
Winthrop Jordan secondo la quale, durante i processi di cambiamento
all’interno della società, gli inglesi vedevano negli altri ciò che temevano di
vedere in se stessi
3
.
1.
E. D. Genovese, The World the Slaveholders Made: Two Essays in Interpretation, New York,
Pantheon B., 1969.
2.
G. P. Rawick, Lo schiavo americano dal tramonto all’alba. La formazione della comunità nera
durante la schiavitù negli Stati Uniti, Milano, Feltrinelli Editore, 1973.
3.
W. Jordan, White Over Black: American Attitudes Towards the Negro, 1550-1812, Baltimore,
Penguin Books, 1969.
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A questo proposito Rawick indica come fattore fondamentale il passaggio, in
Europa, a una società capitalistica:
Razzismo e schiavitù nelle loro forme moderne furono intimamente collegati fin dall’inizio
e furono entrambi parte dello stesso processo rivoluzionario: l’emergere dal passato feudale
della moderna società capitalistica europea. Il razzismo fu imposto da realtà che
comprendevano, ma che anche trascendevano i profitti immediati di schiavisti, commercianti,
mercanti di schiavi. La presa del razzismo fu più forte tra quei popoli che più a fondo
parteciparono ai nuovi, rivoluzionari sviluppi del mondo moderno; fu più debole tra quelli
presso i quali la crescita capitalistica fu limitata. Le nazioni capitalisticamente avanzate degli
inglesi e degli olandesi diedero vita alle ideologie razziste più elaborate. [...] Lo sviluppo del
capitalismo europeo nei secoli XVI, XVII e XVIII rese necessarie ampie modificazioni nella
psicologia umana. [...] Gli impulsi sessuali dovettero essere controllati con cura e l’essere
umano preparato alla repressione e alla sublimazione costante di questi desideri... [...] Questo
processo di repressione e reindirizzo della personalità umana fu portato avanti in primo luogo,
più a fondo e più velocemente in Inghilterra che altrove.
4
Il forte sentimento razzista che si diffuse in Inghilterra fu probabilmente
causato proprio dal fatto che gli inglesi trovarono negli africani non tanto delle
diversità quanto aspetti che erano stati anche degli europei ma che ora si
cercava di ignorare: i neri venivano visti come arretrati, selvaggi, incapaci di
progredire come gli europei. Questo creava nei bianchi un senso di superiorità
che però, se analizzato in profondità, nascondeva anche un senso di
frustrazione: gli africani apparivano agli occhi dell’uomo bianco meno inibiti,
meno repressi nei loro desideri e nei loro istinti. Il fattore della sessualità giocò
un ruolo fondamentale nella formazione delle ideologie razziste e anche in
seguito. L’africano era fondamentalmente più libero, più spontaneo e
soddisfatto e ciò non poteva che creare disagio nella psicologia del bianco.
Quest’ultimo, per dare sfogo alla sua frustrazione, cercava di dare una visione
negativa della sessualità, considerandola qualcosa di volgare, quasi animalesca
e, di conseguenza, presentava il nero come un essere più simile alle bestie che
non agli uomini.
4.
G. P. Rawick, Lo schiavo americano dal tramonto all’alba. La formazione della comunità nera
durante la schiavitù negli Stati Uniti, cit. pagg.172-173-176.
9
Nonostante ciò, nell’uomo bianco è rimasto nel tempo quel senso di
inferiorità a livello sessuale rispetto al nero. Perciò ancora oggi, negli Stati
Uniti, quello della sessualità nera è considerato un argomento tabù; Cornel West
affronta questo argomento nel suo libro La razza conta:
Il paradosso della politica razziale in America per ciò che riguarda il sesso è che, in
segreto, il sesso sporco, disgustoso e animalesco associato ai neri viene spesso percepito come
più eccitante e interessante, mentre in pubblico parlare della sessualità nera è virtualmente
tabù. [...] La paura della sessualità nera è un ingrediente fondamentale del razzismo bianco, e
per i bianchi riconoscere questa profonda paura proprio quando tentano di inculcare e
mantenere la paura nei neri equivarrebbe ad ammettere una loro debolezza – una debolezza
profonda, che arriva sino alle ossa. [...] La sessualità nera è un argomento tabù negli Stati Uniti
soprattutto perchè è una forma di potere nero sulla quale i bianchi possono esercitare uno
scarsissimo controllo – anzi, le manifestazioni visibili di essa suscitano una reazione
assolutamente viscerale nei bianchi, che può assumere la forma di una seduzione ossessiva o
di un vero e proprio disgusto. Da una parte, la sessualità dei neri tra loro esclude i bianchi, e
non fa di essi un punto di riferimento centrale. E’ una sessualità che procede come se i bianchi
non esistessero, come se fossero invisibili e non contassero.
5
Tutto ciò che nacque dall’incontro tra europei e africani contribuì a dare vita
al razzismo e, insieme ad esso, a un nuovo tipo di schiavitù, quella che si
diffuse nel Sud degli Stati Uniti. Il senso di superiorità e le prospettive di
guadagno spinsero i bianchi a prendere con la forza gli africani e a portarli in
una terra straniera per farli lavorare come schiavi. Tutti quei sentimenti scaturiti
nei confronti dei neri si diffusero anche nelle colonie inglesi in America e così
fu anche per le paure e le frustrazioni che si manifestarono poi negli schiavisti
verso i loro schiavi.
Così come succedeva nella società inglese, l’argomento della sessualità
rimase un argomento da ignorare, di cui non si doveva parlare in pubblico ma,
nella realtà della piantagione, luogo simbolo della schiavitù, il bianco schiavista
sfogava i suoi istinti sessuali sulle donne nere sue schiave.
5.
West C., La razza conta, cit. pagg. 112/116-117
10
La donna bianca, invece, doveva mantenere quell’immagine dell’essere puro
e immacolato che la società richiedeva e reprimere così i suoi desideri.
Le schiave erano inoltre usate per dare alla luce molti figli per poi destinarli
alla vendita. La brutalità dello schiavista, quindi, non si fermava allo stupro ma
era tale da usare questa violenza per scopi economici. La testimonianza di una
schiava può essere un ottimo esempio per capire come le donne nere fossero
usate in questo senso:
Proprio ieri si parlava dei bianchi di quando avevano gli schiavi. Capisci, quando un bianco
si sposava il padre gli regalava una donna che gli faceva da cuoca, la quale poi gli faceva dei
bambini proprio là, in casa, erano figli del padrone. Anche la moglie del padrone aveva dei
bambini. A volte i bambini della cuoca assomigliavano tanto a lui, il padrone, che la moglie
finiva per trattarli male e lo costringeva a venderli. [...] Io ero ben fatta e mi tenevano da parte
come donna da figli, ma quando è arrivata l’età buona ero ormai libera. Avevo una zia del
Mississippi che col suo padrone ha avuto venti bambini. [...] Poi c’era il vecchio Sam Watkins
– lui sbatteva fuori dal letto i mariti (gli schiavi) e si fotteva le mogli. [...] A volte una bianca
aveva una bella schiava che le faceva da serva in casa, e il figlio della padrona metteva incinta
la ragazza.
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Le esperienze e le condizioni degli schiavi erano molto varie e lo provano le
numerosissime testimonianze fornite da coloro che hanno subito i torti della
schiavitù e che sono riusciti a fuggire o, comunque, a sopravvivere alla sua
brutalità. Può essere utile, comunque, avere un’idea generale di cosa fosse la
schiavitù negli Stati Uniti.
La prima data indicativa è l’agosto 1619, anno in cui una nave olandese
approdò a Jamestown, in Virginia: tra la merce trasportata, da vendere in terra
americana, c’erano anche una ventina di africani. Da anni nelle colonie
spagnole, portoghesi e inglesi era diffusa la pratica della servitù.
6.
Armellin B. (a cura di), La condizione dello schiavo. Autobiografie degli schiavi neri negli Stati
Uniti, Torino, Giulio Einaudi Editore, 1975, pagg.212-214.