V
risk taking, le tipologie di rischio che le influenzano e la redditività
aggiustata per il rischio per ogni unità, in modo da espandere o ridurre
l’attività a seconda del grado di rischiosità. Le tecniche di Risk
Management che si vanno diffondendo si trovano in diversi stadi di
sviluppo a seconda del tipo di rischio oggetto di valutazione. Le
tecniche di misurazione sono oramai consolidate per i rischi di
mercato; le tecniche sono ad un buon livello di affidabilità per i rischi
di credito, e tecniche che sono ancora in via di sviluppo per i rischi
operativi.
L’attenzione posta verso la gestione dei rischi è cresciuta anche a
livello di regolamentazione di Vigilanza, e la modifica dell’Accordo
di Basilea del 1988 ne è la riprova. L’avvio dei lavori di modifica
dell’Accordo iniziato nel 1999 ha portato un vero e proprio
cambiamento nella regolamentazione di Vigilanza e
nell’atteggiamento delle Autorità preposte al controllo. Infatti, prima
della riforma, le Autorità di Vigilanza si limitavano a dettare delle
regole stringenti e dei requisiti patrimoniali rigorosi da far rispettare.
Oggi la loro attività è molto più collaborativa e flessibile nei confronti
dell’industria bancaria e questo si può notare anche dalle diverse
possibilità concesse alle banche sull’utilizzo dei metodi di
misurazione dei rischi (vengono proposti alternativamente modelli
VI
standard o interni di valutazione dei rischi). I modelli forniti dalle
Istituzioni di Vigilanza porteranno dei benefici considerevoli in
termini di quantificazione dei rischi e di riduzione dei presidi
patrimoniali.
L’attenzione degli Organi di Vigilanza si è concentrata anche sulle
strutture organizzative da predisporre che devono occuparsi della
misurazione, monitoraggio e controllo dei rischi e sulla loro
collocazione nell’organigramma delle banche, che possa rende più
agevole ed efficiente il processo gestionale.
L’ultima revisione del Nuovo Accordo di Basilea pubblicato dal
Comitato di Basilea nell’aprile 2003 evidenzia tutta una serie di novità
principalmente nel trattamento del rischio di credito e del rischio
operativo con particolare riferimento alla calibrazione dei modelli di
calcolo di tali rischi.
Il presente lavoro esamina le principali novità, proposte dal Comitato
di Basilea nel Documento Consultivo dell’aprile 2003, sul rischio di
credito e sul rischio operativo; nel capitolo 1 verranno descritti i rischi
più importanti rientranti nell’attività bancaria e la loro incidenza sulla
redditività nelle varie unità di affari. Nel capitolo 2 verranno descritte
le fasi di costituzione dell’Accordo di Basilea e le modifiche principali
in riferimento al rischio di credito e operativo; nel capitolo 3 si
VII
esplicheranno le principali tecniche di misurazione del rischio
operativo e di credito, con particolare attenzione al caso del SanPaolo-
Imi; infine, nel capitolo 4 si esamineranno gli organi di controllo
delle banche, in particolare le unità di controllo dei rischi e la loro
organizzazione.
1
CAPITOLO 1
L’EVOLUZIONE DEL SISTEMA DEI RISCHI
NELL’ATTIVITA’ BANCARIA
Sommario: 1.1. – L’analisi dei rischi in banca nel contesto attuale; 1.2. – Le principali configurazioni
di rischio nelle banche; 1.2.1. – Il rischio di credito; 1.2.2. – Controllo del rischio di credito e CRM;
1.2.3. – I rischi di mercato; 1.2.4. – I rischi di mercato: le tecniche di gestione prima del VaR; 1.2.5. –
I rischi operativi; 1.2.6. – Misurazione e controllo dei rischi operativi; 1..3. – L’importanza del
capitale nella gestione dei rischi; 1.3.1. – Il ruolo del capitale in banca; 1.4. – Il Risk Management in
banca; 1.4.1. – Dal “Value at Risk” al “Capitale a Rischio (CaR)”; 1.4.2. – Allocazione del capitale e
formazione della strategia; 1.4.3. – La creazione di valore in banca;
1.1. L’analisi dei rischi in banca nel contesto attuale
Negli ultimi anni la globalizzazione dei mercati ed uno sviluppo
articolato dell’attività bancaria hanno aumentato l’intensità e la
tipologia dei rischi che le banche devono fronteggiare per riuscire a
mantenere sempre intatto l’equilibrio del proprio sistema. E’ indubbio
che il rischio sistemico
1
si è accresciuto per mezzo delle fitte
interrelazioni che avvengono tra gli intermediari, ma anche per la
velocità con cui gli impulsi finanziari vengono trasmessi al mercato
del credito. La natura dei rischi che una banca deve gestire non è
invece cambiata rispetto alla tradizionale distinzione riconducibile ai
1
Il rischio sistemico può scaturire dal fallimento di un intermediario di elevate dimensioni,
provocando delle onde d’urto che si trasmettono rapidamente agli intermediari controparti e
da questi a tutto il sistema.
2
consueti tre “capitoli” dei rischi di credito, di mercato, operativi
2
.
Anche se la teoria concorda con il fatto che non possono nascere
nuove tipologie di rischio al di fuori delle tre sopra citate, è pur vero
che le banche hanno ampliato la loro operatività non solo nel settore
del credito, ma soprattutto nei mercati finanziari attraverso l’utilizzo
di strumenti “complessi” che offrono nuove opportunità di guadagno
3
.
L’evoluzione e l’utilizzo di questi nuovi strumenti finanziari ha
prodotto un aumento ulteriore della rischiosità complessiva degli
intermediari intaccandone la stabilità e l’equilibrio. Infatti, si pensi
alle opportunità offerte dagli strumenti derivati (come future, options,
swaps, ecc.) che, da un lato sono molto utili in quanto consentono agli
operatori di immunizzarsi dai rischi, mentre dall’altro possono
provocare dei veri e propri dissesti finanziari se non vengono utilizzati
con la necessaria consapevolezza. Tali opportunità, naturalmente,
vengono valutate sulla base di una disponibilità vastissima di
combinazioni rischio/rendimento che una banca può considerare per
perseguire i propri obiettivi, seguendo una linea di scelte strategiche
2
Bianchi B. “La valutazione del rischio nell’attività bancaria”. Mondo Bancario, Maggio-
Giugno 2000.
3
Le preferenze dei risparmiatori per forme di investimento più redditizie rispetto ai
semplici depositi bancari hanno portato ad un assottigliamento del margine di
intermediazione dell’intero sistema creditizio. Il combinarsi di tutti questi effetti ha così
indotto le istituzioni creditizie a ricorrere ad una diversificazione delle attività in grado di
generare reddito.
3
coerenti con il grado di propensione al rischio. Per riuscire a gestire
correttamente i rischi bisogna innanzitutto averne la conoscenza; essi
possono essere distinti in:
ξ rischi che possono essere eliminati dalla banca, o evitati.
L’istituto di credito includerà quei rischi che non sono “tipici”
dell’attività bancaria, ad esempio i rischi legali/normativi;
ξ rischi che possono essere eliminati o minimizzati tramite il
loro trasferimento. Il trasferimento può avvenire, ad esempio, per
mezzo della diversificazione di portafoglio o utilizzando
tecniche di copertura (hedging) con strumenti derivati, oppure
tramite trasferimento a terze economie (outsourcing).
ξ rischi che la banca vuole assumere e gestire. Si tratta
evidentemente dei rischi associati alle attività da cui la banca trae
profitto. I rischi in questione sono legati ai processi di
erogazione del credito alla clientela, alle posizioni assunte sui
mercati finanziari e alle inefficienze che si possono riscontrare
nelle unità operative
4
.
4
Borsari S. e Niolo G. “La gestione e la misurazione dei rischi finanziari”. Associazione
italiana per la Pianificazione ed il controllo di gestione in Banca, nelle istituzioni
finanziarie e nelle assicurazioni (APB). News n°1/1999.
4
E’ compito della direzione aziendale decidere quali rischi devono
essere gestiti e, quindi, monitorati attraverso procedure di gestione ad
hoc, e quali eliminati o comunque trasferiti al di fuori dell’azienda.
L’adozione di un sistema di Risk Management consente una maggiore
consapevolezza dei rischi assunti e comporta una gestione e un
monitoraggio con un elevato grado di sofisticazione riguardo la
misura di tali rischi.
Si ha tuttavia la sensazione che, anche nelle realtà aziendali dove vi è
consapevolezza dell’importanza di questo tema e dove vi è un forte
impegno per una gestione dei rischi, siano presenti lacune nel
coordinamento tra le funzioni operative, di riscontro contabile, di
misurazione del rischio
5
. Anche la normativa di vigilanza dispone che
le banche introducano dei sistemi di controllo interno che possano
garantire una corretta percezione dei rischi assunti e un loro efficace
monitoraggio
6
.
5
Bianchi B. op. cit. pag. 34.
6
Un documento di grande importanza (Internal Audit in Banks and the Supervisor’s
Relationship with Auditors) pubblicato nell’agosto 2001 dal Comitato di Basilea per la
Vigilanza Bancaria esorta le banche ad adottare dei sistemi di controllo interno che possano
migliorare il grado di consapevolezza ai rischi a cui sono soggetti gli intermediari creditizi.
5
1.2. Le principali configurazioni di rischio nelle
banche
1.2.1. Il rischio di credito
Nell’ultimo decennio, il processo di gestione del rischio di credito
delle banche ha subito una profonda trasformazione dal punto di vista
tecnico e organizzativo. Quando la struttura del portafoglio crediti era
tendenzialmente stabile e le pressioni concorrenziali meno elevate, le
valutazioni del merito creditizio degli affidati erano basate sulla
esperienza degli addetti ai fidi. L’intensificarsi della concorrenza e il
moltiplicarsi delle esposizioni di credito, verso nuove aree geografiche
e nuovi settori, hanno reso necessario il ricorso ad una analisi più
formalizzata del rischio di credito, affinando le tecniche di gestione e
monitoraggio, almeno per quelle banche che volevano aspirare ad una
posizione di leadership in certi mercati o segmenti di attività
7
.
E’ opportuno iniziare il discorso dando una definizione approssimata
di rischio di credito come “la possibilità che alcune delle controparti
affidate da un intermediario non siano in grado di ripagare in tutto o in
7
Una banca che faccia affidamento solo sui metodi tradizionali di misurazione e gestione
può risultare più esposta ai rischi di selezione avversa. In Cannata, Fabi, Laviola “Rating
interni e gestione del rischio di credito: la misurazione della probabilità di insolvenza.”
Bancaria n°4/2002.
6
parte i crediti ricevuti
8
”. Secondo tale impostazione, il rischio di
credito si manifesta mediante il verificarsi di un certo numero di
eventi di insolvenza all’interno del portafoglio delle controparti
affidate. Tale definizione è tuttavia incompleta per una piena
comprensione del fenomeno rischio di credito perché considera, a
livello di singola esposizione, un solo elemento: l’evento estremo di
insolvenza (cioè la Probability of Default, PD) . Si può evidenziare
come il rischio di credito non è confinato alla sola possibilità di
insolvenza di una controparte, ma anche il semplice deterioramento
del merito creditizio deve considerarsi un elemento del rischio di
credito
9
. Infatti, se una banca dovesse concedere un affidamento ad un
suo cliente, la valutazione del merito creditizio che viene fatta ex-ante,
considererà le condizioni economico/finanziarie e la solvibilità
dell’affidato. In tal caso, l’evoluzione di tali condizioni saranno state
adeguatamente stimate in sede di determinazione della probabilità di
insolvenza e giudicate compatibili con un puntuale pagamento dei
flussi di interessi e di rimborso del capitale. Se l’affidato, in futuro,
dovesse subire un deterioramento della propria situazione
patrimoniale a causa delle scarse prospettive del suo settore
8
Saita F. “Il Risk Management in banca”. EGEA, anno 2000.
9
Sironi A. “Misurare e gestire il rischio di credito: una guida metodologica.” A cura di
Andrea Resti, Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (FITD), febbraio 2001.
7
produttivo, allora il rischio si manifesterà ex-post poiché il
deterioramento patrimoniale subito dall’affidato non era stato previsto
dall’istituzione creditizia nella fase di concessione del prestito. In
questo senso, il concetto di rischio viene propriamente confinato alla
possibilità di eventi che, seppur stimabili, risultano inattesi
10
. A questo
punto possiamo definire più compiutamente il rischio di credito come
“il rischio che una variazione inattesa del merito creditizio di una
controparte nei confronti della quale esiste una esposizione generi una
corrispondente variazione inattesa del valore della posizione
creditoria
11
. Il rischio di credito quindi non si lega al solo fenomeno di
insolvenza (default risk), ma anche alla possibilità di “migrazione”
della controparte verso classi di merito creditizio con probabilità di
insolvenza superiore (migration risk)
12
.
Il concetto di rischio di credito si estende anche, come è riconosciuto
dalla stessa Banca d’Italia, all’insieme delle posizioni su strumenti
finanziari (come azioni, derivati, valute, ecc.). Questi strumenti hanno
delle caratteristiche peculiari perché comportano una doppia
prestazione: lo scambio di titoli contro denaro o lo scambio di valuta
contro altra valuta. Le parti assumono due posizioni: una creditoria e
10
Sironi A. op. cit. pag.10.
11
Ibidem.
12
Saita F. op. cit. pag.109.
8
una debitoria. Dal momento che esiste la possibilità che una delle
parti, alla scadenza del contratto, non adempia alla propria
prestazione, sorge un rischio che è assimilabile al rischio di credito
perché la parte che esegue per prima la propria prestazione non ha
nessuna certezza che la controparte sarà in grado di eseguirla
13
. Nei
mercati regolamentati sussiste solitamente un sistema di
compensazione multilaterale proprio per evitare che l’insolvenza di
uno o più operatori pregiudichi la stabilità dell’intero sistema dei
pagamenti.
Dal punto di vista della regolamentazione internazionale, l’approccio
seguito dal Comitato di Basilea
14
è stato quello di spingere
l’attenzione delle istituzioni creditizie a ricercare degli strumenti
tecnico/analitici adatti a una valutazione efficace del rischio di credito.
Accanto al nuovo approccio standard, il Comitato ha individuato un
modello basato sui rating interni che risalta maggiormente le
valutazioni interne fatte dalle banche rispetto alle agenzie
13
Il ruolo svolto dalle banche nel sistema dei pagamenti induce a enucleare una particolare
fattispecie di rischio di credito denominato “rischio di regolamento” o settlement risk, che
sorge in relazione ai tempi e alle modalità di regolamento delle negoziazioni in valori
mobiliari, divise e strumenti derivati. In Drago D. “Rischio d’interesse e gestione bancaria.
Modelli e tecniche a confronto”. Edibank, anno 1998.
14
Il Comitato di Basilea per la Vigilanza Bancaria svolge un ruolo importantissimo nel
coordinamento su scala internazionale della Vigilanza Bancaria attraverso l’emanazione di
una serie di leggi e disposizioni di controllo dei rischi e di pilastri funzionali e operativi a
cui devono attenersi le Autorità di Vigilanza nazionali. Tali Autorità, a loro volta, devono
far rispettare le disposizioni emanate al sistema delle banche e degli intermediari finanziari
assoggettate alle loro competenze.
9
specializzate nel rating
15
. Questo perché le banche hanno a
disposizione informazioni supplementari sulla propria clientela e ciò
consente una più accurata identificazione delle anomalie, come ad
esempio sull’andamento delle relazioni di affari o sulle linee di
credito.
Le proposte di regolamentazione emanate dal Comitato di Basilea,
sull’adozione dei rating interni come base per il calcolo dei requisiti
patrimoniali, confermano l’orientamento delle Autorità a valorizzare
la capacità delle banche di valutare i rischi e di predisporre adeguati
presidi organizzativi e patrimoniali
16
.
15
Per maggiori approfondimenti su questo tema si veda nei capitoli successivi.
16
Bianchi B. op. cit. pag.38.