6
Pertanto, fino alla metà degli anni Ottanta, il macrotesto letterario era
formato principalmente da tre microtesti, tre nuclei letterari che erano
per lo più quello della letteratura francese, tedesca e americana.
Nel suo celebre saggio Comparative Literature: A Critical
Introduction, Susan Bassnet afferma:
"Today, comparative literature in one sense is dead,"
2
intendendo che essa non ha più quel forte carattere europeo, e si è
estesa anche ad altri paesi un tempo considerati marginali.
Con la Bassnet conviene anche lo studioso Tötösy, il quale sostiene:
“Interestingly, while the traditional centres of the discipline -- the
ménage-à-trois of France, Germany, and the United States -- are at best
able to maintain a status quo of the discipline, in China (Mainland),
Taiwan, Japan, Brazil, Argentina, Mexico, Spain, Portugal, Italy,
Greece, etc, the discipline is emerging and developing strongly.”
3
Il macrotesto letterario si è quindi lentamente evoluto, inglobando
anche letterature di paesi non europei o americani, ed aprendo di
conseguenza nuovi orizzonti per le letterature comparate.
In questo contesto, appare pertanto interessante un confronto che
coinvolga anche letterature altre, come quello che stiamo per trattare
in questa sede.
2
Bassnet, Susan, Comparative Literature: A Critical Introduction, New York, 1993, p. 47
3
Tötösy, Steven, Comparative literature: Theory, Method and Application, in “Textxet: Studies in
Comparative Literature”, Amsterdam and Atalanta
7
Con la consapevolezza di quanto sia ardua una comparazione tra testi
di letterature geograficamente lontane, come quella inglese e quella
giapponese, scopo di questa tesi è un confronto tra due grandi autori
contemporanei, due scrittori di fama internazionale che sono stati in
più occasioni messi a confronto, ovvero Samuel Beckett e Kōbō Abe.
Samuel Beckett (1906- 1989) è uno scrittore irlandese
4
il cui nome è
legato per lo più alla tragicommedia Aspettando Godot, indicata da
Esslin come una delle opere più rappresentative del cosiddetto “Teatro
dell’ Assurdo”.
Kōbō Abe (1924- 1993), romanziere e drammaturgo giapponese noto
soprattutto per la versione cinematografica del suo romanzo La donna
di sabbia, è un autore d’avanguardia, ula cui arte è difficilmente
riconducibile alle principali tendenze della letteratura giapponese.
I due scrittori sono stati spesso accostati dalla critica in quanto, oltre
ad essere contemporanei, annoverano della loro carriera varie
esperienze comuni, come quella della regia delle proprie opere e
l’interazione con la tecnologia di radio, televisione e cinema; inoltre,
non si può non riscontrare una notevole similitudine delle le tematiche
trattate sia nella fiction che nel teatro, concernenti soprattutto
4
Sebbene la terra natia di Beckett sia l’Irlanda, si è fatto riferimento a lui in quanto esponente della letteratura
inglese, in quanto, come sostiene Minako Okamuro, docente di letterature comparate della Toho Gakuhen di
Tōkyō, gli studiosi nipponici non percepiscono la differenza tra le due letterature nazionali, non ne hanno mai
rilevato le differenze.
8
l’alienazione dell’uomo nell’odierna società, il suo smarrimento, la
perdita di ogni fede.
E’ proprio su un approccio tematico che la critica ha basato il
paragone tra Abe e Beckett, sul modo in cui gli argomenti vengano
affrontati, sebbene con stili molto differenti; questo tipo di
comparazione ha portato alla conclusione che Abe, come Beckett, sia
un esponente del cosiddettoos “Teatro dell’Assurdo”, una costruzione
teorica dello studioso americano Martin Esslin, il quale riscontra in
vari drammaturghi avant- garde una comune tendenza ad esprimere il
proprio disagio nei confronti del mondo contemporaneo rimescolando
modi e formule letterarie tradizionali.
“Teatro dell’Assurdo” è solo una delle tante formulazioni teoriche
utilizzate per descrivere questo tipo di arte drammatica: a seconda dei
differenti punti di vista si è parlato anche di “Teatro della discordia”
5
,
“Teatro della crudeltà”, “Teatro dell’alienazione”, ma ognuna di esse
vuole comunque sottolineare l’esistenza di una frattura tra l’artista ed
il proprio mondo, un sorta di “divorce between man and his life.”
6
5
Mayberry, Bob, Theatre of Discord: Dissonance in Beckett, Albee and Pinter, United States, 1989
6
Camus, Albert, Le Mythe de Sisyphe, Paris, 1942, citato in Esslin, Martin, The Theatre of Absurd, London,
1966, p. 16
9
Ora, per quanto sia rischioso e forse esteticamente errato applicare una
denominazione occidentale ad un autore orientale, possiamo
comunque utilizzare l’etichetta essliniana come punto di partenza per
analizzare l’opera di Abe, soprattutto in una prospettiva
comparatistica come quella che s’ intende adottare.
D’ altro canto, quello di Teatro dell’Assurdo così come teorizzato da
Esslin non è un concetto estremamente rigido: non si tratta di una
scuola o di un vero e proprio movimento consapevole, e
“…can be seen as a reflection of what seem to be the attitude most
genuinely representative of our time.”
7
Per quanto concerne specificamente i rapporti tra i due autori, non ci
è dato di sapere molto: sicuramente essi non si conoscevano di
persona, e in generale Beckett non aveva grande conoscenza del teatro
giapponese, mentre Abe sicuramente aveva letto e apprezzato
Beckett, tanto da utilizzare Aspettando Godot come esercizio di
recitazione per i suoi attori.
7
Esslin, Martin, The Theatre of Absurd, London, 1966, p. 16
10
Certo, solo molto raramente Abe ha esplicitamente fatto riferimento a
Beckett e alle sue opere: ricordiamo ad esempio una celebre
intervista, in occasione dell’imminente produzione teatrale di Midori
iro no stokkingu (Le calze verdi, 1975), in cui Abe Kōbō afferma
“Una delle mie principali fonti d’ispirazione nello scrivere è Beckett,
ma sicuramente sono affascinato da molti altri come Carrol, Proust, e
Kafka.”
8
A proposito di Beckett, Abe prosegue:
“Non so dire con esattezza cosa mi colpisce della sua
scrittura…definirei il suo teatro come “dramma della non
comunicazione”, e amo il modo in cui esplora l’impossibilità di
comunicare e come egli da voce al silenzio.”
9
Questa è una delle rare occasioni in cui Abe nomina direttamente
Beckett, un autore che egli ammirava e a cui è stato più volte
paragonato; e il commento, ricorda vagamente quello che Beckett fece
a proposito dell’ amicizia in Proust, in cui dice
“the attempt to communicate where no communication is possible, is
merely a simian vulgarity, like the madness that holds a conversation
with the furniture.”
10
Al momento purtroppo non esiste una vera e propria dissertazione che
metta a confronto Abe e Beckett, fatta eccezione per quella di Currie,
Metaphors of Alienation: the Fiction of Abe Kōbō, Beckett and Kafka:
8
Abe, Kōbō, An Interview with Abe Kōbō, in “Contemporary Literature”, Vol. 15, Autumn 1974, citato in
Takano, Toshimi, Abe Kōbō Ron (Su Abe Kōbō), Tōkyō, 1979, p. 32, traduzione di Alessia Novara
9
ibidem, p. 36
10
in Chevigny, Bell Gale, ed. By, Twentieth century interpretations of Endgame, Englewood Cliffs, 1969, p. 6
11
l’autore in essa sostiene che la tecnica narrativa di Abe e Beckett è
molto simile, cioè parte da una singola metafora su cui si costruisce
tutta la storia, e afferma inoltre che il medesimo discorso è valido per
le opere teatrali. I testi critici a nostra disposizione sia in lingua
giapponese che in lingue occidentali non trattano una comparazione di
Abe e Beckett, mentre le opere monografiche sul teatro di Abe non
sono certo esaurienti.
In realtà Abe è conosciuto al di fuori dei confini nazionali più come
scrittore di romanzi che come drammaturgo, e questo è sicuramente
un grave limite per la nostra comprensione dell’autore, in quanto egli
è di fondamentale importanza per il teatro giapponese moderno.
In Giappone, lo sviluppo del teatro è stato più lento rispetto a quello di
altri generi, in quanto, come sottolinea Keene,
“The modern Japanese Theatre originated at the beginning of the 20
th
century, but its development was slow because of the competition both
from native form of drama, notably kabuki, and later from film. It has
only been since 1945 that it can be said to have achieved full maturity.
11
Il teatro di Abe, coi suoi forti elementi di novità, ha profondamente
rinnovato le forme drammatiche autoctone, mediante uno stile che non
può essere efinito diversamente che “Abe’s syle.”
12
11
Keene, Donald, introduction to Three plays by Kōbō Abe, translated by Donald Keene, Tōkyō, 1982, p. xiii
12
ibidem, p. x
12
La nostra comparazione sarà condotta in varie direzioni: ci
occuperemo prima dei testi drammatici, al fine di rilevare le tematiche
comuni e vedere in che modo vengono espresse; poi parleremo dei
“testi teatrali”, le rappresentazioni e quali sono le novità apportate alle
opere dalla regia degli stessi autori, e infine discorreremo dei drammi
scritti per la radio, le televisione ed il cinema, osservando come le
usuali tematiche vengano espresse attraverso mezzi differenti.
13
CAPITOLO I
DALL’EUROPA AL GIAPPONE:
LA FORTUNA DI ASPETTANDO GODOT
TRA IL 1953 ED IL 1960
Samuel Beckett è indubbiamente uno dei più noti e controversi
drammaturghi contemporanei; come non convenire con Rosemary
Pountney, la quale definisce la carriera di Beckett come scrittore di
teatro
“a career that would change the face of modern theatre far more
radically than the apostles of the kitchen sink.”
13
Il suo enorme successo, giunto soprattutto in seguito alla produzione
del suo capolavoro Aspettando Godot, è per certi versi sorprendente,
se consideriamo che Beckett non aveva avuto, fino a quel momento,
grande esperienza come uomo di teatro, essendosi dedicato per lo più
alla scrittura di romanzi.
Dopo aver terminato The Unnamable, egli comincia in qualche modo
ad incontrare difficoltà nella composizione di opere in prosa, le quali
erano di argomento tutt’ altro che dilettevole, e perciò egli decise di
abbandonare temporaneamente il romanzo per rivolgersi al teatro.
13
Pountney, Rosemary, Theatre of Shadows. Samuel Beckett’ s Drama 1956-1976, Great Britain,
1988, p. 1
14
1. WAITING FOR GODOT
L’opera viene originariamente scritta in francese col titolo di En
attendant Godot tra l’ ottobre del 1948 ed il gennaio del 49, nel mezzo
di una frenetica attività letteraria in cui l’autore produsse due
commedie, tre romanzi e varie storie brevi.
La situazione drammatica è molto semplice: due uomini, Estragon e
Vladimir, s’incontrano in prossimità di un albero privo di foglie per
aspettare qualcuno chiamato Godot, una persona che col suo arrivo
sarà in grado di salvarli. Nell’attesa s’imbattono in un signorotto
locale, Pozzo, e nel suo servo, Lucky, che egli tiene legato mediante
un cappio al collo: la loro presenza non apporta alcun beneficio
particolare ma rappresenta solo uno dei tanti espedienti per passare il
tempo, come sottolineano le parole dei protagonisti
VLADIMIR: That passed the time.
ESTRAGON: It would have passed anyway.
VLADIMIR: Yes, but not so rapidly.
14
Ben presto arriva un fanciullo il quale annuncia ai due vagabondi che
Godot, almeno per quel giorno, non sarebbe venuto. Si chiude così il
primo atto e inizia il secondo, che ripete per lo più gli eventi del primo
con qualche leggera modifica: l’albero adesso ha ben tre foglie, Pozzo
è cieco, Lucky è muto, e nessuno dei personaggi ha memoria di quello
14
Beckett, Samuel, Waiting for Godot, London, 1956, in The Complete Dramatic Works, London, 1996, p. 46
15
che, secondo quanto indica Beckett in una didascalia, dovrebbe essere
il giorno successivo. Tutto ciò concorre a dimostrare l’ulteriore
deterioramento di una realtà già degradata, e anche alla fine di questo
atto Godot non arriva e Gogo e Didi continuano ad aspettare.
Situazione drammatica abbiamo detto, e non trama: quando parliamo
di Godot bisogna fare a meno di usare categorie come “plot” o
“structure” in quanto non c’è trama nel senso usuale di inizio,
sviluppo, fine. Vladimir ed Estragon fanno del loro meglio per
inventare “una trama”, un’ attività per passare il tempo nell’attesa di
Godot, ma riescono solo a dar vita ad una sequenza di sconnessi
eventi che permettono al tempo di trascorrere più o meno lentamente.
Non c’è struttura, nel senso di azioni drammatiche che si susseguono
in modo logico, c’è solo una situazione, due uomini accanto ad un
albero.
Tale contesto situazionale deriva, secondo Fisher
15
, dalla
comprensione che Beckett ebbe del teatro e della sua vita: aspettare
che qualcuno arrivi o che qualcosa accada per cambiare il corso degli
eventi è il tema di molti drammi ben noti a Beckett, come ad esempio
At Hawk’ s Well di W.B. Yeats o Les Aveugles di Maeterlinck.
15
Fisher, James, introduction to “Fisher, J.; Roberts, J. L., ed. By, Beckett’ s Waiting for Godot and Other
Plays, London, 1983”
16
Solitamente alla fine sopraggiunge qualcuno o qualcosa a cambiare la
situazione, sebbene non si trattasse del personaggio che i protagonisti
pensavano o speravano che fosse. Ma Beckett, ben consapevole del
fatto che “all theatre is waiting,”
16
ha voluto preservare un particolare
tipo di tensione drammatica, basandosi su una perenne antitesi tra
l’incombere della noia ed il cercare di evitarla.
L’attesa è la vera protagonista dell’opera: inizialmente infatti, Beckett
aveva pensato di chiamare l’opera semplicemente En attendant al fine
di deviare l’attenzione del lettore-spettatore dal non-personaggio
Godot e di sottolineare l’attesa come unica attività possibile nel suo
mondo, un mondo in cui si sa già dall’inizio che, come dice Estragon,
“Nothing to be done.”
17
Il titolo reca con sé un enorme negatività. Se cerchiamo su un
qualsiasi dizionario il significato dalla parola “waiting”, troviamo “to
hold oneself ready for an arrival or an occurrence”, ma fino alla fine
né l’arrivo né alcun tipo di avvenimento si verificano, e se l’attesa
implica l’assenza dell’atteso, anch’essa è misteriosamente assente.
16
intervista a James Knowlson, 1974, in Knowlson , James, Damned to fame, London 1996
17
Beckett, Samuel, op. cit., p. 11
17
“Waiting as erasure”, dice dunque Calderwood
18
, in quanto l’attesa è
una non-attività auto-cancellante che nega le transitorie attività
implicate in un normale attendere.
Sebbene tali attività stanno innegabilmente avvenendo, sono
comunque parentetiche a ciò che stiamo realmente facendo cioè
aspettare.
Per quanto concerne la concezione visuale dell’ opera, secondo quanto
afferma lo stesso Beckett, deriverebbe da un dipinto di Caspar David
Friedrich, Zwei männer betrachten den Mond (Due uomini che
contemplano la luna), in cui due uomini vestiti di stracci e visti da
dietro contemplano una luna piena che appariva contornata,
incorniciata tra i rami di un largo, spoglio albero. In un’intervista a
James Knowlson del 1994, Ruby Cohn, studiosa di teatro Americano e
amica di Beckett, ha raccontato che quando era a Berlino con Samuel
per la messa in scena di Warfen auf Godot nel 1975, guardando quel
quadro durante una mostra di pittura sui Romantici tedeschi, Samuel
avrebbe detto:
“This was the source of Waiting for Godot, you know.”
19
18
Calderwood, James L., Ways of Waiting in “Waiting for Godot”, in Connor, Steven, ed. By,
Waiting For Godot and Endgame, London, 1992
19
In Knowlson , James, Damned to fame, London 1996
18
In ogni caso, Aspettando Godot è un’opera che ha avuto grande
fortuna dai tempi della première francese sino ai giorni nostri, come si
evince dal fatto che è stata tradotta in ben 23 lingue e portata sullo
stage di altrettanti paesi.
Comprendere e spiegare in modo succinto i motivi di tale successo è
pressoché impossibile, dato che la ricezione dell’opera letteraria o
teatrale in generale è troppo legata al contesto per poter generalizzare.
Certo, la storia insegna che l’accettazione di un’opera o meno da
parte dal pubblico dipende in gran parte dal pubblico stesso, e non
solo dalle sue aspettative e dalle sue esigenze, ma anche dal tipo di
società in cui vive.
Quando Beckett fa irruzione sulla scena letteraria parigina, la
situazione non era certo semplice, tanto meno per un inesperto
drammaturgo d’ avanguardia.
Il teatro del primo dopoguerra era fortemente legato agli schemi del
naturalismo e del melodramma; tale staticità, unita alla indisponibilità
a correre rischi dei direttori dei teatri, tendevano a frenare le
operazioni di rottura delle scritture drammatiche, e quindi inibivano
pur non frenando uno sviluppo che andasse controcorrente.
19
Beckett, romanziere più che quarantene che fino a quel mometo non
aveva avuto alcun tipo di rapporto col teatro, se non qualche sporadica
frequentazione come spettatore, fu meno inibito nel suo
sperimentalismo, più libero dalle convenzioni preesistenti.
Ovviamente, posto che Godot è rientrato a pieno nel cosiddetto
canone letterario anche di culture lontane fisicamente e mentalmente,
ci si sorprende e ci si domanda quale sia stato il segreto di tale
successo.
Tra i vari critici che hanno tentato di dare una spiegazione a questo
fenomeno, che ben presto si tramutò in una vera e propria Godot-
mania, ricordiamo Joanne Kleine,
20
la quale afferma che Godot riesce
a sostenere la lettura di molte culture grazie al simbolismo che
sottende alle immagini usate da Beckett: per quanto l’opera sia elusiva
o comunque allusiva, è inevitabile per qualunque tipo di pubblico,
sostiene la Klein, vedere in Estragon e Vladimir la metafora del
genere umano, che attende qualcosa che sopravvenga a cambiare gli
eventi della propria vita.
20
Klein, Joanne, Waiting for Godot, by Samuel Beckett, in “Theatre Journal”, vol. 51, no. 2 , may 1999
20
Esslin afferma invece che l’essenza dell’opera sono
“the feeling of uncertainty it produces and the ebb and the flow of this
uncertainty, that goes from the hope of the discovering of Godot’s
identity to its repeated disappointment”
21
Qualunque sia stato il segreto del successo di Godot, quanto interessa
in questa sede è che esso è stato ottenuto persino in Giappone, dove
l’opera è stata rappresentata per la prima volta nel 1960.
Esaminiamo dunque le principali produzioni di Aspettando Godot,
quelle che ne hanno fatto la storia e la fortuna, dal 1953, a cui risale la
première francese, al ’60, anno in cui l’opera compare sulla scena
giapponese col titolo Godot wo machinagara , grazie alla traduzione
del 1957 da parte del famoso attore e produttore Takahashi Yasunari
e di Shinya Ando.
21
Esslin, Martin, The Theatre of Absurd, New York, 1961