2
E a differenza di altri settori lavorativi pubblici, ma anche privati,
possono essere considerati tecnici anche gli addetti dei gradi inferiori,
gran parte dei quali avevano e hanno una qualche specializzazione
necessaria al movimento dei convogli.
Il dovere di svolgere il servizio di trasporto merci e passeggeri, e la
necessità di costante manutenzione e riparazione dei binari e del
materiale rotabile portarono fin da metà ottocento a realizzare
complesse organizzazioni tecniche, con numerosi quadri responsabili
delle varie unità operative.
La grande dimensione delle Compagnie rese, infatti, indispensabile
studiare e applicare metodi gestionali nuovi: gli uomini che si
dedicarono a questa attività organizzativa costituirono i primi
amministratori aziendali moderni, mentre le strutture messe in opera
rappresentarono nel loro insieme il prototipo degli apparati burocratici
privati, che tanto sviluppo hanno avuto nel XX secolo.
Le Compagnie ferroviarie concentrarono fin dal principio masse
notevoli di lavoratori nelle officine di riparazione del materiale
rotabile nonché nei depositi locomotive e nelle principali stazioni.
3
La burocrazia nelle strade ferrate era formata da una piramide con
una base molto larga e un vertice assai ristretto costituito da ingegneri,
mentre diversi tecnici operavano a livelli intermedi.
In questa ampia e diversificata base, il settore operaio era simile a
quello dell’industria meccanica, mentre i ferrovieri addetti alla
circolazione dei treni costituivano una novità nel mondo del lavoro:
furono tra i primi dipendenti civili a vestire l’uniforme e vennero
inizialmente considerati come militari o poliziotti.
Nella seconda metà del XIX secolo la ferrovia risultava la più
articolata industria moderna, per il numero di impianti e per i vari
settori in cui era divisa al fine di consentire il movimento dei
convogli, prodotto di una lunga sequenza di operazioni integrate.
Il movimento stesso era disciplinato come un enorme meccanismo,
nel quale la regolarità era una garanzia indispensabile, e imponeva a
tutti i dipendenti di essere puntuali, di essere disponibili a prestare
servizio giorno e notte, e soprattutto di non commettere errori, poiché
– proprio a causa della forte integrazione del sistema – i
comportamenti di un solo ferroviere potevano condizionare il servizio
di tutta una linea.
4
Per tutelare l’ordine e la sicurezza fu, quindi, necessario prevedere
una severa disciplina professionale, che rendeva gli impiegati
ferroviari alla mercé dei dirigenti delle Compagnie e dei superiori
immediati, con una gerarchia di tipo militaresco, in base alla quale era
dovuta una completa ubbidienza.
Venne, pertanto, messa in opera una rigorosa razionalizzazione
delle competenze, fissando procedure schematiche e introducendo una
cospicua serie di moduli per trasmettere ordini e comunicare
disposizioni.
Un aspetto significativo del lavoro ferroviario era quindi legato alla
precisione che ha sempre distinto le normative sulla circolazione dei
treni, le quali si contrapponevano alla sostanziale libertà vigente sulle
strade ordinarie.
Tali norme, in seguito codificate in puntuali istruzioni per ogni
qualifica, sancivano molteplici obblighi per i ferrovieri, rendendo tutto
il sistema in teoria simile ad un congegno di precisione.
La registrazione dell’orario, ad esempio, era veramente rigorosa:
tutti i capi stazione avevano l’obbligo di scrivere nel “foglio di via”,
“di proprio pugno e ad inchiostro”, le ore precise di arrivo e di
partenza di ogni treno che dovevano corrispondere a quelle registrate
dai capi treno nel loro “foglio di corsa”.
5
Capi stazione, capi treno, macchinisti erano dotati di orologi da
tasca, la cui efficienza veniva tenuta costantemente sotto controllo e
protetta da eventuali manomissioni mediante la piombatura: il fatto
che un lavoratore prestasse la propria opera con l’orologio nel
taschino costituiva all’epoca una vera novità.
Se le normative tecniche prevedevano numerosi vincoli per i
ferrovieri, è però impossibile stabilire quante di queste venissero
realmente applicate, e quante fossero invece disattese.
I regolamenti ferroviari, infatti, divennero ben presto noti, per
essere troppo complicati.
Come dimostrò la specifica forma di sciopero detta
“ostruzionismo”, applicando il regolamento alla lettera era impossibile
far circolare i convogli secondo il programma, e si causavano enormi
ritardi, dovuti agli eccessivi controlli prescritti per la sicurezza, molti
dei quali venivano costantemente omessi dall’esercizio quotidiano.
In caso di incidenti, tuttavia, le Compagnie e la magistratura si
appellavano alle norme vigenti impartendo punizioni agli agenti
coinvolti.
La minuziosa regolamentarizzazione di ogni aspetto del servizio,
unita al fatto di trovarsi a lavorare in un settore atipico, per orari e
professionalità, rispetto alla società esterna, portò i ferrovieri a
6
sviluppare un forte spirito di corpo, mentre la caratteristica
imprenditoriale e industriale del comparto ferroviario fecero si che i
lavoratori della strada ferrata assimilassero una mentalità operaia e
non sentissero, a differenza degli impiegati della burocrazia
ministeriale, uno stretto legame con la funzione pubblica alla quale
erano preposti.
Tale peculiarità si rivelò di fondamentale importanza, quando
incominciarono a diffondersi sindacati e ideologie politiche, che
proprio per questa particolare forma mentis trovarono un forte
radicamento tra i ferrovieri.
Con le strade ferrate nacquero, anche, numerose parole ed
espressioni, necessarie per esprimere nuovi concetti, nuove pratiche,
nuove tecniche.
Alcune di queste parole, come locomotiva, treno binario, stazione
ecc., entrarono nel linguaggio corrente, ma la maggior parte di esse
rimase all’interno del mondo ferroviario, formando un gergo più
radicato e complesso di quello che caratterizzava altri comparti sia
dell’industria sia della pubblica amministrazione, un gergo che solo i
ferrovieri utilizzavano e capivano per descrivere le varie operazioni
legate al traffico dei convogli.
7
Anche questa forma specifica di linguaggio contribuì a legare un
settore frammentato, suddiviso in categorie e mansioni, pieno di
contrasti, ma pur sempre tenuto insieme da sottili ma tenaci fili di una
comune appartenenza all’interno di quell’universo ferroviario che era
quasi una sorta di società parallela con i suoi meccanismi, le sue
regole, i suoi luoghi.
In ferrovia il servizio andava avanti a ciclo continuo: non vi era – e
non vi è – né giorno né notte, né domeniche né Natale, e l’orario
irregolare rendeva i lavoratori favorevoli a sviluppare legami con i
colleghi, piuttosto che con i concittadini.
Molto era sentita la convinzione di svolgere un ruolo importate: il
treno, infatti, simboleggiava il progresso meglio di qualsiasi altra
macchina e le rotaie lucenti e interminabili erano come arterie ove
circolava il sangue del paese.
Sulle attitudini mentali dei ferrovieri è interessante leggere quanto
scriveva Giuseppe Cimbali nel Primo trattato completo di diritto
amministrativo italiano: “Consapevole di essere organo del moto
centrale e miracoloso della vita moderna, il personale ferroviario si
reputa al di sopra di tutti e reputa di aver diritto ad ogni sorta di
tolleranza e ad ogni sorta di privilegi.
8
Partecipe della violenza… che si sprigiona dalle macchine a vapore
e dalle dinamo elettriche, è insofferente ad ogni tipo di giogo e ad ogni
disciplina.
Uso a corse, che sono vertigini, mostrarsi di una sensibilità suprema
e sdegna del metro comune…
Dirsi ferroviere è ripetere l’antico e il non vanamente orgoglioso
civis romanus sum.
Trattasi di una potenza, che è nuova alla storia e davanti alla quale
chiunque, non escluso lo Stato, deve abbassare le armi e capitolare”
Ma la caratteristica che più distingueva il servizio delle strade
ferrate era la grande responsabilità del personale, sempre rimarcata dai
ferrovieri per richiedere che lo stipendio compensasse il rischio penale
e civile connesso alla funzione.
Dal macchinista che trasportava nei vagoni rimorchiati centinaia di
persone, al deviatore degli scambi, al guardiano nei passaggi a livello,
al cantoniere addetto al controllo dei binari, per tutti il corretto
svolgersi del proprio lavoro dipendeva l’incolumità di tante vite
umane.
9
La responsabilità del ferroviere era – ed è – eccezionale e
richiedeva una costante collaborazione tra gli agenti dei vari settori,
per evitare quei disastri ferroviari che, tanto preoccupavano l’opinione
pubblica e che spesso colpivano in prima persona i lavoratori.
La pericolosità del mestiere era del resto rilevabile dall’alto numero
d’infortuni e malattie professionali che si verificavano tra i ferrovieri.
Il forte rischio d’invalidità, insieme al fatto che la professionalità
specifica non consentiva di svolgere altri impieghi una volta terminato
il servizio ferroviario, per il quale erano richiesti elementi sempre
giovani e in salute, resero necessario istituire forme di previdenza, a
tutela della salute e della vecchiaia.
Avviata nelle strade ferrate dello stato in Piemonte, la previdenza fu
poi estesa ad altre Compagnie e prevedeva una pensione al
compimento di un’età variabile secondo la qualifica, intorno ai 50
anni per i macchinisti e fuochisti, ai 60 per gli altri addetti ai treni, a
65 per gli impiegati.
Esistevano inoltre le casse soccorso, che erogavano indennità in
caso di malattia.
10
Per tutti i lavoratori delle strade ferrate vi era una buona possibilità
di graduale ascesa gerarchica, almeno fino a livelli intermedi, poiché il
sistema di avanzamento risultava basato sull’anzianità e le aziende
erano di grandissime dimensioni con un notevole ricambio, dovuto al
fatto che molti perdevano l’idoneità fisica ed erano quindi destinati a
mansioni meno gravose: gli accenditori di caldaie potevano terminare
la loro carriera da macchinisti, i frenatori da capo treno, i manovali da
titolare di fermata o addirittura da capo stazione, per il quale però
esisteva anche l’accesso dall’esterno.
Inoltre, lo stato giuridico dei ferrovieri era basato sul ruolo aperto
fin dal periodo delle Compagnie.
La progressione economica non era legata soltanto alla crescita
gerarchica, ma anche con l’anzianità di grado si conseguivano
significativi aumenti di stipendio.
Una posizione particolare era, poi, riservata ai laureati, che
entravano in ferrovia tramite concorsi esterni direttamente inseriti nei
gradi più alti.
Il contributo che questa ricerca si è proposto di far emergere, non
vuole avere, per limiti soggettivi, pretese di scientificità, quanto
piuttosto di testimonianza di una categoria per tanti versi ancora oggi
11
importante e purtroppo, ancora oggi, non sufficientemente valorizzata
e apprezzata nel suo impegno quotidiano.
Lo sforzo è stato quello di cogliere dall’interno, attraverso la
consultazione e lo studio della non abbondante documentazione, gli
aspetti ed i momenti più significativi del travagliato processo di presa
di coscienza di classe della categoria.
Non sono anni esaltanti di grandi conquiste per i ferrovieri, ma sono
gli anni in cui progressivamente l’idea dell’organizzazione unitaria
diventa predominante, anche se su di essa si determinano, forse troppe
attese miracolistiche per la soluzione di difficili problemi della
categoria.
La storia delle organizzazioni ferroviarie è rimasta a lungo
sconosciuta; dei ferrovieri s’é spesso fatto cenno nelle storie del
movimento operaio solo a partire dal 1902 (anno dello sciopero
generale).
Su tutte le vicende degli anni precedenti la documentazione appare
scarsa e incompleta.
La svolta si ebbe nel 1957, quando uscì l’opera del Guerrini,
Organizzazioni e lotte dei ferrovieri italiani, qui ripetutamente citata
che fornisce una mole notevole di fatti e di giudizi tale da rischiarare
tutta la materia.
12
Conosciuta e citata anche dal Finzi, che con il suo Alle origini del
movimento sindacale offre una critica ragionata sulle organizzazioni
ferroviarie di resistenza, oltre ad una considerevole citazione di
particolari sul servizio e sul mondo ferroviario.
Interessante e appassionato il volume del De Lorenzo, La prima
organizzazione di classe dei ferrovieri, come pure il testo di Stefano
Maggi, Dalla città allo stato nazionale che offre uno spaccato delle
evoluzioni del movimento dei ferrovieri attraverso la sua città: Siena;
mentre Il tormento di un’idea. Vita e opera di Cesare Pozzo, sempre
dello stesso Maggi, s’inserisce nella bibliografia sui ferrovieri come
opera illuminante sul pensiero di un personaggio molto importante,
forse il più importante, per la presa di coscienza e la crescita di tutta la
categoria.
13
Capitolo I
IMPATTO SOCIO – ECONOMICO
DELLA STRADA FERRATA
1. Il treno e il progresso.
Le nuove esigenze determinate e scaturite dalla rivoluzione
industriale
e il conseguente urbanesimo,
1
che si manifestò soprattutto
nella seconda metà del secolo XIX, resero necessario lo sviluppo di un
sistema di comunicazioni e di trasporti veloci e sicuri tra le diverse
località di un paese.
L'uso di un motore a vapore
2
mediante locomotiva su rotaie, in
luogo di un traino a cavallo nella migliore delle ipotesi, permise di
realizzare collegamenti adeguati alle nuove e incalzanti necessità.
Il treno, dunque, fu senza dubbio il mezzo di locomozione che più
sconvolse il tradizionale modo di vita e la mentalità collettiva, con un
impatto sociale senza precedenti che influenzò inevitabilmente il
secolo successivo.
1
Il progredire dell'industria (da piccole manifatture con pochi artigiani, a grandi stabilimenti dove
affluiscono migliaia di salariati: le fabbriche) e il concentrarsi nello stesso luogo delle fabbriche
e degli operai rendono necessario un numero sempre maggiore di edifici pubblici e alloggi. Tutto
ciò favorisce lo sviluppo delle città. Phyllis Deane. La prima rivoluzione industriale, il Mulino,
Bologna, 1990., pp. 317 – 335.
2
La prima macchina a vapore fu inventata dall'inglese Watt, 1769.
14
Facilitando il movimento delle persone e delle merci, contribuì
gradualmente a rinsaldare la vita nazionale e l'attività dello Stato,
permettendo un reale controllo politico e militare del territorio, inoltre
accelerò la riduzione dei particolarismi locali e lo sviluppo dei centri
urbani toccati dalle nuove infrastrutture.
3
In un ambiente economico e sociale quasi immobile da secoli, come
poteva essere la prima metà dell'ottocento, il treno rappresentò una
novità tecnica senza precedenti, con la quale vennero in contatto una
moltitudine di persone contemporaneamente.
4
Il secolare e costante rapporto tra spazio e tempo venne
inesorabilmente alterato.
3
“La stazione ferroviaria costituiva qualcosa di completamente nuovo rispetto alle vecchie
stazioni della posta, che si trovavano nel centro cittadino ed erano totalmente integrate nella vita
urbana. Richiedendo ampi spazi per le infrastrutture e non” … “la stazione del treno venne
normalmente realizzata all'esterno della cinta muraria e rimase a lungo una strana appendice,
fino a quando l'urbanizzazione non riuscì a inglobarla all'interno di un agglomerato più esteso.
La stazione divenne, quindi, una porta aperta verso il mondo, tramite la quale viaggiatori, merci
e idee partivano e arrivavano in città. Occorre ricordare che nel XIX secolo, il sistema ferroviario
era visto come un universo in continua espansione e si pensava che in breve tempo avrebbe
raggiunto ogni angolo della terra, sostituendo interamente o quasi i precedenti mezzi di trasporto.
A partire dagli anni trenta e quaranta dell'ottocento e in misura maggiore nella seconda metà del
secolo, le principali città europee subirono una svolta urbanistica, determinata dalla costruzione
delle stazioni di testa, quelle cioè, in cui i binari terminavano in prossimità dell'abitato: fu
dunque la stazione ferroviaria a determinare lo sfondamento dello spazio chiuso cittadino.” S.
Maggi. Dalla città allo stato nazionale ferrovie e modernizzazione a Siena tra Risorgimento e
Fascismo, Milano, A. Giuffrè Editore, 1994, pp. 37 – 38.
4
Al suo primo apparire, la locomotiva a vapore fu in genere guardata con emozione e considerata
come un vero e proprio cavallo di ferro: camminava da sola, ingoiava carbone, ruggiva, fischiava
ansimava, sputava fumo… S. Maggi, op. cit., p. 5.
15
Le distanze geografiche, che, per secoli, si erano misurate in miglia
o chilometri, venivano adesso considerate in ore, minuti, perciò si rese
necessaria l'unificazione dell'orario tra le diverse città, che, fino a quel
momento, rimettevano gli orologi in base al mezzogiorno solare, con
notevoli differenze d'orario tra loro.
Ed ecco che, nell'immaginario collettivo, il treno venne
rappresentato, immaginato, come un grande meccanismo di
precisione, e i ferrovieri, come i precursori di un nuovo modo di
lavorare razionale, legato a regolamenti, ed orari, e non più al sorgere
e al calar del sole, insomma come portatori di una nuova mentalità che
a fine secolo XIX li fece divenire i diffusori delle idee classiste, i
trascinatori della massa proletaria.
Non a caso, la storia delle lotte sindacali dei ferrovieri italiani e
soprattutto, le varie fasi di formazione e sviluppo della loro
organizzazione di classe, è parte integrante e rilevante di tutta la storia
del movimento operaio del nostro paese.
5
5
Libertario Guerrini. Organizzazione e lotte dei ferrovieri italiani, vol. 1, (1862-1907), Firenze, S.
F. I., 1957, prefazione di G. Di Vittorio, pp. V- VI –VII.