V
all’isolamento dell’individuo, ha reso la morte ancora più dura considerandola una
faccenda che riguarda solo la persona strettamente colpita.
Rainer Marie Rilke nei “Quaderni di Malte Lourids Brigge” esprime lo squallido
senso del morire e la perdita di quella che si dice morte personale.
Mentre in passato la morte era un avvenimento pubblico, in cui tutta la comunità
partecipava al lutto e la morte si esorcizzava collettivamente vivendo il rito funebre
come un fatto sociale, ora con l’urbanizzazione sono stati cancellati molti legami tra i
quali quello morte-società, sostituito da individuo-famiglia; dove l’unica collettività
è il nucleo familiare. Tra le mura dei palazzi nelle città, la gente muore
anonimamente e privatamente, la morte arriva col suo solito fare rapido e silenzioso,
con la differenza che ora è reso ancor più silenzioso; senza alcun rito e a volte senza
neanche il suono delle campane. Sembra che oramai anche la morte rispetti le
moderne leggi sulla privacy e che il dolore e il lutto siano ritenuti obsoleti.
Per questo e per altri motivi di profondo interesse verso la morte e i riti che ne
conseguono che ho deciso di occuparmi di questo argomento così insolito per una
tesi di laurea. I gesti tramandati da un passato così remoto da non ricordarne più il
significato ma oramai compiuti in modo assai meccanico, oppure persi nell’oblio,
spero che rivivano, scusate il termine improprio, nel mio lavoro di ricerca e che la
morte riacquisti tutta la sua maestà persa col tempo che le si addice.
I riti funebri della Sardegna come quelli della popolazione eschimese hanno tutti una
base di isterico timore della morte e del morire. Compito del mio lavoro sarà quello
di esaminare due culture tanto lontane ma che nella preoccupazione di rendere
inoffensivo il morto si avvicinano non poco.
Parlerò della paura della morte, della preparazione del morto e della sepoltura per poi
concludere con il periodo di lutto all’interno delle due comunità.
1
Introduzione al capitolo I:
La sepoltura dei defunti è una pratica rituale attestata fin dai primordi della civiltà
sarda. Già nel Neolitico antico (6000-4000 a.C.), nell’isola si praticava la sepoltura
in grotte naturali, con i corpi inumati in nicchie o fosse naturali. I rinvenimenti
mostrano resti scheletrici deposti in posizione rannicchiata, con accanto oggetti di
corredo come utensili, vasellame, armi, ecc. Per alcuni studiosi come Reichel-
Dolmatoff “casa”e “grembo” sono corrispondenti a tomba e ciò spiega la posizione
fetale dei corpi, spiegando quindi, come la posizione rannicchiata richiamerebbe la
simbologia dell’utero materno. Gli oggetti d’uso comune ritrovati fanno pensare a
come si pensasse ad una rinascita nell’aldilà.
Il rannicchiamento del morto si interpreta, anche, come una sorta di “legatura”, atta a
rendere inoffensivo il cadavere, che lasciato in una posizione più libera potrebbe
ritornare fra i vivi; in questo caso, anche gli oggetti di corredo appartenuti al defunto
potrebbero immaginarsi come elementi “contaminati” da seppellire insieme al
proprietario.
L’ideologia della morte intesa come rinascita si afferma comunque con maggior
certezza durante il Neolitico medio e recente (fino a 2700 anni fa). Nelle domus de
Janas, grotte artificiali scavate nella roccia, i defunti sono inumati in ambienti che
riproducono gli interni di abitazioni, con tanto di porta di ingresso, corridoi, stanze
comunicanti. Le volte in pietra di queste grotte riproducono spesso le travature di un
tetto in legno, come dovevano essere le capanne dell’epoca. I corredi rinvenuti nelle
domus, l’accuratezza delle sepolture, le decorazioni pittoriche e scultoree che
adornano queste tombe in pietra, fanno pensare ad un vero culto degli antenati, che
dall’aldilà continuano ad interagire col mondo dei vivi, nel bene e nel male. Il
pesante portello in pietra collocato a chiusura delle tombe, non esclude la paura di un
ritorno negativo dei defunti sulla terra, ma su tale ideologia negativa domina senza
dubbio una visione positiva, in cui al culto dei defunti si associa quello della
fecondità-fertilità, attestato dalle statuine femminili (dee madri) poste a corredo dei
2
corpi inumati. La morte, attraverso la rinascita intesa come restituzione di ogni cosa
alla Terra Madre, rinnova continuamente il ciclo della vita, che si esprime sulla terra
con il regolare alternarsi delle stagioni e dei cicli astrali.
Durante l’Eneolitico, l’età del Bronzo e fino a tutta l’età del Ferro (dal 2700 a.C. al
900 a.C.), si sviluppa in Sardegna la civiltà di Nuraghi, cosiddetta dalle
caratteristiche torri megalitiche costruite con scopi difensivi ed abitativi. Le tombe di
questo periodo sono perlopiù ad inumazione collettiva, con minore attenzione per la
collocazione dei singoli corpi. I morti vengono seppelliti riutilizzando le vecchie
domus de Janas, o in sepolture tipiche di questo periodo, le cosiddette tombe dei
giganti. Derivate dai più antichi circoli tombali e dalle tombe a corridoio, peraltro
comuni ad altre civiltà non isolane, le sepolture nuragiche sono costruite con doppie
file di lastroni litici infilati “a coltello”nella terra nuda, e ricoperte da grosse piastre
in pietra lavorata, in modo da formare camere molto più lunghe che larghe. Questa
struttura di base era completata da lastroni di chiusura spesso finemente scolpiti, da
una pavimentazione più o meno raffinata, da uno spazio sacrale a semicerchio
davanti all’ingresso, ancora formato da lastre di pietra infisse nel terreno. Il corridoio
veniva poi coperto di terra, mentre a vista restava la porta e l’esedra sacrale la cui
forma richiamava le corna di un toro, simbolo che già appariva nelle domus
neolitiche. La simbologia taurina ha fatto pensare ad una coppia divina Terra Madre-
dio Toro, ancora connessa con il culto dei defunti, in continuità con la precedente
ideologia culturale della fecondità-fertilità. Dio del cielo e delle acque meteoriche (il
muggito come il tuono), il Toro feconda la Terra Madre; essa genera la vita ma ha il
potere di riprendersela o di nasconderla. Il bene più sacro sono le acque sorgive è
infatti il più originale aspetto religioso della civiltà nuragica, come testimoniano i
bellissimi pozzi sacri dell’età del Bronzo e del Ferro, culto che non può pensarsi
dissociato con gli ideali dell’aldilà sotterraneo da cui proviene e in cui ritorna la vita.
Secondo alcune interpretazioni la simbologia della tomba di gigante richiama ancora
il ventre materno e l’utero. Una più complessa teoria, vede nella forma delle tombe
una nave rovesciata in perenne viaggio verso l’aldilà, ideale religioso presente
nell’oggettistica di questo periodo (navicelle di bronzo).
3
Le ideologie che sottendono al ciclo morte-rinascita, così come la credenza in un
ritorno-occasionale o ciclico- dei defunti sulla Terra, possono dirsi universali,
interessando culture d’ogni tempo e d’ogni parte del mondo. Le dee Madri, sempre
connesse con i culti dei defunti, e della fecondità- fertilità, passando dalle civiltà
primitive dell’Asia minore alla Grecia e poi a Roma, non abbandoneranno mai le
religioni del mondo antico. Le forme antiche di sepoltura e i rituali connessi, si
ripeteranno con poche variabili fino ai giorni nostri. Le forme più arcaiche dei culti
funebri e della maternità, inoltre, sembrano ripetersi nei tratti essenziali anche in
culture isolate, venute a contatto solo in tempi recenti con le civiltà del mondo
antico. Amplierò tale concetto quando illustrerò le pratiche funerarie degli
Eschimesi, cultura presa in esame nel presente lavoro.
4
1.1 La fantasia del popolo e la paura della morte:
la cultura popolare della Sardegna, come molte altre culture, vive tutto il raggelante
terrore dei morti. (A.Mulas)
Si ha paura dei morti più che della morte. Coloro con i quali in vita si condivisero
gioie e dolori, in morte diventano figure di terrore che affollano l’immaginario
collettivo con miti e fantasie; appartenenti oramai ad un mondo non più dei vivi ma
in un limite, che i vivi, hanno paura di raggiungere e varcare: l’ignoto.
Si teme la presenza dei morti soprattutto nei sogni e nelle ore notturne, essendo
un’espressione, entrambi, della continuità con la morte.
1.1.1 I sogni premonitori:
Era pratica comune, prima di andare a letto, inumidirsi le dita nell’acquasanta, posta
al capo del letto e recitare preghiere cantilenanti per difendersi dai morti.
“ Su lettu meu este de batto cantones/battoro anghelos si bi ponene/duos in pese e
duos in cabitta/nostra signora accostazu m’ista e mi nara dormi e riposa/no eppas
paura de mala cosa/ no eppas paura de malu fine/s’anghelu serafine/s’anghelu
biancu /s’Ipiritu Santu/sa Vergine Maria mi fettan compagnia/(il mio letto è fatto di
quattro cantoni/ci si mettono quattro angeli/ due ai piedi e due nella testata/nostra
Signora sta al mio fianco e mi dice dormi e riposa/ no aver paura di cose cattive/ non
aver paura di cattiva fine/l’angelo Serafino/l’angelo bianco/ lo Spirito Santo/la
Vergine Maria mi facciano compagnia). (intervista a G.C. di anni 70, casalinga)
Oppure si recitava così: “Mi che cosco in d’una sepoltura, de minde pesare no so
sigura/ no so sigura de minde pesare, tre cosas appo de domandare:”cufessione,
cominione e ozzu santu. (Mi corico in una sepoltura, di alzarmi non sono sicura, non
son sicura di alzarmi, tre cose ho da domandare: confessione, comunione e olio
santo).
I sogni e i segni premonitori sono numerosi; frutto di fantasie popolari enormemente
sviluppate.
5
Vedere in sogno dei morti era cattivo presagio. Era diffusa, e lo è ancora oggi, l’idea
che il morto fosse dotato di particolare forza malefica. In Barbagia se qualcuno nel
dormire era tormentato da un brutto sogno, si diceva che lo avevano arriadu sos
mortos, cioè gli si erano caricati addosso i morti, opprimendolo e togliendogli il
respiro. “Si usa dire che una qualunque lividura o macchia che sul destarsi uno la
mattina si trovi sul corpo, è dovuta alla morsicatura di un morto”.(Lanternari 1984:
pg. 110).
“Era convinzione che sos mortos in su sonnu cheren sempre timidos ( i morti in
sogno devono essere sempre temuti), sia quando ripetevano per due volte che tizio
era morto, sia quando inviavano saluti a qualcuno, sia quando convincevano colui
che sognava a recarsi da qualche parte in loro compagnia o quando avevano la
meglio nella lotta con persone non decedute. Anche l’accettare in sogno un dono da
amici, parenti o conoscenti vivi, era segno di morte, est sinnale ‘e morte(….) Il
sognare un individuo che, a distanza di otto-dieci giorni dalla morte, passeggiava in
sa carrela (nella strada), indicava la morte di uno del vicinato.(….). (Satta 1982;
pp.265-266)
I morti si servono delle apparizioni oniriche come tramite per comunicare con i vivi:
per esprimere richieste, per indicare dove recuperare oggetti smarriti, per annunciare
la morte di qualcuno.
Sognare una persona morta, può voler dire che ha bisogno di preghiere o di qualche
oggetto che è stato dimenticato durante la preparazione della sua salma. Subito si
provvederà a dire qualche messa o preghiera in suffragio o si infilerà nella bara di un
altro defunto, l’oggetto, che verrà consegnato all’anima del richiedente.
Secondo una credenza universale, Sardegna come altrove perdere un dente in sogno,
è pronostico di morte. “Più sarà dolorosa l’estrazione del dente, più sarà caro il
parente che morirà”(Liperi-Tolu 1913;pg.164).
Mameli (1965) riferisce che vedere in sogno una tavola imbandita, col pane sopra,
significava la morte di un familiare; sognare fichi neri era segno di lutto prossimo per
un parente. Il pane dimenticato sul tavolo presagiva morte imminente.
6
Per scongiurare l’apparizione del morto in sogno o evitare che si lamenti per non
aver ricevuto l’estremo saluto è necessario toccare il morto o la bara prima che venga
chiusa.
1.1.2 Segni premonitori tratti dalla vita quotidiana:
numerosi sono i “segni naturali”adottati dalle comunità sarde come presagi
provenienti dall’aldilà. Si rivestono di mistero soprattutto gli animali con i loro
comportamenti, si pensa riescano, a percepire la presenza di figure tenebrose.
Alziator (1957) scrive che il rodere dei tarli era detto s’arrelloggiu de sa morti
(l’orologio della morte), e che essi, sentendo l’approssimarsi della morte rodano il
legno, per scandire il fatale trascorrere del tempo.
Si dice che il cavallo sia l’animale più sensibile alla presenza del diavolo e che si
rifiuti di passare nei pressi di strade dove è stato commesso un omicidio.
“I gatti si accorgono quando c’è un morto in casa, e vanno su e giù miagolando, per
piangerlo a modo loro”. (Deledda 1885;pg.147)
Il cane era considerato sa zitta ‘e s’anima (l’avviso dell’anima), in quanto si riteneva
avvertisse la presenza dei morti, comunicandola poi con i suoi ululati, burolos,.
(Satta 1982)
I volatili più temuti sono naturalmente quelli notturni: la civetta o s’istria (strega) e
il gufo, su cuccumiau. Il loro canto è presagio di morte. Quando un gufo o una strige,
volando sopra un tetto emettono il loro verso, annunciano il sopraggiungere del
trapasso per un malato o per un componente della famiglia che abita la casa. (cr
Deledda 1895). Questa credenza è comune a tutta la Sardegna.
Mazzone(1995) riportava che il canto del gallo in un’ora insolita, ad esempio a sa
sette de sero (alle sette di sera) indicava il furto del bestiame o qualcosa di terribile.
Se il verso della gallina (Valla 1892; pg.24) è simile a quello del gallo, è segno di
imminente sventura e perciò si uccide subito per evitare eventuali disgrazie. Secondo
Deledda (1895), il gallo si doveva uccidere al raggiungimento del settimo anno di
7
età, evitando che deponesse un uovo e lo covasse dando vita ad un demonio. La base
di queste due ultime credenze era dovuta al sovvertimento del pericolo dei ruoli
maschile-femminile (gallo-gallina). Se le galline di un pollaio strepitavano, per
spavento durante la notte, e al mattino se ne ritrovava qualcuna morta, si credeva che
le anime avessero preferito uccidere l’animale piuttosto che le persone per quella
notte.
Elemento di mistero per eccellenza era il cielo e anche ai corpi celesti o ai fenomeni
atmosferici veniva attribuito un elemento premonitore Annota Spano(1852; pg. 46)
“Sa luna est affacca ad s’isteddu, nomine que bocchint, o cosa que succedit” (la luna
è vicina alla stella, uomo ammazzano o disgrazia succede). Riporta
Cabiddu(1965;pg. 198) che, nel meridione dell’isola, vedere due stelle vicine era
presagio di morte. Deledda(1895) scrive che una stella vicinissima alla luna è
l’annunzio di un eccidio o di una pubblica calamità e che le comete e l’eclissi sono
ritenute di malaugurio, addirittura annunciano l’ira di Dio o il vicino finimondo. I
lampi e i tuoni , gli ultimi temuti più dei primi, sono ugualmente espressione dell’ira
di Dio. Il chiarore giallastro delle notti di luna annuvolate è interpretato come il sole
dei morti.
1.1.3 Espressioni del defunto:
per facilitare il sonno al defunto era necessario chiudergli gli occhi facendo
attenzione che non rimanessero socchiusi perché questo veniva interpretato come un
presagio di morte per chi andava a rendergli omaggio. Nel mio paese Ploaghe, zona
Logudoro, si dice che se un morto ha un occhio socchiuso “si che trazzaìada
calicunu”(trascinava con sé qualcuno).