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di riflessione inattesi, che hanno reso le mie ricerche sempre più stimolanti,
mostrandomi quanto questo sport, all’apparenza di nicchia e poco conosciuto, si
possa considerare, senza dubbio, dotato di potenzialità inaspettate.
Questo lavoro nasce e si sviluppa come un incontro di volley e ogni capitolo ne
rappresenta un set. Come in ogni gara si studiano tutti i suoi aspetti tattici, si
allena la tecnica e si ricerca la giusta concentrazione, in queste pagine si
analizzano le varie componenti di cui è composta la comunicazione sportiva,
esaminate come parti di un organismo unico, non avulse l’una dall’altra, nella
considerazione di base che prima di tutto, la comunicazione è un processo, in
cui tutti gli aspetti si devono armonizzare, se si vuole raggiungere la meta.
Durante il lungo periodo dedicato alla ricerca di testi dall’argomento sportivo,
ho potuto constatare che oggi è ancora molto esiguo il numero di coloro che si
dedicano all’approfondimento di temi attinenti allo spettacolo o alla pratica di
questo sport: testi di riferimento si trovano difficilmente e, se ci sono, non sono
certamente dedicati in toto alla pallavolo, che compare solo in paragrafi
sporadici e occupa pochissime pagine. Naturalmente, come per ogni disciplina
sportiva, la maggior parte di questi testi è composta da manuali rivolti ai tecnici
che contengono vari metodi d’insegnamento dei fondamentali e di tattiche di
gioco, mentre pochi sono dedicati alla psicologia e alle dinamiche di gruppo e
sono ancor meno numerosi i documenti che riguardano il marketing sportivo,
perché, come si vedrà, è una disciplina nuova e in rapida evoluzione.
Mi sono affidata, allora, oltre a Internet, che si è rivelato uno strumento molto
prezioso, ai pensieri, alle esperienze e ai progetti di chi lavora in questo campo:
tecnici importanti, come Mauro Berruto (Piacenza, 21 novembre 2002),
Giampaolo Montali (Milano, 2 ottobre 2002), impegnati nel campionato
maschile e Luciano Pedullà (Novara, 1 marzo 2002), che ha dato la sua visione
del volley, con riferimento al femminile, giocatori del calibro di Andrea Giani
(Modena, 4 marzo 2003), responsabili di relazioni pubbliche, tra cui Filippo
Fontana (Piacenza, 21 novembre 2002), Giorgio Robuschi e Sara Seravalli per
Lega Volley Femminile (Bologna, 11 aprile 2003) o operatori di marketing dei
club, come Valerio Evola per Rio Marsì Palermo (Vercelli, 12 febbraio 2002) e
Alberto Gavazzi di Asystel (Milano, 2 ottobre 2002) e di società impegnate nel
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volley, tra cui Cristiano Carugati, consulente di Asystel (Milano, 2 ottobre
2002) e Davide Ghione, responsabile sponsorizzazioni di Adecco S.p.A.
(Milano, 24 maggio 2002), integrando le loro interviste con dati relativi a
ricerche di mercato, articoli su stampa generalista e reportage su riviste
specializzate.
Alcune delle interviste citate non compaiono in forma completa, ma sono state
inserite nel contesto solo come spunti di riflessione, per fornire diversi punti di
vista sull’argomento trattato.
L’intervista, in ogni caso, è stato il modo più utile ed efficace per mettere
insieme materiale e argomenti d’analisi, altrimenti irreperibili: tramite esempi
concreti di esperienze vissute all’interno di questo ambiente, mi sono potuta
rendere conto dei meccanismi che regolano l’attività in ogni suo aspetto.
La maggior parte delle riflessioni presenti nel volume si sviluppa, allora, in
modo induttivo, un metodo di lavoro che si è imposto da solo, data la qualità
delle informazioni in mio possesso: non ho potuto far altro che partire dal
particolare, dall’analisi di esperienze concrete, di esempi di lavoro svolto dai
vari operatori, per giungere a conclusioni generali. Questo modo di procedere
ha reso quest’attività di ricerca e analisi ancora più ricca e stimolante di una
semplice raccolta d’informazioni, perché mi ha fatto conoscere di persona come
si muovono gli “addetti ai lavori” e mi ha fatto entrare in un mondo che ho
sempre ammirato, offrendomi la possibilità di comprenderlo meglio.
L’argomento di studio, come si è detto, è l’applicazione alla pallavolo di tutti
gli aspetti salienti della comunicazione sportiva. L’unità di analisi è il gruppo
sportivo, che può essere considerato come la squadra, la società, o l’ente che
gravita nel movimento del volley. Per descrivere al meglio tutte le sue
sfaccettature, è stata operata una suddivisione di base, che ne separa la realtà
interna, dall’esistenza esterna e che ricalca anche la ripartizione dei capitoli, ad
eccezione del primo, che contiene un inquadramento teorico generale sui vari
aspetti della comunicazione e inizia a circoscrivere l’ambito di analisi,
specificando le caratteristiche più importanti del movimento della pallavolo.
Compaiono qui, infatti, oltre alle differenti accezioni e ai valori del termine
“comunicazione”, le prime notazioni sul pubblico, i suoi gusti, i numeri, gli enti
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e le organizzazioni coinvolte, temi sviluppati anche grazie agli interventi,
sintetizzati nel capitolo, di Luciano Pedullà e Mauro Berruto, due dei più validi
tecnici di serie A.
Nel secondo capitolo, invece, l’analisi si è spostata sulla comunicazione
interpersonale, tramite l’approfondimento di tematiche legate al concetto di
“gruppo”. Le riflessioni abbracciano le fasi più salienti della vita di questo
organismo, quindi la sua nascita, il suo assestamento, attraverso la descrizione
delle figure psicologiche che si formano, fino ad arrivare alla sua maturità, che
avviene con il consolidamento della fiducia, che cementa i rapporti
interpersonali dei suoi componenti. A vario titolo e per diversi spunti di
riflessione, in questa sede sono intervenuti allenatori del calibro di Mauro
Berruto e Giampaolo Montali, dall’anno prossimo alla guida della nazionale
italiana maschile, e un campione indiscusso del volley internazionale, come
Andrea Giani, che ha offerto il suo punto di vista sulle tematiche discusse nel
capitolo.
Il terzo capitolo coinvolge, invece, la realtà esterna dei gruppi sportivi, quindi
la sfera del marketing e della comunicazione pubblicitaria. Dopo aver definito
gli ambiti d’applicazione del co-marketing sportivo e ribadito l’importanza
delle sponsorizzazioni per la vita delle società, non solo di alti livelli, l’analisi
si divide in due filoni: la strategia verticale, che tende a creare un rapporto
diretto con la realtà locale, attraverso un efficace coinvolgimento dei giovani e
degli enti territoriali, e la comunicazione orizzontale, che si esplica tramite una
stretta collaborazione coi partner commerciali; le due strategie proposte
vengono descritte attraverso interviste e casi aziendali.
Per spiegare la comunicazione verticale sono intervenuti Alberto Gavazzi e
Cristiano Carugati per illustrare il lavoro di Asystel Milano e Mauro Berruto
insieme a Filippo Fontana, che hanno raccontato i progetti sui giovani della
Copra Ventaglio Piacenza; mentre, per la strategia orizzontale vengono
analizzati gli effetti sul pubblico della pallavolo della sponsorizzazione di LG
Electronics, grazie ai dati resi disponibili dalla società di ricerca Makno &
Consulting.
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Un’ultima parte del capitolo è riservata all’utilizzo del campione nella strategia
di marketing, per descrivere uno tra i mezzi più efficaci e attuali di
comunicazione sportiva. Il caso concreto che meglio esemplifica questo metodo
è il piano attuato da Lega Femminile Serie A, in collaborazione con Tally,
attraverso il progetto Testimonial Team, analizzato nella sua pianificazione e
nei risultati.
La copertura mediatica e il rapporto con gli organi d’informazione del
movimento pallavolo sono stati descritti nell’ultimo capitolo, in cui lo sport si
trasforma da gioco in spettacolo, perdendo la sua dimensione agonistica, per
prediligere quella dell’intrattenimento.
Necessario, inoltre, è stato prendere coscienza delle difficoltà del volley a
conquistarsi una visibilità adeguata sui media e cercare di frenare, anche se di
poco, l’invasione del calcio, che riempie praticamente tutti gli spazi disponibili.
La risposta a questa mancanza di visibilità è stata impartita tramite la creazioni
di eventi dal forte richiamo di visitatori, che possano, in qualche modo,
interessare l’opinione pubblica, come Volleyland, la fiera annuale della
pallavolo, o i circuiti estivi itineranti di beach volley.
Successivamente, l’analisi si è spostata alla trattazione separata dei vari media
che si occupano di volley, primi fra tutti la televisione e Internet, ma anche
radio, stampa quotidiana e periodica e, attraverso il confronto di dati forniti
dalle due Leghe volley, si è potuta constatare la situazione attuale. Un
resoconto completo dell’attività di promozione dell’immagine del volley
femminile e dei rapporti coi vari mass media è stato offerto da Sara Seravalli e
Giorgio Robuschi, dell’Ufficio Stampa di Lega Pallavolo Femminile, che hanno
sintetizzato gli interventi a supporto di una maggior visibilità delle squadre e
dei loro sponsor.
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In conclusione, si è giunti ad affermare, da una parte, che lo sport è uno
straordinario sensore del mutamento e permette di osservare le continue
metamorfosi che interessano le principali rappresentazioni collettive fra natura
e cultura, come l’ambiente e la tecnologia, la persistenza della tradizione e i
fenomeni di anticipazione culturale e sociale e che la rivoluzione in atto
nell’ambito della comunicazione tende a modellarlo su paradigmi inediti,
conducendo tutto il movimento sportivo, in particolare quello degli sport
minori, a nuove proposte, basate su strategie innovative ed efficaci mentre,
dall’altra, si sono osservati i punti di forza e le difficoltà del volley, per capire
la sua situazione attuale e ipotizzare i suoi possibili sviluppi.
* * *
Colgo l’occasione per ringraziare tutti coloro che hanno reso possibile questo
lavoro, fra cui, per primo, il prof. Marino Livolsi, che mi ha seguita, consigliata
e aiutata durante tutto il percorso.
Molte sono le persone che ho contattato per cercare informazioni: tutte si sono
prodigate con entusiasmo, motivate dal fatto che pochi si interessano al volley,
aprendomi la strada a incontri utili e anche piacevoli: la generosità fa parte del
DNA di chi lavora per questo sport.
Un ricordo particolare va a Ermes Fasson e Maurizio Dalcò, per la loro
disponibilità e l’interesse che mi hanno dimostrato, fornendomi materiale e
contatti importanti.
Un grazie alla società Adecco S.p.A. e a Davide Ghione, per avermi concesso
tempo e per avermi messa in relazione con Asystel Milano, quindi a Giampaolo
Montali, Alberto Gavazzi e Cristiano Carugati.
Un “in bocca al lupo” alla società Copra Ventaglio Piacenza, che non versa in
acque molto tranquille, e un ringraziamento soprattutto a Giovanni Malchioli,
Fabio Gabban, Mauro Berruto e Filippo Fontana.
Un pensiero speciale va senza dubbio ad Andrea Giani, che mi ha dedicato
attenzione, con generosità e cortesia, doti che lo rendono un grande campione
in campo e nella vita.
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Grazie anche a Sara Seravalli, Giorgio Robuschi, Luciano Pedullà e Valerio
Evola e a tutti coloro che, pur non rilasciandomi interviste dirette, a causa dei
numerosi impegni, mi hanno inviato materiale importante, come Roberto
Ghiretti, Marco Bonitta, head coach della nazionale in rosa, campione agli
ultimi Mondiali, e Oscar Zaramella di Asystel Novara.
Non posso non ricordare le persone che mi sono sempre state vicine e mi
vogliono bene: la mia famiglia, gli amici e la G.S.R. San Giacomo, dove è nata
la mia passione per il volley.
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1° Set
LA COMUNICAZIONE SPORTIVA
“E’ un’invenzione eccellente quella secondo la quale
Pan, ovvero il mondo, prescelse Eco come moglie (a
preferenza di tutte le altre voci), perché vera filosofa
è solo quella che rende fedelmente le parole stesse
del mondo”
- Francis Bacon -
1.1 La comunicazione: definizione
Comunicare è parlare, osservare, scrivere, dipingere, ascoltare, giocare, fare
sport… vivere.
Comunicazione è un termine con una storia ricchissima.
Dal latino classico, infatti, il verbo communicare significava “mettere in
comune”, “unire”, “condividere”, ma anche “ripartire”, mentre communicatio
non aveva l’accezione accolta ai giorni nostri di “arte della relazione umana,
attraverso simboli”, né suggeriva la speranza di congiunzione con l’altro, ma
coinvolgeva una sfera di significato tangibile, quella di scambio: indicava
propriamente il “mettere a parte” e il “far partecipe” altri di ciò che si possiede
(Castiglioni e Mariotti, 1993). In questa nozione, come sostiene Adriano Fabris,
docente di etica della comunicazione presso l'Università di Pisa, è presente una
particolare metafora, quella della “partecipazione”, che ad esempio si ripropone
esplicitamente nella lingua tedesca, dove il vocabolo Mitteilung può venire
tradotto, letteralmente, più che con “comunicazione”, come avviene di solito,
con “compartecipazione” (www.urp.it). Nel latino, però, c’è qualcosa di
ulteriore: l'evidente riferimento al munus, al dono. Ciò che viene messo a parte
è donato, affinché sia comune a tutti. Da qui il significato originario di
communico “mettere in comune”, che appare munito di un singolare effetto di
ridondanza, considerato il legame evidente che sussiste tra il verbo communico,
il sostantivo communio e l'aggettivo communis.
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Effettivamente, anche se riferiti a una realtà del tutto concreta, questi significati
bene si prestano a una traslazione di senso verso il piano immateriale e
affettivo, ma la trasformazione è stata particolarmente lunga e lenta. Attraverso
i secoli, infatti, già nel latino tardo, in seguito nel Medio Evo, fino ai giorni
nostri, questa parola ha progressivamente evocato un universo sempre meno
concreto, fino a diventare il termine che descrive i rapporti tra gli esseri umani.
Oggi la comunicazione è diventata oggetto di numerosi studi ed è identificata
come l’atto o il processo per cui un attore stabilisce un contatto con un altro
attore.
Figura 1.1 Sistema di trasmissione del messaggio
Innanzi tutto, essa nasce grazie alla presenza di due attori coinvolti e avviene,
come si può osservare in questo schema, attraverso un sistema preciso e
invariato nella sua forma, che ogni volta si arricchisce di passaggi e sfumature,
per cui un emittente invia un messaggio, formato da un codice e un contenuto, a
un destinatario, che lo decodifica, lo interiorizza, l’accetta o lo rifiuta,
rinviando una risposta al primo, continuando, così, l’interazione iniziata.
Se si analizzano separatamente le varie fasi e i componenti del modello sopra
esposto, si possono riconoscere l’emittente e il ricevente, che sono i soggetti
che danno vita a una comunicazione, gli elementi indispensabili, i registi. Sono
impegnati direttamente nel processo, creano la situazione e ne danno
l’impronta; senza uno solo di essi non esisterebbe nessuna interazione.
EMITTENTE MESSAGGIO RICEVENTE
CODICE
CONTENUTO+
FEEDBACK EFFETTI
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Il ricevente, in particolare, per entrare in contatto con l’emittente, deve non
solo ascoltare ciò che gli sta comunicando, ma anche incontrarlo, deve decidere
d’interessarsi e di capirne il senso. Solo con questa attenzione selettiva nasce
una vera comunicazione, in quanto, per definizione, essa è scambio, messa in
comune di esperienze. Questa dimensione biunivoca è una delle peculiarità del
processo in esame.
Ciò non significa che non sia possibile rifiutare una comunicazione. Ognuno di
noi è in grado di rifiutare un messaggio, sia dopo averlo percepito, sia prima
ancora di sentirlo. Quando uno dei due attori decide di non aprire il proprio
canale, allora non si realizzerà mai una comunicazione, ci sarà solo una
semplice emissione di informazioni.
Ogni attore, inoltre, è un “animale sociale”, vive cioè all’interno di un gruppo,
come la famiglia, la società dei pari (amici, colleghi…), lo Stato; per questo la
comunicazione è sempre filtrata: chi riceve il messaggio non può non fare i
conti con la sua percezione del mondo, inserirlo nel proprio vissuto,
confrontarlo con la sua scala di valori… non può non interpretarlo.
Ed è così interessante capire i meccanismi che regolano la comunicazione,
proprio perché ad ogni passaggio di informazioni essa si carica di sfumature, di
esperienze, che vanno a modificare leggermente il contenuto originario, e si
analizza, così, non solo un processo, ma un vero e proprio “spaccato di vita”.
Per fare un esempio, è come quando si guarda una partita in televisione e alla
fine si segue un programma di approfondimento: confrontandoci con i
giornalisti interpellati, ci sembra di aver visto un’altra partita; ciò che a noi è
sembrato straordinario, per altri può essere stato mediocre.
Questo succede essenzialmente per tre motivi:
ξ Gli attori sono “animali sociali”, con un proprio vissuto e sottostanno a
regole dettate dal senso comune
ξ Gli attori hanno una loro identità, prodotto delle loro esperienze
soggettive e sociali
ξ Esiste un’evidente asimmetria tra gli attori della comunicazione
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Il messaggio, poi, è ciò che si comunica. È impossibile non comunicare un
messaggio e lo si fa anche involontariamente. È formato da codice e contenuto:
quest’ultimo è l’argomento, la materia del messaggio, espresso tramite
l’insieme strutturato di regole formali, il codice. Il contenuto, dunque, è
imprescindibile. Il messaggio non può essere solo un insieme di elementi che
costituiscono un codice, senza dubbio essenziale, ma una somma di regole e di
significati; così il codice costituisce il mezzo e il contenuto diventa il fine del
messaggio.
Per fare un esempio pratico, se in ambito sportivo, durante un allenamento, la
squadra non è attenta alle spiegazioni dell’allenatore, quest’ultimo può
utilizzare codici differenti per far percepire il suo messaggio “state zitti e
ascoltatemi!”: può semplicemente dirlo con tono disteso, può alzare la voce
mostrandosi seccato o può, al limite, scagliare con forza un pallone contro i
suoi atleti, urlare e minacciare il gruppo. Il concetto è sempre lo stesso, ma lo
stile della comunicazione è totalmente differente!
Esiste comunicazione solo se si instaura uno scambio (di idee, di parole, di
sguardi…) e i canali devono essere aperti non solo dal suo emittente, ma anche
dal destinatario: non c’è univocità di contatto, ma inevitabilmente reciprocità.
Per controllare l’avvenuto contatto ci si serve di un processo definito feedback.
Se questo è presente la comunicazione si è verificata, altrimenti si è “parlato al
muro”, si è persa la biunivocità del sistema. Comunicazione diventa allora
reciproco scambio, mettere in comune esperienze, valori, vissuto. E’ creare una
congiunzione tra più elementi, è instaurare un legame tra persone o concetti.
Il feedback serve anche per la correzione di eventuali incomprensioni di
comunicazione da parte di input interni o esterni che possono provocare
risposte positive, che fanno diminuire lo scarto tra i due interlocutori o
negative, che lo aumentano.
Ogni tipo di comunicazione, se è reale e quindi completata dal feedback del
ricevente, produce i suoi effetti, che si possono misurare. In quella
interpersonale, questo processo è necessario ai due attori coinvolti per
verificare quanto riescono ad essere in sintonia, ma soprattutto per capirne il
grado di attenzione.
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Il nostro cervello è sempre e automaticamente impegnato in un’azione di
controllo e, appena si rende conto che tra noi e il nostro interlocutore si è
verificato uno scarto, anche solo in uno step del processo di significazione ed è
in pericolo la comunicazione, si attiva per correggere la deviazione. Per
verificare, infatti, se il feedback è stato positivo o meno, nella comunicazione
orale, ci si serve di frasi di conferma rivolte all’interlocutore o si osservano
attentamente i segnali corporei, per scorgervi indizi sull’esito delle nostre
parole. Un meccanismo che viene attuato, anche inconsciamente, è l’uso della
“ridondanza”, che consiste nel formulare pensieri sì sintetici, ma conditi da una
serie di informazioni di contorno, non fondamentali, che aiutano il ricordo della
proposizione principale, catturando la sua attenzione, che sarà facilitata nel
collegamento al concetto principale. Fondamentale qui è saper dosare e
scegliere il contesto, per non provocare il ricordo solo dei particolari poco
importanti, tralasciando l’informazione desiderata (Livolsi, 1999).
Inoltre, la motivazione che ci spinge a comunicare è alla base di ogni
comportamento umano, ma non sempre è consapevole; capita spesso di
chiedersi il motivo per cui si è agito in un determinato modo, ma di non trovare
facile risposta, non perché non ci sia, ma perché non raggiunge la sfera del
consapevole, resta inconscia o non si riesce facilmente ad ammettere. Inoltre,
alcuni studi molto recenti sembrano portare a conclusioni inaspettate: un
neuroscienziato newyorkese, Joseph Le Doux, è giunto a dimostrare attraverso
il calcolo dei secondi che impiega un messaggio ad arrivare al cervello, che la
risposta razionale scatta in un tempo doppio rispetto a quella emozionale;
quest’ultima, infatti, non coinvolgendo la corteccia cerebrale e passando
direttamente all’amigdala, sede dell’istinto, da noi ereditata dai primi vertebrati
terrestri, si sta dimostrando la principale responsabile delle nostre reazioni agli
stimoli (Beltramini, 2002).
Daniel Wegner, docente di psicologia ad Harward, poi, dimostra che molti dei
nostri comportamenti sono automatizzati dall’abitudine e dall’uso quotidiano e
risultano in un certo modo inconsci: quando scegliamo le parole in una
conversazione tra amici non siamo sempre attenti a scegliere il vocabolo giusto,
molte volte ci accorgiamo dell’errore a frase finita; quando invece utilizziamo
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un registro linguistico più elevato, dosiamo le parole in modo da non cadere in
errore e non “fare brutte figure”. La volontà, secondo Wegner, infatti, è un
segnale che “assomiglia molto a un’emozione” e serve per darci la “paternità”
ai nostri comportamenti, ci fornisce quindi spiegazioni sulla morale e sul
successo delle nostre azioni; in altri termini le spiega, le giustifica, ma non è la
molla dell’azione stessa, perché questa è essenzialmente inconscia (Wegner,
2002). E’ anche per questo motivo che un allenatore, alla vigilia di una gara
contro una squadra temuta dai suoi atleti, tenta di motivarli facendo loro
ricordare vittorie inaspettate o convincendoli di avere i numeri per contrastare
avversari di quel calibro: durante la competizione il gruppo sarà così più sicuro
e determinato e anche il risultato sarà di successo. La volontà si carica così di
orgoglio positivo e, anche se il ricordo non riaffiora alla mente e rimane
inconscio, dà loro la sicurezza e la spregiudicatezza necessarie per superare
indenni l’ostacolo.