2
Questo lavoro si pone essenzialmente due obiettivi: in primo luogo
definire che cos’è la lettura ad alta voce e indagare quali resistenze hanno
finora impedito a questo tipo di lettura di diventare uno strumento
strategicamente importante nella didattica quotidiana della scuola
elementare italiana, nonché individuare i motivi che fanno della lettura
oralizzata un mezzo privilegiato per sviluppare e sostenere il desiderio di
lettura nei bambini; in seconda battuta analizzare un progetto specifico di
lettura ad alta voce (LAV) e verificarne i risultati.
Chi scrive si considera un maestro-leggistorie e da alcuni anni utilizza
proficuamente la lettura ad alta voce nella pratica scolastica quotidiana
con le proprie classi e anche, occasionalmente, in biblioteche e scuole
dove è invitato a realizzare le sue performance di lettura espressiva. La
presa di coscienza della forza intrinseca di questo semplice strumento è
stata lenta ma progressiva, favorita dalla passione per la lettura
individuale e da una formazione come attore amatoriale (che ha permesso
di superare l’ostacolo più grande che solitamente un insegnante si trova
di fronte: il dubbio di non possedere adeguate competenze tecniche atte a
svolgere ciò che ha in mente). Così la risorsa lettura ad alta voce, da
nascosta che era, si è potuta disvelare in tutte le sue notevoli potenzialità,
come cercheremo di esplicitare in questa dissertazione.
Prima di illustrare il piano di lavoro della tesi, però, ci sembra
indispensabile motivarne il titolo, apparentemente piuttosto bizzarro.
Gian dei Brughi è un personaggio de Il barone rampante di Italo
Calvino, vi compare (e …scompare, dacché sarà impiccato) nel XII
capitolo, che costituisce quasi un racconto nel romanzo. Gian è un
brigante che si annoia durante le eterne giornate passate alla macchia
nella foresta di Ombrosa.
3
Grazie a Cosimo, il giovane nobile che ha scelto di vivere sugli alberi,
scopre i libri e diviene un lettore voracissimo, prototipo dell’appassionato
di romanzi:
Gian dei Brughi, intanto, sdraiato sul suo giaciglio, gli ispidi
capelli rossi pieni di foglie secche sulla fronte corrugata, gli
occhi verdi che s’arrossavano nello sforzo della vista, leggeva
leggeva muovendo la mandibola in un compitare furioso,
tenendo alto un dito umido di saliva per essere pronto a voltare
la pagina. Alla lettura di Richardson, una disposizione già da
tempo latente nel suo animo lo andava come struggendo: un
desiderio di giornate abitudinarie e casalinghe, di parentele, di
sentimenti familiari, di virtù, d’avversione di malvagi e di
viziosi. Tutto quel che lo circondava non lo interessava più, o lo
riempiva di disgusto. Non usciva più dalla sua tana tranne che
per correre da Cosimo a farsi dare il cambio del volume, specie
se era un romanzo in più tomi ed era rimasto a mezzo della
storia. Viveva così, isolato, senza rendersi conto della tempesta
di risentimenti che covava contro di lui anche tra gli abitanti del
bosco un tempo suoi complici fidati, ma che ora s’erano stancati
di tenersi tra i piedi un brigante inattivo, che si tirava dietro tutta
la sbirraglia
1
.
1
I. Calvino, Il barone rampante, Mondadori, Milano 1993, pp. 112-113. Un dato
curioso relativo allo scrittore inglese citato nel brano: Samuel Richardson (1689-1761) è
l’autore di Pamela, un romanzo epistolare che fino a non molto tempo fa era conosciuto
solo dagli studenti di lingue e pochi altri (per esempio, gli amanti di Goldoni, che riprese
le vicende narrate nel libro nella sua commedia Pamela nubile), ma che recentemente ha
raggiunto importanti livelli di vendita in quanto principale fonte d’ispirazione di un
teleromanzo, grande successo televisivo di questo inizio del 2004. Un gentile
funzionario della casa editrice del romanzo, contattato telefonicamente, ha comunicato
queste cifre, su cui ci sarebbe da riflettere: Pamela ha avuto tre ristampe dal 1995, per
una tiratura complessiva di 12.000 copie; dal gennaio del 2004 (dunque in poco più di
tre mesi) le edizioni sono state ben dieci per una tiratura totale di 55.000 copie! E’
bastato aggiungere una fascetta al libro, con l’indicazione che da quel romanzo era stata
tratta la fortunata trasposizione televisiva, per vederne quintuplicare le vendite in
brevissimo tempo. Eh sì, l’Italia che “legge” è anche caratterizzata da fenomeni come
questo.
4
Gian dei Brughi rappresenta il lettore entusiasta, anzi di più: è il lettore
sensuale, secondo la bella definizione di Ermanno Detti, frequentatore
“[…] della lettura capace di assorbire tutti i nostri sensi e di estraniarci
quindi dalle altre cose sensibili”
2
.
Il nostro brigante è passato attraverso un’esperienza essenziale, che
costituisce l’humus dove più facilmente attecchisce il seme del buon
lettore: “Per la formazione del gusto della lettura è necessario provare un
piacere fondamentale e profondo, è necessario passare attraverso una fase
nella quale l’individuo riesca a godere della lettura al punto da
ridesiderare quel piacere nel corso di tutta la vita”
3
.
“[…] per leggere sono necessari abbandono e concentrazione, la
disposizione a dimenticare per qualche ora le questioni pratiche in cui
siamo coinvolti ogni giorno e la capacità, quindi, di stabilire raffronti che
proprio a quelle questioni ci conducono”
4
. E’ una sorta di momentanea e
benigna psicosi, un momento magico durante il quale il lettore si distacca
dal mondo materiale ed entra in una dimensione parallela, dove però le
immagini elaborate dalla fantasia su stimolo di quanto letto raggiungono
per qualche istante una consistenza più vera del vero, il cui eccitante
murmure permane a lungo anche dopo il ritorno alla dura realtà. Si tratta
di un imprinting culturale, letterario, se così possiamo dire, che libera nel
sistema neurovegetativo del lettore più endorfine di una barretta di
cioccolato fondente, lasciandolo sazio e soddisfatto, nonché -se
particolarmente recettivo- con qualche intuizione in più sulle cose della
vita.
2
E. Detti, Il piacere di leggere, La Nuova Italia, Firenze 2002, p. 1.
3
Ivi, p. 19.
4
C. Milanini, L’utopia discontinua. Saggio su Italo Calvino, Garzanti, Milano 1990,
p. 46.
5
Ci sia permessa una digressione: Cosimo e Gian non sono i soli lettori
che popolano l’universo letterario di Italo Calvino, che anzi ha spesso
tratteggiato indimenticabili figure di amanti della lettura: “Oltre ai
principali personaggi-scrittori, compaiono del resto nei Nostri antenati
altri narratori e soprattutto parecchi personaggi che leggono o ascoltano
leggere.
A prendere corpo è una vera e propria fenomenologia dell’arte del
raccontare e della lettura”
5
. Anche alcuni racconti di Calvino vedono
muoversi al suo interno dei personaggi-lettori, basti ricordare Un
generale in biblioteca o L’avventura di un lettore, o addirittura il signor
Palomar che decide testardamente di leggere un’onda, fino a giungere a
Se una notte d’inverno un viaggiatore, dove il lettore e la lettrice (anzi: il
Lettore e la Lettrice) sono i protagonisti assoluti del romanzo. In
quest’ultima opera, Calvino sembra spezzare una lancia in favore della
lettura ad alta voce, dopo una prima dichiarazione di sospetto.
Quando il professor Uzzi-Tuzii legge il romanzo -traducendolo a vista dal
cimmerio- al Lettore, quest’ultimo inizialmente non sembra gradire molto
la cosa: “Ascoltare qualcuno che legge ad alta voce è molto diverso dal
leggere in silenzio.
Quando leggi, puoi fermarti o sorvolare sulle frasi: il tempo sei tu che lo
decidi. Quando è un altro che legge è difficile far coincidere la tua
attenzione col tempo della sua lettura: la voce va troppo svelta o troppo
piano”
6
.
5
Ibidem.
6
I. Calvino, Se una notte d’inverno un viaggiatore, Mondadori, Milano 1994, p. 60.
6
Man mano, però, che la lettura prosegue, il Lettore si fa catturare dalla
passione che il traduttore infonde nella sua opera di mediazione
linguistica:
Poi, a poco a poco, qualcosa aveva preso a muoversi e a
scorrere tra le frasi di questa dizione stravolta. La prosa del
romanzo s’era imposta alle incertezze della voce; era diventata
fluida, trasparente, continua; Uzzi-Tuzii ci nuotava dentro come
un pesce, accompagnandosi col gesto (teneva le mani aperte
come pinne), col moto delle labbra (che lasciavano uscire le
parole come bollicine d’aria), con lo sguardo (i suoi occhi
percorrevano la pagina come occhi di pesce un fondale, ma
anche come occhi di visitatore d’un acquario che segue i
movimenti di un pesce in una vasca illuminata).
Ora intorno a te non c’è più la stanza dell’Istituto, gli scaffali,
il professore: sei entrato dentro il romanzo, vedi quella nordica
spiaggia, segui i passi del delicato signore. Sei tanto assorto che
tardi ad accorgerti di una presenza al tuo fianco. Con la coda
nell’occhio scorgi Ludmilla. E’ lì, seduta su una pila di volumi
in-folio, anche lei tutta protesa ad ascoltare il seguito del
romanzo
7
.
Non è una bellissima descrizione di un leggistorie in azione e
dell’incantamento in cui può gioiosamente smarrirsi chi si abbandona
all’ascolto di testi letti ad alta voce?
7
Ivi, p. 61.
7
Per tornare a Gian dei Brughi, a noi sembra la perfetta incarnazione del
lettore adolescente (al di là dell’età anagrafica del personaggio), del quale
possiede la stessa irruenza, la stessa forza magmatica tipica dell’età
giovanile, che si fatica a contenere e guidare
8
.
Il bambino, il preadolescente, ma anche l’adolescente e il giovane hanno
un grande desiderio di lasciarsi stupire, agognano l’incantamento, anche
quello dato dalla lettura, però è necessario che abbiano provato almeno
una volta il piacere di cui si diceva sopra, che è poi il piacere
dell’innamoramento. La scuola dovrebbe sentirsi investita anche da
questa non facile missione: creare le condizioni affinché l’alunno possa,
se lo desidera, scoprire da sé cosa sia il piacere della lettura.
L’impresa è difficile, senza dubbio, perché dopo Pennac non c’è più
nessuno che non sostenga che “il verbo leggere non sopporta
l’imperativo”
9
e questo -ahinoi- complica le cose, perché se anche gli
insegnanti di più dura cervice hanno ormai compreso che non serve
ordinare di leggere e che non si può obbligare qualcuno ad amare lettura,
altra cosa è riuscire a mettere in campo strategie per passare dalla
riduzione del danno (fare almeno in modo che non si giunga ad odiare la
8
Insomma, a noi il personaggio di Gian dei Brughi piace assai, mentre Calvino non pare
amarlo molto e ci sembra fin troppo severo nei suoi confronti. L’autore ne fa l’allegoria
della “lettura come evasione”, in antitesi alla “lettura come formazione” incarnata da
Cosimo. Nel 1965, in una nota al cap. XII di un’edizione scolastica ridotta del Barone
rampante e camuffatosi dietro lo pseudonimo di Tonio Cavilla (spacciato per un
“meticoloso” pedagogista autore di prefazione e note) , Calvino scrive: “Il contrasto tra
l’ex brigante che rimbecillisce a leggere romanzi e Cosimo che attraverso la lettura
diventa un uomo responsabile e attivo, può rappresentare il contrasto tra la lettura come
evasione e lettura come formazione. Ma la vera funzione del capitolo nello svolgimento
del romanzo è quella di darci conto delle letture di Cosimo, un motivo che acquisterà
importanza in seguito. Nonostante l’arguzia della favola, il capitolo è caratterizzato da
una certa freddezza (anche la morte del brigante impiccato resta soltanto un’immagine
visiva); siamo ormai lontani dalla pienezza di rappresentazione dei primi capitoli del
libro”. Cfr. I. Calvino, Il barone rampante, coll. “Letture per la scuola media”, Einaudi,
Torino 1965, p. 149.
Pensiamo, tuttavia, che l’immagine che chiude il capitolo, con Cosimo che veglia il
cadavere impiccato di Gian e scaccia i corvi agitando il berretto, sia commovente e
tenerissima. Tutto sommato anche Calvino deve aver voluto bene a quello sfortunato e
appassionato… fuorilegge.
9
D. Pennac, Come un romanzo, Feltrinelli, Milano 1994, p. 11.
8
lettura) alla proposta attiva ed efficace (ovvero fornire le opportunità per
garantire una scelta consapevole, perché il resto rientra nella sfera intima
di una persona e non compete né alla scuola, né ad altri). Insomma, tra il
dire e il fare è notorio che ci sia di mezzo il mare… Proveremo a
navigarlo, sperando di scoprire qualche isola-idea lussureggiante nel
vastissimo oceano-testo.
Per tornare alla questione iniziale, dunque, perché quasi come Gian dei
Brughi? O bella! Perché il nostro Gian ha letteralmente perso la testa per
la lettura e sarebbe auspicabile che ciò non accadesse agli altri lettori
sensuali, se non altro perché cesserebbero di essere tali (sia lettori, sia
sensuali). Si tratta di trovare il modo di incanalare la voglia di leggere
spontaneamente presente nei bambini e non disperdere le potenzialità
quando si presentano, coltivare insomma ciò che Elémire Zolla chiama lo
stupore infantile: “Anche se in tutti è sepolto il gran tesoro dell’infanzia,
esso si trova ad irraggiungibili profondità”
10
. La lettura e nello specifico
la lettura ad alta voce può servire al duplice scopo di far emergere i tesori
dell’infanzia sepolti nelle insondabili profondità dell’adulto-lettore, così
come suscitare l’incantamento dei bambini-ascoltatori, gli uni e gli altri
conquistati dalle malie della voce segreta nascosta nel testo.
Passiamo ora ad illustrare i contenuti di questa trattazione.
Nel I capitolo si traccerà un breve profilo storico della lettura ad alta
voce, in particolare mettendo in evidenza come la lettura vocale sia stata
la modalità privilegiata di approccio al testo fino a tempi relativamente
recenti rispetto all’invenzione della lettoscrittura. Si affronterà poi il
passaggio chiave dall’oralità alla scrittura, sulla base delle fondamentali
tesi contenute negli studi di Walter J. Ong . Infine si sosterrà che
l’educazione all’ascolto, intesa come propedeutica all’educazione alla
lettura, non può essere disgiunta dal piacere che si può ricavare
dall’ascolto di una voce che oralizza un testo.
10
E. Zolla, Lo stupore infantile, CDE, Milano 1994, p. 15.
9
Nel II capitolo si proverà a dare una definizione di lettura espressiva ad
alta voce si analizzerà il difficile rapporto tra questo tipo di lettura e
l’istituzione scolastica, cercando di individuare i motivi che hanno reso
fino ad oggi così episodico e parziale il suo uso nella scuola elementare.
Quindi si prenderà in esame ciò che i Programmi Ministeriali vigenti
dicono sulla lettura e si farà il confronto con le recentissime Indicazioni
Nazionali per la scuola primaria. Si procederà a distinguere cosa si
intende per lettura strumentale e lettura emozionale, poi si prenderanno in
esame le motivazioni che, a nostro parere, rendono così importante
questo strumento.
Nel III capitolo si accennerà al progetto “Nati per Leggere”,
recentemente introdotto anche in Italia, e si proverà a definire quali
possono essere i ferri del mestiere di un ipotetico maestro-leggistorie,
ossia attraverso quali strumenti essere in grado di scegliere a ragion
veduta che cosa leggere ad alta voce, nonché come, dove e quando farlo.
Nel IV capitolo si analizzeranno i risultati di un progetto-lettura gestito
dallo scrivente, in coppia con un altro esperto, in un plesso di scuola
elementare e caratterizzato dall’uso della lettura ad alta voce come
modalità principale di approccio alla lettura proposto ai bambini.
Nelle appendici raccoglieremo soprattutto del materiale relativo al
“progetto Arosio” e specificamente la riproduzione di una decina di
disegni dei bambini giudicati particolarmente significativi dell’esperienza
vissuta, accompagnati da un breve commento, i grafici che raccolgono la
sintesi della tabulazione dei dati rilevati attraverso il questionario sulla
lettura distribuito alle famiglie, nonché la traduzione (inedita per l’Italia)
della Reading Chekup Guide, una guida sulla lettura dedicata ai genitori
ed elaborata da un comitato di esperti dell’American Academy of
Pediatrics, in collaborazione con RIF (Reading Is Fundamental Inc.), la
più grande e antica organizzazione USA che si occupa di promozione
della lettura nell’infanzia.
10
Un’ultima precisazione riguarda l’uso dei termini che indicano, diciamo
così, in modo impersonale un nome al maschile, intendendo però
l’universalità dei soggetti e quindi comprendendo anche il femminile.
Negli ultimi anni questo problema è stato molto dibattuto ed è diventato,
giustamente, uno dei ricorrenti leit-motiv del politicamente corretto. Una
delle soluzioni possibili per proporre in italiano un linguaggio che non
produca discriminazioni di genere sessuale è quello di ripetere ogni volta
i due soggetti, per esempio “i bambini e le bambine”, “i lettori e le
lettrici”, ecc. Il limite di questa scelta è ovviamente quello di appesantire
eccessivamente la forma e rendere il periodare pesante e ridondante. Né
convincono altre soluzioni proposte, come quella di usare casualmente il
maschile e femminile come termine generico o alternare nei capitoli pari
il termine femminile e in quelli dispari il maschile
11
, perché c’è il rischio
di creare confusione.
Quale possa essere la soluzione politically correct non lo sappiamo e
restiamo aperti in futuro ad accogliere idee che possano unire la
correttezza della proposta alla chiarezza d’uso; per il momento
desideriamo sottolineare che quando si usa il termine al maschile in modo
generico lo si fa solo perché non si è trovata alcuna alternativa semplice e
valida e non per superbia maschilista.
11
Cfr. M. C. Levorato, Le emozioni della lettura, Il Mulino, Bologna 2000, p. 38, n. 2.
11
Capitolo primo
SULL’ORALITA’ E IL PIACERE
DELL’ASCOLTO
Quando leggeva i suoi occhi esploravano la pagina, la mente
penetrava il significato, ma la sua voce taceva e la sua lingua era
ferma. Chiunque poteva avvicinarlo liberamente e i visitatori di
solito non venivano annunciati, cosicché spesso quando ci
recavamo da lui lo trovavamo immerso nella lettura in silenzio,
perché non leggeva mai in altro modo
1
.
Una tesi dedicata alla lettura ad alta voce che inizia con la citazione del
celebre incontro tra S. Agostino e S. Ambrogio, con quest’ultimo
sorpreso a leggere silenziosamente… Sembrerebbe una contraddizione.
Eppure, per contrasto questo brano rende al meglio l’idea
dell’importanza e della lunghissima permanenza nella cultura occidentale
dell’uso della lettura vocale: “Ad Agostino quella maniera di leggere
sembrava tanto strana da riferircela nelle sue Confessioni. Ciò significa
che a quei tempi quel metodo di lettura, la silenziosa perlustrazione di
una pagina, era piuttosto fuori dall’ordinario e che la lettura normale
veniva fatta ad alta voce. Benché si possano rintracciare esempi di lettura
silenziosa anche in tempi remoti, questo modo di leggere non divenne
abituale in Occidente fino al X secolo”
2
.
In questo capitolo si traccerà un breve profilo della genesi della lettura
ad alta voce, dai Greci fino ai nostri giorni, per inquadrare l’argomento in
una prospettiva storica.
1
Sant’Agostino, Confessioni, Edizioni Paoline, Alba 1979, VI,3.
2
A. Manguel, Una storia delle lettura, Mondadori, Milano 1997, pp. 51-52.
12
Si affronterà poi il passaggio dall’oralità alla scrittura, prendendo in
esame i concetti di oralità primaria e oralità secondaria espressi da
Walter J. Ong. Infine, vedremo come un’educazione all’ascolto non possa
prescindere dal piacere dell’ascolto.
1.1. La lettura ad alta voce: breve introduzione storica
Alcuni studiosi hanno recentemente sostenuto che lettura vocale e
lettura silenziosa non devono essere viste esclusivamente in una
prospettiva diacronica
3
, ma generalmente si ritiene che durante l’età
antica l’uso della lettura silenziosa fosse un’eccezione e che leggere ad
alta voce fosse la norma fin dagli inizi della scrittura.
Jesper Svembro ritiene inevitabile pensare che in una cultura come
quella greca, che valorizza sopra ogni cosa la parola parlata, l’oralità, “la
lettura non ha interesse se non nella misura in cui essa preveda una lettura
oralizzata”
4
. Omero non era cieco? Cosa c’è di più simbolicamente forte
di un poeta non vedente, che necessariamente deve declamare i suoi versi
a memoria, essendo impossibilitato a scriverli? L’insegnamento di
Socrate è sempre stato solo orale, di ciò che sosteneva non scrisse mai.
Per i Greci dell’età arcaica, ma anche per quelli dell’età classica, lo
scritto assumeva importanza nel momento in cui veniva declamato ad alta
voce, fosse a teatro, fosse in una pubblica lettura. Scopo fondamentale
della scrittura è, dunque, “generare un suono, piuttosto che
rappresentarlo”
5
.
3
Si veda in particolare: J. Svembro, La Grecia arcaica e classica: l’invenzione della
lettura silenziosa in G. Cavallo, R. Chartier (a cura di), Storia della lettura nel mondo
occidentale, Laterza, Bari 1995; R. Chartier, Letture e lettori nella Francia di antico
regime, Einaudi, Torino 1988, pp. 121-134.
4
G. Cavallo, R. Chartier (a cura di), Storia della lettura nel mondo occidentale, cit.,
p. 4.
5
Ivi, p. 35.
13
La lettura ad alta voce aveva una duplice funzione, da una parte
comunicare lo scritto a chi non sa leggere, dall’altra fungere da collante
emotivo nelle forme di socialità (per esempio nell’intimità familiare, o
nelle occasioni di convivialità mondana)
6
.
Nel mondo antico, ma anche in quello medievale, la lettura è
essenzialmente un’oralizzazione e i lettori sono spesso ascoltatori di una
voce lettrice.
La scrittura è “posta al servizio della cultura orale”
7
, ciò che è scritto
viene letto in una dimensione aurale, vale a dire garantendo una
pubblicazione orale della produzione testuale, che in questo modo poteva
essere ascoltata e compresa da un pubblico molto più vasto rispetto ai
pochissimi alfabetizzati; inoltre, “la Grecia ebbe netta la coscienza che la
scrittura era stata inventata per fissare i testi e richiamarli, così, alla
memoria, in pratica conservarli”
8
.
La modalità di lettura ad alta voce diffusa in tutto l’arco dell’antichità,
oltre che per un’esigenza aurale cui si è già accennato, viene vista come
necessaria per una questione eminentemente tecnica, vale a dire per
rendere “comprensibile al lettore il senso di una scriptio continua
indistinta e inerte senza il suono vocale”
9
. La comprensione era facilitata
dall’articolazione vocale del testo scritto, in quanto la sola vista faticava a
cogliere la successione logica delle parole, il significato preciso di
ciascuna frase, il momento in cui interrompere la lettura con una pausa
10
.
6
Ivi, p. VIII.
7
Ivi, p. XI.
8
Ibidem.
9
Ivi, p. XII.
10
La difficoltà di lettura e l’ambiguità di significato dovute alla sciptio continua sono
ben rappresentate dal famoso aneddoto che vede protagonista un chierico medievale, il
quale dovendo tradurre la frase in diebus illis e avendo malamente diviso le parole (in
die busillis) non riusciva a comprendere la parola busillis; donde l’uso di dire: “qui sta il
busillis”.
14
La lettura ad alta voce resterà a lungo la modalità più frequentata di
approccio al testo e non solo a livello pubblico, perché se è vero che la
lettura silenziosa non era completamente sconosciuta (in particolare tra
gli intellettuali), non indicava una tecnica più avanzata rispetto ad una
esperta ed espressiva lettura ad alta voce: “dalle testimonianze che se ne
hanno sembra si trattasse di una scelta sulla quale influivano fattori o
condizioni particolari, come lo stato d’animo del lettore. Si deve ritenere
che essa fosse praticata da individui che se ne avvalevano insieme
all’altra ad alta voce”
11
.
Nell’antica Roma le letture pubbliche furono una pratica frequente e
generalizzata. Le opere letterarie degli autori più famosi venivano
pubblicizzate attraverso un cerimoniale collettivo, le recitationes; queste
non avvenivano recitando parti imparate a memoria, bensì “attraverso la
doppia operazione dell’occhio e della voce, quindi la lettura di uno
scritto, fatta davanti ad un uditorio”
12
.
E’ interessante sottolineare il carattere sociale di queste letture pubbliche
(che avvenivano soprattutto nei fori ed alle terme, tradizionali luoghi di
ritrovo dei Romani), che prendevano l’aspetto di veri e propri “riti
letterari e sociali” e “vedevano la presenza non solo di individui
interessati e colti […] ma pure di uditori disattenti e infastiditi”
13
, data la
prevedibile confusione regnante negli affollati luoghi scelti per queste
performance.
11
G. Cavallo, R. Chartier (a cura di), Storia della lettura nel mondo occidentale, cit.,
pp. 51-52.
12
Ivi, p. 50.
13
Ivi, pp. 50-51.