(cosiddetta sindrome della mucca pazza) ha solo accelerato un
processo che era già in atto.
Come la storia economica insegna, l'introduzione di un
processo innovativo genera un vantaggio competitivo e un
aumento del valore aggiunto che nel tempo tende a ridursi fino a
trasformarsi, da una novità, a un prerequisito indispensabile alla
sola presenza sul mercato.
Lo scopo della rintracciabilità, come è stato ben specificato
dal Libro Bianco sulla sicurezza alimentare, dalla proposta di
regolamento del Parlamento europeo e del Consiglio che
stabilisce i principi e i requisiti generali della legislazione
alimentare e dalla norma UNI 10939:2001, è quello di
conoscere il percorso seguito dal prodotto e l'identità degli attori
che hanno contribuito alla sua formazione.
In tempi moderni è stato possibile osservare un indirizzo dei
Paesi Europei rivolto alla tutela, all’interno del Mercato Unico
Europeo, del cittadino consumatore.
La disciplina dell’etichettatura dei prodotti alimentari si
inserisce in tale contesto, in cui è realmente possibile la libera
circolazione dei prodotti tra i vari Stati membri. Si rivela uno
strumento adeguato, destinato alla tutela del consumatore, che
consente a quest’ultimo di effettuare scelte oculate, gli fornisce
in questo modo le informazioni necessarie e che attribuisce
trasparenza e chiarezza al commercio all’interno dell’Unione
Europea.
L’etichetta deve costituire, secondo quanto previsto dai
dettami normativi, uno strumento di identificazione del prodotto
immediatamente accessibile da parte del consumatore che
decide l’acquisto.
Tuttavia, per comprare con giudizio, è necessario acquisire
competenza nella comprensione delle etichette. Solo così è
possibile scegliere i prodotti migliori ed ottenere eventuale
risparmio di spesa.
Bisogna individuare e consumare la frutta e la verdura di
stagione, perché esiste un profondo legame tra i prodotti e le
condizioni climatiche; bisogna evitare la frenesia dell’esotico.
Per fare ciò è indispensabile individuare sempre l’origine: se
le pesche sono Spagnole vuol dire che sono necessari dei giorni
in più, affinché arrivino in Italia; se sono Australiane, per forza
di cose, vengono raccolte acerbe e non potranno mai avere il
gusto del frutto maturo. Il kiwi invernale è sicuramente made in
Italy, quello estivo è importato dalla Nuova Zelanda.
Quando sulle etichette i produttori indicano, con precisione,
la zona di provenienza, il consumatore è in grado di scegliere gli
ortofrutticoli locali o meno. Questo è, sicuramente, un aspetto
molto apprezzato dal consumatore.
La varietà, ad esempio, distingue il tipo di frutta e verdura.
Il consumatore è in grado, leggendo l’etichetta, di decidere se
comprare o non comprare un’arancia Valencia, novellina, moro
o tarocco caratterizzate da un aspetto e da un sapore diversi. La
varietà permette di valorizzare la frutta autoctona, sempre meno
considerata dalle grandi catene dei supermarket per motivi di
logistica e di approvvigionamento.
Nel caso delle patate, la varietà permette di differenziare
quelle adatte alle fritture dalle altre impiegate per altri usi.
Emerge, da tali considerazioni, la necessità di educare il
consumatore alla lettura dei messaggi e dei simboli che
compaiono sulle etichette dei prodotti acquistati. Tale opera
d’educazione può essere svolta a vari livelli e a qualsiasi titolo o
modalità.
In diversi centri di confezionamento è, ormai, diventata
consuetudine arricchire le etichette di informazioni,
proponendo, sui sacchetti da 1 kg, uno spazio con una
descrizione merceologica del prodotto. Discorso analogo
andrebbe fatto per i pomodori.
Le categorie vengono stabilite in base alla forma, alla
colorazione, al numero di difetti e al tipo d’imballaggio. Le
regole di derivazione europea prevedono che i frutti devono
essere sani, puliti, senza umidità e senza odori o sapori strani.
Le partite devono essere rispondenti a determinati requisiti,
essere omogenee, ovvero composte da frutta o verdura di
dimensioni, varietà, qualità, categoria, colorazione e grado di
maturazione.
La categoria Extra, infatti, viene assegnata quando la frutta
o la verdura non presenta difetti estetici. Per la I sono tollerate
alcune imperfezioni che, ovviamente, aumentano per la II. Nel
caso in cui la frutta o la verdura si trova al di sotto di certi
standard (dimensionali o di semplice attraenza) non viene
commercializzata, ma destinata ad altro uso.
È preferito, solitamente, il prodotto ortofrutticolo di calibro
grande che, in genere, costa anche di più. Anche l’indicazione
del calibro è, di solito, riportata sull’etichetta ed è riferita alla
circonferenza del frutto. Questo criterio non è valido per alcuni
prodotti come fragole, zucchine, fagiolini, melanzane,
pomodorini. Per questi vale il criterio contrario: infatti i calibri
minori sono ritenuti di qualità superiore.
Le etichette nei negozi sono poche e, molto spesso
imprecise, ma nei grossi supermercati le indicazioni sono
precise. In buona approssimazione ciò accade in quanto i
prodotti provengono da centri specializzati nel confezionamento
che, il più delle volte, rispettano le regole.
Le diciture sono molte e devono comparire sia sulle cassette
sia sulle confezioni di frutta e verdura poste nei vassoi di
polistirolo, nelle vaschette, nei sacchetti a rete, etc.
Le informazioni della categoria, del calibro, della varietà,
della provenienza e tutte le altre sono importantissime, la loro
mancanza non consente la commercializzazione dei prodotti
all’ingrosso.
Nella vendita al dettaglio le informazioni da riportare sul
cartellino si riducono a quattro: origine, varietà, categoria e
calibro (e ovviamente il prezzo). Questa regola vale anche per i
prodotti sfusi, esposti nei banchi frigorifero dei supermercati o
dentro le ceste o in semplici contenitori ben in vista.
Qui, di seguito, si cercherà d’esporre quale è stata
l’evoluzione della normativa a riguardo, ma soprattutto, come
l’etichetta, realizzata secondo tutti i criteri, possa divenire, da
vincolo imposto dalla normativa, un vantaggio competitivo per
l’azienda nei confronti del consumatore.
Profondi sono i mutamenti in atto con riferimento alla
domanda di prodotti alimentari. I consumatori sono molto più
attenti, informati e disponibili a pagare per prodotti alimentari
più coerenti con le loro preferenze. Il nuovo consumatore è,
inoltre, più selettivo e percepisce più chiaramente la relazione
tra le caratteristiche dei prodotti alimentari e la sua salute.
Tale evoluzione comporta notevoli implicazioni per i
contenuti dei prodotti alimentari, la definizione delle loro
caratteristiche organolettiche e gli ingredienti usati. Il minor
contenuto in grassi saturi, colesterolo e sodio e l’assenza o la
diminuzione del ricorso a conservanti, coloranti e zucchero
diventano caratteristiche apprezzate da un numero sempre
maggiore di consumatori, soprattutto nella misura in cui le
imprese agro – alimentari sono capaci di offrire prodotti in
grado di incorporare tali attributi, salvaguardando al tempo
stesso il gusto e le altre proprietà organolettiche.
I consumi alimentari tendono ad essere influenzati anche
dalla diffusione della sensibilità e preoccupazione per
l’ambiente. Tale sensibilità favorisce una domanda di prodotti
meno elaborati, con confezioni più semplici e sviluppa
un’attenzione anche per le tecniche ed i metodi di allevamento
degli animali.
L’etichettatura deve contenere informazioni e qualità
specifiche previste dalla legge. Il filo conduttore è sempre
costituito dalla chiarezza del messaggio che l’etichetta riporta;
deve essere realizzata in modo da non indurre i consumatori in
errori nutrizionali, deve evitare richiami a raccomandazioni o
attestazioni di tipo medico.
Qualità e informazioni sono indissociabili, poiché il
successo di ogni politica di qualità si basa anzitutto sulla
conoscenza, da parte della clientela delle caratteristiche dei
diversi prodotti. L’imperfezione dell’informazione sui mercati
porta le aziende a impegnarsi attivamente nella sua emissione e
diffusione. Implica anche, in certi casi, l’apparire di particolari
modalità di organizzazione dell’attività economica, ancora
diverse dal modello deterministico del mercato.
L’etichetta, in quanto segno e sintesi di esperienza,
partecipa a questo processo di miglioramento dell’informazione
disponibile, intrattenendo rapporti dialettici con la politica di
qualità in quanto ne costituisce, al tempo stesso, una delle
componenti e uno dei simboli.
L’etichetta è così un capitale intangibile per l’azienda, che
deve essere mantenuto e valorizzato. Gli sforzi in ricerca,
sviluppo e innovazione costituiscono i mezzi privilegiati per
conseguire tale scopo. Al contrario l’esistenza di pratiche di
contraffazione, intesa in senso lato, è la prova della realtà
commerciale del suo valore. È ingannevole, per esempio,
utilizzare specificazioni che si richiamino ad un prodotto tipico,
se il prodotto tipico non possiede le caratteristiche di quello a
cui viene comparato, come ad esempio qualificare un prosciutto
comune come prosciutto tipo Parma, o come olio tipo ligure un
olio di altra provenienza, o formaggio di vacca toscanello un
formaggio importato dall’estero.
La legge finora esistente non fa alcun cenno alla data di
confezionamento o di produzione, mentre sarebbe auspicabile
rendere obbligatoria anche questa indicazione sull’etichetta,
specie per i prodotti facilmente deperibili, per un’esatta
definizione della data di scadenza. Infatti, la durata di un
prodotto alimentare è determinata dal fabbricante in base alle
caratteristiche merceologiche dello stesso, ai trattamenti ai quali
è stato sottoposto, al materiale usato per il confezionamento e
ad altri parametri.
Pertanto le indicazioni da consumarsi entro il o da consumarsi
preferibilmente entro il assumono valore relativo, perché in
alcuni casi prevalgono interessi industriali o commerciali sulle
esigenze legittime dei consumatori che determinano un
prolungamento sia della data di scadenza che del termine
minimo di conservazione. A questo si aggiunge che, spesso, tali
preziose diciture vengono indicate in modo poco chiaro, ad
esempio: stampigliando il termine minimo di conservazione sul
bordo di coperchi, in una posizione davvero difficile da trovare;
alcuni prodotti in scatola presentano la punzonatura della data
solo a pressione e senza inchiostro, il che la rende difficilmente
decifrabile; altri hanno la data praticamente illeggibile, perché
posta sulla zigrinatura della chiusura effettuata a caldo.
Spesso è omessa la sede dello stabilimento di
fabbricazione. Nel caso dell’olio extra vergine d’oliva, ad
esempio, non è dato sapere molte volte se è di produzione
italiana (e di quale regione) o d’importazione, in quanto
sull’etichetta è riportata esclusivamente l’indicazione della
località d’imbottigliamento e ciò può trarre in inganno il
consumatore; in questo modo molto olio d’oliva d’importazione
viene immesso sul mercato italiano come nazionale.
È inspiegabile peraltro il motivo per cui l’etichetta
nutrizionale non sia obbligatoria per tutti i prodotti alimentari.
Infatti, non richiederebbe costi eccessivi, visto che le
indicazioni da riportare possono anche essere calcolate
utilizzando dati desumibili dalle tabelle nutrizionali sulla base
della composizione media degli ingredienti, anche se sarebbe
auspicabile che facessero riferimento unicamente a risultati
oggettivi di analisi di laboratorio, d’altra parte non
particolarmente complicate né costose eseguite direttamente sul
prodotto.
L’etichettatura nutrizionale costituisce un validissimo
strumento informativo e di tutela della salute del consumatore:
questa infatti consente di scegliere i prodotti alimentari anche in
base alla loro composizione, permettendogli così di seguire una
dieta equilibrata, assai spesso sinonimo di salute. Tutto questo
alla condizione che il consumatore riesce a trarre il massimo
vantaggio dalle informazioni riportate sull’etichetta
nutrizionale.
Molte aziende, infine, sono convinte d’ottenere risposte
positive da parte dei consumatori offrendo la possibilità di
operare una scelta del prodotto anche in base al sapore.
La grande incognita, infatti, per la frutta è il sapore.
Nessuna norma contempla questo aspetto, ritenuto, invece, dal
consumatore molto importante. Oggi esistono macchinari dotati
di uno spettrofotometro che, in una frazione di secondo
misurano la quantità di zucchero presente. L’analisi permette di
valutare la qualità del prodotto senza scalfire il frutto. Il sistema
comporta dei costi, perché bisogna riconoscere un prezzo
maggiore al prodotto buono, ma molte aziende, operanti nel
settore agro – alimentare hanno improntato strategie di mercato
in proposito, nella convinzione di ottenere risultati positivi.