II
Successivamente, ho seguito lo sviluppo del principio, attraverso la sua
evoluzione storica, fino alla sua costituzionalizzazione.
Più precisamente, ne ho messo in risalto l’origine storica, partendo da
un’analisi delle opere e delle opinioni dei grandi studiosi del passato.
Ho appreso, così, che le prime affermazioni sulla necessità dell’introduzione,
nel sistema processuale penale, della presunzione d’innocenza, risalgono al 1764, e
sono contenute nelle opere di Pietro Verri e Cesare Beccaria.
Inoltre, il duplice significato del principio, così come lo conosciamo oggi, e cioè
come regola di giudizio e regola di trattamento insieme, ha diverse origini storiche.
Infatti, come regola di giudizio, esso nasce negli ordinamenti di tradizione
anglosassone, nei quali la libertà personale dell’imputato è stata sempre così ben
tutelata, che la garanzia della presunzione di non colpevolezza à apparsa del tutto
superflua.
Mentre, come regola di trattamento dell’imputato, esso appartiene
all’esperienza europeo – continentale risalente al pensiero illuminista e alla
rivoluzione francese.
Alquanto significativa, in tal senso, è la Déclaration des droits de l’homme et du
citoyen del 1789, la quale sancisce che tutti gli uomini sono da considerare innocenti,
fino alla sentenza di condanna.
Nel nostro ordinamento, invece, assunse un’importanza fondamentale lo scontro
che si ebbe, intorno alla seconda metà del IX secolo, tra la Scuola classica e la
Scuola positiva.
III
La prima, propugnava un giudizio penale fondato sulla presunzione d’innocenza
e sulla legalità della sanzione, criticando duramente gli arbitrii del processo
inquisitorio.
La seconda, esaltava l’ordinamento liberale e dichiarava superata la funzione
storica della presunzione d’innocenza, definita come una “funesta massima”.
Ma, furono le idee degli esponenti della Scuola tecnico – giuridica che
portarono, qualche tempo dopo, alla nascita del pensiero fascista e dei codici del
1930.
Gli attacchi più duri alla presunzione d’innocenza, vennero proprio dai suoi
esponenti, tra i quali spiccano Manzini, Mortara e Rocco.
Grazie all’avvento della Costituzione, la presunzione d’innocenza viene elevata
a principio cardine del nostro ordinamento.
Per meglio comprendere come ciò è avvenuto, e come si è arrivati, poi,
all’odierna formulazione, ho seguito lo sviluppo della norma in sede d’Assemblea
costituente.
Ho analizzato soprattutto, le discussioni e le opinioni che hanno portato
all’approvazione, da parte della I sottocommissione, della formula “L’innocenza
dell’imputato è presunta fino alla condanna definitiva”, e poi alla stesura definitiva,
da parte dell’Adunanza plenaria, di quello che ancora oggi è il secondo comma
dell’articolo 27 della Costituzione, il quale recita: “L’imputato non è considerato
colpevole fino alla condanna definitiva”.
Ma, il principio acquista un’importanza fondamentale, anche al di là dei nostri
confini, grazie al riconoscimento internazionale dovuto all’approvazione della
IV
Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo del 1948, e del Patto internazionale sui
diritti civili e politici del 1966.
Infine, ho analizzato più approfonditamente, l’articolo 27, secondo comma della
Costituzione, sia sotto il profilo della regola di giudizio, che sotto quello della regola
di trattamento.
Dire che la presunzione di non colpevolezza, assume la funzione di regola di
giudizio, significa far gravare sul pubblico ministero l’onere di provare la sussistenza
degli elementi costitutivi del reato.
D’altro canto, ciò implica che, l’inerzia dell’imputato, da sola, non può
produrre conseguenze a lui sfavorevoli, poiché, l’adempimento dell’attività
probatoria, non costituisce un suo onere, bensì un suo diritto.
Parlare della presunzione di non colpevolezza come regola di trattamento,
invece, comporta che un imputato, anche se in custodia cautelare, non può essere
trattato alla stregua di un normale condannato.
Inoltre, come sancisce l’art. 13 della Costituzione, si può procedere alla
limitazione della libertà personale solo «nei casi e modi previsti dalla legge», oltre
che «per atto motivato dall’autorità giudiziaria».
Tuttavia, tale articolo non ci dice quali sono le finalità cui deve tendere l’istituto
della custodia cautelare, provocando, così, una lacuna nel sistema, che è
comunemente detta “vuoto dei fini”.
L’unico modo per colmare tale lacuna, è quello di coordinare l’art. 13 Cost. alle
altre norme costituzionali, e soprattutto, all’art. 25 e 27, secondo comma,Cost.
Tuttavia, quanto detto fin qui, può trovare delle eccezioni. Infatti, avvalendomi
dell’ausilio di alcune sentenze della Corte Costituzionale, di documenti, testimonianze
V
e articoli di giornale, ho constatato che il legislatore ha facoltà di introdurre, nel
nostro ordinamento, delle ipotesi circoscritte di misure cautelari automatiche, che
esulano la soddisfazione della semplice esigenza cautelare, poiché vanno a colpire
reati di particolare gravità.
Ipotesi del genere sono state introdotte nel campo dei reati di associazione per
delinquere di stampo mafioso, ex art. 416-bis c.p.p., e di alcuni reati commessi da
dipendenti pubblici a danno della pubblica amministrazione, ex art. 4 della legge
97/2001.
L’unico limite alla discrezionalità del legislatore è quello del controllo della
ragionevolezza sull’introduzione di tali limitate ipotesi.
Ma, nonostante la conferma da parte della Corte Costituzionale della legittimità
di tali provvedimenti, una parte della dottrina non è dello stesso parere, poiché, se
esiste una norma di rango costituzionale, che vieta di considerare colpevole
l’imputato fino a sentenza definitiva, ciò dovrebbe valere per tutti gli imputati, anche
per coloro che sono accusati di aver commesso reati gravi ed infamanti.
In conclusione, un ringraziamento speciale va alla professoressa Giambruno,
per il preziosissimo aiuto, e al mio relatore, il professor Tranchina, che mi ha dato la
possibilità di sviluppare e approfondire un tema che mi ha appassionato molto.
1
Capitolo primo
Presunzione di non colpevolezza e presunzione
d’innocenza.
Sommario: 1. Dibattiti e differenze. – 2. Riflessioni sulle due
formulazioni, da un punto di vista filosofico – analitico.
1. Dibattiti e differenze.
Tra i principi costituzionali del processo, forse l’art. 27, secondo comma, Cost.,
è quello che più di tutti fu preso come emblema della radicale trasformazione del
processo penale, e che invece, soprattutto in origine, deluse ogni aspettativa,
trasformando ben poco le leggi penali.
In effetti, la difficoltà maggiore che incontrò l’art. 27, 2
o
comma fu di superare
quel limitato valore che, in modo riduttivo, gli era stato assegnato da alcuni Autori.
Tutte le incertezze interpretative nascono da quella che è stata definita come una
“imprecisione del segno normativo”,
1
giacché la norma recita così: «l’imputato non è
considerato colpevole sino alla condanna definitiva».
Da qui il dubbio se la formula inserita nella Costituzione rappresenti il
riconoscimento di una vera e propria presunzione d’innocenza, o non piuttosto di un
principio diverso e di portata minore.
1
Cfr. G. Illuminati, La presunzione d’innocenza dell’imputato, Zanichelli, Bologna, 1984, p. 12.
2
Un’interpretazione del tutto originale della norma compare nell’intervento di
Leone, in una discussione all’Assemblea Costituente. E’ qui che per la prima volta si
parla di “Presunzione di non colpevolezza” come qualcosa di distinto dalla
“Presunzione d’innocenza”.
In tale seduta Leone, infatti, affermò che: «mentre il principio d’innocenza era di
natura romantica, il principio attuale costituisce un’espressione di alcune esigenze
concrete: ed in particolare che sia mantenuta la regola in dubbio pro reo, e di un
ulteriore esigenza diretta a delimitare la carcerazione preventiva».
2
L’opinione di Leone, considerata come una sorta di interpretazione autentica
della norma, fu presa a modello da coloro che intendevano svalutare la portata del
principio per dimostrare che il legislatore costituente non aveva inteso cambiare nulla
rispetto alla disciplina previgente.
È su questa scia che autori come il Manzini affermarono che l’art. 27 della
Costituzione non stabilisce alcuna presunzione d’innocenza, ma si limita a dichiarare,
com’è naturale, che l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna
definitiva.
3
Gli autori, invece, che difendevano fortemente la presunzione d’innocenza, tra i
quali Illuminati, criticarono aspramente la scelta del legislatore costituente, definendo
la norma come: «un’inconcludente enunciazione retorica».
4
Illuminati affermava, infatti, che: «l’imputato da “presunto innocente”, diviene
“non considerato colpevole”, col risultato che una nozione estremamente chiara e
storicamente consolidata ha finito col caricarsi di valenze contraddittorie ed ambigue,
2
Cfr. Leone, Atti Assemblea Costituente, seduta 27 Marzo 1947.
3
Vedi infra, Cap. II, p. 21.
4
Cfr. G. Illuminati, op. cit., p. 21.
3
recando così nel suo stesso interno i germi di una possibile disgregazione del
significato pratico. (…) la Costituzione ha operato una scelta poco felice sul piano
tecnico e discutibile su quello politico».
5
In realtà, però, lo scopo del legislatore costituente era quello di attuare una linea
garantistica meno categorica rispetto a quella della formula primitiva.
In pratica con la formula “presunzione di non colpevolezza” si volle riconoscere
all’imputato una posizione neutrale, una sorta di status intermedio, non presumendolo
durante il processo né innocente né colpevole.
Ciò al fine di offrire più ampi margini di tolleranza e di conciliazione tra tale
principio e gli istituti in tema di limitazione della libertà personale dell’imputato, che
altrimenti sarebbero incompatibili con una vera e propria presunzione d’innocenza.
Pensiamo, ad esempio, alla carcerazione preventiva: se la nostra Costituzione
avesse introdotto una “presunzione d’innocenza”, allora tale istituto sarebbe diventato
illegittimo, invece grazie alla formula “presunzione di non colpevolezza”, non solo s’è
fatta salva la sua legittimità, ma lo si è potuto espressamente sancire nell’ultimo
comma dell’art. 13 Cost.
Non mancarono, però, gli autori che capirono e misero in luce, la portata
innovativa del 2
o
comma dell’art. 27 Cost. e non esitarono a parlare di “presunzione di
non colpevolezza”, attribuendo sostanzialmente a questa espressione il medesimo
significato attribuito generalmente alla presunzione d’innocenza, dandole lo stesso
valore, in termini di regola probatoria e di giudizio, che si dà al principio in dubbio
pro reo.
6
5
Ibidem, p. 21.
6
Cfr. Bellavista, Lezioni di diritto processuale penale, 3
a
ed. 1972.
4
Oggi, la dottrina è concorde nel ritenere che il fine del processo non è quello di
condannare ad ogni costo, ma è quello di stabilire se il reato è stato commesso da
colui che è sottoposto al procedimento.
Ed è per ciò, e anche alla luce delle altre leggi internazionali come la
Convenzione europea dei diritti dell’uomo e il Patto internazionale sui diritti civili e
politici, che molti autori escludono che il principio esplicitato nell’art. 27, 2
o
comma
Cost. possa essere interpretato se non come una presunzione d’innocenza.
Infatti, secondo alcuni autori, come Giuseppe Sabatini, non è realistico parlare di
un imputato come di un soggetto neutrale, poiché ciò lo porterebbe ad assumere una
posizione quasi estranea alle contrapposizioni delle situazioni processuali.
Tale affermazione, continua l’Autore, discende dalla correlazione tra l’art. 27, e
l’art. 112 Cost., in quanto è nell’obbligo di esercitare l’azione penale imposto al
Pubblico Ministero, che si dà origine alla contrapposizione tra accusa e difesa,
facendo sì che il soggetto diventi in primis un accusato, più che un semplice imputato
o indiziato.
Alla presunzione d’innocenza, dunque, non si può che ricollegare il principio del
favor libertatis, poiché alla base di ogni processo vi è una situazione originaria di
dubbio, che si può eliminare solo con una sentenza irrevocabile.
È proprio questa situazione, in definitiva, che impone che nel processo penale
sovrasti la presunzione d’innocenza fino a che il dubbio non sia sciolto dal giudice.
7
7
Cfr. G. Sabatini, Principii Costituzionali del processo penale, 1976, p. 48, 49.
5
2. Riflessioni sulle due formulazioni, da un punto di vista filosofico –
analitico.
Come visto sopra, alcuni autori usano indifferentemente le espressioni
“presunzione d’innocenza” o “presunzione di non colpevolezza” per identificare lo
stesso concetto, senza attribuire alle diverse formule particolari sfumature di
significato.
Altri,
8
invece, ricollegano alla formula “presunzione d’innocenza” l’espressione
autentica ed univoca del principio, mentre con la dizione “presunzione di non
colpevolezza” indicano il dettato normativo costituzionale, mettendo in discussione
l’ampiezza, la portata, e quindi anche la scelta, di tale locuzione.
Vi sono però autori che introducono in tale dibattito un’altra formulazione
positiva del principio: “considerazione di non colpevolezza”.
Tale formula viene utilizzata da Garofoli
9
, il quale la considera come la più
aderente al dettato normativo.
Egli sottolinea le peculiarità delle tre espressioni, affermando che: per
“presunzione d’innocenza” si intende il principio nella sua sfera etico – ideologica,
elaborato e sviluppato dagli interpreti; per “presunzione di non colpevolezza”, invece,
si intende quella formula utilizzata dal dato normativo per comodità espositiva, ma
che, contrariamente alle intenzioni del legislatore, genera fraintendimenti ed
incomprensioni per ciò che concerne la stessa portata della norma; per
“considerazione di non colpevolezza”, infine, si vuole indicare la figura del principio
8
Come ad esempio Illuminati, vedi supra.
9
Docente straordinario di Procedura penale alla facoltà di Giurisprudenza di Foggia.
6
espresso nella norma costituzionale, cioè appositamente formulato in una disposizione
dalla quale può essere ricavato mediante interpretazione.
10
Nell’analisi di questa problematica, si deve tenere presente che tale principio,
pur essendo una norma, costituisce un qualcosa di diverso rispetto a quest’ultima, in
quanto, mentre alle norme si ubbidisce, ai principi si aderisce, lasciando alla volontà
del giurista la facoltà di scelta.
Questo perché un principio non può essere né falso, né vero, ma solo condiviso o
rigettato.
Quindi, scegliere di dare attuazione alla presunzione d’innocenza, significa porre
al centro della vicenda processuale il rapporto tra individuo e potere, e far prevalere il
primo sul secondo.
È da ciò che nasce il forte legame che unisce la presunzione d’innocenza ai
modelli garantisti di giurisdizione penale.
Infatti, in uno Stato totalitario, non può esservi spazio per un principio del
genere, in quanto ciò che un siffatto modello persegue, è la punizione di tutti i
colpevoli, anche a costo di sacrificare la libertà e i diritti degli innocenti.
In contesti del genere prevarrà l’opposto principio dell’in dubbio pro
repubblica
11
e quindi della presunzione di colpevolezza.
Nello Stato di diritto, invece, tutto il modello processuale s’impernia sulla tutela
dell’innocente, anche a costo dell’immunità di qualche colpevole. Ecco che a questa
esigenza sopperisce la presunzione d’innocenza.
10
Cfr. Garofoli, Presunzione d’innocenza e considerazione di non colpevolezza, la fungibilità delle
due formulazioni, in Riv. It. dir. Proc. Pen., 1998, p. 1169.
11
Vedi infra, Cap. II, p. 26.
7
Tuttavia il nostro legislatore costituente ha scelto di non formulare
espressamente tale principio, optando per una soluzione che cercava di contemperare i
diversi punti di vista della dottrina del periodo, ma che di fatto ha generato
incomprensioni e malcontento.
Il quesito che sorge dalla scelta della formulazione del 2
o
comma dell’art. 27
Cost., e che si pone lo stesso Garofoli, è il seguente: non considerare colpevole
l’imputato, equivale in tutto e per tutto, a negare in ogni modo la sua colpevolezza, o
significa invece qualcos’altro?
12
Per risolvere la questione dovremo procedere ad un analisi del linguaggio usato
nell’art. 27, 2
o
comma Cost. e stabilire prima di ogni cosa, se dire “non colpevole”
equivale a dire “innocente”.
Ma cosa significa la locuzione “non colpevole”?
Per dare una risposta a tale quesito Garofoli segue l’indirizzo filosofico –
analitico che si snoda attraverso tre tappe fondamentali: quella della purificazione,
quella del completamento e quella dell’ordinamento del linguaggio del legislatore.
13
Dato che l’oggetto della questione non riguarda il conflitto tra enunciati
legislativi di grado gerarchico diverso, ma è interno alla stessa norma costituzionale,
la fase che ci verrà incontro per risolvere l’interrogativo postoci, sarà quella della
purificazione, che ha lo scopo di dare una precisa definizione ad un termine, e di
fissare le regole che ne stabiliscono l’uso.
12
Il quesito prescinde da quelle che potevano essere le reali intenzioni del legislatore costituente, in
quanto, per usare le stesse parole dell’Autore: «una volta emanata la norma è come una nave che,
giunta in alto mare, cerca, sotto la guida del capitano, la propria rotta» ( Garofoli, op. cit. p. 1185).
13
La fase della purificazione è quella che determina il significato delle parole che entrano a far parte
della preposizione normativa; il completamento è la fase nella quale si verificano tutte le combinazioni
scaturibili dalla proposizione normativa; l’ordinamento è invece, l’elaborazione sistematica del diritto
che tiene conto della pluralità di significati che le parole assumono in un contesto normativo. (Cfr.
Bobbio, Scienza del diritto e analisi del linguaggio, Milano, 1976, p. 304, 306. 308, 314, 319).