5
E' noto che una delle prime e più pesanti accuse dei dirigenti del neonato Stato
d'Israele fu quella di aver taciuto mentre si consumava l'orrore della
persecuzione nazista contro il popolo ebraico. Pio XII non replicò mai a queste
accuse, ma la sua condotta fu fermamente difesa nel 1964 da papa Montini,
Paolo VI, di fronte alle stesse autorità israeliane che non gradirono l'intervento
del pontefice.
Fondamentalmente bisogna ritenere che sulla questione ebraica il pensiero di
Pio XII, che tuttavia evitò di pronunciare discorsi ufficiali in merito, fosse, in
ultima analisi, ancora legato al tradizionale atteggiamento della Chiesa cattolica
esplicitato da Pio X già nel gennaio del 1904: <<Gli ebrei non hanno
riconosciuto nostro Signore, perciò non possiamo riconoscere il popolo
ebraico>>.
Riguardo alle questioni di principale interesse della S.Sede in Palestina, Pio
XII si pronunciò pubblicando tre 'Encicliche' che stabilirono i punti chiave
dell'atteggiamento vaticano, ripresi successivamente da Paolo VI: la volontà
ferma sia di tutelare i diritti delle comunità cristiane della Palestina, sia di
ottenere l'internazionalizzazione della città di Gerusalemme, città simbolo della
cristianità e luogo di culto per i fedeli delle tre grandi religioni monoteistiche.
6
Giovanni XXIII (Giuseppe Roncalli, Bergamo 1881- Roma 1963) non
intervenne mai direttamente con discorsi o pubblicando documenti nella
questione israeliana, ma il suo pontificato segnò l'abbandono dell'atteggiamento
conservatore dei precedenti pontefici sulla questione dell'ebraismo. Il nuovo
papa lasciò da parte le questioni politiche per dedicarsi al tema delle questioni
teologiche e sociali, e a quello del fraterno incontro fra i popoli. La sua
sensibilità per tali questioni è testimoniata dalle encicliche Pacem in terris e
Mater et Magistra. Ma Giovanni XXIII fu soprattutto il papa del Concilio
ecumenico che egli aprì solennemente l'11 ottobre 1962, vincendo l'opposizione
conservatrice di molti suoi collaboratori. Il concilio elaborò e approvò la
dichiarazione Nostra Aetate, un documento di importanza fondamentale che
segnò, pur tra molte difficoltà, una svolta nelle relazioni ebraico-cattoliche. Ma
se fu papa Roncalli a intuire la necessità di un'apertura nei confronti
dell'ebraismo, primario fu il ruolo del suo successore nel raccogliere la sostanza
dell'intuizione giovannea e nel portare avanti gli sforzi per far progredire il
dialogo fra i popoli.
Paolo VI (Giovanni Battista Montini, Concesio, Brescia 1897- Roma 1978),
fu continuatore della 'linea giovannea' di apertura al giudaismo, ma anche
difensore della memoria di Pio XII.
7
Di lui occorre inoltre ricordare lo storico pellegrinaggio in Terra Santa. Fu un
atto di grande apertura ma le autorità israeliane non gradirono il suo discorso in
difesa dell'operato di Pio XII.
Pur fra le molte difficoltà emerse Paolo VI incoraggiò il prosieguo dei lavori
conciliari per giungere alla redazione della dichiarazione sulla religione ebraica
Nostra Aetate, che considerò non un punto di arrivo ma una base per lo sviluppo
del dialogo. Così nel 1975 fu pubblicato il documento <<Orientamenti e
suggestioni per l'applicazione della Nostra Aetate>> che auspicava la necessità di
un dialogo più profondo per rinforzare gli storici legami fra cattolicesimo e
giudaismo. In seguito più volte il pontefice espresse una ferma condanna
dell'antisemitismo e l'augurio di un dialogo audace <<dans un champ qui déborde
en quelque sorte le domaine limité des échanges purement spéculatif>>.
1
Nei rapporti con lo Stato di Israele il suo pontificato fu marcato da una
intensa attività diplomatica mirata a ottenere da Israele il riconoscimento dei
diritti storici dei cristiani su Gerusalemme, mediante la sua
internazionalizzazione.
1
Cfr. J.M. Delmaire, Paul VI, le Judaïsme et Israël in Paul VI et la
modernité dans l'Eglise, Roma, Ecole Française de Rome, 1984, p.828
8
Dopo la guerra del 1967 il papa esortò Israele a dichiarare Gerusalemme 'città
aperta' e in seguito fece uso di varie formule (garanzia internazionale,
autonomia, statuto appropriato) che riproponevano nella sostanza l'antica
richiesta.
Nonostante il rimprovero, proveniente da ambienti cattolici, di occuparsi delle
pietre piuttosto che degli uomini, i numerosi appelli in favore delle comunità
cristiane della regione e del popolo palestinese, rivelano una sensibilità
profonda per le sorti di quegli uomini.
Occorre poi ricordare la sua ferma condanna del terrorismo palestinese: <<L'odio
genera odio, il sangue chiama il sangue...>>.
2
Certamente la delicata situazione politica ha in alcuni casi diminuito la
portata degli insegnamenti e degli appelli alla pace in Medio-Oriente: <<le pape a
hésité entre deux attitudes qu'il mentionne dans deux déclaration de 1964: "une
serreine attention", qui aboutit à dissocier les questions "raciale, politique,
religieuse", pour ne garder que la troisième, et, d'autre part "l'aspiration à une
amitié". Cependant, l'ouverture du pape à l'universalité des cultures et son
attention aux angoisse du monde moderne indiquaient la voie d'une relance du
dialogue judéo-Chrétien face au nihilisme et au néo-paganisme>>.
3
2
Insegnamenti di Paolo VI, Tipografia Poliglotta Vaticana, vol.X
1972 pp.856-857
3
J.M. Delmaire, Paul VI, le judaïsme et Israël, cit., p.835
9
2. Prima di passare all'esame del magistero dei due pontefici presi in esame,
riteniamo opportuno richiamare sinteticamente gli avvenimenti relativi alla
Terra Santa e a Gerusalemme antecedenti al secondo conflitto mondiale e alla
nascita dello Stato di Israele.
Il 9 gennaio 1917 quando le truppe britanniche entrarono in Gerusalemme le
campane di tutte le chiese di Roma suonarono a festa. La S.Sede vedeva
finalmente raggiungibile il suo obiettivo di collocare definitivamente la
Palestina nella sfera di controllo delle potenze cristiane.
Ciò era reso credibile dal manifestato interesse delle potenze dell'Intesa per
l'internazionalizzazione della Terra Santa.
Non si trattava di un'idea nuova. Essa era stata elaborata già nel secolo
precedente:
Extraterritoriality is in essence the extension of jurisdiction beyond the borders of
the state. It embodies certain rights, principles and immunities wich are enjoyed by the
citizens, subjects or protégés of one state within the boundaries of another, and wich
exempt them from local territorial jurisdiction and place them under the laws and
juridical administration of their own state.
10
Extraterritoriality is often confused with exterritoriality, but the latter refers only to the
immunities accorded a diplomatic envoy and his suite in accordance with international
law, while the former may be said to involve the establishment of an international
servitude by elevating the nationality principle of jurisdiction over the territorial
principle.
4
E' seguendo questo approccio che nel 1895 Herzl, il fondatore del sionismo
politico, nel suo libro The Jewish State affrontava il problema dei luoghi santi:
The sanctuaries of Christendom would be safeguarded by assigning to them an
extraterritorial status such is well known to the law of nations. We should form a guard
of honour about those sanctuaries answering for the fulfillment of this duty with our
existence. This guard of honour would be the great symbol of a solution of the Jewish
Question, after eighteen centuries of jewish suffering.
5
Ovviamente la S.Sede con l'espressione 'Luoghi Santi' intendeva non solo i
santuari, ma un'area geografica molto più vasta comprendente Gerusalemme,
Betlemme e Nazareth.
4
Cfr. S.I.Minerbi, The Vatican and Zionism. Conflict in the Holy Land
1895-1925, New York, Oxford University Press, 1990, p.95
5
Ibid.
11
Ciò contrastava chiaramente con il progetto di Stato ebraico elaborato da Herzl
e fin da allora la S.Sede cominciò a guardare con sospetto il movimento
sionista.
Durante la prima guerra mondiale il dibattito tornò attuale. Il significato
politico e religioso della Palestina e la sua importanza strategica spinsero le
potenze occidentali ad avanzare su di essa numerose rivendicazioni, così da
rendere necessaria la ricerca di un compromesso. Le ipotesi prospettate
parlavano di extraterritorialità dei luoghi santi, di internazionalizzazione della
Palestina o di una sua anche parziale neutralizzazione.
La prima mossa diplomatica concreta per dare attuazione a queste ipotesi fu il
progetto elaborato nel febbraio del 1916 dal britannico Mark Sykes e dal
francese François Georges Picot. Esso definiva le zone della regione medio-
orientale affidate al controllo delle due potenze e al contempo prevedeva
l'internazionalizzazione di un'ampia area della Palestina che includeva
Gerusalemme, Betlemme, Nazareth e tutti i principali luoghi santi della regione.
La caduta del regime zarista sembrò rendere gli obiettivi della S.Sede ancora
più facilmente raggiungibili. Gli ortodossi erano ormai privi del loro protettore
più potente e la gestione dell'internazionalizzazione della Palestina sarebbe
12
spettata soltanto a potenze cristiane occidentali sensibili agli orientamenti
vaticani e ormai svincolate dall'opposizione russa.
In questo quadro favorevole il Segretario di Stato vaticano card. Gasparri
espresse la propria soddisfazione per il contenuto degli accordi Sykes-Picot
suggerendo che <<la soluzione migliore sarebbe quella di unire il nord della
Palestina e la Siria alla Francia, il sud all'Inghilterra per costruirvi un baluardo
difensivo dell'Egitto, ed affidare ad un governatore il centro della Terra Santa,
dal nord del lago di Tiberiade fino a Hebron>>
6
.
Nel maggio del 1917 Benedetto XV si incontrò con Sokolow.
Il Pontefice non mostrò avversità verso le aspirazioni sioniste. Sokolow fu
pronto a dare delle garanzie fondamentali per la S.Sede: <<I can assure H[is]
H[oliness] in good conscience that we shall not touch the H[oly] P[laces] and
shall respect with the greatest consideration the arrangement that will be
reached in this matter>>, e Benedetto XV concluse con soddisfazione: <<Yes, I
think we shall be good neighbors>>.
7
Ma l'internazionalizzazione dei luoghi santi era veramente la soluzione più
desiderata dalla S.Sede?
6
Cfr. S.Ferrari, Vaticano e Israele dal secondo conflitto mondiale
alla guerra del Golfo, Firenze, Sansoni, 1991, p.11
7
Cfr. S.I.Minerbi, The Vatican and Zionism... cit., p.112
13
Un indizio evidente induce a pensare che essa fosse solo quella ritenuta più
opportuna.
Infatti il 10 agosto del 1922 il cardinale Gasparri inviò una nota alla Società
delle Nazioni nella quale si precisavano le richieste della S.Sede nella
definizione degli assetti della regione. Innanzi tutto si chiedeva che la
Commissione prevista dall'articolo 14 del Mandato britannico sulla Palestina <<à
l'effet d'étudier, définir et régler tous droits et réclamations concernant les Lieux
Saints ainsi que les différententes Communautés religieuses en Palestine>>, fosse
di tipo permanente e costituita da una maggioranza <<assurée aux représentants
des catholiques des diverses Nations, qui ont acquis des mérites si nombreaux et
si grands dans dans la conservation et la défense de Lieux Saints, ... et
particulièrment la Belgique, la France, l'Italie, l'Espagne et le Brésil devront
donc avoir dans cette Commission une représentation équitable>>.
8
Ma ciò che soprattutto veniva precisato era il carattere <<d'anationalité -plutôt
que d'internationalité- de ces sanctuaires, vénérés par les fidèles du monde entier
uniquement pour des motifs d'ordre religieux>>
9
, con l'implicita ma evidente
intenzione di proporre che i luoghi santi fossero affidati al controllo di
8
Cfr. E.Farhat (a cura di), Gerusalemme nei documenti pontifici,
Città del Vaticano, Libreria Editrice Vaticana, 1987, pp.211-212
9
Ibid.
14
un'istituzione religiosa e segnatamente alla Custodia di Terra Santa <<destinée
précisément à la protection des Lieux Saints>>.
10
L'ultimo monito di Gasparri alla Società delle Nazioni
11
era infine mirato a
ribadire l'inviolabilità dei diritti ormai storici acquisiti dai cattolici in Terra
Santa: <<Enfin, le Saint-Siège revient à ce qu'il a déjà eu l'occasion de déclarer
dans Son Memorandum cité, en date du 4 Juin dernier c'est-à-dire que la
Commission dont il s'agit ne peut pas se croire autorisée à mettre en discussion
des droits déjà acquis par les catholiques sur les Lieux-Saints, droits dont il ont
eu la paisible jouissance même sous la domination des Turcs>>.
12
E'possibile che l'ipotesi di anazionalità fosse ritenuta auspicabile anche per il
territorio circostante i luoghi santi.
13
Evidentemente però queste soluzioni erano
valutate irrealizzabili e la S.Sede aveva preferito appoggiare l'ipotesi del regime
internazionale gestito da potenze occidentali per la maggior parte cattoliche.
10
Ibid.
11
Per l'atteggiamento di scarsa fiducia della Santa Sede nei
confronti della Società delle Nazioni <<che appariva negli ambienti
cattolici come un alveare di framassoni>> vedi J.Joblin, Paul VI et
les institutions internationales in Paul VI et la modernité dans
l'Eglise, Roma, Ecole française de Rome, 1984, p.533
12
E. Farhat, Gerusalemme nei documenti pontifici, cit., p.213
13
Cfr. S.Ferrari, Vaticano e Israele... cit., p.12
15
Questa soluzione avrebbe evitato che la Palestina fosse affidata a un controllo
esclusivamente britannico, sgradito alla S.Sede sia per il timore di una
penetrazione delle chiese protestanti nella regione, sia perché esso avrebbe
potuto garantire soltanto un regime di extraterritorialità per i luoghi santi.
14
A queste motivazioni politiche si aggiungeva infine il desiderio di ottenere un
riconoscimento internazionale della <<santità>> della Palestina. Dopo la prima guerra
mondiale gli sforzi della S.Sede si erano indirizzati nel senso di realizzare <<un
progetto di riaffermazione del cattolicesimo>> ispirato dal <<proposito di procedere a
una ricristianizzazione non solo degli individui ma della società e degli Stati, da
compiere con tutti i mezzi, in primo piano quelli istituzionali e giuridici>>. La
codificazione canonica del 1917, dominata dal'immagine della Chiesa come societas
iuridice perfecta, e la politica concordataria degli anni '20 e '30, volta a restituire alla
Chiesa quelle funzioni pubbliche che le erano state sottratte in epoca liberale,
costituirono le manifestazioni salienti di questo intendimento, cui era sottesa una
ecclesiologia che mirava ad instaurare visibilmente il regno di Cristo in ogni sfera
della vita umana, compresa quella della politica. L'idea che il regno di Cristo sugli
uomini e sulle nazioni potesse trovare concreta espressione nel sottrarre la sua terra
natale al dominio di uno Stato per rimarcarne, attraveso l'internazionalizzazione, il
significato
14
Cfr. Ivi, p.13