mantenere il villanaggio, ma furono necessarie nuove forme
contrattuali che rispettassero le libertà personali. Si introdussero così
le nuove forme di conduzione dei contratti di gabella, delle
concessioni a censo e di enfiteusi.
Tra tutti i negozi con cui si regolarono i rapporti di affittanza
dei terreni dei grandi proprietari, quello che apportò un mutamento
importante nella gestione del patrimonio fondiario fu il contratto di
enfiteusi. Contratto con cui il proprietario cedeva un diritto reale al
coltivatore in cambio di un canone.
Per quanto concerne la produzione cerealicola è necessario
considerare che molti furono gli elementi che incisero sulla stessa;
dalla struttura geopedologica dell’isola, al clima favorevole, alle
tecniche di coltivazione ed alle masserie che divennero la maggiore
unità produttiva di grano nell’isola.
Ma il vero traino della produzione granaria siciliana fu l’elevata
domanda estera di frumento che portò la Sicilia a specializzarsi nella
monocoltura del grano e a fare dell’isola il “granaio del
Mediterraneo”.
Tale qualifica favorì gli scambi commerciali con le repubbliche
marinare. Queste, in possesso di una flotta mercantile molto
sviluppata, diedero vita a strette relazioni non solo economiche ma
anche politiche con il regno di Sicilia, venendo così a ricoprire
posizioni di egemonia in tutti i settori sia economici che politici.
I traffici commerciali che interessarono la Sicilia sono
descrivibili perciò con il binomio “panni-frumento”. La Sicilia
rappresentava, infatti, uno dei maggiori mercati di sbocco dei
manufatti esteri, ed era la prima fornitrice di grano in tutto il
Mediterraneo.
2
Infine, la storia economica della Sicilia nei secoli che vanno dal
XIII al XV non può essere separata dalle sue vicende politiche. Le
diverse dinastie che salirono al trono, la normanna, la sveva,
l’angioina e l’aragonese, usarono la Sicilia e le sue ricchezze con
finalità esclusivamente speculative, dando vita così, a tre secoli di
vera e propria colonizzazione.
3
4
Capitolo 1
La proprietà fondiaria.
1.1 L’ origine del latifondo in Sicilia e la dominazione
normanna.
Il latifondo siciliano ha origini feudali e non a caso in alcune
zone era chiamato dai cittadini col nome di “feudo”
1
. Molti ne datano
la nascita alle origini dei primi popoli che si localizzarono in centri
sopra le alture e scendevano a valle a coltivare il terreno, per motivi di
sicurezza quali il brigantaggio e le continue scorribande, molto
frequenti in quel periodo. Il sistema feudale fu caratterizzato da un
lungo processo di formazione che trionfò già in tutti i paesi del Sacro
Romano Impero d’occidente. A questo trionfo si arrivò per due
movimenti convergenti tra loro. Il primo parte dal fatto che lo Stato
non aveva l’autorità sufficiente per garantire la sicurezza
2
e la
giustizia a tutti i suoi sudditi, infatti, un numero sempre crescente di
piccoli e medi proprietari, che non si sentivano protetti in alcun modo
dallo Stato e si vedevano continuamente esposti alle violenze dei
barbari, alle rapine dei banditi, agli abusi di potere dei pubblici
1
Luzzatto G., Storia economica d’Italia, vol. I, l’antichità e il medioevo, Roma,
1949, pagg. 180-181 specifica che: “il contenuto economico, che abitualmente gli si
attribuisce, deriva, per buona parte, dalla confusione tra feudo e grande proprietà fondiaria.
Con il termine “feudo” si designa qualcosa di più vasto e complesso, infatti esso è quasi
sempre collegato ad un agglomerato di uno o più castelli, di villaggi, di casali e di case
sparse per la campagna”.
2
Questa categoria di soggetti mutò la loro condizione da liberi proprietari a
semplici possessori prendendo il nome di “Recommendati” Tramontana S., il mezzogiorno
medievale, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi nei secoli XI-XV, Roma, 2000, pag. 68.
D’Alessandro V., Terra, nobili e borghesi nella Sicilia medievale, Palermo, 1994, pag. 51.
5
ufficiali, cercavano rifugio nella protezione di un potente
trasformando la loro posizione di liberi proprietari in quella di
semplici possessori legati da un vincolo di dipendenza verso il loro
signore. Il secondo movimento era conseguenza anch’esso della
debolezza del potere statale; infatti, come unico mezzo per assicurarsi
la fedeltà e la collaborazione militare degli uomini al loro seguito, i
sovrani dovevano concedere loro in beneficio una parte delle proprie
terre, ottenendone come solo corrispettivo un giuramento di
sottomissione. Questi due movimenti costituiscono la base per quello
che venne denominato “sistema feudale”
3
.
In Sicilia il latifondo fu in ogni tempo la forma esclusiva o
prevalente dell’economia agraria caratterizzando sempre in maggiore
o minore dimensioni aziende familiari e piccoli possedimenti.
Sotto il dominio arabo non scomparve il latifondo anzi vi era
sempre la presenza della grande nobiltà fondiaria; i popoli vennero
sottomessi alla figura di vassalli e pagavano sui terreni loro concessi
delle rendite verso i proprietari. Sotto la gestione degli Arabi il
latifondo siciliano attraversò un periodo di riassetto ed una
redistribuzione fondiaria che interessava anche la grande proprietà
ecclesiastica, dovuto a una regolamentazione secondo la quale “la
proprietà della terra spettava allo Stato”
4
.
L’arrivo dei Normanni in Sicilia agli inizi della prima metà
dell’XI secolo, favoriti dalla morte prematura di Ottone III, non fu
pacifico portando con se, dopo decenni di lotta, morti, malattie,
distruzione di castelli e città. I nuovi governanti non volevano turbare
l’ordine sociale stabilito nelle terre conquistate prima del loro arrivo.
Questo comportamento favorì solo alcuni antichi proprietari di beni
3
Luzzatto G., Storia economica d’Italia, cit. pag.. 178-179.
4
Ruini C., Le vicende del latifondo siciliano, cit., pag. 23.
6
fondiari e operatori economici che mantenevano la propria funzione
nei centri di produzione e di scambio. Con la dinastia normanna venne
a determinarsi la ricostruzione dei grandi patrimoni agrari, e, fatto
nuovo per la storia dell’isola, l’introduzione del feudalesimo come
regime delle terre e struttura dei rapporti sociali.
Allo sbarco degli Altavilla nel XI secolo sull’isola, dopo la
caduta dell’ultima resistenza musulmana, la Sicilia era divisa a metà:
la zona Nord, in Val Demone, rimase sotto l’influenza dei greci, era
caratterizzata dalla presenza di una forte proprietà di piccola e media
estensione, un importante settore pastorale e una mano d’opera
formata da schiavi; nella zona Sud e quella Ovest il mondo
musulmano partecipava, sotto una duplice veste di produttore e
commerciante di cereali, spinti verso un’economia di mercato e per
una elevata imposizione fiscale.
La famiglia degli Altavilla, dopo il suo insediamento, modificò
sul piano giuridico quanto era stato adottato dalle dinastie precedenti.
Divise lo Stato in signorie che distribuirono ai loro compagni di
conquista nelle forme feudali che avevano adottato in Francia,
instaurando così un sistema mal visto dai popoli vinti.
La conquista normanna, a partire dal XI secolo, approfondì
queste differenze territoriali: infatti, nella Sicilia greca furono creati
vasti settori di proprietà del demanio con la nascita di un’azienda
demaniale che occupava il territorio che andava da Cefalù a Messina,
cioè tutte quelle zone che rientravano in una delle tre valli
5
in cui
venne diviso il territorio. Il Re normanno Ruggero I (1062) fece
inoltre largo uso delle donazioni di grandi estensioni di terreni alla
5
La regione fu suddivisa in tre grandi valli con caratteristiche economiche e sociali
diverse fra loro. Le valli erano nominate: Val di Mazara a ovest; Val di Noto a sud-est e
Val Demone a nord-est. Epstein R. S., Poteri e mercanti in Sicilia, Torino, 1996, pag. 28.
7
Chiesa e ai suoi fedeli laici instaurando una nuova struttura
proprietaria. Questa nuova riorganizzazione della proprietà agraria,
attuata dai Normanni, era volta a stabilire una gerarchia di poteri,
autonomi nel loro ambito quanto fosse necessario alla loro funzione,
ma rispondenti all’ordinamento politico voluto dalla famiglia degli
Altavilla
6
.
La novità che caratterizzò tutta la nuova struttura organizzativa
e che influenzò le dinastie successive fu l’ingresso del mondo
ecclesiastico nella storia politica isolana. Sul piano sociale esso
operava per creare le nuove basi etico-politiche consone al nuovo
Stato. Sul piano economico esso conduceva quasi da solo il
ripopolamento delle terre e il loro recupero alla coltura,
l’organizzazione ed il controllo del lavoro agrario delle grandi
“signorie” vescovili o monastiche con cui si apriva un nuovo periodo
della storia agraria isolana.
La dinastia Normanna non fece alcuna distinzione fra le due
figure che erano alla base della gestione feudale del regno, laici ed
ecclesiastici, entrambi sottoposti ai medesimi obblighi e prestazioni
verso il governo centrale
7
, portando il feudo siciliano a differenziarsi
nella sua complessa peculiarità da quello europeo ed anche da quello
normanno stesso, presente nelle terre pugliesi conquistate
successivamente. Differenze che erano basate su un duplice aspetto:
quello di dare un sistema amministrativo dipendente dal governo e in
secondo luogo quello di infondere nuovo vigore alla produzione
agricola. Tutti i territori controllati dal governo centrale erano gestiti
6
D’Alessandro V., Terra, nobili e borghesi nella Sicilia medievale, cit., pag. 44.
7
Caravale M., La feudalità nella Sicilia Normanna, in Atti del Congresso
Internazionale di Studi sulla Sicilia Normanna, Palermo, 1972, pag. 25
8
in parte dalla chiesa e in parte dai laici dietro versamento di una
rendita per le casse del regno.
Sotto i Normanni (1061-1194) il feudo siciliano fu
costantemente controllato dal Conte e dalla sua curia attribuendo ai
vassalli poteri e diritti diversi, a volte molto ampi, a volte più ristretti.
La dipendenza del feudo dall’autorità del Conte era collegata ad una
serie di concessioni ai suoi vassalli, laici ed ecclesiastici, sui territori
conquistati, e quasi tutti legati da vincoli di sangue alla dinastia. Ciò li
portò ad acquisire in seguito potere simile a quello dei funzionari che
erano nell’isola. In fondo Ruggero I a partire dal 1062 apportò
modifiche sul diritto di proprietà limitandosi a far passare sotto il suo
controllo alcuni latifondi e sostituendo i vecchi signori con i suoi
feudatari ecclesiastici. Lasciò intatta quella struttura di sub-
concessioni presenti all’interno dei latifondi a vario titolo giuridico.
Era evidente come Ruggero I governasse la Sicilia con la
collaborazione non già di tutti i suoi vassalli, bensì di un ristretto
gruppo di fedeli, alcuni dei quali appartenevano alla nobiltà feudale,
altri invece a ceti diversi, e tutti percepivano privilegi di natura e
consistenza differenti. Un problema presente durante la dominazione
normanna era la scarsità di reperire la classe dirigente e per ovviare a
questo problema si fece ricorso a soggetti provenienti dalla classe
laica ed ecclesiastica e da componenti etniche diverse da quelle
normanne. Anche la componente indigena ricopriva in certe
circostanze ruoli di grande importanza e funzioni di prestigio
8
.
In conclusione Ruggero I assegnò terre a baroni e ad
ecclesiastici senza preferire una categoria all’altra, ma cercò di
imporre su tutti i territori il proprio controllo. Il feudo fu allora la
8
Tramontana S., il mezzogiorno medievale, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi
nei secoli XI-XV, cit., pag. 31.
9
struttura portante sia dell’organizzazione amministrativa, sia della vita
produttiva dell’isola.
La struttura creata da Ruggero I si consolidò con i suoi
successori appartenenti al solito casato. Già Ruggero II, divenuto Re
al raggiungimento della maggiore età (1113), portò avanti la politica
economica del padre rivolta all’assegnazione al feudo della funzione
di centro propulsore della produzione agricola, la concessione di
privilegi ai vari vassalli
9
e, aggiunse una politica espansionistica in
oriente e verso il continente Africano. Gli obbiettivi di espandere il
loro potere verso oriente venne raggiunta grazie al matrimonio di
Adelaisa con il re di Gerusalemme Baldovino, mentre l’espansione nel
continente africano avvenne con la conquista. Tali azioni
espansionistiche si trasformarono in un insuccesso a causa della
prematura morte di Adelaisa (1117). Durante tale periodo il feudo
siciliano conservò le medesime caratteristiche che presentava nella sua
prima fase, sia sotto il profilo giuridico, sia sotto quello economico.
Sotto la reggenza del Re Ruggero II (1113) il regime giuridico
del feudo era sotto il suo controllo e la struttura sottostante, nata da
tutta una serie di sub-concessioni, non poteva compiere nessun tipo di
alienazione senza la sua autorizzazione. Re Ruggero II rafforzò
maggiormente il controllo sul sistema feudale siciliano portando
un’accentuata differenziazione all’interno della classe baronale tra
coloro che partecipavano alla vita governativa e gli altri che ne erano
esclusi, stabilendo così la consistenza di quei diritti e doveri che
9
Caravale M., La feudalità nella Sicilia Normanna, cit., pag. 35-37. “Non era
soltanto il godimento di privilegi da parte del singolo vassallo, ma era importante il fatto
che partecipava al governo comitale e il godimento da parte di questi di una particolare
situazione nei riguardi degli altri appartenenti al ceto nobile. Di questo gruppo ristretto di
familiari del conte facevano parte sia vassalli laici sia vassalli ecclesiastici. Parteciparono
attivamente alla conquista della Puglia che fu vista non solo come mezzo per accrescere la
produzione complessiva, ma anche come espansione dei possedimenti”.
10
spettavano agli uni e agli altri soggetti. Fu sua la promulgazione
dell’“Assise”, un insieme di leggi rivolte a contrastare il potere
baronale; istituì due registri, il primo sotto il nome di “defetari” dove
erano registrati i feudi e le loro prestazioni utili per la riscossione
fiscale; mentre il secondo sotto il nome di “platea” con scopi
diversi
10
.
Il Re Ruggero II durante il suo regno per sostenere lo sviluppo
agricolo concesse vari benefici ai suoi vassalli laici ed ecclesiastici
concernenti sgravi sulle rendite che dovevano essere versati nelle
casse del regno
11
. A partire dal 1144-1145 la riforma ruggeriana in
Sicilia non si limitò, quindi, alla revisione dei privilegi feudali, ma fu
completata dall’istituzione di un ufficio incaricato all’assegnazione di
feudi e villani, e della riscossione delle prestazioni dovute al sovrano.
Tale riforma era rivolta al rafforzamento del controllo da parte della
curia regia sul sistema feudale vigente in Sicilia e al conseguimento di
un più regolare e stabile adempimento da parte dei feudi degli
obblighi verso il governo, senza intaccare quel minimo di libertà
concessa ai vassalli.
Con l’ascesa al trono di Guglielmo I (1154-1166) si vennero a
modificare alcuni fattori che erano alla base dei suoi predecessori, tra
questi vi furono: l’allontanamento dal governo del gruppo dei
familiari di origine nobiliare retrocedendoli allo stato di coloro che
10
Il termine “platea” era usato in senso generico e si riferiva ai documenti nei quali
erano registrati tutti gli uomini obbligati a servire personalmente e con i loro familiari, sia
per vincoli personali sia per le concessioni avute, i signori feudali. Un altro che andava
sotto il nome di “giarida” si riferiva ai documenti nei quali erano elencati i villani con
mogli e figli, obbligati a servire per ragione di persona cioè senza alcuna concessione
terriera. Tramontana S., il mezzogiorno medievale, Normanni, Svevi, Angioini, Aragonesi
nei secoli XI-XV, cit., pag. 34.
11
Caravale M., La feudalità nella Sicilia Normanna, cit., pag. 40.
11
non partecipavano al governo comitale di Ruggero II e Maione
12
di
Bari fu nominato ammiraglio e responsabile della politica del Regno.
Questo mutamento di carattere amministrativo e strutturale, insieme al
controllo locale effettuato da una nuova figura, quella del
“giustiziere” con compiti di dirimere vertenze sorte tra vassalli e di
compiere indagini sui confini dei possedimenti di questi, non trovò
d’accordo gran parte dei potenti baroni e della popolazione.
Dopo la morte di Maione, infatti, il controllo feudale non subì
modifiche di rilievo, anche se con la fine del regno di Guglielmo I si
venne ad instaurare quella distinzione all’interno della classe baronale
esistente precedentemente.
A Guglielmo I succedette il figlio minore sotto la reggenza di
Margherita di Navarra e con l’appoggio di alcuni consiglieri fidati,
fino al raggiungimento della maggiore età.
Modifiche sull’amministrazione dei fondi furono introdotte
anche da Guglielmo II, che intervenne nel settore della cessione dei
feudi praticato dai suoi vassalli. Fu lui stesso ad imporre la cessione
ad altri dei beni concessi precedentemente ai fedeli della dinastia. Si
preoccupò che nella cessione il cedente non restasse debole
concedendogli alcune entrate dei feudi limitrofi, ne regolò
approssimativamente la successione feudale e ciò portò ad un
incremento della frammentazione dei fondi.
Lo sviluppo del latifondo in Sicilia conobbe una rapida
espansione sotto la conquista dei Normanni che riuscirono a creare un
consistente ceto di feudatari laici e allo stesso tempo furono generosi
12
“
In seguito alla sua ascesa, i consiglieri siciliani del re di origine nobiliare
cercarono solidarietà negli altri feudatari, sia dell’isola sia delle regioni continentali del
Regno. Congiurarono contro di lui e lo uccisero”. Caravale M., La feudalità nella Sicilia
Normanna, cit., pag. 44-45.
12
nella concessione di patrimoni e giurisdizioni a chiese e monasteri,
conservando contemporaneamente un vasto patrimonio demaniale.
Difficile quantificare l’estensione occupata dai feudi e quale fosse la
parte laica e quella ecclesiastica, anche perché in tale ambito esisteva
una proprietà allodiale ( libera, franca ) molto frazionata, soprattutto in
prossimità del centro abitato, che fu in parte un residuo della libera
proprietà preesistente alla istituzione del feudo, e in parte come frutto
di concessioni a favore degli immigrati arrivati nell’isola
13
. Molti
erano i feudi dei baroni e della chiesa che coprivano buona parte
dell’isola e molti dei quali erano gravati da usi civici
14
, come il diritto
di semina e il diritto di pascolo a favore delle popolazioni vicine che
ne necessitavano per il sostentamento. Questi diritti erano compensati
con il pagamento di canoni in natura verso i concedenti. Nello stesso
periodo si intensificarono anche i contrasti per gli usi civici,
soprattutto quello di pascolo, reso sempre più difficile dai possessori
dei terreni, che spesso erano anche usurpatori di terre comuni
15
.
Laddove vi era la presenza di feudi laici ed ecclesiastici la
popolazione era privata definitivamente della possibilità di esercitare i
due più comuni usi civici: diritto di semina e diritto di pascolo. Tali
diritti furono sempre possibili, ma non furono più gratuiti.
13
Peri I., Il villanaggio in Sicilia, Palermo, 1965, pag. 88.
14
L’origine degli usi civici fu anteriore alla conquista normanna dell’isola, ma
talora essi furono costituiti o incrementati in epoche successive, da parte dei sovrani e
anche degli stessi feudatari in occasione della fondazione di nuovi centri rurali. Laddove
preesistevano alla nascita del sistema feudale, non era raro che i feudatari cercassero in tutti
i modi di ridurli o limitarne la diffusione, anche a costo di lunghe contese con le
popolazioni. La lotta assumeva toni più aspri nei comuni demaniali, dove l’esercizio degli
usi civici spesso interessava l’intero territorio ed era fortemente contrastato dai possessori
dei terreni su cui gravavano: feudatari laici ed ecclesiastici. Sorrenti L., Il patrimonio
fondiario in Sicilia, gestione delle terre e i contratti agrari nel XII-XV secolo, Milano,
1984, pag. 55.
15
In epoca successiva si verificarono fattori di contrasto che portarono i proprietari
terrieri, spinti dalle necessità finanziarie, a trasformare i beni demaniali in beni patrimoniali
cedendo in affitto l’uso del pascolo a un affittuario, spesso esponente del gruppo dirigente
locale, che ne consentiva l’esercizio alla popolazione in determinati periodi dell’anno e a
pagamento. Cancila O., Economia della Sicilia, Aspetti storici, Milano, 1992, pag .80.
13
Gli ultimi due re della dinastia Normanna si preoccuparono in
primo luogo di incrementare nel regno un forte sistema vassallatico
tralasciando le esigenze economiche e attribuendo la proprietà dei
fondi a favore di mercanti stranieri, tra cui genovesi, veneziani e
pisani come contropartita del sostegno militare contro gli attacchi
dell’Impero germanico.
Quasi tutta la politica della monarchia normanna era rivolta alla
gestione dei feudi preferendo sfruttare direttamente i fondi, anche se la
politica di gestione imposta dai re era ostacolata dai rapporti dei
funzionari regi sui contadini, dai crescenti bisogni finanziari e dalla
progressiva feudalizzazione del patrimonio della corona.
1.2 La proprietà feudale laica.
La proprietà terriera segue in linea generale l’avvicendarsi delle
varie dinastie che conquistarono la Sicilia durante i secoli. I sovrani
che salivano sul trono, per rafforzare il loro potere, concedevano ai
loro fedeli, di medesima nazionalità, grandi appezzamenti di terreni;
quindi la loro proprietà deriva da conquista e successiva suddivisione
come compenso della prestazione di guerra nei confronti del
conquistatore. Alla distribuzione fatta dai sovrani, però, si
aggiungevano quelle di carattere “commendatizio” o di concessione
beneficiaria di quelle terre che si staccavano dalla proprietà stessa
perché il grande feudatario le concedeva in beneficio a persone del
suo seguito.
14
Era evidente come solo una minima parte delle estensioni
terriere era liberamente commerciabile per l’assenza di un mercato e
come tutto si basava su un rapporto fra concedente e concessionario.
Immense estensioni, lasciate a bosco e pascoli, erano demani
del re, che poi in periodi di crisi furono oggetto di concessione per usi
civici dietro pagamento di un canone; altre distese enormi costituivano
la proprietà inalienabile di chiese e monasteri. Le proprietà laiche
furono per la maggior parte vincolate da tutta una gerarchia di rapporti
di concessione
16
, per questo la loro alienazione, se non era resa del
tutto impossibile, era comunque ostacolata da motivi di carattere
strutturale.
Una tale immobilità nelle condizioni della proprietà fondiaria,
nonché una limitata rendita che da essa scaturiva, poté essere tollerata
fina a che la scarsità della popolazione, l’abbondanza dei pascoli e dei
boschi di uso comune, e la continua minaccia delle incursioni e
violenze barbariche indussero proprietari e coloni a stringersi fra loro,
a provvedere da sé alla maggior parte delle loro necessità alimentari e
a chiedere il meno possibile ai gruppi economici vicini.
Anche le concessioni e i contratti stipulati da vescovi, chiese e
monasteri erano rivolti direttamente a pubblici ufficiali, uomini
d’arme e cittadini, i quali si obbligavano a corrispondere soltanto una
piccola rendita in denaro, anche se quasi sempre, per la scarsa
monetizzazione del periodo, era versata in beni prodotti dalla terra.
16
Palmeri N., Cause e rimedi delle angustie agrarie in Sicilia, Roma, 1962, pag.
114-115. “ Indi avviene che in tempi propizi sorge in Sicilia una classe di speculatori sulla
dabbenaggine de’ proprietarii, che pigliano da costoro a fitto un intero stato, e ridanno poi a
ritaglio le tenute ond’esso è composto. Queste stesse tenute, affittate di seconda mano, son
troppo estese, in proporzioni del capitale del fittajuolo; quindi, non potendo egli coltivarle
tutte a conto proprio, ne coltiva solo una piccola porzione, e delle volte anche punto, e il
rimanente lo divide in briciole, e lo dà a coltivare per uno o due anni a dei agricoltori co’
quali divide con vari patti il prodotto”.
15
La struttura sociale presente in Sicilia metteva in evidenza
come i contadini non possedessero la terra che coltivavano, ma la
ricevevano in conduzione dal sovrano, dai baroni, dai nobili e dai
borghesi, mettendo così in evidenza come le grandi proprietà fossero
possedute da pochi soggetti di rango sociale elevato, creando un forte
dislivello gerarchico e condizioni di servitù da parte dei contadini
(villani).
Modifiche di carattere strutturale si ebbero quando la borghesia
cominciò ad affermarsi a scapito di altre classi sociali.
L’ascesa di questa nuova classe sociale fu favorita dalla caduta
dei redditi del latifondo in seguito al calo della popolazione che nel
XIV secolo raggiunse punte del 40%, soprattutto durante il periodo
della peste nera. I grossi possedimenti baronali riuscivano a stento a
superare tali momenti difficili razionalizzando lo sfruttamento delle
loro terre, mentre i piccoli feudatari furono costretti a vendere i loro
possedimenti, che venivano subito acquistati da notai, giuristi e da
qualche commerciante, entrando così in sostituzione alla vecchia
classe latifondista. Questa lenta sostituzione fu favorita dalle
disponibilità finanziarie che questi soggetti riuscirono a recuperare
dall’amministrazione delle città e che essi investivano non solo per
l’acquisto di terreni, ma anche per l’acquisto di immobili
17
. Durante il
corso del XIV secolo si ebbe un affermarsi di questo nuovo ceto
sociale che nasceva dalla fusione fra piccoli feudatari e alta borghesia.
Eliminata ogni ingerenza baronale diedero vita alla nobiltà civica
urbana con un potere economico e sociale che si affermava
giornalmente a scapito della vecchia classe baronale ormai in declino.
17
Bresc H., La feudalizzazione in Sicilia dal vassallaggio al potere baronale, in
Storia della Sicilia, vol. 10, Napoli, 1979-1981, pag. 501-503.