VI
La disoccupazione
Numerose circostanze concorrono e hanno concorso, a mio giudizio, ma anche
secondo parametri oggettivi, alla determinazione in seno alle società occidentali del
problema della disoccupazione.
Per esempio, i continui cambiamenti nei modi di produzione, che oggi vedono
l'avanzare della automazione e della tecnologia informatica in molti settori; la
razionalizzazione della produzione con pratiche manageriali volte alla massimizzazione
del profitto e alla riduzione massima dei costi; la competizione "globale" nel pianeta.
Numerose persone finiscono così per non trovare lavoro o per perderlo, perché per
età o grado di istruzione non riescono a conformarsi alle nuove tecnologie e perché i
settori "maturi" e tradizionali della produzione espellono, anziché attrarre forza lavoro.
Tutto ciò si ripercuote sulla qualità della vita di ampi strati di popolazione, che si
vedono diminuire i redditi e in ogni modo si sentono minacciati nell'agio e nella
sicurezza, spesso raggiunti da poco e con fatica.
Qualcuno ritiene che, per godersi la vita, sia necessario considerarsi arrivati, mentre
la nostra società occidentale alimenta invece, nell'ambito lavorativo, i sentimenti di
precarietà, insicurezza, competizione, percepiti da molti come intollerabilmente
angosciosi.
Tenderà a cronicizzarsi il problema della disoccupazione?
VII
Davvero la nostra esistenza sarà mortificata anche negli anni a venire da questa
piaga, malgrado gli indiscutibili progressi raggiunti dalla scienza e dalla tecnica? Io
credo di no.
Anzitutto, la disoccupazione non è un problema nuovo, ma da quando la
rivoluzione industriale ha cambiato il volto dell'Occidente, si ripresenta, ciclica, ad ogni
significativo cambiamento di paradigma produttivo.
E' possibile che quando la situazione si assesti e i settori più "giovani" siano giunti
a una maggiore definizione, molta forza lavoro venga assorbita.
Bisogna svincolarsi dall'idea che i posti di lavoro siano una quantità fissa: molto
dipende dal dinamismo di individui e società, dalla loro creatività, dalla loro capacità di
indurre nuovi bisogni (si spera, progressivi e non alienati). Il numero di posti di lavoro
dipende quindi anche dalla buona volontà e dall'impegno di un'intera cultura. Come
dipende da una rivoluzione culturale la volontà di considerare il lavoro in modo diverso,
non una condanna, ma un gioco, serio e impegnativo, ma soprattutto creativo, dove
ciascuno investa la propria personalità. Non più quindi la cultura ad oltranza del posto
fisso, cui accedere per diritto, senza avere magari nessun requisito, ma maggiori
flessibilità e impegno, maggiore volontà di raggiungere dei risultati, di porsi al servizio
di individui e comunità, in modo umile ed intelligentemente utile.
Soprattutto sarà necessario responsabilizzare gli individui, far sì che facciano
propria l'idea di formazione continua, di cura dei propri talenti, di autonomia nello
sviluppo di adeguati percorsi formativi.
VIII
Importante sarà una scolarizzazione diffusa, ma ancora più importante la
disponibilità a imparare in autonomia nell'intero arco della vita, anche (e soprattutto)
fuori del normale contesto scolastico.
Se è utile eliminare le rigidità e richiedere al lavoratore un impegno responsabile, è
pure vero che imprenditori, dirigenti, Stati e comunità devono offrire contropartite
valide. Il cosiddetto "Welfare State" va rimodulato, ma non soppresso.
Ciascuno di noi ha bisogno di occupazioni sufficientemente attraenti, ben
remunerate, di alternare periodi di lavoro a periodi di studio, di un tempo libero dilatato
(d'altronde quello della progressiva diminuizione del tempo di lavoro è una costante
ineluttabile delle economie occidentali), di contare di più all'interno delle organizzazioni
produttive, di luoghi di lavoro salubri e stimolanti.
Sono necessari ammortizzatori sociali che impediscano lo sviluppo di sacche di
povertà, offrire a tutti opportunità di formazione e di cambiamento, concedere alle
persone la possibilità di estrinsecare i propri talenti.
Un capitalismo più simile a quello tedesco o giapponese che a quello americano.
Fatto di efficienza e di impegno sì, ma anche di garanzie.
1
Capitolo I
Disoccupazione: definizione, misurazione,
rilevazione, interpretazione, politiche.
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1.1 La definizione di disoccupazione
Ordine, dis-ordine; uguaglianza, dis-uguaglianza; occupazione, dis-occupazione…Il
prefisso “dis” indica un significato contrario al nome senza prefisso, con l’aggravante
del peggiorativo. La disoccupazione non sfugge alla regola e presuppone
un’occupazione che non c’è.
Significato contrario, dunque, con la zavorra di un peggiorativo che porta ad alti
costi sociali e conseguenze di rilievo macroeconomico: la riduzione del prodotto e del
reddito aggregato si abbina ad un incremento della disuguaglianza, giacché i disoccupati
subiscono una perdita maggiore degli occupati; la disoccupazione, inoltre, intacca il ca-
pitale umano e comporta costi psicologici poiché, la gente ha bisogno di sentirsi utile e
necessaria.
Secondo la definizione comunemente accettata sul piano empirico, sono considerati
come disoccupati tutti gli appartenenti alla famiglia della popolazione attiva o forza la-
voro che non ha un lavoro e ne cerca uno ”attivamente” (ILO 1982).
Con "attivamente" si vuol affermare che un disoccupato, per essere tale, deve ripe-
tutamente inviare curriculum alle agenzie di lavoro o alle imprese, partecipare a concor-
si, rispondere ad annunci sul giornale, essere iscritto alle Sezioni circoscrizionali per
l’impiego, eseguire la ricerca di un immobile da destinare ad attività lavorativa, richie-
dere licenze o risorse finanziarie per l’esercizio dell’attività, trovarsi nello stato d’attesa
di una chiamata da parte dell’ufficio di collocamento o essere nell’attesa dei risultati di
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un concorso in vista di un pubblico impiego.
Tra i disoccupati possono essere compresi, in una accezione più ampia, anche colo-
ro che, pur non esercitando particolari azioni effettive per ricercare un’occupazione, si
trovano nella situazione di poter lavorare ed accetterebbero una occupazione al salario
prevalente, solo se si presentasse tale opportunità e si realizzassero particolari condizio-
ni, come ad esempio, il poter svolgere un lavoro analogo a quello che esercitavano in
precedenza, o corrispondente alle loro esigenze e caratteristiche professionali, oppure la
disponibilità di alcuni servizi, ad esempio sociali, in grado di consentir loro di sostituire
le attività che stanno attualmente svolgendo nel tempo non dedicato all’attività lavorati-
va.
C’è da dire in ogni modo che un lavoratore cerca attivamente un posto di lavoro te-
nendo conto, generalmente, di molti fattori, tra i quali ricordiamo:
1) il salario che è offerto;
2) quei fattori da cui dipende la possibilità di conciliare l’attività lavorativa con al-
tre esigenze della persona;
3) il modo secondo il quale si svolge l’attività lavorativa.
In ogni modo la definizione di occupazione, che è richiamata da quella di disoccu-
pazione, non può essere assunta come primitiva. Tuttavia, non essendo questa la sede
per un approfondimento adeguato, sarà sufficiente un cenno ai principali criteri in base
ai quali una attività umana è definita occupazione dal punto di vista economico.
Un primo criterio è quello del prodotto: si può considerare occupazione una attività
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che consente di produrre beni e servizi.
Un secondo criterio è quello del reddito: si può considerare occupazione una attivi-
tà che consente di percepire reddito.
Un terzo criterio fa riferimento al c.d. “riconoscimento sociale”: si può considerare
occupazione una attività alla qual è socialmente riconosciuto tale ruolo. Infine, aiuta nella
misurazione dell'occupazione, ma anche nella valutazione del peso da essa assunto nel ci-
clo di vita dell'individuo, il criterio della durata temporale.
Non sempre i diversi criteri danno luogo a risultati coincidenti. Riferirsi ad essi è
utile anche al fine di rilevare che le nozioni di occupazione e di disoccupazione dipen-
dono inevitabilmente dall'ambiente storico e spaziale di riferimento.
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1.1.1. Le cause della disoccupazione: conseguenze, ragioni e motiva-
zioni.
Le cause della disoccupazione, vista nella sua accezione di involontaria, il cui signi-
ficato sarà successivamente chiarito, possono essere:
a) strutturali, quando sono dovute alle caratteristiche generali del sistema economi-
co e alle imperfezioni del mercato del lavoro;
b) congiunturali, quando dipendono dalle oscillazioni del ciclo economico;
c) stagionale, quando sono causate dal carattere stagionale di talune attività produt-
tive;
Semplificando l’approccio e limitandoci alle sole cause strutturali, che sono quelle
che oggi maggiormente preoccupano per il loro impatto sulle condizioni permanenti
della forza lavoro, possiamo così sintetizzare.
Le cause strutturali della disoccupazione imputabili alla domanda sono:
a) l’insufficienza di beni capitali per impiegare, al livello tecnologico esistente, la
forza lavoro disponibile, con particolare riferimento alle aree sottosviluppate;
b) l’avanzare dell’automazione che riduce i posti di lavoro nella produzione mate-
riale dei beni agricoli e industriali, con riferimento soprattutto ai paesi avanzati.
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Le cause strutturali imputabili invece all’offerta sono:
a) l’impreparazione della manodopera e il suo mancato riaddestramento e riconver-
sione delle strutture produttive, assumendo spesso anche caratteri congiunturali.
b) i tassi elevati d’incremento demografico relativamente in particolare modo alle
aree sottosviluppate.
La disoccupazione contemporanea provoca danni in modi diversi e fra essi occorre
fare una distinzione.
I singoli problemi naturalmente sono interrelati, ma hanno una loro propria rilevan-
za. I loro effetti negativi si cumulano e agiscono sia individualmente sia congiuntamente
per minare e sovvertire le esigenze personali e sociali.
L’esigenza di distinguere fra i diversi modi cui la disoccupazione causa problemi è
importante non solo per una migliore comprensione della natura e degli effetti della di-
soccupazione, ma anche per disegnare risposte politiche appropriate.
L’interesse per l’analisi delle conseguenze della disoccupazione è accresciuto
dall’urgenza delle preoccupazioni di carattere politico: le esigenze di ordine pratico si
integrano bene con il bisogno di una più ampia valutazione di ciò che è in gioco.
E’ utile rilevare che una oculata analisi è necessaria per individuare alcuni danni
che possono non essere tipici dello stato di disoccupazione e provenire anche da una oc-
cupazione di cattiva qualità. Una massiccia disoccupazione produce svariati effetti ne-
gativi, notevolmente superiori a quelli accennati in avvio del nostro lavoro e che nello
specifico possono essere così sintetizzati.
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Il fenomeno della disoccupazione comporta costi economici e sociali molto rilevan-
ti. I costi economici sono rappresentati principalmente dal mancato utilizzo da parte del
sistema produttivo di risorse umane esistenti. Ciò conduce alla mancata produzione di
beni e servizi e, più in generale, ad un rallentamento degli investimenti e della crescita
economica.
I costi sociali sono certamente più difficoltosi da individuare, ma non per questo
meno rilevanti.
La disoccupazione riveste un ruolo fondamentale nella determinazione del be-
nessere individuale e sociale.
Il lavoro fornisce agli individui, ed alle famiglie, sia il reddito necessario, sia
l'insieme di relazioni sociali che contribuiscono a determinare il benessere personale.
Coloro che si trovano ad essere involontariamente disoccupati non soffrono solo per la
diminuzione del proprio reddito, e quindi del proprio tenore di vita, ma subiscono spes-
so conseguenze considerevoli anche sotto il profilo psicologico.
Le analisi empiriche hanno sottolineato la presenza di un qualche tipo di correla-
zione tra elevati e persistenti livelli di disoccupazione e fenomeni di grave disagio so-
ciale quali il disorientamento scolastico e professionale, il tasso di criminalità, l'alcoli-
smo o addirittura il tasso di mortalità.
I costi sociali si possono tradurre in costi economici tramite fenomeni di "istere-
si". Quindi schematizzando tali effetti per avere una visione sistematica di essi possiamo
affermare che la disoccupazione comporta una perdita di produzione corrente riducendo
la capacità produttiva, una diminuzione di qualificazione e danni di lungo periodo, poi-
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ché come le persone “imparano facendo” così “disimparano non facendo”; inoltre la di-
soccupazione può generare una perdita di capacità cognitive per effetto della perdita di
fiducia e del senso di controllo della persona senza lavoro.
Per ciò che concerne ogni singolo lavoratore non occupato registra una perdita di
reddito e ciò influisce sulla misura della disuguaglianza e sull’incidenza della povertà.
Ampliando la visione della povertà, la natura della privazione del disoccupato compren-
de anche perdita di libertà, che va al di là della diminuzione del reddito e può sfociare in
una esclusione sociale, riferendoci non solo alle opportunità economiche, quali le assi-
curazioni in favore dei lavoratori, e ai diritti alla pensione e alle prestazioni sanitarie, ma
anche alle attività sociali, quali la partecipazione alla vita della comunità, che può essere
assai problematica per le persone senza lavoro.
Considerando la povertà che scaturisce da uno stato di disoccupazione, si può af-
fermare che esso procura anche e soprattutto un danno psicologico quantificabile in una
intensa sofferenza e stato di angoscia; addirittura studi empirici sulla disoccupazione
hanno rilevato che ad alti tassi di disoccupazione sono interconnessi alti tassi di suici-
dio, che è un indicatore del senso di insopportabilità che le vittime provano. L’effetto di
una disoccupazione prolungata può essere particolarmente dannoso per il morale.
Il nesso tra sofferenza psicologica e perdita di motivazioni è stato analizzato in
modo illuminante da R. SOLOW.
La disoccupazione giovanile può causare danni particolarmente gravi, che porta-
no i giovani in età di lavoro e i lavoratori potenziali a una perdita di autostima persisten-
te nel tempo.
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La disoccupazione va ad alimentare condizioni di cattiva salute, in quanto essa
può portare a malattie clinicamente identificabili e a più elevati tassi di mortalità. Que-
sto può essere la conseguenza di una perdita di reddito e di mezzi materiali, ma si può
trovare un nesso anche con la prostrazione e la mancanza di rispetto verso se stessi e di
motivazioni, generate da una disoccupazione persistente.
Un disoccupato inoltre avverte un senso di scoraggiamento che può portare ad
un calo di motivazione e renderlo depresso e passivo verso la ricerca di un impiego fu-
turo.
La disoccupazione può anche influire in modo significativo sulle tensioni etni-
che e sulle divisioni fra i sessi, accrescendole. Quando i posti di lavoro sono scarsi, i
gruppi più colpiti sono spesso le minoranze, specie alcune parti delle comunità di immi-
grati. Ciò peggiora le prospettive di una facile integrazione degli immigrati legali nella
vita normale della società che li ospita.
Inoltre, poiché gli immigrati sono spesso visti come persone in concorrenza per
un posto di lavoro, la disoccupazione alimenta la politica dell’intolleranza e del razzi-
smo. Anche la divisione tra i sessi sono inasprite da una diffusa non occupazione, specie
per il fatto che l’entrata delle donne nella forza lavoro è spesso molto osteggiata in pe-
riodi di generale disoccupazione.
E’ stato poi dimostrato che la disoccupazione genera un indebolimento dei valori
sociali, in quanto le persone non occupate sviluppano un certo cinismo circa l’equità
degli assetti sociali e anche la percezione di vivere a carico degli altri. Questi effetti non
giovano al senso di responsabilità e di sicurezza di sé.
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L’associazione che si costata fra l’attività criminale e la disoccupazione giovani-
le deriva logicamente e concretamente dalle privazioni materiali del disoccupato, ma in
parte dipende anche da influenze psicologiche, inclusi un senso di esclusione e un sen-
timento di protesta contro un mondo che non gli dà l’opportunità di guadagnarsi una vi-
ta onesta.
Un aspetto importante da cogliere è il fatto che come la tecnologia e lo sviluppo
tecnologico alimentano la disoccupazione così la disoccupazione, contribuisce a limitare
l’uso di una tecnologia migliore a causa dell’inflessibilità tecnica e organizzativa che ne
consegue.
Infatti, in una situazione di disoccupazione diffusa, quando la rimozione dal pro-
prio lavoro può condurre a un lungo periodo di inattività, la resistenza a una riorganiz-
zazione economica, che implichi la perdita di posti di lavoro può divenire particolar-
mente forte.
La disoccupazione può, quindi, contribuire al conservatorismo tecnologico per
mancanza di flessibilità organizzativa, riducendo in tal modo efficienza economica e
competitività internazionale.
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1.1.2. La misurazione e rilevazione della disoccupazione in Italia con
riferimento all’esperienza comunitaria.
La disoccupazione è il problema macroeconomico che più direttamente e pesante-
mente affligge gli individui. In Italia, in termini di persone alla ricerca attiva di lavoro,
essa appare cresciuta da metà anni Ottanta a metà degli anni Novanta, al di là delle cor-
rezioni definitorie e di carattere metodo logico che ne hanno ridimensionato lo stock, e
questo a partire dal 1992, al fine di renderla comparabile con quella rilevata in altri pae-
si europei.
I complessi fenomeni concernenti il mondo del lavoro non si prestano a cataloga-
zioni esatte né a definizioni univoche, anche se il successo od il fallimento di una politi-
ca economica è spesso misurato dal numero di inoccupati involontari esistenti in un Pa-
ese, che rappresentano uno spreco di risorse e una perdita di produzione e di investi-
menti, oltre ad incidere sulla equa distributiva e generare povertà.
Conseguentemente, quindi, le statistiche attinenti al mercato del lavoro, che rappresenta
la cerniera tra mondo produttivo e società, devono essere il più attendibili possibili la realtà.
La principale fonte relativa agli aggregati visti sopra è senza dubbio l'ISTAT.
L’ISTAT, l’istituto nazionale di statistica che raccoglie e pubblica tutti i dati relativi al-
la disoccupazione, considera disoccupato chi abbia compiuto almeno una delle azioni prima