2
economica, che socio-culturale, che politica) che in Romania sono indubbiamente presenti
(basso costo degli input in senso lato, vicinanza culturale con l’Italia
1
, varie forme di
incentivo all’investimento). Il paradigma ha invece un riscontro solamente parziale con la
realtà in esame quando spiega i vantaggi internalization specific, cioè derivanti dallo
sfruttamento delle imperfezioni di mercato che rendono più conveniente all’impresa
internalizzare le transazioni piuttosto che farle passare per il mercato.
Le imprese italiane sempre più spesso coinvolgono nel processo produttivo anche
unità produttive locali ed inoltre, poiché esse sono per la maggior parte Piccole e medie
imprese (Pmi), non hanno la capacità economica di acquistare imprese locali per
internalizzare i costi di transazione al fine di agire attraverso la gerarchia dell’impresa. Il
paradigma eclettico ha un riscontro ancora minore con la realtà in analisi quando spiega i
vantaggi ownership specific: essi sembrano più adatti a spiegare gli Ide effettati dalle
grandi imprese più che dalle Pmi.
Anche due “derivazioni” del paradigma eclettico hanno un buon riscontro, anche se
in entrambi i casi parziale, con la realtà degli Ide in Romania: la Idp theory (“The
investment development path of nations – Idp”), che lo stesso Dunning sviluppa con l’altro
economista R. Narula, e la location theory di D.J. Lecraw applicata al caso rumeno.
Tra le nuove teorie, quelle macroeconomiche hanno un riscontro buono con la
realtà in esame: i gravity models prevedono che i flussi di Ide dipendano dall’ampiezza del
mercato del paese ricevente, dalla domanda potenziale dei consumatori locali, dalla
distanza geografica tra il paese ricevente ed il paese di origine degli Ide e dal basso costo
del lavoro. Tutte queste variabili sono effettivamente alla base degli Ide in Romania e si
può affermare che i gravity models predicono con un buon grado di efficienza i flussi
commerciali e di Ide nel paese.
A livello microeconomico invece, la nuova teoria che meglio spiega gli investimenti
in Romania è quella delle opzioni reali: essa infatti – a differenza del modello dei costi di
transazione – include valutazioni intertemporali tra le determinanti degli Ide e, a differenza
della teoria del valore attuale netto, tiene in considerazione l’importanza crescente che la
classe manageriale assume nella gestione dei progetti di investimento all’estero.
Come visto, ciascuna delle teorie presentate analizza e mette il luce particolari
aspetti del fenomeno oggetto di studio e sebbene vi siano stati tentativi di raggrupparle in
un unico approccio (il paradigma eclettico e le sue derivazioni), quello che si è guadagnato
1
Tale fattore viene citato più volte dagli imprenditori italiani come un vantaggio importante.
3
in sintesi e sistematizzazione è stato perso in valore euristico. Probabilmente - data la
complessità del fenomeno degli Ide - le teorie continueranno ad essere aggiornate per
includere sempre nuovi fenomeni che si presenteranno nel panorama economico globale,
ma esse si evolveranno su linee che, nonostante i punti di contatto, continueranno ad
essere distinte.
Il secondo capitolo, dopo una breve descrizione della transizione ed un paragrafo
introduttivo dedicato ai contributi teorici che hanno indagato le determinanti degli Ide nei
Paesi dell’Europa centro-orientale (Peco), analizza a fondo l’economia rumena.
Il capitolo presenta dati macroeconomici reali e finanziari (tra cui l’andamento della
bilancia dei pagamenti, con particolare riguardo alla bilancia commerciale), la struttura
produttiva (con un’analisi del ruolo che hanno in essa le Pmi), distributiva e finanziaria
della Romania, la sua competitività e l’andamento del processo di privatizzazione dall’inizio
della transizione fino ad oggi. Questi dati sono utili per comprendere e spiegare sia gli Ide,
italiani in particolare, già presenti nel paese, sia le possibilità future di investimento.
Dopo un decennio di incertezza economica ed una seconda recessione transizionale
negli anni 1997-1999 la Romania ha raggiunto dal 2000, in concomitanza con l’elezione del
nuovo governo, una crescita stabile. Nel 2002 il Pil ed il Pil pro capite sono cresciuti e così
anche la produzione industriale e le esportazioni. L’inflazione è stata contenuta al 18 per
cento e il deficit statale è intorno al 3 per cento del Pil. Anche la disoccupazione è calata,
nel 2002 era circa l’8 per cento
2
. La crescita tuttavia si è accompagnata ad un crescente
indebitamento verso l’estero e ad un peggioramento della bilancia dei pagamenti e della
bilancia commerciale (le importazioni tendono a crescere più delle esportazioni). Il tasso di
cambio si è costantemente deprezzato, rendendo le importazioni sempre più costose.
L’assistenza finanziaria da parte dell’Unione europea è costantemente cresciuta, ed i
finanziamenti a fondo perduto dei tre principali programmi di pre-adesione
3
dell’Ue
(Phare
4
, Ispa
5
e Sapard
6
) hanno portato nel paese solamente 2002 circa 600 milioni di
2
Insse.
3
Dal 2000 il volume finanziario totale dell’assistenza comunitaria è circa 630 milioni di Euro all’anno.
4
Il programma Phare è volto a fornire supporto per lo sviluppo istituzionale e sostegno finanziario ai
preparativi all’adesione, secondo le seguenti aree prioritarie: (a) rafforzamento istituzionale e dello stato di
diritto (b) rafforzamento delle misure relative all’adesione al mercato interno (c) rispetto degli obblighi
derivanti dall’acquis comunitario (d) coesione economica e sociale.
5
Il programma Ispa (Instrument for structural policies for pre-accession) mette a disposizione fondi per i
trasporti e l’ambiente. Il programma ha come beneficiari principali gli enti locali impegnati nel settore
ambientale e le autorità centrali operanti nei trasporti. Al fine di aiutare il governo nei suoi sforzi per
4
Euro. Sono state messe in atto misure specifiche per aiutare le Pmi che, pur tra molte
difficoltà, stanno comunque diventando una parte sempre più importante del “sistema-
Romania”.
Nonostante i risultati positivi, la Romania deve ancora portare a termine importanti
riforme per arrivare allo status di economia di mercato pienamente funzionante.
L’accelerazione delle privatizzazioni e l’incremento di flussi di investimenti esteri in entrata
sono due delle priorità del governo. Altra priorità è la lotta alla corruzione, fenomeno
endemico e diffuso a tutti i livelli. Nelle interviste da me condotte in loco presso alcuni
investitori italiani il fenomeno della corruzione é stato citato molte volte, ma piuttosto
come realtà con la quale convivere che come ostacolo determinante per gli investimenti.
Altri gravi problemi da affrontare sono l’alta percentuale di popolazione che vive in stato di
povertà, la scarsità e il basso livello qualitativo delle infrastrutture e dei servizi pubblici.
L’analisi dei dati empirici presentati nel secondo capitolo mostra che naturalmente le
teorie nate per spiegare le determinanti degli Ide nei Peco sono più adatte delle generiche
“teorie sugli Ide”, illustrate nel primo capitolo, per spiegare gli investimenti effettuati in
Romania. I contributi di Resmini
7
ed Altomonte
8
enfatizzano vantaggi location specific e
firm specific che sono effettivamente alla base degli Ide in Romania: il grande processo di
privatizzazione
9
, il potenziale mercato di sbocco, la prossimità fisica tra il paese ricevente
gli Ide ed il paese dell’investitore (ciò è mostrato in maniera esemplare dal fatto che gli
Ide italiani del Nord-Est si sono collocati preferibilmente nel Nord-Ovest della Romania)
10
,
l’atteggiamento verso gli Ide che il paese “comunica” agli investitori esteri
11
.
l’adozione degli standard comunitari, Ispa concentra il suo aiuto negli investimenti particolarmente ingenti
(trattamento delle acque reflue e delle acque potabili, inquinamento atmosferico, gestione dei rifiuti ecc.).
6
Il programma Sapard (Special accession programme for agricolture and rural development) ha l’obiettivo di
incrementare la competitività nel settore agroalimentare, di migliorare le infrastrutture rurali, di sviluppare le
risorse umane e l’economia rurale, anche attraverso una sua diversificazione. Il programma ha anche il
compito di preparare il paese alla partecipazione alla Politica agricola comune (Pac).
7
Resmini (2000).
8
Altomonte (1998).
9
Anche se minore che in altri Peco.
10
Va ricordato che i governi rumeni (compreso l’attuale) avrebbero preferito che l’industrializzazione portata
dagli Ide si fosse concentrata nella zona meridionale del paese.
11
Vanno letti con questa chiave interpretativa gli enormi sforzi che il governo sta facendo – anche attraverso
l’Aris – per migliorare l’immagine internazionale del paese e - a nostro giudizio - anche il fatto che la
Romania si è schierata al fianco degli anglo-americani nella recente guerra all’Iraq. Tale decisone è seguita
all’ingresso della Romania nella Nato, effettuato anch’esso per dare l’immagine di un paese “sicuro” per gli
investitori.
5
Anche le variabili sector specific che Altomonte e Resmini individuano sono
riscontrabili negli Ide italiani: essi infatti si concentrano in settori tradizionali a bassa
intensità di capitale che usano forza lavoro poco costosa e non adeguatamente protetta.
Infine anche la teoria di Baldone, Sdogati e Zucchetti sull’ outward processing trade
(traffico di perfezionamento passivo) trova una ampia conferma nei dati empirici che
descrivono il comportamento degli investitori italiani, soprattutto quelli del settore tessile e
calzaturiero.
Il terzo capitolo è il core del testo: esso analizza gli Ide in Romania attraverso
dati qualitativi e quantitativi, anche alla luce delle politiche messe in atto dal governo
rumeno per attrarli e garantirli. Particolare attenzione è dedicata agli investimenti italiani
(ed alle politiche volte a favorire l’internazionalizzazione delle imprese italiane); poiché
questi ultimi sono effettuati in maggioranza da Pmi il capitolo inizia con una panoramica
delle teorie sull’internazionalizzazione di questo tipo di imprese. E’ presente anche un’altra
parte teorica, riguardante il modello di sviluppo del distretto industriale italiano e la
possibilità di una sua eventuale riproduzione nel contesto economico rumeno. Sono poi
analizzati gli effetti che gli Ide hanno sull’economia e la società rumena. Il capitolo termina
con la verifica delle congruenze tra le teorie sugli Ide ed i dati empirici sulla Romania.
Interviste, sia citate nelle fonti
12
sia personalmente condotte da me, ad imprenditori
italiani attivi in Romania già da un decennio, confermano che il fattore principale che li ha
spinti a delocalizzare la produzione – o parte di essa - è il basso costo del lavoro e, per il
settore della lavorazione del legno, delle materie prime.
Il secondo fattore è legato alla provenienza di molte imprese italiane da aree
distrettuali: le imprese che per prime hanno delocalizzato in Romania hanno attratto altre
imprese italiane, spesso provenienti proprio dallo stesso distretto industriale. Le imprese
del Nord-Est tendono a concentrarsi nella “Regione Vest” della Romania e, in quella
regione, vi è la tendenza a conservare modalità operative e relazionali già presenti nel
distretto di partenza. Queste imprese hanno rapporti commerciali sia con altre imprese a
capitale italiano (o capitale estero in generale), sia con imprese locali.
12
Velo e Majocchi (2002).
6
Quest’ultimo fenomeno è recente, ma si sta sempre più diffondendo: le imprese
italiane fanno sempre più spesso contratti con produttori locali dell’area del “proto-
distretto”
13
per la fornitura o l’assemblaggio di componenti di beni strumentali.
Un esempio di “proto-distretto” esiste nell’area di Timisoara, zona in cui gli
imprenditori italiani concentrano gli Ide: l’area è di antica tradizione industriale (anche se
“statalista”) e conta 21 mila aziende che danno lavoro a molti dei 700 mila abitanti della
zona. Circa 5 mila imprese sono estere, e di queste circa 1500 italiane. Gli imprenditori
italiani (del Nord-Est per la stragrande maggioranza) hanno generalmente investito nella
formazione della forza lavoro e - sebbene sia ancora un processo in fieri - nella creazione
di nuove infrastrutture (materiali ed immateriali) utili per replicare il loro “modello di
partenza” e per realizzare una massa critica che permetta loro di relazionarsi in modo forte
ed unitario con gli interlocutori locali (pubblica amministrazione in primis).
Il “proto-distretto” di Timisoara è “nato da sè” in un’area già industrializzata (anche
se con il tempo i progetti di sviluppo e la volontà degli imprenditori italiani ne hanno
costituito e ne costituisco l’ossatura) per accumulazione di imprese, investimenti e
conoscenze, soprattutto italiane. Studi
14
suggeriscono però che l’area di Timisoara e Arad
ha sì alcune caratteristiche tipiche del distretto industriale italiano, ma che esse sono
marcate per i settori tessile e calzaturiero, ma molto deboli per altri settori (ceramiche,
marmi). Ecco perché si è scelta la denominazione di “proto-distretto”: paradossalmente
l’elemento che ancora manca in tutti i casi è la consapevolezza da parte delle imprese
dell’area (italiane e rumene) di appartenere ad un sistema distrettuale, ossia manca quella
“identità sistemica” che è la “coscienza” del distretto.
Forse questa mancanza deriva anche dal fatto che il “distretto” rumeno nasce come
proiezione internazionale del distretto italiano, o meglio di diversi distretti italiani
specializzati in produzioni diverse; questo provoca nell’area una pluralità di produzioni che
oggettivamente rendono l’identificazione con un “tutto” alquanto difficile. Per tentare la
riproduzione dei distretti industriali italiani, ovvero una “esportazione del distretto
industriale”
15
alcune guidelines utili potrebbero essere:
13
Si è scelto di denominare questo tipo di aree “proto-distretti” perché esse non sono ancora classificabili
come veri distretti industriali; si veda la spiegazione alla pagina seguente.
14
Velo e Majocchi (2002).
15
Si vuole intendere qui l’esportazione del modello di sviluppo del distretto industriale, ossia il
coinvolgimento sempre maggiore – fino ad essere in prospettiva idealmente quasi esclusivo – di imprese,
pubblica amministrazione, associazioni ed enti locali rumeni in esso. Durante le nostre interviste è invece
emerso che il concetto di “esportazione del distretto industriale” in alcuni casi concreti significa
7
a) creare, seguendo l’esempio italiano, dei sistemi associativi di imprese;
b) replicare le politiche per l’accesso al credito;
c) adeguare l’istruzione tecnica e la formazione professionale nell’area del distretto ad
ambiti legati alla produzione dello stesso
16
.
I dati empirici esposti nel capitolo sugli investimenti italiani effettuati da Pmi,
suggeriscono che la teoria più appropriata per spiegare il fenomeno sia quella del network.
Le teorie basate sugli Ide non sono adatte ed anche gli stage models, sebbene possano
essere validi per le imprese che vengono in contatto con l’estero (con la Romania) prima
attraverso il commercio e solamente in un secondo tempo attraverso gli Ide, non
sembrano adatte a spiegare l’internazionalizzazione delle Pmi italiane nel paese, né
attraverso il modello di Uppsala né tanto meno con il innovation-related
internationalisation model. Ancora meno adatte appaiono la inward internationalisation
theory e soprattutto la international new venture theory.
La teoria del network invece trova un riscontro empirico nei dati esposti in questo
testo perché le Pmi italiane in Romania effettivamente interagiscono tra loro e con enti
pubblici e privati di vari tipo, anche attraverso la relazioni personali che i manager o i
proprietari delle imprese hanno tra loro e con altre persone appartenenti a vario titolo al
processo produttivo
17
. Come detto, infatti, le imprese italiane di distretti industriali
tendono ad internazionalizzarsi – oltre che per sfruttare al meglio i fattori di produzione -
seguendo l’esempio di un’impresa leader con cui esse già operano e spesso riproducono in
Romania lo stesso tipo di network esistente in Italia, allargando però i “nodi” della ”rete”
anche ad imprese e enti locali
18
; è quello che succede nell’area industriale di Timisoara e
soprattutto quello che si tenta di fare per il progetto di distretto industriale di Brezoi.
materialmente spostare la produzione e la rete di relazioni (e dunque di indotto a monte ed a valle) che
erano precedentemente presenti nel distretto in Italia, nel nuovo “proto-distretto” in Romania. Questo
processo è negativo per l’Italia perché lascia un vacuum nella zona di partenza (che si traduce in perdita di
posti di lavoro, know how, spinta all’innovazione, e tutti gli effetti negativi derivanti dalla chiusura di
un’impresa).
16
A Timisoara è in corso un progetto simile patrocinato dall’Italy point; per maggiori informazioni si rimanda
al sito internet dell’organizzazione.
17
Tra le varie componenti del network ci sono anche associazioni di imprenditori italiani e camere di
commercio italiane in Romania.
18
E’ un tipo di Ide definibile strategic asset seeking, ovvero che persegue obiettivi strategici di
mantenimento e sviluppo di relazioni con imprese italiane, rumene, enti locali di vario genere presenti sul
territorio.
8
Il quarto e ultimo capitolo della tesi evidenzia le tendenze dell’economia rumena
per il 2004 e per gli anni successivi e fornisce una panoramica su quelli che
presumibilmente saranno i settori più profittevoli per gli investitori italiani, sia nuovi sia già
presenti nel paese.
Gli investimenti italiani in Romania si sono finora concentrati in settori labour
intensive in settori tradizionali in cui l’Italia è competitiva: tessile-abbigliamento, calzature,
macchine utensili, meccanica ed elettromeccanica, lavorazione del legno ed il metodo di
produzione maggiormente usato è stato finora il traffico di perfezionamento passivo
(ovvero quell’outward processing trade analizzato dalla teoria di Baldone, Sdogati e
Zucchetti che ha trovato una ampia conferma nei dati empirici). Ide ed interscambio
commerciale sono strettamente connessi nel caso degli investimenti italiani in Romania,
essi creano un circolo virtuoso che da un lato ha permesso alle imprese italiane –
soprattutto Pmi - di continuare ad essere competitive e, dall’altro, ha permesso alle zone
interessate dagli Ide (ed alla Romania in generale) di svilupparsi e ammodernare la sua
struttura produttiva ed il capitale umano.
Oggi però il sistema - all’inizio “pionieristico” - che ha funzionato per più di dieci
anni si trova di fronte a nuove sfide: il processo di allargamento dell’Ue e la concorrenza
internazionale proveniente dalla Repubblica popolare cinese e dal Sud-Est asiatico in
generale (con prodotti a prezzi molto competitivi e di qualità crescente) non renderanno
possibile ancora a lungo la sopravvivenza di Ide fatti semplicemente per ridurre l’incidenza
dei costi da lavoro sul prezzo finale del prodotto. Gli Ide potranno continuare nei settori
tradizionali, ma le Pmi italiane dovrebbero avere la lungimiranza di fare anche investimenti
strategici ed orientati al mercato rumeno e in generale ex-comunista anche in settori a più
elevato valore aggiunto e che sono in crescita nella quota di importazioni del sistema-
mondo. Una chiave per il successo potrebbe essere – come si sta cercando di fare –
replicare il modello di sviluppo italiano, quello del distretto di Pmi. Le imprese dovrebbero
“fare sistema” tra loro e con enti locali, nazionali ed internazionali che possono contribuire
alla loro crescita all’estero (banche, assicurazioni, associazioni di categoria, enti pubblici
italiani ecc.). Se gli imprenditori non riusciranno ad affrontare il cambiamento, e sfruttarlo
a loro favore, c’è il rischio che le posizioni raggiunte in questi anni in Romania non si
tradurranno nella conquista di quote di mercato adeguate del crescente mercato.