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rapida della tecnologia e delle tecniche, che è avvenuta in due decenni o poco più.
Gli effetti della terza rivoluzione industriale tuttavia sono di portata straordinaria. I
mutamenti sono già anche evidenti per quanto riguarda i prodotti e i mercati:
microchips, progettazione e produzione computerizzate (CAD / CAM), fibre
ottiche, laser, olografia, biogenetica, robotica, word processing, nuovi materiali
frutto della tecnica.
Possiamo ad esempio vedere come funzionava e come era composta un' impresa
tipica di grandi dimensioni ad alta tecnologia che operava negli anni '60 e
raffrontarla poi con le imprese che operano ai nostri giorni.
La tecnologia dell' impresa era perfettamente conosciuta e ben nota nella
letteratura tecnica, nel sistema educativo e negli acquirenti; inoltre la vita media
della tecnologia era elevata e quindi in uso da molti anni: ciò consentiva una buona
disponibilità di personale specializzato. Lo sviluppo e il cambiamento dell'impresa
erano di tipo evolutivo e la velocità di evoluzione corrispondeva alle capacità
finanziarie dell' impresa: l' innovazione del prodotto era controllata attentamente
dall' impresa secondo un cambiamento graduale.
I manager erano cresciuti assieme alla tecnologia e all' azienda e in essa erano
vissuti: la comprendevano perciò perfettamente; il management si aspettava il
permanere di un clima aziendale senza sorprese.
L' azienda non subiva pressioni di tempo in nessuna direzione: le risorse chiave
erano rappresentate dalle persone e dalla disponibilità finanziaria, risorse che erano
disponibili in quantità adeguata, soprattutto per quanto riguarda le persone.
2
Quindi l' industria manufatturiera che si è sviluppata fino ai nostri giorni è quella
delle produzioni in grande serie : grandi impianti scarsamente flessibili che, a causa
dei lunghi tempi e degli alti costi di riconversione, permettono una produzione
elevata ma per una ristretta varietà di beni. Questo modo di concepire la produzione
sta però mostrando segni di debolezza poiché anche se i volumi di produzione di
ogni prodotto sono sempre sostenuti, sono in realtà realizzati attraverso un numero
sempre crescente di varianti, mentre i cicli di vita del singolo bene diventano
sempre più ridotti. Nel passato recente il miglioramento dei processi produttivi
non ha registrato variazioni importanti ma, piuttosto, si è assistito ad un
miglioramento costante che ha spesso interessato aspetti locali e richiesto analisi
puntuali, in affiancamento all' adozione dei macchinari a controllo numerico, e di
supporti informatici più evoluti.
Ora questo modo di concepire l' impresa e il suo sviluppo appare superato. Il know-
how e la tecnologia in genere, sono in continuo e veloce progresso per cui le
situazioni all' interno di una azienda sono profondamente mutate. Ad esempio si
constata la penuria di personale specializzato e addirittura, in alcuni campi, non si è
ancora in grado di definire il know-how necessario poiché questo è ancora
emergente. Ne consegue che alcune aree non sono ancora oggetto di codificazione
o di insegnamento da parte delle università: le abilità dovranno perciò essere
acquisite facendo esperienza.
Le imprese che troveremo in vantaggio negli anni a venire saranno quelle che
meglio avranno saputo utilizzare le moderne strategie di sviluppo. In particolare il
tempo e la flessibilità stanno diventando i principali fattori di business : il modo in
3
cui le aziende sono in grado di gestire i tempi nella produzione, nello sviluppo di
nuovi prodotti, nelle vendite e nella distribuzione rappresenta il vantaggio che un'
impresa può ottenere sulla concorrenza, così come la capacità di diversificare la
produzione o la possibilità di fornire servizi personalizzati e adatti a diversi tipi di
cliente. Si è già potuto osservare in molti settori industriali che le imprese che per
prime hanno adottato questi nuovi modelli di produzione, hanno creato a proprio
favore un profondo vantaggio competitivo.
Per quanto riguarda il tempo, gli aspetti più importanti delle nuove tecnologie
risiederebbero soprattutto nei cicli di progettazione resi più brevi dai sistemi CAD,
nei ridotti tempi di collaudo dei prototipi, grazie ai collegamenti CAD/CAM , ed
infine, nei più veloci tempi di entrata in produzione, grazie ai sistemi produttivi
integrati. Questi nuovi parametri forniscono così un turnover più rapido del
prodotto e offriranno inoltre l' opportunità di produrre a costi più convenienti, in
uno stesso stabilimento, una vasta gamma di beni; in particolare si può evidenziare
che il tempo ha anche un suo " valore " oggettivo, nel senso che numerosi clienti
sono disposti anche a " pagare " di più pur di avere un prodotto prima o subito.
Per quanto riguarda la flessibilità, essa ci dà la possibilità di seguire una linea di
costante rinnovamento del processo e del prodotto, secondo ritmi che possono
variare considerevolmente da un periodo all' altro: si rimane così anche in una
posizione di avanguardia nella tecnologia dei prodotti di base o nella ricerca nel
campo del marketing.
In questo modo si riescono così a combinare i vantaggi della produzione di massa
con quelli della produzione artigianale : siamo in presenza di quella che viene
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definita " lean production "1 o produzione snella. Le priorità strategiche per
perseguire questi obiettivi che sono state individuate dalle imprese occidentali
sono molto simili a quelle già adottate dall' industria giapponese.
La prima fase di automazione industriale in Giappone ebbe inizio circa venti anni fa
con l' introduzione estensiva di macchine utensili singole e arnesi di lavoro
totalmente automatizzati. Attualmente le fabbriche giapponesi che utilizzano queste
tecniche sono le più avanzate a livello mondiale. L'evoluzione del sistema
produttivo giapponese può essere ricondotta a più fasi successive:
nel periodo dagli anni '60 agli anni '70, il sistema di automazione veniva
utilizzato nella linea di produzione attrezzata con macchine per lavorazioni
specifiche. In questa fase l' automazione era finalizzata all' efficienza della
produzione di massa caratterizzata da un numero minimo di modelli di prodotti a
domanda elevata. Ciò contribuì a ridurre il costo del lavoro in un periodo di rapidi
incrementi salariali. I nuovi sistemi erano quindi costituiti da macchine efficienti
per lavorazioni specifiche, da macchine per la produzione continua oppure da
impianti di maggiori dimensioni. I sistemi di produzione di questo periodo non
avevano tuttavia la flessibilità necessaria per adeguarsi ai cambiamenti del modello
dei prodotti. Comunque, poiché l` obiettivo della progettazione del sistema era l'
efficienza della produzione di massa, tali limiti non influenzavano l' efficienza
globale dell' azienda.
1
J.P.Womack, D.T. Jones, D. Roos, "The machine that changed the world", New York 1990. Trad. It. "La
macchina che ha cambiato il mondo", Rizzoli, Milano 1991
5
Nella seconda metà degli anni '70 e nella prima metà degli anni '80, venne
introdotta la seconda fase di automazione mediante il Sistema di Produzione
Flessibile ( Flexible Manufacturing System - FMS ). La crescita macro economica
si era stabilizzata, i bisogni dei consumatori erano sempre più diversificati e il
ciclo di vita del prodotto diventava più breve. Poiché il sistema di produzione
tradizionale non riusciva più ad adeguarsi in maniera efficiente alla domanda di un
ampia gamma di prodotti con volumi limitati, venne introdotto il concetto di FMS.
La prima fase di introduzione dell' FMS fu ancora una volta caratterizzata dall'
automazione delle macchine e dal risparmio del costo del lavoro. Si diffusero le
macchine utensili a controllo numerico ( NC ), i torni, le trapanatrici, le fresatrici,
etc. Un processo di informazione era inserito nella registrazione del NC. Con l'
inserimento su nastro delle informazioni relative alla lavorazione, varie fasi di
processo furono possibili con un set di macchine e ciò aumentò sensibilmente la
flessibilità operativa.
In seguito venne introdotta la cella di lavorazione flessibile ( Flexible
Manufacturing Cell - FMC ) nella quale un unico insieme di macchine poteva
operare con alcune centinaia di utensili diversi. La cella veniva poi dotata sia di
sistemi per la selezione e il cambio automatico dell' utensile sia di sistemi per il
trasferimento, il carico e lo scarico. Furono anche introdotti robot industriali,
diverse FMC e veicoli automatizzati per il trasporto da una cella all' altra: le celle
erano inoltre integrate in un FMS globale sia a livello meccanico che elettronico.
In questa fase l' automazione riguarda soprattutto il reparto produzione, non l'intera
fabbrica. Con l' aumentare del numero dei sistemi vennero costruiti magazzini
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automatizzati e il sistema di trasporto delle parti e dei prodotti lavorati tra le varie
unità dell' FMS raggiunse uno stadio che potrebbe essere definito di automazione
CIM ( Computer Integrated Manufacturing ).
L' automazione flessibile dell' assemblaggio e della lavorazione era finalizzata al
raggiungimento di una produzione efficiente di una vasta gamma di prodotti a
volume limitato. Quando anche il reparto R&S cominciò ad essere coinvolto nel
processo di automazione e si acquisirono ulteriori conoscenze ed esperienze, si
passò alla progettazione e alla lavorazione supportate dal computer (CAD-CAM)
mediante un collegamento diretto con la linea di produzione per utilizzare al
massimo i vantaggi del nuovo sistema.
Probabilmente esiste però una differenza nell' enfasi data al problema della
flessibilità che non viene da noi considerata così prioritaria come da parte dei
giapponesi. Ad esempio le realizzazioni Cim ( Computer Integrated Manufacturing
) attuate in occidente sono solamente un pò più flessibili dei precedenti sistemi al
contrario dell' industria giapponese che è e sarà molto flessibile. Questa mancanza
di flessibilità può essere penalizzante per lo sviluppo di nuovi modelli industriali in
occidente : probabilmente la causa di questa scarsa considerazione è anche
culturale, ( attenzione al dettaglio, senso di appartenenza, sacrificio degli obiettivi
individuali per quelli collettivi : tutte qualità proprie della mentalità orientale ) ma è
stato ampiamente dimostrato che molte delle innovazioni produttive giapponesi
sono basate su principi e concetti che possono essere oggetto di apprendimento
anche in altri contesti socio-economici. Kazuo Inumaru2, docente alla Bocconi,
2
Kazuo Inumaru, Intervista su "Management" ,Settembre 1992
7
conferma che le differenze culturali non sono determinanti per spiegare il
vantaggio competitivo delle aziende giapponesi: ricorda infatti come negli anni '30
i giapponesi fossero poco attaccati all' azienda e come la struttura gerarchica fosse
molto diffusa nelle imprese; dopo lo shock della seconda guerra mondiale le cose
sono molto cambiate: si è avviato un processo di democratizzazione nelle aziende,
con anche un notevole appiattimento delle differenze salariali. Anche altri fattori
quali ad esempio l'organizzazione sociale, le caratteristiche della forza lavoro, il
sistema scolastico, la pubblica amministrazione, il sistema finanziario, la politica
economica possono avere un ruolo determinante nella determinazione dei
differenziali di produttività e capacità innovativa dei singoli paesi. Molto
interessante è l' analisi di Dore3 che evidenzia la necessità di integrare le
innovazioni a livello di fabbrica e di impresa con profonde riforme a livello del
sistema sociale ed economico con particolare attenzione al mercato del lavoro, al
sistema scolastico e alla politica economica del paese.
Le difficoltà associate all' adozione di nuove tecniche di manufacturing non sono
tuttavia connesse esclusivamente alle diverse caratteristiche del sistema-paese, ma
risiedono anche nelle scelte strategiche delle singole imprese e nelle modalità di
introduzione e assimilazione in azienda. Tale tesi è confermata dall' esperienza dei
transplant giapponesi, nel quadro, ad esempio, di joint ventures con produttori
occidentali: tali fabbriche realizzano infatti, in un contesto socio-economico
diverso, prestazioni paragonabili o addirittura superiori a quelle di fabbriche
analoghe in Giappone. In Europa nel 1983 si contavano 117 ( vedi Tabella 1 )
3
R. Dore, "Taking Japan Seriously", The Athlone Press London 1987
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avamposti produttivi giapponesi: oggi sono arrivati a quota 681. I settori in cui la
presenza è più estesa sono l' elettronica, la chimica e la meccanica. La nazione
europea che ha attirato sul proprio suolo il maggior numero di transplant è la Gran
Bretagna con circa il 30%4 degli investimenti produttivi giapponesi; anche in Italia
ci sono industrie giapponesi impegnate in attività produttive quali la Sony, presente
a Rovereto in Trentino, e la Honda Italia con impianti di produzione di motociclette
ad Atessa in provincia di Chieti.
Le tecniche organizzative e gestionali dei manager giapponesi sono vincenti: ad
esempio per produrre un' auto nelle loro aziende europee i giapponesi impiegano
circa 22 ore , contro le 36 necessarie ai fabbricanti europei, con standard
qualitativi più elevati. In Germania per cercare di recuperare competitività, manager
e sindacati vanno a lezione di "lean production" in Giappone, e una volta rientrati in
patria cercano di individuare quali aspetti organizzativo-gestionali possano essere
trasferiti nell' industria tedesca per superare la crisi.
4
Dati forniti da "Jetro ( Japan external trade organization )".
9
I transplant giapponesi in Europa
1983 1985 1987 1989 1991 1992
Gran Bretagna 15 32 53 91 181 195
Francia 10 30 33 83 119 128
Germania 20 34 45 64 101 111
Spagna 18 22 29 41 64 67
Italia 7 8 11 24 39 47
Olanda 13 16 20 27 36 44
Belgio e Lux. 13 15 18 23 34 39
Irlanda 9 11 10 19 26 30
Altri paesi 12 20 23 33 52 57
Totale 117 158 242 405 652 681
Tabella 1
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La creazione di un transplant giapponese in Europa avviene per gradi: si parte con la
creazione di filiali commerciali per poi passare alle attività di assemblaggio e
successivamente all' approvvigionamento e alla fabbricazione dei componenti sul
mercato locale.
Successivamente è la volta dell' attività di pianificazione dei nuovi prodotti e delle
attività di Ricerca e Sviluppo: per arrivare a quest' ultimo stadio ci vogliono anni.
In ogni caso la produttività dei transplant europei è ancora sotto la media
giapponese di un buon 10%, ma superiore a quelle delle aziende europee nello
stesso settore. Il problema più grave per elevare la produttività dei transplant è il
rapporto con i subfornitori locali: infatti gli standard qualitativi di questi ultimi
sono abbastanza fluttuanti e ciò costringe l' azienda ad importare molto materiale
dal Giappone. Una differenza notevole tra le industrie europee e quelle giapponesi
riguarda proprio il numero dei fornitori che per le industrie europee è molto più
elevato: per esempio nell' ambito dell' industria automobilistica si può calcolare
che per ogni nuovo progetto le aziende giapponesi in media coinvolgono meno di
300 fornitori a fronte dei circa 1000-1500 necessari alle industrie occidentali.
Se i rapporti con i fornitori locali non vanno tanto bene a farne le spese sono
soprattutto le tecniche del Just In Time ( JIT ), cavallo di battaglia della lean
production. Sempre da dati Jetro risulta che solo il 13% dei transplant europei
utilizza con successo sistemi JIT; i principali imputati dell' insuccesso del JIT
sono: traffico, scioperi, inaffidabilità dei fornitori locali, e in alcuni paesi europei
l' inefficienza dei servizi.
11
I problemi che sorgono nelle aziende europee quando si decide di introdurre il
modello giapponese, non sorgono tanto a livello degli operai, che anzi avvertono
solo differenze in positivo, quanto piuttosto a livello manageriale poiché il
management giapponese e quello occidentale hanno pochi lati in comune. Spirito di
gruppo , ricerca del consenso i valori dei primi; individualismo e distacco dai
collaboratori , i valori dei secondi. Questo crea delle inevitabili tensioni nei
transplant.
Ecco perché siamo in presenza di un numero rilevante di dirigenti e quadri
giapponesi nei transplant. Al contrario, nelle altre fabbriche del produttore
partecipante alla joint venture, gestite da manager e quadri occidentali, il processo
di trasferimento delle innovazioni risulta molto lento.
Comunque i diversi stili di management, quello giapponese e quello occidentale,
tenderanno a convergere, anche perché le nuove generazioni giapponesi sono più
aperte verso le influenze straniere, tanto che chi vuole fare carriera o ambisce ad
incarichi di responsabilità tende a farsi assumere da multinazionali straniere.
Il rischio che si corre è dunque quello di realizzare sistemi produttivi Cim di fatto
poco flessibili ma allo stesso tempo ugualmente complessi da progettare e da
gestire. In realtà le difficoltà associate all' adozione e all' assimilazione dei nuovi
modelli di manufacturing sono ingenti, gli ostacoli da superare molteplici, i ritardi
e gli insuccessi frequenti.
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Nel contesto italiano l' automazione flessibile è in rapida penetrazione. In base a
una ricerca effettuata dal Politecnico di Milano5 si è riscontrato che il tasso di
crescita dell' adozione di sistemi di automazione flessibile è stato caratterizzato da
un saggio medio di incremento annuo del 21% nel periodo tra il 1985 e il 1989.
Tale diffusione ha però interessato soprattutto la grande industria, lasciando in
posizione marginale le piccole e medio-piccole imprese che rappresentano il
tessuto produttivo del nostro paese ( vedi Figura 1 e Figura 2 ).
Un' altra ricerca svolta dal Mip/Politecnico di Milano6 su un campione di 150
imprese, testimonia che nel nostro paese l' interesse verso il JIT è crescente ( vedi
Figura 3 ). Vediamo ora cosa si intende per Just In Time.
Non esiste un' unica definizione per il Just In Time: tuttavia le più diffuse e
universalmente accettate sono due.
Una definisce il JIT come un approccio globale alla gestione del sistema
produttivo, in maniera molto innovativa: si considerano le condizioni contingenti
del manufacturing come passibili di miglioramenti continui.
La seconda definizione identifica il JIT come un insieme di tecniche di intervento
sul sistema produttivo, sinergicamente indirizzate verso la razionalizzazione del
sistema stesso. Tali tecniche riguardano la semplificazione del prodotto e del
processo, l' aumento della regolarità e uniformità dei processi, la sincronizzazione
tra produzione e mercato, la velocizzazione dei flussi dei
5Centro di ricerca: Economia dei processi di automazione. Rapporto sull' automazione nell' industria
italiana. 1990 Mip/Politecnico di Milano
6
F.Turco, E.Bartezzaghi, " Indagine sulla applicabilità delle tecniche di gestione della produzione Just In
Time alle piccole e medie imprese manufatturiere" Mip/Politecnico di Milano,1991
13
20-49 50-199 200-499 500-999 1000 e più
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
Pe
rc
en
tu
al
e
L' ADOZIONE DELL' AUTOMAZIONE FLESSIBILE IN
ITALIA
Sistemi flessibili di
produzione
Sistemi flessibili di
progettazione
Tassi percentuali di adozione dei sistemi integrati di automazione flessibile per
dimensione degli stabilimenti, al 30 Giugno 1989 (*)
(*) Tasso di adozione = Numero stabilimenti adottatori / Numero totale
stabilimenti
Figura 1
14
Ripartizione % in termini di valore dello stock di sistemi flessibili di
progettazione per tipologia tecnologica, al 30/06/89 in Italia
Sistemi CAD
63%
Sistemi CAM
16%
Sistemi CAD/CAM
21%
Valore dello stock: 1.065,5 miliardi di lire.
Figura 2