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CAPITOLO PRIMO
Diritto comunitario e Ordinamento italiano.
1. L’ordinamento Comunitario: natura giuridica.
Definire la natura giuridica del diritto comunitario è un problema
molto complesso con rilevanti implicazioni pratico e giuridico.
Il diritto comunitario nasce da accordi tra Stati e ciò pare ricondurre
la materia nell’ambito del diritto internazionale, non estraneo alle
creazioni d’organismi comuni ai quali può essere demandato dagli stessi
Stati particolari funzioni.
Gli accordi istitutivi delle Comunità, tuttavia, attribuiscono agli
organi comunitari da loro creati poteri amministrativi, giurisdizionali, ma
soprattutto normativi, destinati, a trovare applicazione, diretta o mediata,
nei vari Stati membri e detta peculiarità, estranea al diritto internazionale,
pare ricondurre la materia in una diversa situazione, secondo alcuni, non
riconducibile ad alcun fenomeno giuridico preesistente, dotato
d’autonomia scientifica e di principi suoi propri, non comuni a quelli del
diritto internazionale
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.
Inoltre è importante rilevare che il rapporto tra ordinamento
comunitario e ordinamenti nazionali non è di mero coordinamento, tra
sistemi giuridici autonomi, nessuno dei quali è subordinato all’altro, ma è
un rapporto d’integrazione giuridica e compenetrazione tra diversi
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A tale orientamento dottrinale ha aderito la Corte di Giustizia, la quale nella sentenza “Simmenthal” ha
riconosciuto che l’ordinamento comunitario è un ordinamento giuridico di nuovo genere ed autonomo,
nel campo del diritto internazionale.
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sistemi, nei quali un sistema prevale sugli altri, in un contesto evolutivo
chiaramente rivolta, se non alla creazione di uno Stato federale, quanto
meno alla realizzazione di un ordinamento capace di autoalimentarsi ed
idoneo a produrre una coesione tra gli Stati sempre più stretta, a scapito
delle singole sovranità.
Ciò crea inevitabilmente un problema di rapporto con gli
ordinamenti nazionali, i quali, pur essendo chiamati a realizzare gli
obiettivi perseguiti con l’istituzione della Comunità ed a concorrere al
processo evolutivo d’integrazione, spesso si trovano in posizione di
conflitto con il diritto comunitario.
A questo punto è importante definire i confini del diritto comunitario
come l’insieme delle norme volte ad assicurare la realizzazione degli
obiettivi posti dai Trattati istitutivi della Comunità.
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2. Le fonti del diritto comunitario.
All’interno d’ogni ordinamento giuridico si trovano fonti scritte e
fonti non scritte e inoltre una gerarchia tra le diverse fonti normative.
Tutto ciò è riscontrabile anche nell’ordinamento comunitario.
Nelle fonti scritte si distingue in diritto comunitario “primario”
elaborato direttamente dagli Stati ed in diritto comunitario “derivato”
emanato dalle istituzioni comunitarie.
Per quanto riguarda il diritto comunitario primario, s’intende
l’insieme delle disposizioni contenute nei Trattati istitutivi delle
Comunità, negli interventi successivi degli Stati che hanno modificato
questi ultimi e nei loro allegati e protocolli. All’interno di queste norme si
trovano quelle ad efficacia diretta e quelle prive di tal efficacia. Inoltre si
distinguono quelle ad effetto verticale che attribuiscono diritti soggettivi
ai cittadini e quelle ad effetto orizzontale che regolano i rapporti tra
soggetti privati.
Invece per quanto riguarda il diritto comunitario derivato si deve
intendere l’insieme delle norme giuridiche che le istituzioni comunitarie
hanno emanato in virtù dei loro poteri per il conseguimento degli obiettivi
posti dai Trattati.
L’articolo 249 del Trattato CE “per l’assolvimento dei loro compiti e
alle condizioni contemplate nel trattato, il Parlamento europeo,
congiuntamente al Consiglio , il Consiglio e la Commissione adottano
regolamenti e direttive, prendono decisioni e formulano raccomandazioni
o pareri”.
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2.1 Il Regolamento
Il Regolamento è la manifestazione più rilevante e compiuta dalla potestà
normativa delle istituzioni comunitarie. Le principali caratteristiche del
Regolamento sono: la portata generale, l’obbligatorietà e l’applicabilità
diretta.
La portata generale costituisce il connotato che distingue il
Regolamento da tutti gli altri atti menzionati dall’art. 249 e definisce la
riferibilità del provvedimento ad una o più categorie di destinatari
determinati astrattamente.
Altro requisito tipico dell’atto in esame è l’obbligatorietà d’efficacia
di tutti i suoi elementi; esso, infatti, contiene una definizione
giuridicamente completa del precetto di cui è portatore sì da renderlo
vincolante nella sua interezza. Non è consentito quindi ad uno Stato
membro di limitare l’efficacia del regolamento nel proprio ordinamento
solo ad alcune parti di esso, potrà tuttavia essere necessaria l’emanazione
di provvedimenti di attuazione sia da parte degli stati membri sia da parte
dell’autorità comunitaria senza che ciò possa impedire l’immediata
entrata in vigore del regolamento.
L’obbligatorietà dei regolamenti nei confronti dei destinatari (Stati
membri, loro organi, singoli privati) pone in luce un’ulteriore
caratteristica di tali atti: la diretta applicabilità in ciascuno degli stati e in
altre parole la possibilità di esplicare gli effetti nei singoli ordinamenti
nazionali a cui ciascuno stato è soggetto.
Invero lo Stato membro, avendo dato attuazione nel proprio
ordinamento al Trattato CE in cui è contenuto l’art. 189, ha introdotto un
meccanismo d’adattamento automatico del proprio ordinamento a quello
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comunitario e pertanto la recezione del regolamento dovrà avvenire senza
la modifica del precetto e senza alcuno specifico atto d’esecuzione.
Giova infine evidenziare che un altro aspetto dell’applicabilità
diretta dei regolamenti è quello che i singoli consociati possano farlo
valere direttamente; i destinatari assumono, infatti, direttamente gli
obblighi che la norma stessa può imporre e conseguentemente gli stessi
destinatari possono far valere dinnanzi ai giudici nazionali le loro nuove
posizioni soggettive derivanti da tale norma.
2.2 La Direttiva
In forza dell’art. 189 del trattato CE la Direttiva vincola lo Stato o gli Stati
a cui è rivolta. La peculiarità di tale atto normativo consiste quindi
nell’obbligo di risultato imposto agli Stati cui è destinata limitandosi ad
individuare l’obiettivo da raggiungere e lasciando agli Stati membri
destinatari la discrezionalità circa le modalità e gli strumenti per
raggiungerlo.
Spesso gli Stati membri sono stati inadempienti all’obbligo di attuare
le direttive e la Corte di giustizia, oltre ad applicare delle sanzioni a fronte
degli inadempimenti, ha altresì statuito che le stesse potessero avere,
trascorso il termine d’attuazione, efficacia immediata ove ricorrano
particolari condizioni.
La formulazione dell’articolo del Trattato non deve far pensare che
le Direttive abbiano un valore meno incidente rispetto ai regolamenti,
bensì uno strumento più duttile per poter far perseguire al meglio
l’obiettivo che la Comunità intende raggiungere. Infatti, la valutazione di
nominare un atto come direttiva anziché come regolamento è dettata dalla
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necessità di effettuare un adeguamento delle disposizioni vigenti ben più
complesso e vasto rispetto alla semplice recezione del disposto per far
incidere il principio contenuto nella direttiva all’interno del singolo
ordinamento nazionale.
Per cui la Direttiva consente un progressivo inserimento degli
ordinamenti nazionali nel sistema integrato comunitario. Le direttive non
hanno portata generale ma hanno dei destinatari specifici nei confronti dei
quali sono vincolanti ma sono vincolanti solo per quanto attiene il
risultato.
E’ quindi possibile concludere che la Direttiva non è direttamente
applicabile negli Stati ma ha un’efficacia mediata, attraverso i
provvedimenti d’attuazione, di carattere generale o particolare, che i
singoli Stati sono tenuti a adottare a norma dell’art. 10 del Trattato CE
alcuni casi però potranno avere efficacia diretta e più precisamente:
-la Direttiva impone solo di tenere un comportamento negativo.
-la Direttiva si limita a ribadire un obbligo già previsto nei Trattati,
chiarendone solo la portata ed i tempi d’attuazione.
-la Direttiva contiene una disciplina molto particolareggiata da
escludere qualsiasi discrezionalità degli Stati(Direttive self-executing) e
sia inutilmente decorso il termine entro il quale era consentito allo Stato
membro di provvedere.
Le direttive in forza dell’art. 189 del trattato CE ed a fronte della
ratio sottesa a tale disposizione, necessitano di misure interne
d’attuazione.
Il nostro Stato si è mostrato particolarmente pigro ad attuare le
direttive sottoponendosi spesso a procedimenti sanzionatori.
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Sin dall’inizio, in forza dell’art. 76 della Costituzione si è fatto
ricorso alla delega legislativa al Governo sia per l’esecuzione dei Trattati
sia per il recepimento degli atti comunitari; tale sistema, per l’ampiezza
delle deleghe stesse e l’assenza di principi e criteri direttivi, svuotava, di
fatto, il potere conferito al Parlamento.
Una prima delega era prevista dall’art. 4 della legge 4 ottobre 1957
n. 1203 con cui veniva data esecuzione al Trattato di Roma.
Ulteriori e numerose deleghe vennero effettuate per conferire al
governo la possibilità di recepire specifici atti comunitari.
La legge 9 marzo 1989 n. 86( legge La Pergola) introduce un sistema
permanente d’attuazione delle direttive, prevedendo che ogni anno venga
emanata una legge comunitaria contenente le disposizioni d’attuazione in
esecuzione degli obblighi assunti dall’Italia per l’adesione alla Comunità
europea.
2.3 Le Decisioni e le Raccomandazioni
Per completare l’esposizione degli atti normativi comunitari, così come
previsti dall’articolo 189 del Trattato CE, è necessario parlare degli
ulteriori strumenti emanabili dagli organi istituzionali comunitari.
La decisione è caratterizzata dall’obbligatorietà di tutti i suoi
elementi nei confronti dei destinatari dell’atto ma la portata è individuale
in quanto i destinatari sono determinati o determinabili. Essa è
maggiormente assimilabile all’atto amministrativo dei singoli sistemi
giuridici nazionali creando, modificando ed estinguendo situazioni
giuridiche soggettive in capo ai destinatari siano essi individui o Stati.
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Si differenzia dal regolamento, pur essendo obbligatoria in tutti i
suoi elementi, in quanto è priva della portata generale poiché ha
destinatari specificatamente determinati; non è assimilabile alle direttive
in quanto non necessita di un atto di recepimento da parte dello Stato,
normale destinatario, che deve solamente adempiere.
La decisione rivolta ad individui è normalmente emessa dalla
Commissione prevalentemente nel campo della concorrenza e può
comportare a carico dei destinatari individuali, degli obblighi pecuniari;
può essere direttamente impugnata dai singoli destinatari poiché essi sono
direttamente ed individualmente investiti dell’efficacia dell’atto che non
deve entrare nell’ordinamento giuridico dello Stato membro.
Le raccomandazioni che normalmente sono molto usate nel diritto
delle organizzazioni internazionali, trovano modesta utilizzazione in
campo comunitario.
Esse si concretizzano in suggerimenti del modello operativo che lo
Stato deve tenere senza quindi richiedere alcuna compressione della
sovranità del singolo Stato.
A fronte del carattere peculiare dell’integrazione europea gli organi
comunitari, invece utilizzano, onde assicurare una concreta ed immediata
operatività ai principi, perseguiti, gli atti che hanno una maggiore
vincolatività, quali regolamenti e direttive.
Le raccomandazioni sono utilizzate essenzialmente dalla
Commissione nella funzione di vigilanza ad essa assegnata dall’art. 155 del
Trattato.
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3. Il ruolo della Corte di Giustizia: l’interpretazione della
normativa comunitaria
Nel sistema delle fonti di diritto comunitario non esistono solo fonti
scritte ma anche quelle non scritte costituite dai principi di diritto
internazionale ovvero dai principi comuni agli ordinamenti degli Stati
membri che sono frequentemente affermati nelle sentenze della Corte di
Giustizia
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.
L’articolo 234 del trattato CE dice che la Corte di Giustizia è tenuta
a pronunciarsi in via pregiudiziale:
1 ll’interpretazione del Trattato
2 Sulla validità e l’interpretazione degli atti compiuti dalle
Istituzioni della Comunità e della BCE;
3 Sull’interpretazione degli statuti degli organismi creati
con atto del Consiglio, quando sia previsto dagli statuti
stessi.
Per cui spetta alla Corte, in via esclusiva, l’interpretazione dei
Trattati .Delle loro modificazioni, degli atti che compongono il c.d. diritto
derivato, e degli accordi tra gli Stati.
E’ lasciato invece ai giudici nazionali l’opportunità del rinvio
decidendo se la norma comunitaria è applicabile al caso di specie e se la
questione interpretativa sia rilevante per pronunciare la sentenza.
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Per quanto concerne il principio di uguaglianza e non discriminazione: Corte di Giustizia causa147/79 in
Raccolta 1980, causa 42/87 in Raccolta 1987, causa 9/74 in Raccolta 1974, causa 47/93 in Raccolta 1993,
causa 172/98 in Raccolta 1999; per quanto concerne il principio di libertà causa 152/73 in Raccolta 1974;
per quanto concerne il principio di solidarietà causa 39/72 in Raccolta 1973, causa 804/79 in Raccolta
1981; per quanto riguarda il principio di unità cause riunite 2/69 e 3/69 in Raccolta 1969; per quanto
concerne il principio di proporzionalità causa 319/90 in Raccolta 1992, causa 339/92 in Raccolta 1993,
causa 359/92 in Raccolta 1994; per quanto concerne il principio di tutela del legittimo affidamento causa
203/86 in Raccolta 1986, causa 350/88 in Raccolta 1988.
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Resta escluso dal controllo della Corte il potere la legittimità
comunitaria di un provvedimento interno e quindi l’esame di
compatibilità di una norma nazionale con il Trattato e\o con atti
comunitari, anche se la Corte si è più volte ritenuta competente a fornire
al giudice nazionale tutti gli elementi atti a consentirgli di pronunciare
l’incompatibilità della norma interna con la norma comunitaria.
L’interpretazione della norma comunitaria assume la massima
importanza in un sistema normativo, quale quello comunitario che
necessita per i suoi obiettivi e per la sua stessa funzione di
un’applicazione unitaria e nel contempo è strumento d’intervento da parte
dei giudici nazionali, i quali operano come giudici della Comunità, pur
essendo diversi per formazione e vincolati all’osservanza di distinte
norme ermeneutiche e procedurali.
In assenza di un’autonoma teoria sull’interpretazione europea e\o
comunitaria, la Corte ha scelto di partecipare alla formazione del diritto
comunitario, colmando, talvolta lacune legislative, con un’opera
interpretativa che ha visto l’utilizzo dei metodi abitualmente adottati
pressoché da tutti gli ordinamenti nazionali interessati. Nella gerarchia dei
metodi ermeneutica, l’interpretazione sistematica e quella teleologica
prevalgono sulla letterale e sulla storica che pur non devono essere
trascurate. Si tratta di metodi applicabili anche ai casi nei quali la
Comunità ha scelto di rinviare a concetti e nozioni giuridiche proprie di
uno o più ordinamenti nazionali, le quali per il fatto stesso di essere
attratte nel sistema normativo comunitario, dovendo avere
un’applicazione unitaria, potranno mantenere il significato loro attribuito
dalla giurisprudenza del paese d’appartenenza solo se esso risulterà
coerente con gli obiettivi ed i principi strutturali della Comunità.