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Questo lavoro vuole analizzare se la struttura della leadership informale
differenziata in tecnica, sociale e personale, possa influenzare il livello di
coesione.
Per cercare di indagare questo, il lavoro è stato suddiviso in sei capitoli.
Il primo capitolo cerca di mettere a fuoco il concetto di gruppo. Sono
descritti il modo ed il perché si sviluppa, partendo dalla dimensione
individuale; i suoi livelli costitutivi e le fenomenologie. L’attenzione è poi
focalizzata sui gruppi sportivi di cui si cercano di analizzare caratteristiche e
problemi funzionali.
Nel secondo capitolo si analizza la coesione come dimensione assai rilevante
della vita di un gruppo, presentando una rassegna di studi condotti
sull’argomento e più specificamente nel campo sportivo, che ne sottolinea
l’importanza anche in relazione alla prestazione. Si dà spazio agli antecedenti
ed agli effetti indagati della coesione in ambito sportivo. Viene infine
presentato in questo capitolo il modello di coesione multidimensionale
proposto da Carron e colleghi. Modello che servirà all’impianto del test
usato poi per la parte della ricerca.
Il terzo capitolo è dedicato alla leadership. Si parte da un excursus sulla
letteratura esistente, per evidenziare gli studi che sono stati portati avanti da
quasi un secolo sull’argomento, quindi l’importanza che tale costrutto
riveste nello studio dei gruppi. Si prende poi in esame la differenziazione tra
leadership formale ed informale e lo sviluppo in base alla loro struttura,
dell’efficacia del gruppo. Alla fine del capitolo si tratta la figura del leader
nello sport, e si dà risalto alle funzioni di questa figura all’interno dei gruppi
sportivi.
Il quarto, il quinto ed il sesto capitolo sono dedicati alla ricerca che è stata
condotta su un campione di quattro squadre di pallavolo maschili, militanti
nelle massime serie del campionato italiano, dunque professionisti.
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Lo studio è stato compiuto con lo scopo di analizzare se la struttura di tali
squadre ed in particolare della loro leadership, avesse influenza sul livello di
coesione. E’ stato usato per identificare la struttura del gruppo, un classico
strumento usato in psicologia per l’indagine sui gruppi quale il sociogramma
Moreniano; mentre per indagare il grado di coesione delle squadre stesse si è
utilizzato uno specifico strumento di psicologia dello sport, il G.E.Q.,
capace di cogliere la coesione nei suoi aspetti multidimensionali.
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Capitolo 1
DEFINIZIONE DEI
GRUPPI PSICOSOCIALI
E CRITERI DI
CLASSIFICAZIONE DEI
GRUPPI SPORTIVI
I gruppi
“Se si vuole capire o migliorare il comportamento umano, è necessario
conoscere meglio la natura dei gruppi. Non è possibile raggiungere una
visione coerente dell’uomo senza rispondere ad una moltitudine di
domande relative alle operazioni dei gruppi, a come gli individui si
rapportano ai gruppi, ed a come i gruppi si correlano alla più ampia società.”
(Cartwright e Zander, 1968, p. 4).
Spaltro (1985) afferma che il gruppo è una mentalità. Il termine
“gruppo” è utilizzato in molte occasioni e con molteplici significati,
con riferimento a realtà e situazioni assai diverse. In alcuni casi il
termine “gruppo” si esprime direttamente con la parola “team” o
“équipe” ovvero in italiano “squadra”, non necessariamente
facendo riferimento a gruppi sportivi. Il gruppo si differenzia da
altri tipi di insieme come massa, folla, classe, per la scarsa
differenziazione dei ruoli, il sistema di comunicazione faccia a
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faccia, la partecipazione dei membri alle decisioni. Esistono molte
definizioni di gruppo, che evidenziano, secondo i casi, gli aspetti
affettivo-relazionali o la condivisione di obiettivi e compiti, i flussi
di comunicazione o la presenza di una coscienza comune.
Importanti sono le categorie descrittive e i criteri di analisi che si
adottano per definire un gruppo. Secondo la sociologia, una
pluralità di individui che hanno uno scopo comune, non
necessariamente percepito dai componenti, rappresenta la
condizione minima per qualificare un gruppo. Secondo Trentini
(1997) sono qualificabili come definizioni di ordine sociologico
tutte quelle che danno la prevalenza ed il primato al punto di vista
“oggettivo” e che si riferiscono al concetto di gruppo come ad un
insieme di due o più persone che hanno tra loro uno scopo comune
da raggiungere. Trentini qualifica inoltre, come definizioni di ordine
psicologico tutte quelle che conferiscono il primato e la prevalenza
al punto di vista “intersoggettivo” e che si riferiscono al concetto di
“gruppo” come ad un insieme di tre o più persone che fanno parte
di un “campo”, cioè che hanno tra loro delle relazioni reciproche di
influenzamento. La psicologia sottolinea quindi che un gruppo vero
e proprio è definito non solo dall’interazione reciproca, ma dal fatto
che i componenti sono psicologicamente consapevoli gli uni degli
altri e percepiscono loro stessi come un gruppo. Ma la connessione
dei contributi forniti dalla sociologia e dalla psicologia avviene
attraverso l’approccio della psicosociologia che, con Lewin (1951),
ha definito il gruppo come un “insieme sociale e dinamico costituito da
membri che si percepiscono vicendevolmente come più o meno
interdipendenti per qualche aspetto”.
Nei suoi studi, Lewin ha paragonato il gruppo ad un campo di forze
(concetto che riprende dalla fisica e che sarebbe stato approfondito
e condiviso dalla teoria generale dei sistemi).
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Il gruppo è qualcosa di diverso dalla somma dei suoi membri: è una
totalità dinamica, emergente dall’interazione delle forze positive e
negative presenti in esso; è un’entità dinamica che si stabilizza
intorno ad un equilibrio risultante da forze contrastanti e continue.
E’, in altre parole, un campo psicologico-sociale che ha struttura
propria, fini e relazioni particolari e interdipendenti, tali per cui, un
cambiamento di un elemento comporta una modificazione di tutti
gli altri elementi che costituiscono il gruppo.
Asch (1951) e Sherif (1967) nei loro studi, trovarono che la realtà
dei gruppi emerge dalle percezioni comuni che le persone hanno di
se stesse in qualità di membri della stessa unità sociale e nelle varie
relazioni reciproche all’interno di tale unità.
Per “essere gruppo” non basta essere con altri in una situazione, ma
occorre sentirsi “nel gruppo”, avere cioè la sensazione soggettiva
che altri sono insieme a noi in una determinata situazione. I membri
di un gruppo si definiscono tali quando il loro agire è condizionato
da un sentimento di appartenenza, che alcuni autori hanno definito
“sintalità” (Cattel, 1948; Del Corno e Spaltro, 1976) e che
corrisponderebbe al concetto di personalità per il singolo. Tale
sentimento non è però immediato, come ci fanno notare Kenklin e
Aretino (1993), perché gli individui che stanno con altri individui
hanno un profondo bisogno di appartenenza e di “sentirsi parte di
un’unità”, ma hanno anche il bisogno opposto di tutela della
propria identità (indipendenza) ed affermazione di sé. Siamo in
presenza di forze contrastanti che sanciscono o meno
l’appartenenza ad un gruppo.
Proprio per questi continui conflitti, per queste forze che spingono
l’uomo ad appartenere o essere indipendente, c’è sempre nel gruppo
un enorme impegno emotivo, a dispetto dei fini e delle attività, per
le quali le persone sono oggettivamente impegnate nello stare
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insieme. Qualsiasi fenomeno di gruppo è pertanto da considerarsi
come il prodotto delle relazioni delle diverse forze esistenti nel
campo totale. Tutto questo fu da Lewin e dai suoi collaboratori
(1948) definito con l’espressione “dinamica di gruppo”.
Che la dinamica emotiva nel gruppo sia assai profonda, lo
dimostrano le forti arrabbiature o i facili entusiasmi che prendono il
via da episodi apparentemente futili. La dinamica emotiva è legata
alla sola presenza degli altri, potenziali portatori di bene e di male. E’
il modo in cui il gruppo cambia ed in cui i membri cambiano col
gruppo. Questo succede grazie alla continua relazione che implica
influenzamento reciproco. Levine e Moreland (1984) propongono
un modello temporale particolareggiato della socializzazione di
gruppo che copre tutto il processo, a partire dall’analisi iniziale del
gruppo da parte degli individui fino al divenirne membri e alla loro
uscita finale. Una caratteristica importante di tale modello è proprio
la reciprocità dell’individuo e del gruppo. Non è solo l’individuo
che subisce dei cambiamenti entrando a far parte del gruppo, ma è
anche il gruppo stesso che deve adattarsi ai membri nuovi.
Ma perché una persona che si sottopone a tali pressioni emotive e a
tali conflitti e resta in un gruppo? Ed in base a quali criteri sceglie il
gruppo di appartenenza? Innanzitutto, non sempre la scelta di
appartenere ad un gruppo è volontaria. Si pensi, ad esempio, a
gruppi costituiti in base a caratteristiche come sesso, cultura, classe
sociale. Spesso tuttavia ci troviamo a scegliere di appartenere o
meno a numerosi gruppi. Levine e Moreland (ibidem) suggeriscono,
rifacendosi alla teoria dello scambio sociale, che la scelta di un
gruppo al quale appartenere avviene secondo un criterio di
massimizzazione dei profitti e minimizzazione dei costi.