I principali parametri di tipo sperimentale e microbiologico, insieme con un
inquadramento della classe di composti studiati nel presente lavoro, costituiscono
il terzo capitolo.
Nel quarto capitolo sono presentati gli scopi della ricerca, nel quinto le modalità
sperimentali ed in fine, nel sesto e settimo capitolo, si sono analizzati e discussi,
nel modo più oggettivo possibile, i risultati del tipo di trattamento che è oggetto di
studio di questo lavoro sperimentale.
CAPITOLO 1
1 ASPETTI GENERALI SULLA BONIFICA DEI SUOLI
1.1 Definizione di terreno contaminato.
Dare una definizione univoca di che cosa sia un terreno contaminato è molto
difficile e di non semplice risoluzione. N’è una prova la differenziazione e la
disomogeneità che si ritrova nella legislazione dei maggiori stati dell’Unione
Europea e del Mondo, per l’individuazione concettuale di che cosa si debba
intendere per terreno contaminato. Da un punto di vista generale, non sembra vi
siano dubbi nel classificare come aree potenzialmente contaminate tutte quelle che
nel tempo siano venute a contatto (per via diretta o indiretta, accidentale o voluta)
con sostanze pericolose ritenute inquinanti, o quelle che siano state sede d’attività
antropiche (industriali, artigianali, agricole) con potenziali rischi per il rilascio di
sostanze tossiche nell’ambiente circostante.
Più complesso è invece definire quali modifiche ed alterazioni apportate
dall’uomo all’ambiente comportino un rischio alla salute umana ed alle risorse
ambientali nel loro insieme e quali siano i limiti accettabili. Alcuni di questi
concetti sono contemplati nelle diverse definizioni di terreno contaminato date da
alcune nazioni.
In Olanda sono considerate aree contaminate quelle in cui “il terreno contiene
sostanze pericolose in concentrazioni superiori a quelle normalmente attese, e nel
quale una o più funzioni sono irrimediabilmente compromesse” (Soil Protection
Act, 1987).
I tedeschi definiscono contaminati i “terreni che potenzialmente provocano un
impatto negativo, diretto ed indiretto, sulla salute e sul benessere dell’uomo e
delle risorse naturali economicamente importanti come le sorgenti acquifere,
coltivazioni e bestiame” (Federal Ministry for Research and Technology, 1981).
In Gran Bretagna il concetto di area contaminata è in relazione al suo riutilizzo
futuro, infatti il Department of Environment (DOE, 1983) definisce contaminato:
“il terreno che, a causa dell’uso che ne è stato fatto in precedenza contiene
attualmente sostanze che ne possono compromettere il riutilizzo previsto” per cui
saranno necessari degli studi approfonditi per stabilire se il riuso proposto sia
attuabile o sia indispensabile qualche intervento preventivo di risanamento.
Negli Stati Uniti sono considerate inquinate le aree in cui siano presenti delle
sostanze tossiche in concentrazioni superiori a dei livelli di soglia stabiliti.
La nostra legislazione, invece, definisce inquinate “… le aree potenzialmente
contaminate a causa del contatto, accidentale o continuato, con le attività e
sostanze legate ai cicli di produzione di rifiuti potenzialmente tossici e nocivi ...”
(D.M. del 16/5/1989 Ministero Ambiente).
Da questo quadro comparativo si capisce come sia veramente difficile scegliere un
metodo universalmente valido per l’individuazione dei siti contaminati in quanto i
criteri di scelta possono far riferimento ad aspetti differenti, quali principalmente:
• La presenza di particolari sostanze (ritenute inquinanti e/o tossiche e nocive)
ed il loro eventuale superamento di concentrazioni limite predeterminate;
• Esistenza di situazioni di pericolo per la salute umana e delle risorse
ambientali;
• La tipologia del sito contaminato in questione e il tipo di riutilizzo futuro
previsto: residenziale, commerciale, industriale.
L’individuazione di un’area contaminata non può ispirarsi solo ad una semplice
definizione (anche se la più valida possibile), ma deve scaturire dalla
considerazione di tutta una serie d’importanti implicazioni ambientali strettamente
legate all’inquinamento stesso.
1.2 Identificazione di un’area contaminata e relativi rischi ambientali
connessi
Per poter effettivamente parlare d’area contaminata, o potenzialmente tale, si
dovranno verificare le seguenti tre condizioni:
• L’esistenza di una sorgente d’inquinamento come ad esempio un deposito
incontrollato di rifiuti o sostanze pericolose;
• La disponibilità di uno o più percorsi attraverso i quali le sostanze possano
migrare e dunque diffondersi nell’ambiente ad esempio nell’aria a causa del
vento o in una falda sotterranea, per dilavamento in caso di assenza di strati di
terreno impermeabile;
• La presenza di bersagli o recettori (biotici o abiotici) che siano minacciati
dalla diffusione dei contaminanti durante la loro migrazione.
Secondo queste considerazioni una tipica area contaminata può essere
rappresentata già dal semplice sversamento e abbandono incontrollato di rifiuti su
di un terreno. Ovviamente secondo il tipo del rifiuto presente, si potranno
ipotizzare diverse vie preferenziali di migrazione dei contaminati così come una
vasta categoria di bersagli diretti o indiretti.
As esempio nel caso di rifiuti polverulenti abbandonati in superficie, il vettore
principale della diffusione potrebbe essere rappresentato dal vento che
faciliterebbe una contaminazione estesa nelle vicinanze, implicando una
deposizione delle polveri sulla vegetazione o una loro inalazione da parte d’esseri
viventi che rappresenterebbero, dunque, i primi bersagli diretti.
Si comprende facilmente la vastità delle possibili casistiche ipotizzabili, quindi ci
limiteremo solo ad un’elencazione delle principali vie di migrazione e dei recettori
della contaminazione.
Le sostanze inquinanti possono migrare attraverso i seguenti principali vettori:
• L’aria per effetto dei venti nel caso di piccole particelle o attraverso la
diffusione d’emissioni gassose;
• L’acqua, sia superficiale sia di falda;
• Il suolo che può essere sia un mezzo di contatto diretto che indiretto mediante
la crescita della vegetazione e la catena alimentare.
Tra i recettori si possono individuare tre grandi categorie:
• La popolazione umana sia direttamente per contatto ed inalazione che
indirettamente attraverso l’acqua e gli alimenti;
• Le risorse ambientali nel loro complesso intendendo corsi d’acqua, laghi,
risorse idriche sotterranee, fauna e flora;
• Le risorse economiche come edifici, infrastrutture, suoli coltivabili o
edificabili ecc.
1.3 Tipologie delle aree contaminate
Tra le tipologie di terreni contaminati che più frequentemente si riscontrano nel
mondo, vi sono sicuramente le discariche incontrollate e gli insediamenti
industriali dismessi. La fig.1 rappresenta una schematizzazione di tutte le
tipologie d’aree contaminate riscontrabili con le principali cause della loro
contaminazione.
Nel caso di discariche incontrollate (situazione molto comune in Italia vista anche
la disparità tra la produzione di rifiuti e l’effettiva capacità di smaltimento in
discariche di adeguata categoria) si tratta di depositi di rifiuti delle più diverse
tipologie che sono stati attivati senza una preventiva e accurata scelta del luogo
più adatto e, ancor più grave, senza nessuna precauzione volta ad evitare problemi
di impatto ambientale legati a tali sversamenti (formazione di percolato ed
inquinamento della falda acquifera, emissioni di gas nell’atmosfera, ecc,).
Proprio l’eterogeneità dei rifiuti potenzialmente presenti in una discarica abusiva
contribuisce a rendere elevatissimo il rischio di contaminazione ambientale
connesso.
Potenziali sorgenti di contaminazione sono rappresentate anche da insediamenti
industriali dismessi o ancora in attività; infatti, sono molto frequenti i casi in cui le
stesse aziende abbiano smaltito per anni i propri rifiuti all’interno del loro
stabilimento, sotterrandoli in zone marginali. Questo anche a causa dell’assenza di
una legislazione specifica sulla classificazione dei rifiuti e sul loro corretto
smaltimento. Tale legge è entrata in vigore in Italia solo con il D.P.R. n.915, del
10/9/1982, e successiva deliberazione del comitato interministeriale del
27/7/1984, in attuazione delle direttive CEE n.75/442 relativa ai rifiuti e n. 78/319
destinata a quelli tossici e nocivi. La situazione attuale, con il Decreto Ronchi
(D.Lgs. 5 febbraio 1997 n. 22), pone seriamente il problema dell’inquinamento
dei suoli, peraltro eliminando la dizione di rifiuto tossico e nocivo e sostituendola
con il termine “pericoloso”.
La cessazione dell’attività può comportare l’abbandono, in condizioni precarie
non idonee, di tutta una serie di materiali pericolosi (utilizzate come materie prime
nei cicli produttivi o residui e scarti di produzione) che devono essere considerati
a tutti gli effetti come rifiuti industriali.
L’abbandono d’aree industriali si è fatto sempre più vasto nel corso dell’ultimo
decennio, principalmente a causa della crisi incontrata da alcuni settori industriali
costretti alla chiusura o alla riconversione e, secondariamente, per la necessità di
decentrare e ricollocare molti insediamenti produttivi in zone periferiche.
Il riutilizzo di vaste zone industriali dismesse, per fini commerciali e residenziali,
ha spesso comportato il rinvenimento di veri e propri “cimiteri di rifiuti” o di
terreni altamente contaminati che necessitano di specifici trattamenti prima di un
qualsiasi loro riutilizzo.
Per quanto riguarda gli insediamenti industriali in attività si possono individuare
molte situazioni potenzialmente rischiose in quanto in grado di comportare
contaminazioni ambientali:
• Stoccaggi non adeguati di sostanze pericolose utilizzate nei cicli produttivi o
scartate durante la lavorazione;
• Sversamenti accidentali durante le movimentazioni interne sia di materie
prime che di prodotti di lavorazione;
• Rilasci di sostanze pericolose legate al malfunzionamento ed alla cattiva
gestione degli impianti;
• Incidenti nella produzione (rappresentativo al riguardo è l’incidente occorso a
Seveso nel 1976).
In considerazione di questi aspetti la Tabella 1 elenca una serie di possibili attività
industriali potenzialmente in grado di generare contaminazioni nei terreni e, ad
ogni attività, associa alcuni dei possibili inquinamenti chimici riscontrabili nei
casi di contaminazione.
Ulteriori categorie d’aree contaminate sono rappresentate da tutti quei casi in cui
si sia verificato un rilascio accidentale di sostanze inquinanti per esempio, durante
il trasporto stradale o ferroviario, oppure per danni subiti da oleodotti. Una
caratteristica comune a casi di questo tipo è generalmente la necessità di
intervenire rapidamente per la messa in sicurezza del sito, onde evitare rischi
maggiori legati alla dispersione delle sostanze contaminanti.
Successivamente agli interventi temporanei di recupero delle sostanze sversate si
procede all’attuazione d’interventi di bonifica permanenti.
Notevoli sembrano essere anche i casi di rilasci cronici (ossia avvenuti per periodi
prolungati) nel terreno da parte di serbatoi interrati usati nello stoccaggio delle più
svariate sostanze e, più comunemente, di prodotti petroliferi come olii
combustibili e benzeni.
Le contaminazioni legate a questo tipo di rilasci sono chiaramente di difficile
individuazione e quantificazione. Stime del 1989 quantizzerebbero in più di
25000 le cisterne interrate perdenti presenti in Italia ( Boca, D., Oneto,G., 1989).
1.4 Aspetti normativi
La mancanza di una legislazione nazionale che definisca criteri di qualità e metodi
d’intervento per affrontare il problema in modo uniforme e scientificamente
rigoroso, ha portato l’Italia a ritardare il confronto tecnico-economico e legislativo
con altri Paesi industrializzati (segnatamente Stati Uniti, Canada, Olanda,
Danimarca e Germania) già da tempo consapevoli delle dimensioni e dei risvolti
socio-economico del problema.
La predisposizione da parte d’alcune Regioni italiane di una normativa dedicata a
definire criteri di qualità per suoli e acquiferi contaminati (in particolare Toscana,
Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna), pur essendo apprezzabile dal punto di
vista locale, ha portato in alcuni casi ad un’ulteriore confusione e mancanza di
omogeneità nell’affrontare interventi di bonifica con casi eclatanti di sensibili
ritardi decisionali nell’affrontare problematiche ambientali. Un ulteriore elemento
di disomogeneità, è dato dalla predisposizione solo da parte d’alcune Regioni a
redigere un piano per il censimento dei siti contaminati. In particolare, su dati
forniti dal Ministero dell’Ambiente nel 1997, solo quattordici Regioni italiane
hanno predisposto un piano di censimento.
Il recente Decreto Ronchi (D.L. 5 febbraio 1997 n. 22) con particolare riferimento
all’art. 17: “Bonifica e ripristino ambientale dei siti inquinati”, pur se in notevole
ritardo e in assenza ancora oggi delle predisposizioni delle norme attuative che
dovrebbero stabilire "quando" e "come" intervenire, sembra essere finalmente un
importante passo verso una razionalizzazione, anche in Italia, del problema
specifico.
Lo stato attuale
La dimensione del problema presenta contorni allarmanti in tutto il mondo
industrializzato. Negli USA sono stati identificati oltre 250.000 siti per il cui
risanamento si parla ormai di cifre che sfiorano i 200 miliardi di dollari.
In Europa la situazione non è meno preoccupante, infatti in oltre 350.000 siti (di
questi 130.000 sono considerati a urgente priorità d’intervento) è stata già
accertata una contaminazione per la cui bonifica sono previsti oneri finanziari
dell’ordine dei 100 miliardi di dollari. Al livello italiano, si sono attualmente
individuati un totale di 8.873 siti da bonificare.
È evidente come sia oggi importante sviluppare tecniche e metodiche adeguate, in
grado di adattarsi alle condizioni ambientali del sito contaminato che possono
variare notevolmente, a tal proposito i trattamenti biologici sembrano essere i più
promettenti, essi sono più economici degli usuali trattamenti ed inoltre sono in
grado, in molti casi, di risolvere definitivamente il problema trasformando la
specie di partenza in sostanze interamente compatibili con l’ambiente; tale aspetto
è di fondamentale importanza dato che rappresenta il punto debole delle tecniche
tradizionali, di tipo chimico-fisico, nelle quali il contaminante è semplicemente
trasferito da un comparto ambientale a rischio ad uno di sicurezza.
CAPITOLO 2
2 TIPOLOGIE D’INTERVENTO SU SUOLI CONTAMINATI
2.1 Classificazione degli interventi
Le diverse tipologie d’intervento sui terreni contaminati oggi disponibili possono
essere suddivise in due grandi categorie:
• Gli interventi di messa in sicurezza del sito contaminato atti ad eliminare e
controllare il più rapidamente possibile i rischi di contaminazione per l’uomo
e l’ambiente, a volte anche a discapito della completa risoluzione del
problema;
• Gli interventi di trattamento e bonifica veri e propri atti a risolvere
permanentemente o, in ogni caso, a lungo termine il problema della
contaminazione del sito inquinato individuato.
I primi sono interventi che tendono ad impedire la propagazione
dell’inquinamento al di fuori dell’area contaminata e possono essere
genericamente schematizzati come tecniche d’isolamento. Queste mirano
all’incapsulamento, il più completo possibile, del terreno contaminato mediante
l’impermeabilizzazione superficiale e la realizzazione di setti verticali anch’essi
impermeabili. Inoltre, a posteriori, è anche possibile realizzare una
impermeabilizzazione sul fondo in tutti quei casi in cui si abbia a che fare con
inquinanti particolarmente pericolosi e possibili gravi contaminazioni di eventuali
falde idriche sottostanti.
I secondi sono trattamenti di recupero dell’area a lungo termine e possono essere a
loro volta classificati in (Andreottola, G., De Fraja Frangipane, E., Tatanò, F.,
1994):
• Trattamenti on site;
• Trattamenti off site;
• Trattamenti in situ.
I trattamenti on ed off site consistono entrambi nell’escavazione del terreno
interessato dall’inquinamento e, rispettivamente, nel trattamento dello stesso in un
impianto mobile o semimobile trasportabile sul luogo (on site) o nel trattamento in
un impianto fisso situato altrove, per esempio in un inceneritore o in una
piattaforma polifunzionale (off site).
Generalmente in ambedue i casi, il terreno depurato al livello stabilito, è
ridepositato nel sito originario in maniera da recuperare totalmente l’area
interessata.
Nei trattamenti in situ, invece, il terreno viene trattato direttamente sul posto senza
essere precedentemente scavato.
Tutte queste tecniche presentano, ovviamente, caratteristiche proprie che saranno
prese in considerazione singolarmente insieme ai loro vantaggi e svantaggi sia
tecnici sia economici.
2.2 Criteri di scelta tra le tipologie di intervento
Secondo il tipo di sito contaminato con cui si avrà a che fare, occorrerà adottare la
tecnica di risanamento che più si adatti alla situazione specifica. La scelta tra tutte
le possibilità d’intervento si deve basare sui risultati di un approfondito studio di
fattibiltà che miri ad individuare:
• Gli obiettivi degli interventi di risanamento;
• Le tecniche migliori per il raggiungimento degli obiettivi prefissati;
• La scelta migliore tra tutte le possibili che garantisca efficacia ed economicità
incontrando anche il consenso della popolazione interessata dall’intervento.
Per la definizione dei suddetti punti è necessario avviare un’approfondita
campagna d’indagini, volta alla conoscenza di tutta una serie di parametri
ambientali e delle principali caratteristiche chimico-fisiche dei contaminanti.
Infatti, ogni tipologia di trattamento risulta efficace solamente per specifiche
caratteristiche del contaminante ed in determinate condizioni; da qui la necessità
di conoscere a fondo tutti i tipi di sostanze presenti ed i loro possibili
comportamenti ed interazioni. Così, per esempio, un tipo di intervento potrebbe
risultare efficace soltanto su un singolo inquinante non risolvendo quindi il
problema del recupero totale dell’area.
La conoscenza approfondita di tutte le caratteristiche idrogeologiche del sito
(come granulometria, composizione e permeabilità del terreno, presenza o meno
di una falda sottostante o di uno strato impermeabile in profondità ecc.), consente
di valutare anche gli eventuali rischi di contaminazione con l’ambiente connessi
con il tipo d’intervento (ad esempio, nel lavaggio del terreno, la dispersione e
migrazione dei contaminanti nel terreno e la possibile contaminazione di corpi
recettori).
2.3 Tecniche d’isolamento
I sistemi di isolamento sono interventi di messa in sicurezza dei siti contaminati
che rivestono una grande importanza in tutti quei casi in cui il tipo di suolo, le
condizioni idrogeologiche, il tipo di rifiuto e, non ultimi, i rischi connessi con la
loro movimentazione ne consentono un isolamento più sicuro nello stesso luogo
piuttosto che una loro escavazione e ricollocazione in impianti off site. A volte tali
interventi sono quelli economicamente più vantaggiosi risultando, spesso, anche
tra quelli più facilmente accettabili dalla popolazione.
Le tecniche di isolamento consistono essenzialmente nell’incapsulare la porzione
di terreno interessata alla contaminazione e possono essere considerate come
misure temporanee per la messa in sicurezza del sito in attesa di interventi più
radicali (Misiti, A., Sirini, P., 1990).
I materiali utilizzati nella realizzazione di interventi quali impermeabilizzazione
superficiale, inserimento di barriere e setti verticali impermeabili e l’eventuale
isolamento del fondo con tecniche sofisticate, hanno una durata ed un’affidabilità
limitata nel tempo. Pertanto la messa in sicurezza dei siti contaminati con tecniche
d’isolamento deve sempre essere considerata una soluzione temporanea, valida
per il contenimento immediato dell’inquinamento e per la prevenzione da possibili
contaminazioni future di maggior entità.
Questi tipi di interventi sono frequentemente utilizzati nel caso di discariche
incontrollate di rifiuti ove l’estrema eterogeneità della composizione dei rifiuti
potenzialmente presenti (non sempre di sola provenienza urbana ma spesso anche
industriale) potrebbe comportare rischi per l’uomo e l’ambiente troppo elevati in
caso di escavazione, perciò l’intervento di confinamento appare come la soluzione
tecnica più facile ed attuabile; inoltre ulteriori difficoltà potrebbero derivare
dall’escavazione dei notevoli volumi interessati a tale operazione, nonché
dall’opposizione della popolazione residente nell’area dell’impianto designato
allo smaltimento definitivo del rifiuto estratto.
I principali tipi di interventi che si attuano per ottenere l’isolamento parziale o
totale si possono distinguere in quattro categorie:
• Sistemi d’isolamento superficiale;
• Sistemi d’isolamento perimetrale;
• Sistemi d’isolamento del fondo
• Sistemi idraulici di contenimento della falda.
2.3.1 Sistemi d’isolamento superficiale
I sistemi d’isolamento superficiale sono tra gli interventi di messa in sicurezza dei
siti contaminati, quali ad esempio le discariche incontrollate, più rapidi ed efficaci
e sono volt al raggiungimento dei seguenti risultati (Tayolor, M., R., G., Mcleans,
R., A., 1992):
• Prevenire o limitare il più possibile l’infiltrazione delle acque meteoriche
impattanti e di ruscellamento, al fine di ridurre la formazione di percolato che
crea notevoli problemi di inquinamento sia di zone del suolo non ancora
interessate dalla contaminazione che di ipotetiche falde sottostanti;
• Evitare le emissioni di gas nell’atmosfera, soprattutto nel caso di presenza di
sostanze tossiche, e prevenire la fuoriuscita superficiale dei contaminanti a
seguito di fenomeni di diffusione capillare attraverso il terreno;
• Consentire il recupero e l’integrazione dell’area contaminata con l’ambiente
circostante soprattutto da un punto di vista estetico;
• Offrire una maggiore resistenza all’azione erosiva degli agenti atmosferici ed
evitare condizioni climatiche critiche all’ammasso dei rifiuti.