II
Questa ricerca tenta di illustrare quale siano state le risposte più rilevanti della
psicoanalisi ad entrambi i problemi e, soprattutto, vuole metterli in correlazione. Così
come nella psicoanalisi la teoria e la pratica clinica si possono considerare come
facce interattive di una stessa medaglia, così anche nel campo dello studio
psicoanalitico dell’arte la riflessione teorica e quella clinica possono convergere
verso un campo comune nel quale trovare una feconda applicazione. E nella pratica
clinica che si riconosce nell’orientamento psicoanalitico, questa sintesi per un certo
verso è già avvenuta, dando origine ad un tipo di terapia parallela a quella verbale:
l’arte-terapia.
La particolarità di questa disciplina è che, oltre all’ampia differenziazione all’interno
degli stessi ordinamenti teorici, ha dovuto conoscere anche una disomogenea
distribuzione nel mondo scientifico, con un evidente sbilanciamento verso il
continente americano. Giunta in Italia con varie decadi di ritardo, oggi può contare su
varie scuole di formazione che ne preservano, realmente, la pratica: tra queste si è
scelto di soffermare l’attenzione su quella che è la più rappresentativa e che,
sicuramente, gode di una maggior presenza sul territorio, ovvero l’associazione Art
Therapy Italiana, con sede principale a Bologna.
Questo però deve essere considerato come un punto di arrivo importante, risultato di
un lungo processo di “gestazione” nell’ambito della psicoanalisi e, più ristrettamente,
nel panorama della psicologia italiana.
È tra le finalità fondamentali di questo lavoro evidenziare questo percorso in realtà
reso possibile soltanto dal passaggio da una volontà conoscitiva ad una più
strumentale.
Talvolta potrà sembrare che alcuni argomenti sono stati inseriti in maniera troppo
forzata nel contesto generale, ma questi troveranno una loro giustificazione
nell’affrontare gli autori successivi.
La prima parte sarà dedicata all’analisi del contributo prettamente teorico della
psicoanalisi, quello indirizzato alla comprensione, ora della natura dell’arte ora dei
meccanismi con la quale questa si esprime: entrambi condividono il presupposto che
l’origine sia da ricercare nell’inconscio.
Questi sono effettivamente i due indirizzi che la psicoanalisi sembra aver scelto.
Nella direzione di un’analisi più attenta alla sistemazione dell’arte in un sistema
meta-psicologico, atto a svelare il significato profondo dell’arte, sono collocabili
l’opera di Sigmund Freud, prima, e quella di Hanna Segal, poi.
L’opera degli altri due autori trattati, Ernst Kris e Silvano Arieti, è più chiaramente
diretta verso una comprensione dei meccanismi con cui la creatività si lega alla
personalità e si esprime nella realtà esterna.
È importante far notare che non si è adottato un criterio di imparzialità nell’esporre i
diversi pensieri, ma si effettuato un lavoro di cernita strumentale alla messa in risalto
dei legami con la pratica arte-terapeutica.
La seconda parte è dedicata invece ad alcuni dei più importanti autori di arte-terapia:
Margaret Naumberg, Edith Kramer e Arthur Robbins. In questa fase risulteranno più
chiare le motivazioni delle scelte precedenti.
III
Infatti, mentre l’opera della Naumberg si appoggerà maggiormente sul pensiero più
“classico” della psicoanalisi, quello di Freud e della Segal, la arte-terapia della
Kramer sfrutterà quasi integralmente gli assunti della psicologia psicoanalitica
dell’Io.
Per quanto riguarda Robbins, il motivo della scelta è ancor più evidente: oltre a
rappresentare una delle espressioni più moderne e creative della disciplina, egli è
anche l’autore che ha ispirato maggiormente la scuola dell’A.T.I., indirizzandone
l’operato.
La terza ed ultima parte è dedicata espressamente ad una rapida analisi della
formazione e delle attività dell’associazione, nella speranza di riuscire a delineare le
caratteristiche basilari di una struttura che è, per sua stessa natura, complessa e
multiforme.
1
Capitolo I
L’arte non riproduce ciò che è visibile,
ma rende visibile ciò che non lo è.
Paul Klee.
I.1 Uno sguardo alla storia
L’importanza della psicoanalisi nell’ambito delle scienze umane e sociali può essere
ricondotta ad un dir poco epocale cambiamento epistemologico e metodologico nei
confronti della cultura scientifica fine ottocentesca, in grado di influenzare la ricerca
psicologica e sociale a lei posteriore. La nuova scienza psicoanalitica ha posto, infatti,
al centro della sua indagine la soggettività umana, cosa in sé per sé non certo nuova,
esaltandone al massimo le diversità intersoggettive, le dinamiche intrasoggettive e,
soprattutto, portando alla luce ed elevando a campo degno di massima attenzione
l’insieme di sentimenti e delle pulsioni profonde che rendono l’uomo così
propriamente “uomo”. Il riconoscimento della “interiorità” quale campo di indagine
scientifica, sembra derivare e riprendere quella particolare sensibilità propria del
pensiero romantico europeo, che aveva profondamente modificato la cultura e la
società ottocentesca: lo stesso Freud ha sempre riconosciuto la priorità e la profondità
in materia di conoscenza dell’animo umano degli artisti, in particolare dei suoi amati
poeti e scrittori, dichiarandolo esplicitamente in un noto passo del suo commento alla
Gradiva di Wilhelm Jensen: “I poeti sono però alleati preziosi, e la loro testimonianza
deve essere presa in attenta considerazione, giacché essi sono soliti sapere una
quantità di cose fra cielo e terra che la nostra filosofia neppure sospetta.
Particolarmente nelle conoscenze dello spirito essi superano di gran lunga noi comuni
mortali, poiché attingono a fonti che non sono ancora state aperte dalla scienza”
1
.
L’attività artistica è rivelatrice dell’essere umano nella sua più sconosciuta e squisita
interiorità, perché, si direbbe, proprio da essa originata; ma per Freud essa mantiene il
1
S. Freud (1907), Delirio e sogno nella Gradiva di W. Jensen, in OSF, vol. V, p. 264.
2
carattere dell’eccezionalità, prerogativa di pochi ed eletti individui e, quindi, non
adatta ad essere utilizzata per un uso terapeutico.
D’altro canto, senza volersi addentrare in questioni propriamente epistemologiche, la
natura stessa della ricerca teorica psicoanalitica, quasi esclusivamente alimentata
dalla deduzione di ciò che avviene nella seduta terapeutica, rivoluziona
completamente il concetto di ricerca scientifica. Infatti, completa la
monodirezionalità tipica della scienza positivisticamente intesa (ricerca su soggetto-
oggetto di indagine) e implica in maniera del tutto nuova la dualità del rapporto
terapeutico e conoscitivo. E’ superfluo sottolineare la straordinaria importanza
rivestita in terapia dai fenomeni di transfert e di controtransfert e il valore del setting
analitico, quali testimoni chiari di tale bi-direzionalità.
Tuttavia, Freud stesso probabilmente non ha inteso appieno la spinta innovatrice della
scienza che stava creando, tutto teso alla ricerca di un maggiore riconoscimento da
parte del mondo accademico, vero emblema della cultura positivista dell’Europa a
cavallo tra XIX e XX secolo
2
. In realtà oggi la scientificità della psicoanalisi ha
subito dei ridimensionamenti evidenti dati dal fatto che “molti concetti centrali per il
pensiero analitico non soltanto non sono stati studiati e convalidati in modo
sistematico, ma sono così intrinsecamente inadatti a essere tradotti in termini
operativi e così poco manipolabili che è difficile immaginare persino come possano
essere sottoposti a prove empiriche. […] Molti studiosi preferiscono collocare la
psicoanalisi nella tradizione ermeneutica piuttosto che in quella scientifica”
3
.
Ciò che maggiormente ha rilevanza in questo contesto è che la psicoanalisi ha una
riconosciuta valenza terapeutica e che l’applicazione delle sue leggi in terapia crea
un’esigenza continua di ricerca teorica: è effettivamente di applicazione che bisogna
parlare perché il lavoro di Freud era spesso tutto proteso verso un interesse
prettamente teorico anche se fortemente ispirato, guidato e convalidato dalla pratica
clinica
4
. Di certo, l’importanza del metodo terapeutico psicoanalitico ha contribuito in
grandissima misura alla notorietà e all’esistenza stessa della psicoanalisi. E’ proprio
tale incessante ricerca di strumenti nuovi da usare in e per la terapia che ha condotto
alla scoperta di possibilità non indagate da Freud e dai suoi primi seguaci: l’arte-
terapia ne costituisce un esempio innovativo ed affascinante. Infatti lo studio dell’arte
e della creatività è stato influenzato in maniera rilevante dal pensiero psicoanalitico,
nonostante una non sempre lineare unità di intenti dovuta certamente anche alla
molteplicità di spunti della materia
5
.
2
L’impegno con cui Freud difendeva la scientificità della psicoanalisi è nota attraverso l’opera di molti suoi biografi.
Cfr. H. Ellenberger (1976), P. Gay (1990), E. Jones (1953), P. Roazen (1998).
3
Nancy McWilliams (1999), La diagnosi psicoanalitica, Astrolabio-Ubaldini, Roma, p. 24.
4
Questo interesse prettamente teorico di Freud anche all’interno delle sedute terapeutiche condotte da egli stesso, è noto
e documentato ampiamente. Particolarmente interessante è la testimonianza dello psichiatra americano Abram Kardiner
che dice: “Una volta domandai a Freud cosa pensava di se stesso come analista. “Sono contento che me lo chieda,
perché, francamente io non ho grande interesse per i problemi terapeutici.” E, parlando degli handicap che gli
impedirebbero di essere un grande terapeuta, lo stesso Freud continua: “Il secondo è che sono continuamente molto
assorbito troppo da problemi teorici, di modo che quando si presenta l’occasione, io in realtà lavoro sui miei problemi
teorici personali anziché prestare attenzione ai problemi terapeutici”. Il passo è tratto da: L. Albano (a cura di) (1987), Il
divano di Freud. Memorie e ricordi dei pazienti di Sigmund Freud, Pratiche, Parma, p. 88.
5
L’applicazione delle scoperte della psicoanalisi ha rivoluzionato il campo della critica d’arte fornendogli nuovi
strumenti fino ad allora sconosciuti. Inoltre l’arte stessa ha subito l’influenza e il fascino delle teorie psicoanalitiche,
3
Intuitivamente sembrerebbe chiaro individuare per la creatività un ruolo chiave
all’interno della terapia psicoanalitica, data dal suo carattere più profondo, più
primario, più insito sul “quel terreno franoso” che Jacques Lacan chiama
“Lalangue”
6
, in una parola, dalla sua estrema rappresentatività dell’inconscio.
Lo stesso Lacan parla di “retorica dell’inconscio” quasi a voler sottolineare la stretta
vicinanza tra il funzionamento dell’inconscio e il linguaggio proprio della creazione
poetica
7
: è la psicoanalisi stessa, fondata com’è su procedure poetico-metaforiche, a
conseguire la definizione di arte.
L’arte-terapia, invece, è il frutto di una profonda riflessione che, percorrendo tutta la
storia della psicoanalisi in un percorso tutt’altro che lineare, giunge soltanto di
recente ad una teorizzazione più consapevole e chiara.
Un intervento non molto recente di Francesco Corrao
8
, importante psicoanalista
italiano, può fornire una buona linea guida per orientarsi nel complicato percorso
seguito dalla psicoanalisi. Egli afferma che la ricerca psicoanalitica sull’arte “ha
avuto uno sviluppo graduale che corrisponde grosso modo al processo di evoluzione
generale […] della psicoanalisi, sia sul piano teorico che su quello pratico”. Quindi la
risposta che la psicoanalisi nella sua storia ha dato alla questione arte si è articolata,
dice Corrao, in ben nove punti di vista differenti, ognuno dei quali può aggiungere
qualcosa alla conoscenza teorica e clinica: dalla ricerca dei temi fondamentali della
psicoanalisi nelle grandi opere del passato, ad una più profonda integrazione di questa
con la vicenda biografica, valorizzando sempre più la fenomenologia dell’esperienza
artistica ed estetica per uno “studio del processo creativo e della sua interpretazione
metapsicologica”, fino a giungere “all’indagine sulla relazione dell’artista con la sua
opera, con lo spettatore e con la società”. Come si può facilmente notare, l’arte-
terapia non è riconosciuta come naturale conclusione in termini pratici della lunga e
incompiuta discussione sull’arte.
Le stesse scuole di arte-terapia, come l’Art Therapy Italiana al cui contributo questa
ricerca è primariamente indirizzata, riconoscono come importanti maestri non tanto
gli psicoanalisti che hanno centrato la loro ricerca sull’arte, quali Ernst Kris, Hanna
Segal, Janine Chasseguet-Smirgel, ma gli autori che hanno dato importantissimi
contributi in altri campi, soprattutto per quanto riguarda la tecnica terapeutica, quali
Donald Woods Winnicott e Wilfred Bion, o per l’innovazione nel campo delle teorie
dello sviluppo, quali Margareth Mahler ed Erik Erikson.
Perché partire quindi dalle teorie sull’arte e sulla creatività, peraltro in molti casi
superate e confutate, per trattare un campo ricco di innovazione e di dinamicità quale
quello dell’arte-terapia?
talvolta utilizzate strumentalmente per giustificare nuove tendenze e movimenti: paradigmatica in questo senso è la ben
nota vicenda del rapporto conflittuale tra Andrè Breton, fondatore del movimento chiamato “Surrealismo”, e Freud. Per
un approfondimento su questo argomento cfr. J. Starobinski (1973), Freud, Breton e Myers, in Aa.Vv., Per Freud,
Bertani, Verona, pp. 157-162. Oppure: S. Mistura, Il Surrealismo di fronte alla psicoanalisi, in S. Mistura (a cura di)
(2001), Figure del feticismo, Einaudi, Torino, pp. 123-172.
6
U. Amati (1996), Arte, terapia e processi creativi, Borla, Roma, p. 97.
7
In Italia i lavori di Stefano Agosti, professore ordinario di Letteratura francese all’Università di Venezia e critico
letterario, rappresentano un esempio affascinante di accostamento e riconoscimento di omologie tra le regole proprie del
“linguaggio” poetico, così come evidenziate da Ferdinand de Saussure, e quelle del “linguaggio” psicoanalitico.
8
F. Corrao (1965), Psicoanalisi e arte, in “Rivista di psicoanalisi”, a. XI, n. 3, pp. 240-242.
4
La risposta è nella necessità di avere una “definizione operativa” da ricercare negli
studi psicoanalitici inaugurati dallo stesso Freud; inoltre è forte la convinzione che,
anche negli scritti più antichi, le basi per uno sviluppo in senso arte-terapeutico erano
state saldamente gettate.
Gli stessi concetti di arte e di creatività sono spesso intuitivamente accostati,
soprattutto nel linguaggio comune, perdendo forse il loro particolare riferirsi a
condizioni che, per quanto vicine e interdipendenti, sono comunque sostanzialmente
differenti. La psicoanalisi ha intuito questa sottile differenza separando il problema
estetico, inteso come percezione e “sentimento” del bello, dal problema della natura
stessa della creazione.
L’arte-terapia probabilmente utilizza proprio la concezione della creatività
psicoanaliticamente intesa per sondare, creare e raggiungere la condizione ottimale
della terapia. E’ la creatività del paziente ad essere utilizzata in una duplice funzione
strumentale: come mezzo privilegiato di svelamento dell’attività dell’inconscio e, in
secondo luogo, come attività promotrice del cambiamento. Inoltre, anche attraverso la
creatività viene favorita la nascita e l’instaurarsi del rapporto tra paziente e terapeuta,
che rimane il mezzo più efficace di qualsiasi terapia psicodinamicamente orientata.
Sempre facendo riferimento allo schema cronologico proposto da Corrao, si può
notare che la psicoanalisi delle origini non ha fatto dello studio della “metapsicologia
della creatività” e della sua “collocazione nel sistema psichico” il primario interesse
nell’approccio all’arte. Sono stati soprattutto Ernst Kris nel 1952, Silvano Arieti nel
1976 e Hanna Segal nel 1991 ad affrontare in modo sistematico il problema: và da sé,
quindi, che l’arte-terapia deve molto a questi autori non tanto sotto il profilo della
tecnica terapeutica, ma per l’importanza della loro opera in direzione dello studio
“metapsicologico” della creatività.
5
I.2 Freud arte-terapeuta?
Il punto di riferimento essenziale, se non altro per una questione di comodità, per il
lettore italiano che voglia conoscere il pensiero freudiano sull’arte, è senza dubbio la
raccolta, edita dalla Boringhieri di Torino per la prima volta nel 1969
11
, intitolata
Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio. L’utilità di tale raccolta, curata, come
del resto tutto il corpus delle opere freudiane della stessa casa editrice, da un
profondo conoscitore della psicoanalisi come Cesare Musatti
12
, può probabilmente
fuorviare il lettore presentando una visione troppo organica e sistematica. In realtà ad
una attenta lettura ci si rende conto che Freud ha avuto un interessamento costante
per l’argomento arte e creatività, soprattutto per quanto riguarda la letteratura, ma
non ha mai analizzato in maniera dettagliata il problema con uno studio monografico.
Ciò rappresenta senza dubbio una manchevolezza ma, al tempo stesso, una fortuna
per la ricerca postuma: egli ha così potuto mantenere un rapporto aperto, libero e
molto informale con le sue idee sull’arte, consegnando ai posteri riflessioni su molti
aspetti differenti del problema: dalla psicoanalisi “applicata” alle opere e alla vita
degli artisti, al ruolo della creatività nel sistema psichico dell’uomo fino al problema
della fruizione dell’opera d’arte e ai suoi meccanismi. Inoltre Freud non è stato il solo
psicoanalista delle origini ad interessarsi di arte, dato che molti suoi discepoli se ne
sono occupati
11
, affrontando però l’argomento in un’ottica più strumentale che
analitica: occorreva ritrovare nelle opere degli artisti i segni tangibili che la
psicoanalisi stesse solcando la giusta strada verso la conoscenza della psiche.
Il fatto che Freud fosse altamente attratto dall’arte è notoriamente testimoniato, oltre
che da egli stesso, dai biografi che hanno raccontato della sua vasta ed
importantissima collezione di reperti antichi, soprattutto di origine egizia, greca e
romana
12
: il suo studio poteva forse già essere il prototipo di un moderno setting arte-
terapeutico? Il suo circondarsi di opere antiche, custodite soprattutto nella stanza
dedicata alle sedute con i suoi pazienti, potrebbero, in maniera forse un po’ ardita,
dimostrare una riconosciuta capacità, se non proprio curativa, quantomeno favoritrice
dell’emersione dell’inconscio e del processo terapeutico?
9
La raccolta, a cui si rifanno tutti le citazioni tranne quelle altrimenti segnalate, è stata pubblicata in due volumi:
S. Freud (1969), Saggi sull’arte, la letteratura e il linguaggio, Boringhieri, Torino.
10
Cesare Musatti è una delle figure più prestigiose della psicoanalisi italiana ed, inoltre, studioso di percettologia. Tra le
sue opere dedicate ai rapporti tra psicoanalisi e arte, in particolare riguardo al cinema, sono da citare: C. Musatti (1970),
Libertà e servitù dello spirito, Boringhieri, Torino. Inoltre: id. (1976), Riflessioni sul pensiero psicoanalitico e
incursioni nel mondo delle immagini, Boringhieri, Torino.
11
Ad esempio: O. Rank (1979), Il doppio: il significato del sosia nella letteratura e nel folklore, Sugar Co, Milano.
Oppure: id. (1989), Il mito dell’incesto nella poesia e nella leggenda: fondamenti psicologici della creazione
poetica, Sugar Co, Milano. Anche il più importante biografo di Freud, Ernst Jones, ha scritto di arte, in particolare: E.
Jones (1971), Saggi di psicologia applicata: estetica, sociologia, politica, Guaraldi, Firenze.
12
Per un’analisi specifica: L. Gamwell, R. Wells (a cura di) (1990), Freud e l'arte: la collezione privata di arte antica,
Il Pensiero Scientifico, Roma.
6
Comunque, a parte speculazioni sull’uso dell’arte in terapia da parte di Freud, rimane
più proficuo affrontare direttamente la lettura di ciò che egli ha davvero scritto
sull’argomento.
Seguendo l’affermazione di Stefano Ferrari, professore ordinario di Psicologia
dell’arte presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Bologna e studioso
“laico” di psicoanalisi, si può riconoscere una netta suddivisione tra “il Freud più
giovane ed entusiasta dei primi anni del ‘900, e il Freud più maturo e pessimista
dell’Avvenire di un’illusione (1927) o del Disagio della civiltà (1929)”
13
, contrasto
che rappresenta un’importante indicazione sull’evoluzione del pensiero freudiano
sull’arte. Per di più lo stesso Freud esprime palesemente la sua rassegnazione di
fronte al mistero dell’arte, o meglio al mistero del genio artistico, con la celeberrima
frase in apertura del saggio Dostoevskij e il parricidio, del 1927: “Purtroppo dinanzi
al problema dello scrittore la psicoanalisi deve deporre le sue armi”
14
.
Certamente questa concezione evolutiva, che segue per l’appunto molto da vicino lo
sviluppo di tutta la teoria psicoanalitica, può costituire un utile punto di riferimento,
anche se non tiene conto dell’estrema diversità di intenti e di situazioni in cui le opere
freudiane sull’arte sono sorte.
Lungi dal presentarsi come un’analisi completa e puntuale della letteratura freudiana
sull’arte, lo scopo di questa ricerca è quello di riattualizzare le concezioni teoriche
più arcaiche alla luce dello sviluppo che hanno avuto in senso arte-terapeutico: è
infatti con Freud che la concezione dell’arte e della creatività quale attività mediatrice
tra il sistema inconscio e il sistema preconscio-conscio acquista una sistemazione
teorica. Alla base della moderna tecnica arte-terapeutica di indirizzo psicodinamico
c’è proprio lo sfruttamento di questa caratteristica essenziale della produzione
creativa, che viene sostenuta, invogliata, incanalata ai fini della guarigione del
paziente.
In sintesi, la ricerca si soffermerà maggiormente sui testi in cui il contributo di Freud
alla comprensione della arte e della creatività assume le qualità peculiari di
innovazione e modernità, tali da renderlo tuttora importante: saranno quindi oggetto
di analisi i concetti di arte quale mediazione tra processo primario e secondario, di
mezzo di espressione dei conflitti e di attività di trasformazione della realtà,
paragonabile al gioco dei bambini.
13
S. Ferrari (1997), Materiali per una psicologia dell’arte. A partire da Freud, CLUEB, Bologna, p. 27. Inoltre Ferrari
ha dedicato molti altri lavori allo stesso tema, soprattutto in riferimento al rapporto tra psicoanalisi e letteratura, in
particolare: id. (1988), La psicologia del ritratto nell’arte e nella letteratura, Laterza, Roma-Bari. E inoltre: id. (1994),
Scrittura come riparazione: saggio su letteratura e psicoanalisi, Laterza, Roma-Bari.
14
S. Freud (1927), Dostoevskij e il parricidio, in Saggi, vol. I, p. 323.
7
I.2.I L’arte come ponte: la concezione “mediatica”
Con il termine mediatico si è voluto far riferimento non tanto ad una dinamica inter-
soggettiva di scambio di un “messaggio” tra l’artista e il suo pubblico, bensì alla
funzione intra-soggetiva, di mediazione appunto, tra i due sistemi e i due processi
dell’accadere psichico: il sistema inconscio-preconscio-conscio e il processo primario
e il processo secondario. La valenza straordinaria di tale concezione è piuttosto
evidente e ci sarebbe da chiedersi come mai né Freud né i suoi seguaci più prossimi
non abbiano mai neanche supposto un eventuale uso della creatività a fini terapeutici:
la risposta a questo interrogativo, che tutto sommato non ha grandissima importanza
né per questa ricerca né per una valutazione dell’opera, comunque straordinaria, di
Freud sarebbe probabilmente da ricercare proprio in quella sete eccezionale di
riconoscimento di scientificità a cui continuamente aspirava e, inoltre, nel fatto che
già il continuo modificare, aggiornare e migliorare la tecnica canonica della terapia
psicoanalitica, che è e rimane sostanzialmente una talking cure, comportava di per sé
già un assorbimento straordinario di energia. La validità dell’insegnamento freudiano
sulla terapia rimane comunque inappuntabile; è giusto ricordare, per rimarcare questa
sua abilità tecnica oltre che teorica, come in uno dei suoi ultimi saggi, Costruzioni in
analisi del 1937, egli distinguesse tra le “interpretazioni” e le “costruzioni” che si
sviluppano durante l’analisi e dicesse in proposito di quest’ultime: “L’analista porta a
termine un brano della costruzione, lo comunica all’analizzato affinché produca su di
lui i suoi effetti, indi costruisce un altro brano a partire dal nuovo materiale che
affluisce e poi procede con questo allo stesso modo; così in tale alternanza, va avanti
fino alla fine”
15
. Arthur Robbins, uno dei maestri dell’arte-terapia e delle terapie
espressive, similmente si esprime a proposito della sua idea di processo creativo
dicendo: “Considero il processo creativo come la costante ridefinizione di ciò che
non ha forma in una forma e penso che esso attinga ad un’energia primaria. Non
appena si lascia andare quella forma ad una sua evoluzione, si attinge ad una nuova
fonte di energia per una nuova definizione. La capacità di coinvolgersi e di entrare in
questo processo è ciò che io considero curativo”
16
.
E’ evidente che l’“energia primaria” a cui Robbins fa riferimento è da identificare
con l’insieme di pulsioni e desideri che risiedono nella parte più profonda e nascosta
della psiche dell’uomo: l’inconscio. Attraverso questa ridefinizione di materiale
informe, a cui occorre dare una forma, il processo arte-terapeutico può iniziare e
proseguire conducendo la coppia paziente-terapeuta nel cammino della guarigione.
15
S. Freud (1937), Costruzioni in analisi, in OSF, vol. XI, p. 544.
16
Citazione di un’intervista rilasciata da Arthur Robbins a Maria Belfiore e Marilyn La Monica, importanti esponenti di
Art Therapy Italiana, nel 1989. In: Maria Belfiore, Luisa Martina Colli (a cura di) (1998), Tra l’Io e il Corpo, coll. I
Quaderni di Art Therapy Italiana, Pitagora, Bologna, p. 10.