5
sono state considerate tutte le ragioni di fatto e di diritto esposte in sede
processuale, per cui, qualora le parti dissentissero dalle ragioni da lui
addotte, potranno impugnare il provvedimento giudiziale e chiederne la
riforma o, addirittura, l’annullamento.
La funzione di controllo della motivazione consiste nel fatto che essa
si rivolge anche all’eventuale giudice dell’impugnazione, rendendo
possibile il suo controllo, di merito o di sola legittimità, sul provvedimento
impugnato dalla parte.
Infine, la funzione extraprocessuale della motivazione consiste nel
fatto che essa si rivolge anche all’opinione pubblica ed al pubblico dei
fruitori del diritto, garantendo così l’esigenza di un controllo diffuso e
attento sul modo di amministrare la giustizia, che la Costituzione vuole
avvenga in nome del popolo (art.101 I comma Cost.)
3
.
Il potere giurisdizionale è validamente esercitato solo se la sentenza è
giustificata e, dunque, sostenuta da ragioni valide e diffusamente
controllabili, perché, come scrive Taruffo “nessuna decisione può apparire
giusta se non se ne può verificare il fondamento sulla verità dei fatti
accertati”
4
.
3
Cfr. Bartole Sergio, Il potere giudiziario, in Manuale di diritto pubblico, II vol. –
L’organizzazione costituzionale, a cura di G. Amato e A. Barbera, Il Mulino, Bo, 1988,
p.447.
4
Cfr. Taruffo, La fisionomia della sentenza in Italia, op. cit., p.263.
6
Per il non giurista la sentenza rimane tendenzialmente
incomprensibile: anzi, sembrerebbe ridursi ad un complesso di formule
magiche, da cui emana una notevole forza suggestiva, che induce ad
assentire, ma che preclude la possibilità di capire e comprendere la
decisione e le sue ragioni fondanti
5
. A questa tendenza ha in qualche modo
contribuito la tradizionale configurazione del ragionamento giudiziario
nella forma di un sillogismo che, nel suo rigore formale, argomenta ed
impone un’unica soluzione logicamente e giuridicamente valida per il caso
in specie
6
. Ciò ha indotto, per lungo tempo, a credere che il ragionamento
giuridico, contenuto nella motivazione della sentenza, dovesse essere la più
concreta forma realizzativa della «certezza del diritto»
7
ed il giudice
dovesse essere, né più né meno, la «bocca della legge»
8
.
Non è un caso che la più rigorosa e serrata critica al modello
sillogistico sia venuta dal realismo giuridico, specie quello nord-americano,
che, insistendo sulla necessità di un divorzio, nei discorsi dei giuristi, tra
«essere» e «dover essere»
9
, ha dimostrato l’ infondatezza del dogma
5
Cfr. Taruffo, La fisionomia della sentenza in Italia, op. cit., p.260.
6
Cfr. Tarello Giovanni, L’interpretazione della legge, Giuffrè, Mi, 1989, pp.78/79.
7
Cfr. Pino Giorgio, Il positivismo giuridico di fronte allo Stato costituzionale, in Analisi
e Diritto – Ricerche di giurisprudenza analitica, Giappichelli, To, 1998, pp.208/209.
8
Cfr. de Secondat Charles-Louis, barone di Montesquieu, Lo spirito delle leggi,
prefazione di G. Macchia, introduzione e commento di R. Derathé, traduzione di B.
Boffito Serra, II voll., Rizzoli, Mi, 1996, pp.224/225.
9
Cfr. Llewellyn Karl, Lo scetticismo delle norme, in Il realismo giuridico scandinavo e
americano, a cura di S. Castignone, Il Mulino, Bo, 1981, pp.216/217.
7
continentale della certezza del diritto, ironizzando sul fatto che i giuristi
che vi si affidano si comportano come se non si fossero del tutto affrancati
dal bisogno infantile dell’autorità paterna
10
.
Per lungo tempo, la teoria generale del diritto ha insistentemente
richiamato l’attenzione più sulla parte dispositiva della sentenza, che non
sulla motivazione: ciò è sostanzialmente imputabile all’enorme diffusione
dell’insegnamento di Kelsen, che ha guardato alla sentenza essenzialmente
come precetto normativo individuale creato dai giudici
11
.
Oggi l’attenzione è, invece, più propriamente concentrata sulla
motivazione: innanzitutto, perché essa rappresenta il tratto distintivo
dell’applicazione del diritto, in contrapposizione alla produzione
normativa, propria del legislatore (il legislatore non è tenuto, infatti, a
motivare le scelte discrezionali che compie, a differenza del giudice); ma,
soprattutto, perché è la motivazione il luogo dove i giudici riferiscono delle
proprie scelte interpretative e dove è giuridicamente ricostruito il precetto
normativo enunciato nel dispositivo
12
.
10
Cfr. Frank Jerome, Lo scetticismo dei fatti, in Il realismo giuridico scandinavo e
americano, a cura di S. Castignone, Il Mulino, Bo, 1981, pp.280/281.
11
Cfr. Losano Mario G., Il problema dell’interpretazione in Hans Kelsen, in Rivista
Internazionale di Filosofia del Diritto, 1968, p.532.
12
Cfr. Guastini Riccardo, Problemi di analisi logica della motivazione, in Contratto e
Impresa, 1986, p.106.
8
§ 2. «Giustificazione interna» e «giustificazione esterna».
Esistono diversi livelli di argomentazione giuridica: per distinguerli, si
parla di «giustificazione interna» e di «giustificazione esterna».
Il primo livello è costituito dall’insieme delle premesse, di fatto e di
diritto, che sono direttamente connesse alla decisione: secondo
Wroblewski, a cui si deve l’introduzione di questa distinzione, questo
livello argomentativo si fonderebbe sulla naturale esigenza di coerenza e di
razionalità propria di qualunque universo discorsivo
13
.
La «giustificazione esterna» è costituita, invece, dall’insieme degli
ulteriori argomenti impiegati dal giudice per spiegare e fondare la propria
scelta; per tal motivo essa è anche indicata come «meta-giustificazione»
14
.
Un approccio di tipo formalistico predilige solo il primo livello
argomentativo ed ivi esaurisce la propria dimensione teorica: non vi è,
infatti, ragione per discutere il modo ed il procedimento attraverso il quale
il giudice perviene ad identificare le premesse di fatto e di diritto, in quanto
il giudice non è niente di più che la «bocca della legge»
15
.
13
Cfr. Comanducci Paolo, Il ragionamento giudiziale: lineamenti di un modello, in
Interpretazione e diritto giudiziale, vol. I – Regole, metodi e modelli, a cura di M.
Bessone, Giappichelli, To, 1999, p.48.
14
Cfr. Comanducci, op. ult. cit., p.57.
15
Cfr. Guastini Riccardo, Dalle fonti alle norme, Giappichelli, To, II ed., 1992, p.186.
9
Un approccio teorico, che volesse riscattarsi dalla fallacia formalistica,
dovrebbe tener conto della notevole complessità dell’attività applicativa del
diritto, che coinvolge il giudice interamente, sia da un punto di vista
istituzionale, che da un punto di vista personale ed emotivo.
Wroblewski, a questo proposito, si è soffermato a descrivere
analiticamente i diversi tipi di attività che il giudice compie
nell’applicazione della legge
16
: in una prima fase il giudice deve
individuare la norma valida da riferire al caso concreto e deve
comprenderla in un suo significato sufficientemente preciso
17
; nella
seconda fase, egli deve accertare il fatto, alla luce di prove processuali
validamente assunte, e darne una formulazione nello stesso linguaggio
della norma che deve essere applicata
18
; nella terza fase, poi, deve
sussumere il fatto provato alla norma che deve essere applicata
19
; infine,
nella quarta fase, il giudice deve imperativamente determinare le
conseguenze della sua decisione
20
.
16
Cfr. Wroblewski Jerzy, Il modello teorico dell’applicazione della legge, in Rivista
Internazionale di Filosofia del Diritto, 1967, pp.12/13.
17
Cfr. Wroblewski, op. ult. cit., pp.13/15.
18
Cfr. Wroblewski, op. ult. cit., pp.15/19.
19
Cfr. Wroblewski, op. ult. cit., p.19.
20
Cfr. Wroblewski, op. ult. cit., pp.19/21.
10
Lo schema in questione, per quanto «semplificato», può rendere
un’idea di quanto sia complessa l’attività applicativa del diritto: il giudice
si trova necessariamente a compiere delle scelte valutative, per cui “una
sentenza che appare priva di scelte valutative è in realtà una sentenza
fondata su valutazioni non espresse e non giustificate”
21
.
Da tale modello teorico si deduce che il giudice non è guidato solo da
norme giuridiche, ma pure da canoni e criteri di tipo culturale, frutto di
ideologie politiche, sociali, morali e religiose, che riempiranno il contenuto
della giustificazione esterna
22
.
Vi è stata la tentazione, soprattutto in passato, di identificare la
dimensione giustificativa della sentenza giudiziaria con il ragionamento
compiuto dal giudice: Amodio, a questo proposito, ricorda i due
orientamenti predominanti, da lui identificati con le espressioni «fallacia
descrittivistica» e «fallacia irrazionalistica»
23
. Il primo orientamento
identifica la motivazione con una sorta di reportage sui meccanismi
psichici che hanno guidato e condotto il giudice alla decisione
24
; il secondo
orientamento, tipico del giusrealismo nordamericano, esclude che la
motivazione sia capace di rappresentare una realtà psicologica così
21
Cfr. Taruffo, La fisionomia della sentenza in Italia, op. cit., p.263.
22
Cfr. Comanducci, Il ragionamento giudiziale: lineamenti di un modello, op. cit., p.55.
23
Cfr. Amodio Ennio, La motivazione della sentenza penale, in Enciclopedia del diritto,
vol.XXVII, 1977, pp.214/215.
24
Cfr. Taruffo Michele, La motivazione della sentenza civile, Cedam, Pd, 1975, p.121.
11
complessa e ricca di momenti emozionali quale il ragionamento
giudiziario, riducendosi, dunque, ad un inganno
25
.
L’una e l’altra posizione teorica, però, si fondano su una prospettiva
interpretativa erronea, in quanto non vi sono ragioni per identificare la
giustificazione con il ragionamento condotto dal giudice: infatti, una cosa è
il ragionamento giuridico che, partendo da premesse fattuali e consistendo
in un momento valutativo, conduce alla decisione; cosa diversa è la
giustificazione che rende plausibile e dimostra la verità di tale decisione
26
.
Come ha sottolineato Marinelli, al giudice, in quanto arbitro di un
conflitto tra più interpretazioni possibili, si chiede una cosa assai specifica:
“la giusta soluzione (right answer) in quel dato contesto, di quel dato caso,
e un discorso atto a spiegare perché la giusta soluzione sia quella e non
altra”
27
. Bisogna, dunque, innanzitutto chiedersi come il giudice abbia
ragionato e come sia pervenuto alla decisione, per poi capire effettivamente
come abbia argomentato nella motivazione: è chiaro che, ogni modello di
analisi della sentenza giudiziaria sarà inevitabilmente determinato dalla
teoria generale del diritto che presuppone ed in cui si ascrive
28
.
25
Cfr. Frank, Lo scetticismo dei fatti, op. cit., pp.237/238.
26
Cfr. Taruffo, La motivazione della sentenza civile, op. cit., p.118.
27
Cfr. Marinelli Vincenzo, Il problema dell’ermeneutica giudiziaria, in Analisi e Diritto
– Ricerche di giurisprudenza analitica, Giappichelli, To, 1998, p.154.
28
Cfr. Schiavello Aldo, Neil MacCormick teorico del diritto e dell’argomentazione
giuridica, in Analisi e Diritto – Ricerche di giurisprudenza analitica, Giappichelli, To,
1998, p.310.
12
§ 3. Due modelli interpretativi della sentenza.
Nella letteratura giuridica contemporanea si incontrano due differenti
modelli di analisi delle decisioni giudiziarie, cioè, due modi diversi di
accostarsi e di discutere le sentenze.
Il primo modello può essere chiamato «normativo», il secondo
«pragmatico»
29
. Il modello normativo è interessato a stabilire su quale
norma è fondata la decisione giudiziaria, valutando le condizioni in cui essa
è giustificata dal giudice e, dunque, in base a quali argomenti giuridici essa
è fondata; il modello pragmatico cerca, invece, di stabilire quali effetti la
decisione singolarmente presa possa produrre, ma, soprattutto, in base a
quali ragioni concrete essa è assunta dal giudice
30
.
Il primo modello di analisi, quello normativo, è storicamente connesso
all’approccio teorico giuspositivistico
31
. Infatti, un’analisi normativa delle
decisioni giudiziarie presuppone che il giudice non crei il diritto: egli lo
trova già positivizzato nelle norme; lo applica, non lo produce; lo
interpreta, conoscendolo e scoprendo il significato proprio delle norme,
senza aggiungere nulla di proprio
32
.
29
Cfr. Guastini, Dalle fonti alle norme, op. cit., p.181.
30
Cfr. Guastini, op. ult. cit., pp.181/182.
31
Cfr. Guastini, op. ult. cit., p.183.
32
Cfr. Pino, Il positivismo di fronte allo Stato costituzionale, op. cit., pp.207/208.
13
Caratteristica essenziale del modello normativo dell’analisi della
sentenza giudiziaria è il tentativo di voler ricostruire il ragionamento
compiuto, o perlomeno esibito, dal giudice.
Secondo Herbert Hart, sostenitore di questo modello teorico,
l’argomentazione giuridica si svolge diversamente a seconda che il giudice
abbia a trattare casi facili o casi difficili.
Nel primo caso, l’evidenza dei fatti e la chiarezza semantica degli
enunciati normativi, consente un ragionamento di tipo sillogistico o,
perlomeno, consente di rappresentare il ragionamento compiuto dal giudice
nella forma sillogistica
33
; i casi difficili, che dovrebbero, però essere una
minoranza, ricadono nell’area di penombra del significato normativo e
richiedono, per la loro soluzione, scelte valutative compiute dal giudice in
forza della propria discrezionalità
34
.
Nell’ipotesi in cui il giudice abbia considerato e deciso un caso chiaro,
la motivazione di diritto dovrà dar conto solo dell’interpretazione-scoperta,
come atto meramente conoscitivo del significato proprio dell’enunciato
normativo; nell’ipotesi dei casi difficili, invece, la motivazione di diritto
deve indicare espressamente le scelte semantiche che l’interprete ha
33
Cfr. Herbert Hart L. A., Il concetto di diritto, introd. e trad. di M. Cattaneo, Einaudi,
To, 1965, pp.148/150.
34
Cfr. Hart, op. ult. cit., pp.157/159.
14
compiuto e definire le condizioni in cui l’interprete ha risolto la «crisi
comunicativa» che si è venuta a determinare
35
.
Nell’uno e nell’altro caso, l’argomentazione giuridica non può
prescindere dalle norme giuridiche, che vengono usate dal giudice come
criteri per valutare i comportamenti umani e trarre conseguenze
giuridicamente vincolanti
36
.
Il problema dell’interpretazione-scelta, per Hart, è dovuto al fatto che
molte espressioni del linguaggio normativo sono caratterizzate da un «open
texture»
37
, nel senso che, intorno ad un «hard core» semantico (in cui sono
immediatamente riconoscibili i casi a cui la norma deve essere riferita) vi è
una «zona di penombra», che lascia incerti i margini applicativi della
medesima norma, per cui non è chiaro se essa si riferisca o meno a
determinati fatti
38
. Scrive Hart: “se in tali casi devono essere risolti dei
dubbi, chiunque li debba risolvere deve compiere un atto che ha il carattere
della scelta tra alternative possibili”
39
.
35
Cfr. Hart, op. ult. cit., p.149. Cfr. pure Comanducci, Il ragionamento giudiziale:
lineamenti di un modello, op. cit., pp.64/65.
36
Cfr. Hart, op. cit., p.162.
37
Cfr. Hart, op. ult. cit., p.150.
38
Cfr. Hart, Il concetto di diritto, op. cit., p.148.
39
Cfr. Hart, op. ult. cit., p.149.
15
L’altro modello di analisi delle sentenze giudiziarie, il modello
pragmatico, è storicamente legato al realismo giuridico, sviluppatosi come
critica puntigliosa e rigorosa agli assunti teorici del formalismo
normativistico
40
.
Secondo quest’orientamento teorico i giudici argomentano, come ogni
altro essere umano, partendo dai fatti e non dalle norme: essi decidono
prima la conclusione che appare loro più giusta e ragionevole, in base ad
argomenti pragmatici o consequenzialisti, per poi risalire a delle premesse
che siano in grado di giustificare la decisione presa
41
.
Nel panorama giusrealistico emerge la figura del teorico danese Alf
Ross, secondo il quale il giudice non va considerato come un automa che
converte norme di carta e fatti concreti in decisioni giuridiche: il suo
rispetto della legge non può essere assoluto ed incondizionato, né la sua
obbedienza al diritto è il solo motivo che lo spinge ad assumere delle
decisioni
42
.
L’amministrazione della giustizia può considerarsi il risultato di un
parallelogramma di forze, i cui vettori principali sono la «coscienza
giuridica formale» e quella «materiale»
43
.
40
Cfr. Guastini, Dalle fonti alle norme, op. cit., pp.187/188.
41
Cfr. Frank, Lo scetticismo dei fatti, op. cit., p.244.
42
Cfr. Ross Alf, Diritto e giustizia, introd. e trad. di G. Gavazzi, Einaudi, To, 1965,
p.131.
43
Cfr. Ross, op. ult. cit., pp.131/132.
16
Determinanti, nell’argomentazione giuridica, sono i fattori pragmatici,
per cui il giudice si chiede sempre quale debba essere il risultato pratico da
realizzare con la sua decisione
44
: se questo può essere compatibile con le
intenzioni del legislatore, il giudice sarà in grado di comporre il conflitto
tra «coscienza giuridica formale» e quella «materiale»; ma se i postulati
politico-giuridico-morali lo condurranno a considerare inaccettabile una
decisione fondata sul dato normativo, il giudice sarà sempre capace,
mediante un’argomentazione fittizia, di trovare la strada per fondare una
soluzione diversa e migliore
45
. Scrive Ross: “il giudice intenderà ed
interpreterà la legge quanto più possibile alla luce della propria coscienza
sostanziale, così da poter riconoscere la propria decisione non solo come
«corretta», ma anche come «giusta» o «socialmente desiderabile»”
46
.
In Italia, il dibattito analitico relativo all’analisi dei ragionamenti
giudiziari e delle possibili argomentazioni per giustificarli ha visto
l’affermarsi di sostenitori tanto dell’uno quanto dell’altro modello di analisi
delle sentenze giudiziarie
47
. Filo conduttore dell’intero dibattito è stata la
ricerca di una soddisfacente risposta ad un’allarmante domanda: «quis
custodiet ipsos custodes?»
48
.
44
Cfr. Ross, op. ult. cit., p.137.
45
Cfr. Ross, op. ult. cit., p.132.
46
Cfr. Ross, op. ult. cit., p.131. Sul punto, cfr. pure Comanducci, Il ragionamento
giudiziale: lineamenti di un modello, op. cit., p.68.
47
Cfr. Barberis Mauro, Il diritto come discorso e come comportamento. Trenta lezioni
di filosofia del diritto, Giappichelli, To, 1990, p.275.
48
Cfr. Guastini, Dalle fonti alle norme, op. cit., pp.203/204.
17
In un quadro politico-istituzionale, quale quello italiano degli anni
Settanta, in cui il Parlamento era sostanzialmente paralizzato da dissidi
interni e la funzione giurisdizionale sembrava inevitabilmente tenuta ad una
«supplenza giudiziaria»
49
, la preoccupazione principale dei teorici italiani
è stata quella di definire i confini politici dell’interpretazione giudiziaria
50
.
I moderni sistemi costituzionali, fondati sul principio della
separazione dei poteri, hanno, infatti, affidato l’intero sistema delle
garanzie costituzionali al potere giurisdizionale, nelle sue molteplici
articolazioni: il fatto che il potere giurisdizionale non sia stato concepito
come un potere normativo, ha consentito coerentemente di pensarlo come
fondamento di ogni garanzia nei confronti degli altri poteri dello Stato, non
ponendosi affatto un problema di garanzia del cittadino nei confronti del
potere giurisdizionale: si tratta, infatti, di un potere che, come lo aveva
definito Hamilton, «non ha forza, né volontà, ma soltanto giudizio»
51
.
Una volta che le teorie giusrealiste hanno dimostrato la natura
parzialmente, se non addirittura totalmente, creativa dell’attività
giurisdizionale, è stato inevitabile che anche il modello normativistico
ripensasse se stesso.
49
Cfr. Bartole, Il potere giudiziario, op. cit., p.465.
50
Cfr. Barberis, op. cit., pp.275/276.
51
Cfr. Bartole, Il potere giudiziario, op. cit., p.432.
18
Così, da un lato, Scarpelli e Jori, polarizzandosi intorno
all’insegnamento di Herbert Hart, hanno cercato di rifondare
l’orientamento giuspositivistico, sostenendone una maggiore apertura
metodologica e concettuale
52
, che fosse in grado di conciliare la natura
politica e valutativa dell’interpretazione giudiziaria con i fondamenti
giuridici dello Stato di diritto e della certezza del diritto
53
.
Dall’altro lato, Tarello e Guastini, polarizzandosi intorno all’insegnamento di Alf
Ross, hanno cercato di dare conto della natura strutturalmente incerta
dell’interpretazione giudiziaria, che non scoprirebbe mai il significato della norma, ma
lo inventerebbe e lo produrrebbe ogni volta
54
, senza, però, perdere di vista il fatto che,
se la decisione giudiziaria è fondata su una scelta ideologica, essa deve rispondere di
questa scelta dinanzi al Tribunale informale che si è costituito in seguito alla domanda
«per quali ragioni?»
55
.
52
Cfr. Scarpelli Uberto, Il metodo giuridico, in Problemi di teoria del diritto, a cura di
R. Guastini, Il Mulino, Bo, 1980, pp.270/271. Cfr. Jori Mario, Il metodo giuridico tra
scienza e politica, Giuffrè, Mi, 1976, p.308 e pure pp.362/363.
53
Cfr. Barberis, Il diritto come discorso e come comportamento, op. cit., p.276.
54
Cfr. Tarello Giovanni, Diritto, enunciati, usi. Studi di teoria e metateoria del diritto, Il
Mulino, Bo, 1974,, p.168. Cfr. Guastini, Dalle fonti alle norme, op. cit., p.106.
55
Cfr. Tarello, Diritto, enunciati, usi. Studi di teoria e metateoria del diritto, op. cit.,
p.422.