12
Oltre ai motivi a cui si è fatto cenno precedentemente, il
desiderio di autonomia traeva forza da un crescita costante che la
frazione conosceva ormai da diversi anni in termini di
popolazione e di attività economiche.
13
i.1 – Dal XVI secolo all’immediato primo dopoguerra
Il porto di Sant’Elpidio a Mare aveva ricoperto un ruolo di una
certa importanza tra gli scali marittimi adriatici verso la fine del
XVI secolo (come potrebbe testimoniare la torre, edificata in quel
periodo a difesa delle incursioni di Turchi, pirati e predoni
2)
), ma
gli anni successivi, contestualmente alla perdita di importanza dei
traffici adriatici e mediterranei, vedono una decadenza che,
seppur con qualche cenno di ripresa verso la fine del ‘700, riduce
il Porto ad un borgo di pescatori e mezzadri dipendenti da
signorotti del capoluogo o dei comuni circostanti: l’allora parroco,
scrivendo una lettera al Papa Pio IX in occasione della sua visita il
16 maggio del 1857, affermava che «eravi la dogana che portava utile
al Paese per l’imbarco e da anni fu soppressa, Paranze di Pescagione non
ve ne sono ed ecco la ragione della totale miseria perché privi di
industria…»
3)
.
Con l’unità d’Italia però inizia la fase di crescita che durerà
ininterrotta, nonostante alcune oscillazioni, per oltre un secolo. Il
Porto si era sviluppato fino ad allora lungo l’asse viario della via
2)
G. TROLI, Il Porto di Sant’Elpidio tra piccolo cabotaggio e pesca in S. Anselmi, Governo,
economia,cultura quotidiana a S. Elpidio a Mare tra basso medioevo e novecento,
Ripatransone, 1983 ci informa che in un breve del 1560 il Papa Pio IV scrive ai cittadini di
Sant’Elpidio per dare il suo assenso all’edificazione della torre sul litorale, probabilmente a
causa dell’ intensificarsi delle incursioni. Probabilmente la torre era stata già iniziata nel
1355 ma la sua costruzione era stata bloccata per l’ostilità di Fermo.
3)
Ibidem
14
Aprutina (o Lauretana), la strada che collegava il regno di Napoli
con Loreto ed Ancona, in particolare nella sua intersezione con la
via Elpidiense (diretta verso il capoluogo); il 13 maggio 1863, però,
un fatto contribuisce a fare della frazione un importante snodo per
le locali comunicazioni terrestri: viene infatti inaugurata una
stazione delle Ferrovie dello Stato sulla tratta Ancona – Pescara,
che da subito ravviva il borgo per l’arrivo degli impiegati e degli
addetti con le loro famiglie al seguito e che, soprattutto, dà nuova
linfa alle comunicazioni, al commercio e agli scambi stimolando le
attività umane, che si concretizzano lungo tre importanti direttrici.
Innanzitutto il Porto era scelto da sempre più famiglie come
luogo di villeggiatura: si trattava di notabili dell’entroterra, ma
anche persone provenienti da città come Roma e Bologna, a cui
piaceva poter usufruire della spiaggia in un ambiente ancora
naturale, quasi selvaggio, diversamente da quanto avveniva in
località più urbanizzate come Viareggio, tanto da edificarvi ville e
villini che ancora oggi si possono ammirare; questo accadeva
nonostante l’amministrazione comunale sembrasse ignorare il
fenomeno
4)
.
4)
FILIPPO PIO MASSI, con lo pseudonimo di YASON, nelle sue corrispondenze da
Sant’Elpidio a Mare per “L’Ordine” (il futuro”Corriere Adriatico”) descriveva la bellezza e
la salubrità del luogo, lodando in particolar modo l’intraprendenza e la cordialità degli
abitanti che, con le loro iniziative, sopperivano alle mancanze degli amministratori del
capoluogo: questi lasciavano la frazione nell’incuria più totale, senza dotarla tra l’altro delle
infrastrutture minime necessarie per ricevere i villeggianti.
15
In seguito, nel 1890 viene importata dal capoluogo la prima di
una lunga serie di manifatture di calzature economiche, di qualità
medio bassa, fabbricate con tela e gomma ricavata da pneumatici
usati, realizzate in piccoli opifici a gestione familiare avvalendosi
largamente del lavoro a domicilio, calzature che attraverso la
stazione FS vengono smistate dagli ambulanti in varie zone
d’Italia. Gli inizi di quest’attività furono comunque incerti e già
nel 1910 ci fu una crisi significativa che verrà però brillantemente
superata con la diversificazione della produzione inducendo molti
a specializzarsi nelle calzature da donna, settore che in breve
otterrà il primato assoluto nell’industria del Porto, tanto da
attirare manodopera dalle località circostanti.
Nel 1909, infine, la frazione Porto di Sant’Elpidio a Mare viene
scelta come sede della Fabbrica Interconsorziale Marchigiana di
prodotti chimici (FIM) voluta dai consorzi agrari di Ancona,
Urbino, Macerata e Fermo per rifornire il mercato locale di
concimi (perfosfato) a un prezzo competitivo; la scelta cadde
proprio su questa località per la concomitanza di diversi motivi
quali la posizione meridionale che riduceva la concorrenza di altre
fabbriche del nord e dei concimi esteri provenienti dal porto di
Ancona, la concessione gratuita da parte del comune dell’area
edificabile, dell’acqua necessaria per la produzione e di un
contributo annuo di £ 1000 per 12 anni, la vicinanza di tale area
alle rotaie (che in seguito verranno deviate anche all’interno della
16
fabbrica stessa) in un punto di snodo del traffico ferroviario
marchigiano. La FIM, entrata in funzione nel 1911, impiegava dai
100 ai 150 operai tra fissi e stagionali producendo fino a 300.000
quintali di perfosfato. L’impatto di una fabbrica di queste
dimensioni in un area poco industrializzata fu notevole poiché si
crearono nuove opportunità di lavoro per i residenti, si attrasse
nuova manodopera dal circondario, arrivarono tecnici formatisi
all’ Istituto Tecnico Industriale di Fermo e sorse un nuovo
quartiere abitato nei pressi dello stabilimento. Non da ultimo va
considerato il fatto che una tale struttura contribuì a
”sprovincializzare” il borgo portando con sé una ventata di
modernità: finalmente l’amministrazione dimostrava vivo
interesse per la sua frazione potenziando i trasporti e l’assistenza
sanitaria, veniva attivato dalla cassa di risparmio di Sant’Elpidio a
Mare il primo sportello bancario, si svilupparono ulteriormente le
prime forme di associazionismo laico come la "Società di pubblica
assistenza Croce Verde” e la “Società operaia di mutuo soccorso”.
Accanto a questi fattori di crescita bisogna registrare che
agricoltura e pesca ancora ricoprivano una certa importanza ma
erano già entrate in una fase declinante poiché sempre più
persone sceglievano di lavorare nelle nuove industrie che si
presentavano sicuramente più remunerative; molto spesso esse
rimanevano come attività collaterali per integrare il reddito della
famiglia, praticate da donne e anziani o nei momenti lasciati liberi
17
dalla prima occupazione
5)
. Importante è sottolineare soprattutto il
legame ancora molto forte (e tale rimarrà a lungo) con l’attività
calzaturiera che ha costruito le sue fortune anche avvalendosi
delle abilità artigianali dei contadini, della loro abitudine ad orari
“straordinari”, ai bassi salari, al lavoro minorile e, molto più
concretamente, dei capitali accumulati nel lavoro agricolo uniti ad
una mentalità imprenditoriale comunque presente nello
condizione di mezzadro.
Nonostante la frequenti alluvioni
6)
che danneggiarono l’abitato
(la più grave di quel periodo fu quella dell’ottobre 1897),
l’emigrazione verso le Americhe, la grande guerra (il 5 novembre
1916 la flotta austriaca bombardò la FIM, costruita proprio con
l’apporto di tecnici asburgici, ritenendo che vi si potessero
fabbricare armi chimiche) e l’epidemia di “spagnola” del
settembre 1918, la frazione Porto nel lungo periodo prosegue il
suo sviluppo: nel 1921 gli abitanti sono saliti a 3.205 unità ( a metà
dell’Ottocento se ne contavano solo 627), sono attive 11 calzolerie
5)
Nel 1920 il parroco del Porto si lamentava col vescovo dell’ abuso di lavorare nei giorni di
festa.
6)
Il territorio di Porto Sant’elpidio è solcato da ovest ad est da ben cinque fossi (Fonte di
Mare, Castellano, Fonteserpe, dell’Albero, del Palo) che in seguito a piogge abbondanti, a
causa dell’incuria in cui venivano lasciati, straripavano periodicamente con ingenti danni alla
popolazione. L’ultimo avvenimento di tal genere è stato nel settembre 1959; dopo questa
data evidentemente sono state prese delle contromisure come la ripulitura, la copertura e la
canalizzazione che hanno posto termine al problema.
18
con 600 operai, 2 imprese edili, un mulino, una fabbrica di stracci
e la fabbrica di concimi; in più due anni dopo anche la Banca
cattolica agricola operaia di Macerata deciderà di aprire qui una
sua agenzia a testimonianza della notevole quantità di denaro che
doveva circolarvi.
Quindi, con questi presupposti e sull’onda della concessione
dell’autonomia a località di minore rilievo quali Moresco e
Smerillo, il Comitato nel 1922 avanzava la sua richiesta alle
autorità competenti: mentre la Provincia e il Ministero competente
sembravano favorevoli ad accettare la domanda, questa veniva
decisamente avversata dalle autorità comunali che ritenevano
eccessive le pretese territoriali e temevano che, in questa maniera,
il capoluogo sarebbe stato danneggiato, privato delle industrie e
delle vie di comunicazione del Porto. Venne nominata una
commissione che esaminò la proposta del Comitato e che nel
consiglio comunale del 16 novembre 1924, pur non dichiarandosi
contraria per principio, relazionò che bisognava rifiutare la
richiesta di autonomia per non chiedere un sacrificio eccessivo al
capoluogo. La situazione non migliorò certo per gli autonomisti
con l’avvento del fascismo che aveva varato una politica
accentratrice, più propensa ad accorpare che a dividere le varie
realtà locali per poterle controllare più agevolmente; per di più un
membro della suddetta commissione, Luigi Martinelli, diventerà
presto segretario politico del Fascio, quindi podestà del Comune.
19
i.2 – Il periodo fascista
Negli anni del “ventennio” il desiderio di indipendenza cova
sotto la cenere del regime e gli unici tentativi di smuovere le acque
sono affidati ad azioni isolate, semi-clandestine, sfruttando le
conoscenze di Nicola Pennesi
7)
con personaggi influenti ma,
questo a parte, la situazione rimane immutata fino al 1946.
Altrettanto non può dirsi per quanto riguarda la vita economica e
sociale della frazione la cui popolazione continua a crescere: nel
1931 i residenti sono 3837, cinque anni dopo 4105. Lo sviluppo
prosegue lungo le tre direttrici prima indicate e in un rapporto del
commissario Pascale al Prefetto si fa presente che al Porto, nel
gennaio 1941, sono presenti circa 6.500 abitanti, 3 grandi fabbriche
di calzature e di pantofole con 300 operai, 20 medie con 600
operai, 100 piccole con 700 operai, lo stabilimento di concimi con
100 dipendenti e un altro per la cernita degli stracci con 200
8)
.
Quindi nelle industrie della frazione erano impiegati circa 1900
persone; in una relazione dello stesso commissario di qualche
mese dopo, a proposito però di tutto il comune, si parla di 2150
addetti: questo dato ci fornisce un’ idea piuttosto chiara di come il
Porto fosse diventato il polo industriale e, quindi,
7)
Alcune vicende a questo proposito sono raccontate, con una coloritura al limite del
romanzesco, in ALFREDO ZALLOCCO, Nicola Pennesi e il suo Porto Sant’Elpidio,
Edizioni La Rapida, Fermo, 1976
8)
Qualche numero, in particolar modo quello degli abitanti, potrebbe essere sovrastimato
dato che il rapporto voleva sollecitare il potenziamento della locale caserma dei carabinieri
20
economicamente trainante di tutto il territorio comunale e ci
permette di capire perché nel capoluogo ci fosse stata, e ci sarà
dopo la guerra, tanta opposizione alla concessione
dell’autonomia. Inoltre nel 1932 il territorio di Porto Sant’Elpidio
viene riconosciuto come “stazione di cura e di soggiorno” e questo
incrementò le presenze di turisti.
Nello stesso periodo il capoluogo sembra più attento alle
esigenze del sua frazione, cosa questa che sembra inevitabile data
la sua accresciuta importanza: dal 1926 al 1936 sono realizzati
nuovi acquedotti, il campo sportivo, il cine-teatro in muratura, un
lavatoio, la pescheria, una casa per il pronto soccorso, viene
adattata villa“Bernetti” a edificio scolastico, si istituisce una scuola
di musica ed è aperto un distributore AGIP di benzina. Tutto
questo però non sembrò sufficiente agli abitanti del Porto dato
che, dal 1936 al 1940, ingaggiarono una lotta per certi versi
sotterranea, fatta per lo più di lettere anonime alle autorità
competenti, per denunciare l’amministrazione del podestà
Martinelli fino ad ottenere che non fosse riconfermato in seguito
ad un ispezione ministeriale; alla polemica sulla concreta gestione
delle risorse naturalmente si intrecciavano volontà separatiste ma
queste ultime, come detto prima, restarono disattese. Il
malcontento per di più poteva anche essere alimentato dal regime
autarchico voluto dal fascismo che rendeva problematico
l’approvvigionamento di pellami esteri e le esportazioni,
21
causando così una crisi di produzione all’industria locale delle
calzature.
Al di là di questa opposizione al podestà non si espresse
comunque un vero e proprio dissenso al regime fascista se non
limitatamente a singoli casi e isolate personalità; gli episodi più
eclatanti nel periodo immediatamente pre-fascista ebbero come
protagonisti i cattolici: nel 1921 ci fu lo scontro tra le squadre
guidate dal già citato Martinelli e i braccianti della lega bianca di
don Raffaele Moscoloni, costretto a riparare in Vaticano; nello
stesso periodo si registrarono poi alcuni incidenti con i giovani
dell’Azione Cattolica aggrediti all’uscita delle loro adunanze. Per
il resto durante “ventennio” la situazione si normalizza e si
registrano solo poche ammonizioni e confini.
22
i.3 – La seconda guerra mondiale, l’occupazione tedesca, la
liberazione e i difficili anni del dopoguerra
L’inizio della guerra nel giugno del 1940 si abbatte tutto
sommato su un periodo sostanzialmente buono che si mantiene
tale, nonostante la prime partenze per il fronte, fino a quando gli
eventi bellici si svolgeranno lontano dall’Italia: può esserne una
spia il fatto che nell’estate 1941 l’afflusso di villeggianti si fosse
mantenuto sui livelli degli anni precedenti e ancora si registrasse
il tutto esaurito; questo avveniva malgrado il Porto venisse
ritenuto una zona a rischio, probabilmente memori del
bombardamento navale del 1916, e nello stesso anno un intero
quartiere fosse sfrattato per la “sicurezza militare”.
La condizione generale si aggrava ben presto tanto che nel 1942,
per far fronte alle esigenze alimentari, devono essere messi a
coltura dei terreni vicini al mare per la produzione di ortaggi;
anche la calzatura risente pesantemente degli inevitabili effetti del
conflitto aggravati dall’economia di guerra decretata dal regime,
che impone una produzione ridotta all’80% basata solo su modelli
standard uguali per tutti e di cattiva qualità; ciò crea vivo
malcontento tra gli operatori che in molti casi, però, non
sottostanno a queste norme. Questo va a sommarsi
all’impossibilita di rifornirsi di pelle dai paesi alleati o neutrali,
peggiorando la situazione creatasi con l’autarchia, e alla scarsità di
manodopera a causa della partenza di molti uomini per il fronte,
23
sostituiti nella migliore delle ipotesi da donne, ragazzi e anziani
sicuramente meno qualificati. La logica conseguenza è un crollo
della produzione che durerà fino a dopo la Liberazione.
La situazione degenera dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943
dato che il Porto, come tutta l’Italia del nord, è presa tra due
fuochi: in ottobre si fanno intensi i bombardamenti alleati e a
novembre arriva l’occupazione militare tedesca. Nel 1943 ci sono
oltre 100 incursioni: il 22 ottobre è colpita la casa della famiglia
Papiri con una bomba a scoppio ritardato che uccide anche alcuni
soccorritori, accorsi a liberare gli abitanti della casa intrappolati
nelle macerie; il 27 novembre sotto le bombe degli aerei anglo-
americani muoiono due fratelli e tutta un’intera famiglia; il 10
gennaio successivo ci sono altri due morti in seguito all’attacco di
una nave inglese direttamente sull’abitato; inoltre vengono presi
di mira stazioni, strutture pubbliche e ponti, in particolare quello
stradale e ferroviario sul fiume Chienti che aveva grande
importanza strategica. Fino al luglio erano arrivati sfollati dalle
grandi città e dal sud, adesso anche buona parte della popolazione
del Porto si spostava verso il capoluogo o genericamente
nell’interno.
Comunque a preoccupare non erano solo i bombardamenti,
anzi, molto più temuti erano i rastrellamenti compiuti dai tedeschi
e dagli agenti della neo-costituita Repubblica Sociale Italiana nei
confronti dei giovani renitenti alla leva, dei soldati italiani datisi
24
alla macchia o di quelli alleati sbandati e dei civili che avevano
dato protezione a questi ultimi e ai partigiani, da poco riuniti nel
Gruppo di Azione Patriottica di Sant’Elpidio a Mare. Queste
operazioni, almeno per quanto riguarda i repubblichini, erano
coordinate dal commissario prefettizio Evangelisti che poteva
spadroneggiare avendo ricevuto pieni poteri dal capo della
provincia; la sua azione era quindi contrastata solo dal GAP che
favoriva la fuga e l’imbarco dei prigionieri dei campi di
concentramento situati nell’interno; per quel che riguarda la
popolazione, anche se si registra l’episodio di un cantoniere che
catturò un inglese proveniente dalla prigionia a Servigliano, molte
sono le storie che raccontano di famiglie che si esposero al
pericolo di ritorsioni da parte di repubblichini e tedeschi per
nascondere, curare e sfamare gli inglesi che vagavano nella zona
in attesa dell’imbarco, che li avrebbe ricongiunti con il loro
esercito, presso le foci dei fiumi Chienti e Tenna.
Nel frattempo l’effimera RSI sembra volere dare un’impronta
propria, dimostrare l’inizio di un era nuova, concentrandosi su
aspetti formali così che al Porto vengono cambiati tutti i nomi
delle vie: con particolare attenzione vengono cancellati quelli dei
Savoia considerati traditori del fascismo.
Tale situazione dura fino al 23 giugno 1944, giorno in cui il II
corpo d’armata polacco aggregato all’VIII armata britannica agli
ordini del generale William Anders sorprende i tedeschi che
25
stanno per far saltare il ponte sul fiume Tenna e li ricaccia sulla
linea del Chienti: questa posizione sarà tenuta fino al 30 quando
verrà liberata anche Civitanova. Anche l’esercito polacco stanziò
al Porto, organizzando un accampamento e un piccolo scalo aereo,
ma questo non fu vissuto come una nuova occupazione: la
popolazione accolse i soldati come liberatori, allestì un palco nei
pressi della piazza per salutarli con tutti gli onori e fraternizzò con
loro al punto tale che qualcuno vi restò anche dopo la guerra
sposando ragazze del posto.
Ma l’entusiasmo di quei giorni si dissolse non appena si dovette
fare i conti con gli strascichi che la guerra si portava dietro e che al
Porto, come molte zone costiere, si facevano sentire piuttosto
pesantemente. Erano stati distrutti il 10% degli edifici pubblici e il
20% danneggiati, quasi una struttura privata su tre aveva subito
lesioni
9)
e per riparare la scuola erano necessarie 4.000.000 £; la
ricostruzione poi non fu molto rapida se ancora nel 1949 le
maestre si lamentavano sui giornali della precaria condizione
delle aule, se solo nel 1950 veniva approvato il progetto della
nuova pescheria che avrebbe dovuto prendere il posto di quella
distrutta sotto i bombardamenti e ancora 10 anni dopo la
9)
Questi dati sono desunti da una relazione del sindaco Mario Ricci al prefetto in data
18/02/1954, ma che faceva riferimento alla situazione di Porto Sant’Elpidio alla fine della
guerra, per sollecitare l’intervento statale nella ricostruzione, in particolar modo degli edifici
pubblici.
26
liberazione il sindaco inviava al prefetto una relazione sui danni
prodotti dalla guerra.
Durante il conflitto, inoltre, la frazione aveva perso circa 80
cittadini di cui 57 militari duranti le operazioni belliche (5 nella
campagna di Russia) e i rimanenti civili, caduti sotto i
bombardamenti: quasi tutti erano individui giovani e attivi che
privarono le rispettive famiglie di forza lavoro fresca, spesso
unendo il disagio economico al dolore per la perdita di una
persona cara.
La situazione alimentare infine era precaria: i generi di prima
necessità scarseggiavano, era stata istituita la “carta annonaria
individuale” per la distribuzione razionata degli alimenti, i cui
prezzi erano diventati altissimi, proibitivi per le famiglie che a
causa dell’impoverimento dovuto alla guerra avevano ridotto di
molto il loro potere d’acquisto; il mercato nero era molto meno
presente che in altri luoghi e si limitava solo ad alcuni casi di
vendita di carne bovina, macellata clandestinamente.
La miscela di questi tre fattori provocava malumori e tensione
che sfociarono in forme di viva protesta sotto le quali strisciavano
sempre l’ostilità verso il capoluogo e le volontà autonomistiche;
ogni azione intrapresa dalla nuova amministrazione comunale
guidata dal sindaco Filippo Fratalocchi non era sufficiente a
sedare gli animi, anzi gli abitanti del Porto credevano di essere
continuamente trascurati nei confronti degli altri nonostante
27
ritenessero di aver maggiori necessità. La protesta spontanea era
alimenta e organizzata da personaggi locali, spesso esponenti del
PCI come Ettore Basili, che proposero diverse forme di
rivendicazione: dall’astensione del pagamento delle tasse
all’occultamento delle armi che avrebbero dovuto essere
riconsegnate dopo la liberazione.
Una relazione alla prefettura del capitano dei carabinieri Cosimo
Zinza del 23 luglio 1944 legge questi fatti non solo come episodi
dettati dalle misere condizioni di vita, ma soprattutto vi vede la
regia di elementi comunisti che approfittavano della situazione
per «sobillare» il popolo o l’occasione per dare sfogo a vendette e
risentimenti personali risalenti al periodo fascista; il capitano
lamenta il fatto che ci sia scarsa collaborazione per le opere di
pubblica utilità perché ognuno provvede solo ai propri bisogni e
si mostra preoccupato che la situazione possa ancora deteriorarsi.
Infatti le tensioni accumulate salirono fino al limite con l’arrivo
del freddo, che aggravava la condizione delle molte famiglie in
difficoltà a riscaldarsi e bastò un episodio, come una distribuzione
non equa di legna da ardere tra il capoluogo e la frazione, per far
esplodere la rabbia degli abitanti di quest’ultima che, il giorno 11
gennaio 1945, assaltarono i locali del comune per impossessarsi
delle fascine e delle riserva di grano per poterle distribuire in una
maniera ritenuta più giusta.