9
Data la sua indiscutibile rilevanza, il significato della regola in questione è
stato oggetto di studio da parte di numerosi ed illustri Autori della Dottrina
Italiana, ed ha assunto caratteri talvolta completamente diversi, in relazione alle
differenti convinzioni di chi lo ha indagato.
Ciò nonostante, il principio di imputazione dei costi al conto economico del
bilancio d’esercizio viene unanimemente e pacificamente ritenuto condizione
decisiva e necessaria per conseguire la deduzione fiscale di un elemento negativo
di reddito.
Dal punto di vista tecnico, tuttavia, da più parti si è messa in evidenza la
preoccupazione per un rischio che l’osservanza di tale regola generale poteva
talvolta originare - e che per la verità, fino a poco tempo fa, si è inevitabilmente
manifestato - e cioè l’inquinamento fiscale del bilancio d’esercizio.
Il fenomeno si pone come immediata conseguenza della convivenza,
all’interno del bilancio, di elementi di natura ed origine civilistiche con dati di
rilevanza esclusivamente tributaria.
Il pregiudizio che le interferenze fiscali in tal modo originate si riteneva
potessero arrecare alla “purezza” civilistica del bilancio convinse il Legislatore a
provvedere con rimedi efficaci.
Dopo ripetuti tentativi, ognuno dei quali degno di distinto esame, la
soluzione al problema dell’inquinamento fiscale del bilancio d’esercizio è stata
individuata in maniera definitiva solo in tempi recenti, in particolare attraverso la
soppressione, ad opera della Riforma del diritto societario, del comma secondo
dell’articolo 2426 del Codice civile (in cui veniva previsto che “è consentito
effettuare rettifiche di valore e accantonamenti esclusivamente in applicazione di
10
norme tributarie”) e soprattutto, come necessario completamento, mediante la
previsione, introdotta dalla Riforma del sistema fiscale statale, di un apposito
prospetto riconciliativo, che deve essere allegato alla dichiarazione dei redditi.
Tale prospetto, lungi dal costituire parte del bilancio d’esercizio civilistico,
è destinato a raccogliere tutti gli elementi relativi ai costi dell’impresa che hanno
esclusiva rilevanza tributaria - e, come tali, del tutto privi di giustificazioni
puramente economiche - che il contribuente può legittimamente portare in
deduzione dal proprio reddito imponibile.
Va precisato che l’oggetto del documento non consiste in tutte le voci di
costo aventi mera natura fiscale.
Infatti, il nuovo articolo 109 del TUIR - che rappresenta una delle principali
innovazioni introdotte dalla recente Riforma fiscale - descrivendo il contenuto del
prospetto in argomento, lo circoscrive inequivocabilmente agli “ammortamenti
dei beni materiali ed immateriali, altre rettifiche di valore ed accantonamenti”.
Date tali premesse, è sembrato opportuno tentare di esaminare nel dettaglio
le principali ipotesi dei citati componenti negativi di reddito – rilevanti solo dal
punto di vista tributario – che possono essere dedotte dall’impresa-contribuente
indipendentemente dall’osservanza del principio di imputazione dei costi al conto
economico: ciò, anche al fine di comprendere come possa funzionare il nuovo
meccanismo introdotto dal Legislatore fiscale.
In aggiunta a ciò, nell’intento di fornire un quadro quanto più possibile
completo delle principali novità normative che possono interessare l’ordinamento
tributario italiano, è parso utile accennare brevemente ad un avvenimento che,
delineatosi in maniera definitiva negli ultimi tempi, sancirà dal 1° gennaio 2005
11
conseguenze decisive per quanto concerne le regole ed i principi di redazione dei
bilanci di molte imprese dell’Unione Europea: l’avvento dei nuovi Principi
Contabili Internazionali.
In generale, il significato degli IAS si caratterizza con una forte
connotazione innovativa.
Infatti i nuovi Principi Contabili, promuovono, in particolare, una
concezione del bilancio d’esercizio per certi versi rivoluzionaria rispetto a quella
tradizionale: essi, cioè, privilegiano l’interesse degli investitori che possono
venire a contatto con tale documento, proponendone una interpretazione in chiave
evolutiva, e concependolo essenzialmente quale indicazione delle performances
aziendali future.
Peraltro, i nuovi Principi Contabili Internazionali avranno inevitabili
ripercussioni anche sul piano strettamente tributario: per tali motivi, essi
rappresentano a pieno titolo un fenomeno rilevante e degno di menzione.
In definitiva, sviluppandosi il presente lavoro nel momento probabilmente
più delicato per la verifica degli effetti della recente Riforma fiscale, e durante la
fase di preparazione all’assimilazione dei nuovi IAS, esso ha tentato di illustrare
gli aspetti, del tutto nuovi, appena citati, che possono, proprio per la loro
originalità e portata innovativa, attrarre l’interesse del Lettore.
12
PARTE PRIMA
IL PRINCIPIO DI IMPUTAZIONE DEI COSTI
AL CONTO ECONOMICO
AI FINI DELLA RELATIVA DEDUZIONE FISCALE:
ASPETTI GENERALI
13
CAPITOLO 1
IL SIGNIFICATO DEL PRINCIPIO DI IMPUTAZIONE DEI COSTI
AL CONTO ECONOMICO:
L’ARTICOLO 109, COMMA QUARTO, DEL TUIR
1.1. IL COLLEGAMENTO DEL REDDITO FISCALE AL BILANCIO
D’ESERCIZIO: L’ARTICOLO 83 DEL TUIR
Prima di esaminare da vicino il principio dell’imputazione dei costi al conto
economico del bilancio d’esercizio e delle deroghe a tale fondamentale regola, è
opportuno porre l’attenzione sul contenuto dell’articolo 83
1
del TUIR.
Infatti, il significato di tale disposizione può rivelarsi utile per comprendere
le intenzioni del Legislatore fiscale al momento della redazione delle norme sul
reddito d’impresa.
L’articolo 83 del TUIR è una disposizione essenziale per la determinazione
del reddito d’impresa.
Con essa, infatti, il Legislatore ha stabilito che il complessivo reddito
d’impresa debba essere determinato apportando al risultato netto del conto
economico del bilancio, relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’imposta, le
1
Va rilevato che la recente Riforma del sistema fiscale statale non ha apportato modifiche
sostanziali al previgente comma primo dell’articolo 52 del TUIR. Il fatto che la regola secondo cui
il reddito d’impresa deve essere determinato apportando all’utile (o alla perdita) risultante dal
conto economico variazioni in aumento o in diminuzione sia stata costantemente reputata
necessaria dal legislatore dimostra la sua piena rilevanza.
14
variazioni in aumento o in diminuzione derivanti dall’applicazione dei criteri
stabiliti nelle disposizioni del TUIR.
Tale principio sancisce senza dubbio una “necessaria liaison fra il risultato
di esercizio (derivante dal conto economico redatto a fini civilistici) e la
determinazione del reddito d’impresa”.
2
Nella pratica, può accadere che, nel bilancio civilistico, alcune componenti
di reddito siano valutate secondo criteri differenti rispetto a quelli fiscali: e, in tal
caso, dovranno essere operate, nella dichiarazione dei redditi, corrispondenti
variazioni rispetto al risultato civilistico.
Si tratta, evidentemente, di adeguamenti imposti dalla legge, che
l’imprenditore-contribuente deve operare al momento della stesura della
dichiarazione dei redditi.
Essi consistono, in particolare, in elaborazioni tecniche dei dati economici
che sono stati accertati nel conto economico del bilancio civilistico.
Le variazioni in parola possono o accrescere il reddito fiscale rispetto al
risultato civilistico (in tal caso le variazioni risultano “in aumento”) ovvero
diminuirlo (in questo caso si tratta di variazioni “in diminuzione”).
La dichiarazione dei redditi non espone, di conseguenza, le singole
componenti reddituali positive e negative, ma solamente le variazioni relative agli
elementi reddituali che sono oggetto – in sede fiscale – di un trattamento diverso
rispetto a quello previsto ai fini civilistici.
2
C. PINO, Gestione o eliminazione delle interferenze fiscali sul bilancio?, in Corr. trib.,
2002, p. 3985.
15
Queste variazioni, “in aumento” o “in diminuzione”, come autorizzate
dall’articolo 83 del TUIR, devono essere naturalmente intese in senso strettamente
algebrico.
Ne consegue, più in particolare, che risulta “in aumento” anche una
“variazione” che riduce, ai fini fiscali, la perdita risultante dal bilancio civilistico:
“in altri termini, le “variazioni in aumento” tendono ad incrementare (con un
maggior reddito o una perdita minore) il risultato fiscale rispetto a quello civile,
mentre le “variazioni in diminuzione” tendono a decrementare (con un minor
reddito o una maggiore perdita) il reddito fiscale rispetto a quello civile”.
3
In via generale, tra le “variazioni in aumento” sono assai frequenti quelle
dovute all’indeducibilità fiscale prevista per taluni costi esposti nel conto
economico del bilancio d’esercizio.
Sempre in linea generale, le “variazioni in diminuzione” sono consentite nel
caso in cui taluni elementi positivi di reddito evidenziati nel conto economico del
bilancio risultino intassabili o siano tassabili in modalità differita, sia per una
facoltà riconosciuta espressamente al contribuente, sia per eventuali contrasti che
possono sorgere tra i criteri fiscali e quelli civilistici di competenza.
Dal tenore dell’articolo 83 del TUIR si evince chiaramente come
l’ordinamento tributario italiano non conosca alcun autonomo “bilancio fiscale”,
concepito come un documento diverso ed indipendente rispetto al “bilancio
civilistico”.
Non esiste, quindi, un documento che riepiloghi ed evidenzi esclusivamente
le componenti reddituali e patrimoniali che rilevano ai fini fiscali.
3
R. LUPI, Diritto Tributario. Parte speciale, Giuffrè - Milano, 2000, p. 101.
16
Il Legislatore tributario, dunque, esprime la precisa ed inequivocabile
volontà acchè la determinazione del reddito d’impresa sia collegata in modo
indissolubile ad un dato extra-fiscale (che, cioè, esiste autonomamente): il
risultato del conto economico del bilancio civilistico d’esercizio.
Naturalmente, il bilancio d’esercizio deve essere compilato secondo i
principi del Codice civile.
E’ solo al momento della redazione della dichiarazione dei redditi che il
contribuente può provvedere alla rettifica degli utili (o delle perdite) al fine di
individuare il reddito imponibile.
La fase della rettifica è, dunque, del tutto autonoma rispetto a quella della
redazione del bilancio d’esercizio.
Da quanto considerato, quindi, emerge come l’articolo 83 del TUIR
promuova una sorta di “dipendenza” del reddito d’impresa fiscalmente rilevante
dalle risultanze del bilancio civilistico.
Tale “dipendenza” assume, peraltro, natura “parziale”, o “relativa”, nel
senso che l’utile (o la perdita) risultante dal bilancio d’esercizio rappresenta non
più che un mero punto di partenza per la determinazione del reddito imponibile.
La dipendenza “parziale” del reddito d’impresa dalle risultanze del conto
economico del bilancio deriva primariamente dal fatto che il risultato economico
indicato in tale documento rappresenta, per l’ordinamento giuridico, il dato che
più fedelmente dovrebbe rispecchiare l’incremento di ricchezza determinato
dall’attività d’impresa.
Dunque, il rapporto di dipendenza in tal modo instaurato risponderebbe alla
volontà del Legislatore di rispettare il principio di capacità contributiva, ma anche
17
altri decisivi principi, come quelli di efficienza, rafforzamento e razionalizzazione
dell’apparato produttivo.
Peraltro, si può in questa sede accennare al fatto che, in buona sostanza, “
… nel nostro Paese … la relazione di sana dipendenza tra il risultato d’esercizio e
il reddito imponibile è stata quasi sempre disattesa e ha viceversa quasi sempre
prevalso … la relazione di dipendenza rovesciata del bilancio civilistico dalle
norme di diritto tributario … ”.
4
La struttura ed il significato dell’articolo 83 del TUIR inducono a chiedersi
come mai il Legislatore tributario sia giunto ad una tale impostazione: come mai,
cioè, Esso non abbia fatto coincidere il reddito fiscale d’impresa con il risultato
del conto dei profitti e delle perdite del bilancio civilistico.
Per rispondere a tale quesito, certamente decisivo per comprendere la ratio
della disposizione in questione, va innanzitutto considerato che l’attribuzione di
un risultato economico di gestione ad un periodo determinato dipende, in
generale, dalle finalità conoscitive che presiedono alla sua individuazione.
In questa prospettiva, la ragione - tipicamente fiscale - che può aver indotto
il Legislatore tributario ad allentare il legame tra il risultato civilistico del bilancio
ed il reddito d’impresa (cioè, a far dipendere quest’ultimo dal primo) pare
individuabile nell’esigenza di prevenire comportamenti elusivi o evasivi da parte
del contribuente.
A questa considerazione, peraltro, va aggiunto che l’esigenza fondamentale
del sistema di determinazione del risultato fiscalmente rilevante pare essere quella
della certezza del risultato a cui si perviene.
4
R. MARCELLO, La disciplina del bilancio alla luce delle novità introdotte dall’articolo
6 della riforma “Mirone”, in Il Fisco, 2002, p. 4001.
18
Tale esigenza è avvertita specialmente in relazione a quelle voci del conto
economico (come gli ammortamenti, gli accantonamenti o le variazioni delle
rimanenze) che sono il frutto di giudizi dotati di margini più o meno ampi di
discrezionalità e di opinabilità.
La certezza circa il computo del valore su cui applicare il prelievo è,
dunque, un principio inderogabile ed essenziale.
In tale prospettiva, l’articolo 83 del TUIR, essendo relativo al delicato
meccanismo della determinazione del reddito d’impresa attribuibile al periodo,
non potrebbe in alcun modo essere impostato sulla flessibilità.
Se, quindi, è innegabile l’esigenza avvertita dal Legislatore tributario acchè
la determinazione del reddito d’impresa sia quantomai certa ed incontrovertibile,
oltrechè riferita a dati veri, cioè effettivi, è inverosimile, al contempo, che lo
stesso Legislatore, per rispettare il principio della certezza, abbia l’interesse acchè
il risultato reddituale attribuito ad un esercizio sia prossimo a quello conseguito
con l’attività d’impresa effettivamente esercitata.
In proposito, va considerato che le norme civilistiche e quelle tributarie
rappresentano “sistemi di valori” differenti.
Infatti, la legislazione civilistica relativa al bilancio d’esercizio, che
dall’articolo 83 è chiamata indirettamente in causa, rispetta innanzitutto l’esigenza
della verità delle risultanze documentali di questo, dato che l’art. 2423 del Codice
civile stabilisce che il bilancio deve rappresentare “la situazione patrimoniale e
finanziaria della società ed il risultato economico dell’esercizio in modo veritiero”
(oltrechè corretto).
19
Anche in tale fattispecie, tuttavia, non pare mancare l’esigenza di certezza
dei valori iscritti nel bilancio d’esercizio.
Certezza e verità sono esigenze, quindi, che convivono in entrambi i sistemi
di valutazione quantitativa del risultato reddituale attribuibile al periodo, ma
secondo differenti scale di valori.
Infatti, la legislazione civilistica tende a privilegiare la verità nei confronti
della certezza, mentre la legislazione tributaria predilige il valore della certezza a
rispetto a quello della verità.
La constatazione di una significativa coincidenza di obbiettivi e finalità
conoscitive e, contemporaneamente, di una differente collocazione di tali finalità
nella scala gerarchica dei valori che appartengono alla legislazione tributaria ed a
quella civilistica consente, in definitiva, di comprendere le intenzioni del
Legislatore fiscale in relazione all’articolo 83 del TUIR.
Esso ha voluto che tale norma disponesse la preventiva acquisizione, nel
calcolo del dato suscettibile di prelievo fiscale, del risultato netto del conto
economico del bilancio d’esercizio che rappresenta essenzialmente un dato “vero”
e, in via subordinata, “certo” e successivamente ammettesse una serie di
variazioni, da apportare a tale valore, la cui finalità è il conseguimento di un dato,
rilevante ai fini dell’imposizione tributaria, che è essenzialmente “certo” e
subordinatamente “vero”.
In ultima analisi, il Legislatore ha introdotto nell’ordinamento tributario uno
speciale meccanismo di determinazione del valore imponibile, che concretizza sia
i vantaggi e le qualità della legislazione fiscale, sia i principi e le direttive di
quella civilistica relativa al bilancio d’esercizio.
20
Dopo aver sviluppato questa “premessa” generale, che dimostra come il
reddito fiscale risulti collegato con i dati del bilancio civilistico, l’attenzione può
essere specificamente orientata sul significato del principio di imputazione dei
costi al conto economico del bilancio, ai fini della relativa deduzione fiscale.
1.2. IL PRINCIPIO DI IMPUTAZIONE AL CONTO ECONOMICO:
L’UTILITA’ DI INDIVIDUARNE LA RATIO
Il principio della necessaria imputazione dei costi e degli oneri al conto
economico del bilancio d’esercizio rappresenta la condizione essenziale affinchè
tali componenti negativi possano essere dedotti dal reddito d’impresa.
La sua versione attuale è enunciata, nel nuovo TUIR, nel periodo primo del
comma quarto dell’articolo 109 (che sostituisce il precedente articolo 75
5
), ai
sensi del quale “le spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in
deduzione se e nella misura in cui non risultano imputati al conto economico
relativo all’esercizio di competenza”.
Il riferimento alle “spese” ed agli “altri componenti negativi” evidenzia
innanzitutto che si è in presenza di una disciplina che interessa - apparentemente -
tutti i componenti negativi del reddito d’impresa, indipendentemente dalla loro
intrinseca natura, e per il solo fatto della loro deducibilità fiscale.
Quanto alla locuzione “relativo all’esercizio di competenza”, riferita al
conto economico in cui il costo deve essere imputato, va sciolto il dubbio se essa
5
Va osservato che la recente Riforma fiscale non ha modificato, nei contenuti, il periodo
primo del comma quarto del precedente articolo 75, che introduceva il principio di imputazione al
conto economico.
21
sia stata adottata dal Legislatore per far dipendere la deducibilità fiscale dei
componenti negativi dalla puntuale osservanza del criterio di competenza in sede
di stesura del bilancio.
Da ciò conseguirebbe il dover considerare indeducibili, dal punto di vista
fiscale, quei componenti negativi di reddito che pur nei bilanci civilistici risultano
imputati in misura ed in base a criteri fiscalmente ammessi, ma per i quali non
possa considerarsi civilisticamente rispettato il prescritto principio di competenza.
Se l’ipotesi prospettata venisse accolta, essa condurrebbe inevitabilmente a
risultati inaccettabili.
Infatti, a prescindere dall’amplissima gamma di variazioni fiscali al bilancio
civilistico, non si vede in base a quale specifico interesse tributario dovrebbe
considerarsi imposta l’osservanza del principio di competenza nella redazione del
bilancio civilistico.
In particolare, se così fosse, l’attribuzione agli Uffici dell’Amministrazione
finanziaria di un potere di sindacato di merito circa l’afferenza dei componenti
negativi di reddito ai diversi esercizi oltre quanto strettamente indispensabile ai
fini tributari condurrebbe a scomodi contenziosi.
L’ “esercizio di competenza” a cui fa riferimento il comma quarto
dell’articolo 109 del TUIR, quindi, consiste in un “… qualsiasi esercizio cui
l’imprenditore ritenga di dover civilisticamente imputare i singoli componenti
negativi, indipendentemente dal fatto che esso sia antecedente o successivo a
quello al quale quei componenti debbono fiscalmente afferire, e senza che la
22
validità delle scelte in proposito fatte in sede di redazione dei bilanci civili, possa
essere sindacata dall’Amministrazione finanziaria”.
6
In definitiva, il riferimento al conto economico dell’ “esercizio di
competenza” valorizza l’atto materiale di imputazione dei componenti negativi al
conto economico civilistico, e rivela il mancato interesse del Legislatore alla
regolamentazione specifica del problema della competenza.
Ad una prima lettura, la regola della necessaria affluenza di poste di
carattere fiscale all’interno del conto economico, ai fini della relativa deduzione
fiscale, sembrerebbe rendere il sistema del reddito d’impresa incoerente.
Infatti, l’articolo 83 e l’articolo 109, comma quarto, del TUIR,
sembrerebbero non collidere, e, piuttosto, tale ultima norma - facendo dipendere
la deduzione dei costi dalla previa imputazione dei medesimi al conto economico
- disattenderebbe del tutto il meccanismo individuato dalla prima, negando in
modo deciso quel principio di autonomia del sistema civilistico rispetto a quello
tributario che le variazioni extracontabili, ammesse dall’articolo 83, avrebbero
potuto, in linea teorica, garantire.
In realtà, circa i rapporti tra l’articolo 83 e l’articolo 109, comma quarto del
TUIR le posizioni assunte dalla Dottrina non sono uniformi.
La questione prospettata non risulta di agevole definizione, sebbene una
teoria avanzata in Dottrina consideri il principio di imputazione un “corollario”
dell’articolo 83 del TUIR (come sarà osservato anche successivamente).
Più in generale, non esiste un’unica interpretazione del principio di previa
imputazione dei costi al conto economico.
6
S. LA ROSA, La deducibilità dei costi non imputati al conto dei profitti e delle perdite
(art. 75 quarto comma), in Rass. trib., 1987, p. 429.