II
un’autonoma iniziativa, l’assunzione di una responsabilità personale e lo stabilirsi di un legame di
fiducia e collaborazione reciproca con i loan-advisors, sono spesso, per i clienti della microfinanza
dei paesi considerati, una nuova importante novità, dopo anni di passività, sfiducia verso il
prossimo e atomizzazione sociale.
Ultimo quesito ancora da soddisfare riguarda la lingua in cui è redatta l’opera, cioè l’inglese. Il
motivo principale di tale scelta deriva dalla necessità di rendere disponibile i risultati della ricerca
alle molte persone direttamente intervistate durante la sua permanenza a Varsavia e dal desiderio di
offrire a tutti coloro che si sono gentilmente offerti di aiutarla (collaboratori del MicroFinance
Center di Varsavia, direttori di istituzioni polacche di microfinanza, funzionari pubblici ed altri
esperti), la possibilità di leggere e comprendere il suo lavoro. Solo l’utilizzo di una lingua tanto
diffusa come l’inglese avrebbe potuto dare questa opportunità.
2. Struttura generale della tesi.
La tesi è nettamente suddivisa in due parti: la prima affronta il tema della microfinanza nella
prospettiva più ampia e generale dei paesi in transizione dell’Europa centro-orientale e ed ex-
sovietici, mentre la seconda focalizza l’attenzione sulla rete di istituzioni di microfinanza
recentemente sviluppatasi in Polonia. Le due sezioni, sebbene diverse nei contenuti, sono per la
maggior parte strutturate in modo speculare.
Nel primo capitolo di ciascuna di esse viene sviluppato un quadro storico, economico e sociale del
contesto di riferimento (paesi in transizione da un lato, e Polonia, dall’altro); i capitoli seguenti sono
invece più direttamente incentrati sul tema cruciale della microfinanza. Nei capitoli introduttivi di
ognuna delle due parti non vengono però trattati indistintamente tutti i molteplici aspetti relativi al
processo di transizione, ma solo quelli attinenti all’ambito della microfinanza, che rimane
comunque il fulcro attorno al quale intende ruotare il lavoro nella sua interezza. Uno dei temi più
direttamente connessi con lo sviluppo del microcredito nei paesi in transizione riguarda, secondo
l’autrice, i processi di riforma economica, di ristrutturazione industriale e di privatizzazione attuati,
in vari gradi e con varie modalità, dai paesi analizzati e che hanno avuto un grande impatto non solo
sul sistema produttivo, ma anche sui livelli di occupazione e disoccupazione e conseguentemente
sul grado di benessere della popolazione. Altrettanto importante si è rivelata la distribuzione dei
benefici e degli svantaggi di tali processi e il ruolo giocato dallo stato nella fase redistributiva e
compensativa, di fronte alla crescente miseria, ineguaglianza e insoddisfazione nella cittadinanza.
La mossa dello strato più aperto e innovatore della società civile, si è invece concretizzata nello
sviluppo di un sistema di micro-attività e piccole e medie aziende private che, tentando di sostituire
il ruolo fondamentale delle imprese statali nel precedente sistema, stanno diventando sempre più
III
l’asse portante delle economie di transizione ma che si trovano davanti ostacoli ancora
insormontabili. Tra questi si possono evidenziare sistemi produttivi arretrati e scarsamente
competitivi, una generalizzata carenza di infrastrutture sociali e tecniche, una bassa preparazione
culturale e manageriale, una scarsa esperienza e dimestichezza coi meccanismi di mercato e, tra i
principali, la mancanza di adeguate fonti di finanziamento per progetti imprenditoriali validi e
attività promettenti. Strettamente attinente al tema della microfinanza è quindi certamente anche
l’auspicabile sviluppo di un nuovo, moderno e sicuro, sistema bancario e finanziario, che si sta
rivelando attualmente ancora fragile e in molti casi incapace di allocare efficientemente i fondi a
disposizione. Ultimo, ma non meno importante argomento affrontato, riguarda l’attuale sistema
legale e regolatorio presente nei paesi in transizione, “sotto-sviluppato” dal punto di vista dei
necessari adeguamenti alle crescenti necessità di paesi in rapida trasformazione e “sovra-
sviluppato”, se consideriamo le ancora eccessive ingerenze dello stato in molte questioni che
potrebbero essere trattate e risolte autonomamente dalla società civile e che invece ricadono nelle
competenze della tentacolare e spesso corrotta burocrazia amministrativa.
L’argomento focale della microfinanza viene invece affrontato in tre appositi capitoli, nella prima
parte (cap. 2 e 3) e nella seconda (cap. 5), quest’ultima riguardante solo l’ambiente polacco. In
entrambe le sezioni le organizzazioni operanti nell’ambito della microfinanza vengono classificate
in distinte categorie, così da poterle analizzare secondo modelli e dati più omogenei. In generale, gli
aspetti affrontati nella fase di analisi riguardano la missione attribuita a ciascuna organizzazione, la
clientela di riferimento, i prodotti offerti (varie tipologie di prestiti, consulenza, corsi di
formazione), la struttura e le metodologie operative, i risultati finanziari e non.
In tutti e tre i capitoli vengono poi sviluppate ulteriori tematiche. Nella sezione dedicata all’intera
area dei paesi in transizione vengono prima descritti alcuni tratti generali caratterizzanti la
microfinanza in tale ambito, come ad esempio l’elevato livello di domanda per i suoi servizi, per poi
passare alle funzioni svolte dal microcredito in tale contesto e infine affrontare la spinosa questione
di un’adeguata e favorevole regolamentazione per le istituzioni di microfinanza. Nel contesto
polacco invece, oltre all’analisi dei diversi modelli istituzionali operanti sul territorio (Unioni di
Credito, istituzioni di microfinanza “classiche” e fondi di garanzia), si cerca di delineare la
dinamica che porta un ex-lavoratore di una fattoria statale ormai dismessa a rivolgersi ad
un’istituzione di microfinanza e ad intraprendere un propria autonoma attività. L’interrogativo a cui
si tenta di rispondere è se sia il bisogno o la volontà di indipendenza a spingere a tale passaggio.
La tesi si conclude con dei brevi cenni conclusivi, volti a riassumere e sottolineare i molteplici
contributi della microfinanza al processo di sviluppo attualmente in atto in Polonia.
IV
3. Attuale contesto regionale per la microfinanza.
Per capire più profondamente l’attuale stato dei paesi in transizione dell’Europa centro-orientale ed
ex-sovietici è necessario ricostruire la situazione, soprattutto a livello economico, nella quale essi si
trovavano sotto i regimi comunisti. L’economia di quel periodo era infatti caratterizzata da una
totale centralizzazione, a livello produttivo come a livello politico. Lo stato, o meglio, il partito,
aveva pieno potere decisionale su ogni aspetto economico: cosa produrre, quanto produrre e a che
prezzo. Esso tendeva infatti a impedire qualsiasi iniziativa economica privata (tranne alcune
eccezioni, come l’agricoltura polacca) e si poneva come unico dispensatore di tutti i più
indispensabili servizi (alloggio, istruzione, cure mediche) proprio attraverso le fabbriche di
proprietà statale, garantendo inoltre un lavoro e una paga minima, ma sicura, ad ogni cittadino. Un
tale sforzo da parte dello stato veniva coperto spesso con l’emissione di nuova moneta e
reprimendo, attraverso prezzi imposti e falsati, la montante inflazione. La struttura economica dei
paesi sotto controllo sovietico era contraddistinta da un settore industriale sovra-dimensionato e
incentrato sulla produzione di macchinari, oltre che sull’estrazione e lavorazione metallurgica; il
settore dei servizi era, al contrario, decisamente ridotto, soprattutto nei campi della distribuzione e
della vendita al dettaglio. La penuria di beni di consumo e le lunghe code per accaparrarsi la poca
merce presente nei negozi erano all’ordine del giorno, mentre la produzione pianificata non
rispondeva all’eccesso di domanda aumentando l’offerta, ma nemmeno facendo crescere i prezzi: i
meccanismi di mercato erano quindi del tutto sospesi. Anche il commercio internazionale avveniva
solo all’interno della cerchia dei paesi membri del C.M.E.A. (Consiglio di Mutua Assistenza
Economica), e i paesi est-europei dipendevano totalmente dall’Unione Sovietica per
l’approvvigionamento di combustibile e delle altre materie prime.
Questo sistema, sebbene del tutto inefficiente, rimase in piedi fino al 1989, quando i pilastri del
regime iniziarono a sgretolarsi uno dopo l’altro. Ciò che avvenne fu perlopiù una rivoluzione
pacifica, che portò però ad enormi sconvolgimenti sul piano politico, economico e sociale, in questo
stesso ordine cronologico, ma con effetti differenti nei diversi paesi. I paesi centro-europei si
dimostrarono i più avanzati riformatori, abbattendo i vecchi regimi totalitari e trasformandoli in
nuove democrazie costituzionali e pluri-partitiche, non senza lasciar qualche seggio ai vecchi
esponenti della nomenklatura comunista. Anche il passaggio ad una nuova economia di mercato fu
repentino ma non indolore. Furono infatti necessari gravosi processi di ristrutturazione e
privatizzazione delle grandi imprese statali, che portarono a una disoccupazione diffusa e a un senso
di smarrimento nella popolazione. Paradossalmente, raggiunsero però i migliori risultati, proprio
quei paesi (come Polonia e Ungheria) che si imbarcarono in riforme radicali, rispetto a coloro che
V
Tabella 1: Recessione e ripresa economica (1990-2002)
scelsero una strategia graduale e rimandarono la
piena attuazione di un regime di mercato a
tempi migliori. I risultati parlano chiaro: nel
2002 la Polonia ha raggiunto un livello di PIL
pari al 144% rispetto a quello del 1990, lo stesso
dato per l’Ungheria è del 109%, mente Bulgaria
e Romania hanno raggiunto a malapena l’ 81-
82%. I paesi più avanzati dell’Europa centro-
orientale sono attualmente impegnati
nell’adempimento delle condizioni necessarie
per accedere all’Unione Europea e
nell’adeguamento del proprio sistema legale e
regolatorio all’acquis communitaire, ma ancora
molto lavoro rimane da compiere.
Più critica si è dimostrata invece la situazione
nei Balcani, martoriati da guerre etniche
intestine, e nell’ex Unione Sovietica, in Russia e
Ucraina in particolare. In questi paesi la
recessione economica è stata duratura e
profonda (10 anni consecutivi per l’Ucraina) e
lo stato non si rivelato capace di compensare i
perdenti dal processo di trasformazione, ma anzi
è stato frenato nel suo tentativo riformatore
dagli oligarchi e concentratori del potere, che
avrebbero ottenuto i maggiori guadagni da una
liberalizzazione economica non seguita da
alcuna ristrutturazione industriale.
Se le riforme nei paesi in transizione si sono
comunemente concentrate sulla ristrutturazione
produttiva, sul tentativo di accrescere la
competizione e di aumentare la produttività
tramite la modernizzazione tecnologica, non
sempre altrettanta attenzione è stata dedicata dai
Paesi
Anni
consecutivi
di declino
produttivo
Declino
produttivo
cumulato
(%)
PIL reale,
2002
(1990=100)
centro-sud Europa
e paesi baltici
4 23 107
Albania 3 33 110
Bulgaria 4 16 81
Croazia 4 36 87
Repubblica Ceca 3 12 99
Estonia 5 35 85
Ungheria 4 15 109
Lettonia 6 51 61
Lituania 5 44 67
Polonia 2 6 144
Romania 3 21 82
Slovacchia 4 23 105
Slovenia 3 14 120
Confederazione
Stati Indipendenti
7 51 63
Armenia 4 63 67
Azerbaijan 6 60 55
Belarus 6 35 88
Georgia 5 78 29
Kazakhstan 6 41 90
Kyrgystan 6 50 66
Moldova 7 63 35
Federazione Russa 7 40 64
Tajikistan 7 50 48
Ucraina 10 59 43
Uzbekistan 6 18 95
Fonte 1: elaborazione dell’autrice su dati Banca Mondiale disponibili sul sito web.
VI
governanti al pericoloso problema di una crescente povertà diffusa e ineguaglianza economica.
Probabile motivo di tale disattenzione è dato dal fatto che il problema della miseria diffusa tra la
popolazione, seppur presente anche negli anni del regime sovietico, è sempre stato un argomento
tabù, andando contro ai principi di eguaglianza, cardini della dottrina comunista. Per quanto
riguarda il tema dell’ineguaglianza, diversi studiosi affermano che effettivamente questo problema
era meno pressante sotto il sistema sovietico, a causa della centralizzazione decisionale
nell’allocazione delle risorse economiche, sebbene gli esponenti più vicini ai vertici del partito
godessero di estesi privilegi, normalmente però non di tipo monetario.
Grafico 1. variazione del coefficiente di Gini nei paesi in transizione.
Fonte: KOLODKO G. W. : “Income policy, equity issues and poverty reduction in transition economies”, Villa Borsig
Workshop Series, 1999, disponibile sul sito web: www.dse.de/ef/poverty/kolodko.htm.
Un solo dato può bastare a rendere l’idea dello spaventoso aumento del livello di povertà nei paesi
ex-comunisti: se nel 1998 uno su cinque abitanti dei paesi in transizione viveva con meno di 2,15
dollari al giorno (linea di povertà assoluta), la stessa proporzione un decennio prima era di meno di
1 su 25. Certamente la distribuzione dei livelli di povertà non è stata omogenea in tutte le aree, con
l’Europa centrale tra le regioni meno colpite e l’Asia centrale e i Balcani agli antipodi. Cause
primarie di questa diffusa situazione di povertà sono molteplici: crollo della produzione; estesa
disoccupazione, originata dai processi di ristrutturazione e privatizzazione; salari insufficienti o del
tutto non pagati dalle aziende; iperinflazione; alti costi dei servizi pubblici ora privatizzati e la
mancata fornitura da parte di molti governi della necessaria assistenza economica e sociale alle
famiglie in condizioni più disagiate. Il tutto aggravato dalla crescente disuguaglianza nei livelli di
distribuzione del reddito derivante tra l’altro, dalla maggiore competizione nel mercato del lavoro,
....(continua) VII
da una diffusa corruzione e dalla mancanza di possibilità di trovare impieghi migliori per i
lavoratori più anziani e meno competenti.
La povertà non ha solo colpito la popolazione a livello economico, ma ha avuto un grande impatto
anche a livello psicologico e motivazionale. I normali schemi di vita, invariati da decenni, sono stati
improvvisamene distrutti e la gente, abituata a ricevere tutti i più indispensabili servizi dallo stato e
a ripetere la stessa routine lavorativa senza variazioni, si è trovata impotente di fronte ad una
trasformazione che rendeva le conoscenze e abilità acquisite, totalmente irrilevanti ed inutili. Più
colpiti sono stati i lavoratori delle imprese statali ristrutturate e i contadini, naturalmente insieme
alle loro (spesso numerose) famiglie, specialmente se abitanti di zone rurali.
Il mercato del lavoro è stato forse quello che ha subito le più profonde trasformazioni. Quattro sono
stati i maggiori fenomeni verificatesi durante il periodo di transizione (peraltro non ancora
concluso): 1) un sostanziale aumento della disoccupazione e della sua durata; 2) una significativa
riduzione nei tassi di occupazione e trasformazioni nel collocamento settoriale della popolazione
occupata (spostamento dal settore industriale e agricolo alla fornitura di servizi); 3) una rapida
crescita del settore privato e 4) remunerazioni crescenti per livelli educativi più elevati e le
competenze professionali più alte. Nei paesi est-europei la riorganizzazione industriale ha fatto
sentire i suoi effetti soprattutto sul piano occupazionale, mentre nell’area dell’ex Unione Sovietica
l’impatto maggiore si è avuto a livello salariale con retribuzioni ridotte anche del 50%, se non
addirittura non pagate per mesi. Attualmente la struttura occupazionale dell’area europea centro-
orientale è contraddistinta da un settore agricolo impiegante un eccessivo numero di lavoratori
(oltre il 20% degli occupati), da un settore terziario ancora sotto-sviluppato, dominato dal
commercio al dettaglio e dalle riparazioni, e da un comparto industriale dove prevalgono le aziende
manifatturiere.
In generale, gli stati implicati hanno cercato di porre un freno ai crescenti inconvenienti economici e
sociali causati dal processo di transizione, ma spesso le politiche adottate si sono rivelate armi a
doppio taglio, miopi ed inadeguate, miranti a ridurre le manifestazioni dei fenomeni di povertà e
disoccupazione piuttosto che ad estirparne le cause. I paesi dell’Europa centrale si sono
principalmente concentrati sulla distribuzione di benefici monetari ai gruppi sociali più colpiti:
disoccupati e anziani. I generosi, e spesso non ben calibrati, sussidi di disoccupazione e le prodighe
pensioni hanno non solo indotto al ritiro dall’occupazione i lavoratori ormai maturi, ma hanno pure
disincentivato la popolazione senza lavoro a ricercarne uno nuovo con tutte le proprie forze. Inoltre,
il peso di trasferimenti di tale portata si è fatto sentire non solo sulle casse statali, ma anche sui
cittadini occupati, costretti a sopportare elevati livelli di tassazione e ingenti prelievi sui propri
salari.
1
INTRODUCTION
During my staying in Warsaw in autumn 2002 I used to hang out in one of the biggest malls
in town: Galeria Mokotòw. Looking around I could find all the best international shop-chains and
goods and the unfailing American fast-foods. If I hadn’t already spent there some time and talked
with many Polish people and hadn’t seen the reality of grey soviet blocks grown like mushrooms in
the Warsaw suburb or travelled in the boundless Polish country-side, I could have thought I was
finding myself in Milan, Paris or London: malls are the same everywhere. But luckily I had the
pleasure to converse with different Poles and find out, for instance, that their average salary was
almost a half of ours, while prices of non-food goods in malls were about the same as in Italy. As
time went on, I made a little progress with Polish language and started going for shopping in the
typical “bazars”, very popular open markets where I could buy food and clothes almost for nothing.
I realised that malls were not places for everyone in Warsaw, but only for foreigners and for the
better-off Polish citizens who could afford more than just window-shopping in Galeria Mokotòw.
As it is clear from the title of this work, I’m not going to write a thesis about malls in
Warsaw, but rather on the development of microfinance in transition countries and, in particular, in
Poland. My experience with malls was however enlightening. It showed me that I can’t extract any
phenomenon from its environment, from its past and present and from the reality of people related
to it, if I want to get the right idea of it.
The present work will be markedly split in two parts, with the intention of investigating
extension, structures and performances of the microfinance industry first of all in the more general
context of transition countries of Central and Eastern Europe (C&EE) and the New Independent
States (NIS) and only subsequently in Poland, where a peculiar network of microfinance institutions
(MFIs) has been recently developing. To remain faithful to my previous observation, each of the
two parts will be introduced by a chapter delineating first the historical and then the economical and
social evolution of the areas under study. These two chapters, apparently not concerning the main
theme of the work, are not aimed at depicting all the manifold features of the transition process
indiscriminately. In both parts, almost specularly, only those issues related to the development of
microfinance will be discussed. These aspects concern the impact of reform processes implemented
with different methods and speeds by governments to switch from a centrally-planned to a modern
market-driven system; the increase of poverty and inequality which has occurred to various extents
in all transition countries; the changes in the labour-market and the emergence of a new
phenomenon, unemployment. Later on, it will be taken into account the attempt of governments to
2
balance the negative effects of the transformation and to compensate losers through social
allowances, as well as the efforts of privatisation of former state-owned enterprises. A considerable
attention will be given to the birth and growth of private business activities in transition countries
and in Poland and, in particular, to the role of small and medium enterprises (SMEs) in the
development of a renewed sound economy capable of generating benefits for all layers of
population. Also the various obstacles hindering SMEs’ expansion will be stressed. These are i.e.
the period of economic recession and falling demand started in 1998 and not yet recovered; the high
level of social insurance drawings on salaries (the so called Z.U.S. payments); the cash-flow
problems for many companies; the lack of marketing and business knowledge and experience; the
problems of underdeveloped rural areas; the mentality of people, not yet used to a market economy
and the problem of access to finance from the banking system for entrepreneurs who want to start
their own activity or expand their businesses. The subsequent paragraphs will be therefore devoted
to considering the evolution of the banking system in transition countries and Poland and to the
study of the critical problem of lack of financing for emerging SMEs, to which microfinance tries to
give an answer. Finally, but only in the more general part dedicated to all transition countries
(chapter 1), the need for an appropriate legal environment in a situation of diffuse corruption and
state-capture will be examined. The section about Poland (chapter 4) will be on the contrary closed
by a special paragraph about the difficult living conditions in rural areas.
Once dealt with all these background themes, the central issue of microfinance will at last
come on the scene in both parts. I have chosen to focus my thesis on this subject and its application
in transition countries, because I think microfinance can play a significant role in the building of a
new social and economical environment not just in the developing world, but also in this peculiar
reality. It can be seen in fact as an attempt, in principle rising from the “bottom”, to instil self-
confidence and trust in their own creative and entrepreneurial skills to the inhabitants of that region.
The expected result consists in the encouragement of self-employment and in the birth of micro-
enterprises after the collapse of the plan-system, the closing of many state-owned enterprises and
the loss of any economic security, however miserable it was.
Chapter 2 will concentrate on the typical traits this newly born industry assumes in transition
countries. The high demand for its services will be highlighted, its functions in the transition
process will be enumerated and the four main institutional models will be described in depth,
together with their strengths and weaknesses. As a matter of fact, institutions providing micro-
lending services in transition countries can take the form of Credit Union, of Non-Governmental
Organisations, of “downscaled” commercial banks and of greenfield microfinance banks. Chapter 2
3
will end with a paragraph entirely devoted to the problem of regulation and supervision of MFIs,
which is so ardently debated by microfinance practitioners at present.
The following chapter (chapter 3) will consider the surprising performances of such a young
industry. A first section will focus on the fundamental work of research, information exchange and
network building of the MicroFinance Centre for C&EE and the NIS, located in Warsaw, and on
one of the most recent and complete study about microfinance in transition countries carried out by
the research department of MFC. The attention will then be diverted on the current achievements of
microfinance institutions in the area, analysing them according to two different criteria: by
institutional type and by sub-regions. The fifth paragraph of this chapter will be then dedicated to
the controversial matter of relieving the living conditions of the poorer layers of population through
microfinance services and the important indicator of “depth of outreach” will be used to try to
quantify the attainment of this goal. The subject of poverty reduction through micro-loans will be
again considered in the successive section, where the financial results of MFIs in transition
countries will be reported. The central issue will concern the difficult commitment of many MFIs to
reach the poorest people, attaining, at the same time, financial or, at least operational sustainability.
The chapter will conclude with a comparison between the outcomes of the MF industry in C&EE
and the NIS area and those of other regions where microfinance operate, exploiting the benchmark
activity carried out by the MicroBanking Bulletin under the “MBB Standards Project”.
The state of the microfinance industry in Poland will be finally discussed in chapter 5. Here
institutions providing microfinance services will be classified into three groups: 1) Credit Unions;
2) “classical” MFIs; 3) Loan Funds and Guarantee Funds. The most important topics concerning
each of the three approaches to microfinance will be then discussed, such as the most representative
institutions operating on the Polish territory, their mission, their products, their clients, their social
and financial outcomes and their impact on the local communities where they are active. Differently
from the previous three descriptive paragraphs of this same chapter, the fourth and last one will try
to ideally delineate the factors which can turn a former state-farm worker into a microfinance client
and a potential successful entrepreneur.
The last, conclusive chapter (number 6) will try to briefly sum up the manifold contribution
microfinance institutions are giving to the Polish development and to the solving of the problems
underlined in the previous chapters, especially of unemployment. This contribution takes place on
two sides: the economic-financial one and the likewise important cultural one. Consequently, it will
come to surface also what microfinance is not made for; that is to say, the impediments it can not
overcome and towards which more efficacious policies must be implemented and a concerted effort
by all levels of society is necessary.