I fatti e la loro messa in scena: due casi di informazione televisiva a confronto
6
Avvalendoci degli strumenti di analisi messi a disposizione dalla semiotica del testo
di stampo strutturalista cercheremo di mettere in luce i meccanismi adottati dai due
programmi per rendere credibile la realtà che presentano agli occhi del loro pubblico. La
nostra analisi non sarà focalizzata su cosa pensano i telespettatori del Tg1 e di Striscia la
notizia, né sulle diverse attività produttive che stanno alle spalle delle due trasmissioni, ma
sugli aspetti del testo che rendono plausibili ed appetibili i due diversi mondi rappresentati.
Sarà quindi il testo a rappresentare allo stesso tempo lo spazio esclusivo in cui
svolgeremo la nostra analisi e l’unico referente con cui ci confronteremo. Ricercando le
sue regolarità ed evidenziando le meccaniche soggiacenti ai suoi aspetti più immanenti
cercheremo di mettere in luce le analogie e le differenze di due modi di fare informazione
che si presentano come due alternativi paradigmi di verità televisiva: da un lato l’esempio
più classico di giornalismo televisivo oggettivo, dall’altro il rappresentante più autorevole
dell’inchiesta-spettacolo.
Alla fine del nostro lavoro non proveremo a stabilire quale delle due proposte
informative sia più vera ma cercheremo di fornire un’adeguata radiografia di due
programmi che fanno della credibilità la loro principale fonte di successo. Scopriremo così
come dietro alla più naturale e veritiera delle rappresentazioni televisive possa nascondersi
una struttura narrativa testuale tanto implicita quanto artificiosamente orientata: un
racconto non vero ma verosimile, con i suoi protagonisti, i suoi eroi e i suoi antieroi, in cui
chi parla racconta una storia e chi ascolta ne accetta le regole non dette.
1. Il quadro teorico di riferimento
L’analisi che di seguito verrà proposta trova la propria ispirazione teorica nella
semiotica del testo di stampo strutturalista. Risulta impossibile a chi sta scrivendo definire
in poche righe le caratteristiche di questa disciplina ed è per questo che verrà dedicato un
intero capitolo ai concetti fondamentali che caratterizzano l’intero impianto teorico. Se
alcuni di questi concetti sono comunemente accettati all’interno della letteratura
contemporanea, altri invece rappresentano alcune delle alternative in merito a questioni su
cui ancora non c’è un pieno accordo. Vedremo nel corso del capitolo i casi in cui
l’adozione dei concetti presi in considerazione è comunemente accettata all’interno del
dibattito semiotico e i casi in cui ciò non avviene motivando e giustificando eventuali
scelte che inevitabilmente imporranno una presa di posizione all’interno delle correnti
della semiotica contemporanea.
Per chi già conosce i lineamenti della semiotica del testo di stampo strutturalista
non sarà difficile capire fin da subito quale sarà il quadro teorico e l’impronta
metodologica che caratterizzerà questo lavoro. Per chi invece non è a conoscenza delle
caratteristiche di questa disciplina riteniamo sia utile una breve introduzione a questo
capitolo che, se affrontato “di petto”, potrebbe risultare di difficile comprensione.
Rimandando al resto del capitolo le definizioni dei contenuti della disciplina
preferiamo qui descrivere le sue aspirazioni e i suoi propositi. Iniziamo con una domanda:
cosa si propone di fare la semiotica strutturale? In nostro aiuto può venirci Jean-Marie
Floch con la seguente definizione:
La semiotica si definisce come un’impresa a vocazione scientifica. Il suo obiettivo è
la costruzione di una teoria generale della significazione e dei linguaggi. Ma la si può
anche definire, e viverla, come una certa disposizione di spirito, fatta di curiosità per tutto
quanto ha o può avere senso (Floch 1985)
1
.
Diversi sono gli aspetti della disciplina che emergono da questa definizione e che
meritano un approfondimento. Vediamoli in ordine di apparizione.
Jean-Marie Floch scrive innanzitutto che la semiotica si propone come un’impresa
a vocazione scientifica. Questo atteggiamento si è concretizzato negli ultimi tre decenni
con la ricerca, portata avanti contemporaneamente su due fronti, di un impianto teorico allo
1
Citato in Semprini 1993: 9.
I fatti e la loro messa in scena: due casi di informazione televisiva a confronto
8
stesso tempo puntuale e flessibile e di un bouquet di strumenti metodologici adatti ad un
confronto sul campo con la significazione. La coerenza e la funzionalità raggiunte tra i due
livelli (quello teorico e quello più squisitamente applicativo) rappresentano uno dei punti di
forza della semiotica strutturale e contribuiscono a renderla il principale strumento di
analisi della significazione odierno. Dice Maria Pia Pozzato a tal proposito:
Il rapporto fra teoria e analisi è quindi strettissimo: è l’analisi che nutre la teoria ma
l’analisi sarebbe un puro esercizio individuale, costretto a ripartire ogni volta da zero, se i
risultati precedenti, raccolti in una teoria, non permettessero un confronto e una verifica dei
risultati (Pozzato 2001: 18).
La simbiosi tra teoria e applicazione sul campo rappresentano allo stesso tempo un
obiettivo e un punto di partenza in continua definizione. Il dinamismo dei due livelli (la
semiotica strutturale si definisce come un’impresa, un oggetto in divenire) non permette di
fissare una volta per tutte i legami che li tengono insieme. È necessario un continuo
aggiornamento del loro rapporto per garantire alla disciplina la possibilità di essere un utile
strumento di indagine della significazione. L’equilibrio tra generalizzazione teorica e
particolarità empirica rappresenta quindi un elemento cruciale nello sviluppo della
semiotica strutturale come scienza.
Ma tale equilibrio non è un risultato facile da raggiungere considerando il secondo
aspetto che emerge dalla definizione succitata: la semiotica strutturale si propone di
costruire una teoria generale della significazione e dei linguaggi. Attraverso una serie di
modifiche e affinamenti teorici che hanno affrancato la disciplina da un’impronta
esclusivamente linguistica (vedremo in seguito come il concetto di testo sia stato centrale
in questo senso) la semiotica contemporanea si prefigge l’obiettivo di analizzare qualsiasi
processo di significazione e di discorso. Lasciando perdere la polemica sulla supposta
arroganza di tale aspirazione
2
possiamo solo esaminare le implicazioni di carattere teorico
e metodologico che questa aspirazione comporta. Dal punto di vista della ricerca sul campo
il confronto con qualsiasi tipo di espressione culturale impone l’adozione di strumenti
specifici ad ogni linguaggio, in grado di adattarsi ai più diversi tipi di grandezza e
complessità. Negli ultimi anni sono stati fatti molti passi in avanti in questo senso. La
semiotica strutturale è stata applicata ai più svariati campi della significazione. Interessanti
2
Una delle critiche mosse alla semiotica del testo di stampo strutturale si riferisce alla supposta
aspirazione, da parte di questa disciplina, di diventare una sorta di metalinguaggio in grado di descrivere ogni
tipo di teoria. La domanda che a questo punto tali critiche rivolgono alla semiotica è la seguente: chi analizza
la teoria semiotica?
1. Il quadro teorico di riferimento
9
sono stati gli studi sui media e sui diversi linguaggi che li caratterizzano.
3
L’analisi
semiotica si è fatta con gli anni flessibile, aperta alle novità che le nuove esperienze sul
campo hanno introdotto, mostrando un’adattabilità che una rigida e monolitica
impostazione teorica non avrebbe potuto sostenere. La struttura della disciplina si è fatta
modulare, permettendo la specializzazione nei diversi universi della significazione
analizzati e mantenendo un nucleo concettuale forte attorno a cui ruotano le varie
sfumature metodologiche. Ma se da un lato questa specializzazione ha dato una grande
vitalità alla ricerca, dall’altro ha fatto sì che sul piano teorico si ridimensionassero le
speranze di realizzare la creazione di un unico metalinguaggio in grado di ricondurre a se
stesso le regole di funzionamento dei più diversi linguaggi. Le particolarità dei molteplici
linguaggi affrontati lasciano poco spazio all’unità teorica richiedendo metodologie e
strutture concettuali specifiche. D’altra parte sta proprio in questo bagno di umiltà e
nell’abbandono (anche se qualcuno parla solo di rinvio) della sua più alta aspirazione un
altro dei punti di forza della semiotica strutturale: confrontandosi con i più disparati tipi di
significazione ha scoperto i suoi limiti ma allo stesso tempo ha allargato i suoi orizzonti.
Lo ha fatto accettando le regole dei linguaggi e non imponendo le proprie, manifestando la
sua curiosità per tutto ciò che ha senso.
Arriviamo, quindi, all’ultimo concetto suggerito dalla definizione di Jean-Marie
Floch: la semiotica strutturale si può definire, e vivere, come una certa disposizione di
spirito, fatta di curiosità per tutto quanto ha o può avere senso. Più che una definizione,
questa sembra essere una dichiarazione di intenti, quella che nel gergo del marketing viene
definita “mission”. Ciò che forse ha spinto maggiormente verso il successo le tecniche e le
metodologie della semiotica di stampo strutturale sono state la curiosità e la vitalità con cui
gli studiosi che le hanno adottate come strumenti teorici di riferimento si sono avvicinati ad
ogni tipo di linguaggio culturale. La loro intraprendenza, la loro voglia di “scoprire” la
significazione hanno fatto della semiotica del testo un’attività che trova in sé stessa le sue
regole di condotta, le sue aspirazioni e la sua missione. Roland Barthes la descrive così:
Lo scopo di ogni attività strutturalista, riflessiva o poetica che sia, è di ricostruire un
“oggetto”, in modo da manifestare in questa ricostruzione le regole di funzionamento (le
“funzioni”) di questo oggetto. La struttura è dunque in realtà un simulacro dell’oggetto, ma
un simulacro orientato, interessato, poiché l’oggetto imitato fa apparire qualcosa che
restava invisibile, o, se si preferisce, inintelligibile nell’oggetto naturale. L’uomo strutturale
prende il reale, lo scompone, poi lo ricompone; è ben poco, in apparenza (e c’è chi sostiene
che il lavoro strutturalista è “insignificante, privo di interesse, inutile, ecc.”). Pure, da un
3
Alcuni esempi sono dati in Semprini 1993.
I fatti e la loro messa in scena: due casi di informazione televisiva a confronto
10
altro punto di vista, questo poco è decisivo; perché tra i due oggetti, o i due tempi
dell’attività strutturalista, si produce del nuovo, e questo nuovo è niente meno che
l’intelligibile generale: il simulacro è l’intelletto aggiunto all’oggetto, e questa addizione ha
un valore antropologico, in quanto è tutto l’uomo, la sua storia, la sua situazione, la sua
libertà e la resistenza opposta alla sua mente dalla natura (Barthes 1964: tr. it. 246).
L’attività strutturalista diventa quindi un modo di operare, di leggere il mondo. Con
un approccio scientifico, come abbiamo già detto. Ma anche con quella curiosità un po’
irriverente con cui questa disciplina ha potuto (non senza difficoltà e correzioni in corsa)
allargare il proprio campo di ricerca confrontandosi con nuovi linguaggi.
Vedremo nel corso del capitolo i concetti chiave che hanno permesso alla semiotica
strutturale di presentarsi oggi come lo strumento più idoneo all’analisi della significazione.
Centrale in questo senso il concetto di testo, a cui arriveremo risalendo due strade. Da un
lato ripercorreremo l’evoluzione che nel campo della sociologia della comunicazione ha
portato alla formulazione del modello semiotico-enunciazionale. Dall’altro vedremo il
cammino che in seno alla semiotica del testo di stampo strutturale ha fatto emergere la
centralità del testo a scapito del segno e dei codici, in una logica scientifica che individua
nell’analisi narrativa un efficace strumento di analisi. In entrambi i casi, come abbiamo
detto, si è individuato nel testo il campo in cui si gioca la partita della comunicazione.
Vedremo poi gli altri due pilastri teorici su cui basiamo il nostro lavoro. Il primo è
rappresentato dall’insieme degli strumenti analitici proposti da Greimas per l’analisi del
testo di stampo strutturale. Il secondo corrisponde invece al concetto di semiosi illimitata:
nei paragrafi ad esso dedicati daremo una sua definizione cercando di rintracciare la sua
presenza all’interno delle diverse correnti semiotiche.
1. Il quadro teorico di riferimento
11
1.1. Dal codice al testo
Uno dei concetti che nella semiotica contemporanea sembra ormai aver trovato una
comune accettazione è la nozione di testo. La sua affermazione è maturata negli ultimi due
decenni e il suo sviluppo è avvenuto in seno alla sociologia della comunicazione di massa.
L’avvento e il vertiginoso sviluppo dei mass media nella seconda metà del Novecento ha
richiesto la formulazione di nuovi strumenti teorici atti alla comprensione dei veloci
cambiamenti socioculturali indotti dall’espansione dell’industria massmediatica.
Si è cercato così di riempire quei vuoti che non consentivano un approccio efficace
nello studio della comunicazione iniziando proprio da una sua definizione, che si è
raffinata e sgrezzata con il susseguirsi dei vari modelli comunicativi che nel corso degli
anni si sono avvicendati all’interno del dibattito sui mass media.
La semiotica è entrata in questo dibattito in punta di piedi, accettando all’inizio le
regole stabilite da altre discipline, ma ha saputo col tempo sviluppare e affinare le proprie
conoscenze, contribuendo in modo significativo alla nascita di un’idea di comunicazione
che è ormai ben lontana da quella che imperava due decenni fa.
1.1.1. Il modello informazionale
Le prime ricerche massmediologiche non disponevano di quell’esperienza
necessaria alla formulazione di un modello capace di illustrare in modo adeguato l’idea di
comunicazione. L’assenza di un così cruciale elemento teorico veniva colmata da un
“prestito”: le discipline che studiavano la comunicazione di massa adottarono senza riserve
il modello comunicativo applicato dalla teoria dell’informazione.
Quello che era stato elaborato da Shannon e Weaver (1949) si rivelava un modello
appropriato non in base alla sua completezza teorica ma grazie a una semplicità che lo
rendeva adattabile ad ogni esigenza di ricerca. La sua applicabilità si estendeva sia alla
comunicazione tra macchine che tra esseri umani. Vediamolo nel seguente schema
4
:
4
Parziale rielaborazione dello schema riportato in Shannon – Weaver: tr. it. 6.
I fatti e la loro messa in scena: due casi di informazione televisiva a confronto
12
Come possiamo vedere questo modello propone una situazione comunicativa
abbastanza semplice. La fonte dell’informazione emette un messaggio che viene codificato
in un segnale attraverso un apparato trasmittente. Il segnale viaggia attraverso un canale,
lungo il quale può essere disturbato da un rumore e arriva ad un apparato ricevente che
provvede a decodificarlo rendendolo disponibile al destinatario.
In questo processo il contenuto informativo rimane sostanzialmente identico dalla
fonte al destinatario poiché le operazioni di codifica e decodifica del trasmittente e del
ricevente sono attività inverse ma equivalenti. Ciò è reso possibile da una comunanza di
codice che rimane lo stesso in tutto l’arco comunicativo permettendo una manipolazione
univoca del messaggio che non lascia spazio ad eventuali errori di codifica e decodifica.
I problemi che il modello pone sono veramente pochi. Se si considera il rumore
come un semplice accidente tecnico che può essere ridotto con un affinamento dei supporti
tecnologici usati, il messaggio non trova alcuna resistenza significativa nell’atto
comunicativo. E la semplicità astrattiva con cui le varie parti trovano una loro coerenza
all’interno dello schema non fa altro che sostenere e giustificare questa supposta linearità
della comunicazione; il modello informazionale trova la propria attendibilità più nei
problemi che riesce a evitare che in quelli che riesce a risolvere: i complessi e variegati
aspetti della comunicazione umana (sia essa mediata o in una situazione di compresenza)
risultano in questo modello fortemente semplificati e ridotti a uno schema in sé troppo
lineare e meccanico per rappresentare efficacemente il mondo della significazione.
Fonte di
informazione
Trasmittente Ricevente
Rumore
Destinatario
Segnale
1. Il quadro teorico di riferimento
13
1.1.2. Il modello semiotico-informazionale
Il problema affrontato con la formulazione di un nuovo modello comunicativo è
stato quello inerente alla significazione.
Il modello informazionale, riconducendo ogni tipo di situazione comunicativa allo
schema usato per la comunicazione tra macchine, appiattiva l’importanza del significato
sul significante. Il segnale funzionava come un semplice stimolo che in modo automatico
veniva codificato e decodificato lungo il suo percorso lungo il canale. Il messaggio, in
questo caso, non andava oltre la propria manifestazione fisica, inducendo una risposta nel
momento della sua decodifica, ma non producendo un fenomeno di significazione.
Con l’introduzione del modello semiotico-informazionale, invece, la situazione
comunicativa cambia radicalmente. L’idea del messaggio come semplice espressione
significante viene a cadere nel momento in cui si suppone all’interno dello schema un
destinatario umano. Dice Umberto Eco in proposito:
Quando il destinatario è un essere umano (e non è necessario che la fonte sia
anch’essa un essere umano, purché essa emetta un segnale secondo regole note al
destinatario umano), siamo al contrario in presenza di un processo di significazione, purché
il segnale non si limiti a funzionare come semplice stimolo ma solleciti una risposta
INTERPRETATIVA sul destinatario (Eco 1975: 19).
L’aspetto della significazione umana inizia ad essere preso seriamente in
considerazione e si concretizza nel modello semiotico-informazionale che riportiamo qui di
seguito
5
:
5
Parziale rielaborazione dello schema presente in Wolf 1985: 124.
I fatti e la loro messa in scena: due casi di informazione televisiva a confronto
14
Come si può vedere il modello informazionale viene arricchito di nuovi elementi
che lo rendono meno scontato. Perde importanza il rumore come disturbo fisico del segnale
e vengono portati in primo piano i codici e i sottocodici usati nella codifica e nella
decodifica. Il loro funzionamento è ben diverso rispetto al modello precedente. Se prima
rimaneva sostanzialmente inalterato lungo tutto l’arco comunicativo grazie all’uniformità
di codice usato, ora il messaggio può essere modificato nel momento della decodifica a
causa di una diversità di codice tra la fonte e il destinatario. Ma non è solo la pluralità dei
codici in gioco nella comunicazione a distinguere i due modelli: è l’essenza stessa del
codice a cambiare. Se nel modello informazionale era solamente un sistema di
corrispondenze in grado di organizzare degli elementi sul piano dell’espressione, nel
modello semiotico-informazionale il codice diventa una regola di significazione in grado di
stabilire delle correlazioni tra elementi significanti ed elementi significati.
I vari codici rappresentano quindi delle regole di competenza ed interpretazione che
possono non essere comuni all’emittente e al destinatario del messaggio: in questa
difformità di codice il modello individua la possibilità di una distorsione del messaggio che
in alcuni casi può risultare notevolissima. La distorsione può rivelarsi talmente pesante da
provocare non solo un cambiamento del messaggio ma addirittura un’interpretazione
contraria al senso originario. Nozioni su cui non ci intratterremo come effetto boomerang,
Codice usato
dal destinatario
Messaggio
emesso come
significante
Destinatario Messaggio
ricevuto dal
destinatario
Messaggio
ricevuto come
significante
Sottocodici
Fonte di
informazione
Codice usato
dalla fonte
Sottocodici
1. Il quadro teorico di riferimento
15
decodifica aberrante, comunicazione sistematicamente distorta e guerriglia semiologica si
rifanno tutte alla distorsione indotta dall’adozione di diversi codici
6
.
Prima di chiudere la descrizione di questo modello è necessaria un’osservazione. Se
nel modello informazionale la distorsione del messaggio era limitata e comunque limitabile
da un perfezionamento del supporto fisico, nel modello semiotico-informazionale la
difformità di codice tra emittente e destinatario è data quasi come inevitabile. E qualora ci
sia comunanza di codice (che può essere data dalla comune accettazione del significato
denotativo di un termine) si potrebbero avere differenze nei sottocodici (che potrebbero
essere rappresentate dai diversi significati connotativi del termine stesso).
1.1.3. Il modello semiotico-testuale
È nel modello semiotico-testuale che il testo viene posto al centro del processo
comunicativo. Se nel modello precedente era il messaggio ad esaurire nella sua semplicità
ogni tipo di considerazione sul contenuto della comunicazione, con il nuovo modello si
cerca di dar conto di una serie di constatazioni emerse nello studio dei mass media.
Vediamone alcune:
il destinatario non riceve un singolo messaggio, bensì un insieme di
messaggi;
i codici usati per l’interpretazione dei messaggi non sono completamente
espliciti e strutturati. I codici non sono delle grammatiche ordinate ma si
presentano come pratiche e competenze interpretative di cui il destinatario
molte volte non ha coscienza;
i messaggi ricevuti dal destinatario non sono molto spesso tra loro
distinguibili o scindibili a scapito dell’alterazione del loro significato.
L’introduzione del concetto di testo ha fatto sì che si potesse rispondere con uno
strumento adeguato a queste nuove esigenze teoriche. In particolar modo la nozione di
testo ha portato ad una maggiore elasticità concettuale. Se il messaggio dava l’idea di una
unità espressiva unica e monolitica il testo si presenta come una sostanza sfumata,
6
Per una completa trattazione del concetto di decodifica aberrante rimandiamo a Eco – Fabbri 1978
e Wolf 1985.
I fatti e la loro messa in scena: due casi di informazione televisiva a confronto
16
flessibile, sia sul piano dell’espressione che su quello del contenuto. Sul piano
dell’espressione la materia testuale può assumere svariate forme: possono ad esempio
coesistere all’interno dello stesso testo sia il linguaggio visivo che quello musicale
7
. Sul
piano del contenuto il significato testuale non risulta mai completamente chiaro e
determinato. Il testo è, come lo definisce Eco (1979), un meccanismo pigro, in sé non
compiuto, che trova l’attualizzazione del suo significato nel momento dell’interpretazione
da parte del destinatario. Quest’ultimo, utilizzando le sue competenze testuali, agisce sul
testo producendo un significato che può risultare difforme da quello auspicato
dall’emittente. Riportiamo qui di seguito una possibile formulazione di questo modello
comunicativo
8
:
Vedremo in seguito quali sono state le implicazioni e i nuovi problemi aperti
dall’introduzione del concetto di testo. Per ora è importante sottolineare come in questo
modello il contenuto della comunicazione possa essere intrinsecamente ambiguo: il testo
può trovare una difformità di interpretazione non solo a causa di diverse competenze messe
in atto da diversi destinatari ma anche a causa di una sua strutturazione espressiva ambigua
che lo rende particolarmente esposto a plurime interpretazioni. L’univocità del messaggio
dei precedenti modelli poteva essere minata da un diverso utilizzo dei codici interpretativi
da parte del destinatario. In questo caso, invece, il testo si presenta come oggetto ambiguo
in partenza, aperto potenzialmente a più significati.
7
La nozione di testo non è tuttora pacificamente definita all’interno del dibattito semiotico.
L’impossibilità di stabilire con criteri efficaci dove inizia e dove finisce un testo (si pensi ai testi audiovisivi,
in cui più modalità espressive si sovrappongono tra loro sincreticamente) e quali siano le caratteristiche che
fanno di un insieme di segni un’unità testuale impedisce di fornirne una precisa e univoca definizione. Ma, se
da un lato è stata causa di dibattiti all’interno del mondo della semiotica, dall’altro questa ambiguità
definitoria ha reso il testo uno strumento sufficientemente flessibile da essere correntemente usato dalle più
diverse correnti semiotiche.
8
Schema costruito sulla base della trattazione riportata in Wolf 1985.
Competenze
testuali
Destinatario Emittente
Competenze
testuali
Testo
1. Il quadro teorico di riferimento
17
1.1.4. Il modello semiotico-enunciazionale
Le basi che erano state poste nel modello precedente con l’introduzione del
concetto di testo all’interno dello schema comunicativo hanno permesso, nel corso degli
anni, un ulteriore sviluppo teorico. Una volta individuato nel testo il nucleo del processo
comunicativo si è passati alla sua esplorazione, cercando di capire la sua struttura interna e
le sue modalità di funzionamento. Si è giunti così alla formulazione di un nuovo modello,
denominato modello semiotico-enunciazionale. Vediamolo qui di seguito
9
:
Premessa essenziale alla lettura di tale modello è l’assunzione di una situazione
comunicativa mediata. L’emittente e l’enunciatario empirici non condividono uno spazio
fisico e non possono quindi entrare in rapporto diretto, come avviene nella comunicazione
“faccia a faccia”. Senza un vero e proprio contatto fisico, sia la produzione del testo da
parte dell’enunciatore, sia la fruizione da parte dell’enunciatario, divengono attività
proiettive: entrambi i partecipanti alla comunicazione proiettano all’interno del testo il
proprio simulacro e quello del partner comunicativo. Da un lato avremo un enunciatore
empirico che, nel produrre il testo, lo organizza prevedendo il suo possibile interlocutore
empirico nei confronti del quale si pone in relazione più o meno esplicitamente. Dall’altro
avremo un enunciatario empirico che nel momento della fruizione proietta la propria
immagine e quella dell’enunciatore all’interno del testo.
Non sempre le due coppie di simulacri proiettate dai due soggetti empirici sono
sovrapponibili: molte volte le previsioni fatte dall’autore empirico vengono disattese
9
Parziale rielaborazione dello schema riportato in Stella 1999: 142.
Enunciatario
empirico
Testo
Simulacro enunciatore
Simulacro enunciatore Simulacro enunciatario
Simulacro enunciatario
Enunciatore
empirico
I fatti e la loro messa in scena: due casi di informazione televisiva a confronto
18
poiché l’enunciatario empirico proietta nell’enunciato dei simulacri diversi da quelli
immaginati nell’atto della produzione. Il destinatario empirico interpreta così in modo
disatteso il testo non obbedendo alle regole testuali proposte dall’autore.
Interessante a questo proposito il contributo teorico di Umberto Eco (1979), che
propone una originale versione dello schema sopra riportato. Innanzitutto Eco concepisce il
testo
10
come un meccanismo pigro, che necessita di un’attualizzazione da parte di un
possibile destinatario per esprimere la propria significazione. L’autore dice in proposito:
Il testo è dunque intessuto di spazi bianchi, di interstizi da riempire, e chi lo ha
emesso prevedeva che essi fossero riempiti e li ha lasciati bianchi per due ragioni.
Anzitutto perché un testo è un meccanismo pigro (o economico) che vive sul plusvalore di
senso introdottovi dal destinatario, e solo in casi di estrema pignoleria, estrema
preoccupazione didascalica o estrema repressività il testo si complica di ridondanze e
specificazioni ulteriori – sino al limite in cui si violano le normali regole di conversazione.
E in secondo luogo perché, via via che passa dalla funzione didascalica a quella estetica, un
testo vuole lasciare al lettore l’iniziativa interpretativa, anche se di solito essere interpretato
con un margine sufficiente di univocità. Un testo vuole che qualcuno lo aiuti a funzionare
(Eco 1979: 52).
Presupponendo l’attuazione da parte di un possibile enunciatario l’autore empirico
istituisce all’interno del testo un’ipotesi di destinatario che Eco chiama Lettore Modello.
L’autore empirico organizza il testo prevedendo non solo il suo possibile interlocutore ma
anche le sue competenze testuali e le sue strategie interpretative. In questa opera di
previsione l’autore si relaziona con il proprio Lettore Modello inserendo se stesso
all’interno dell’enunciato. L’autore proietta all’interno del testo un’intera situazione
comunicativa simulacrale: non solo prevede il proprio enunciatario ma si mette in relazione
ad esso come soggetto più o meno esplicito all’interno del testo. Se l’enunciatario empirico
saprà rispondere positivamente alle previsioni dell’autore sul suo corretto comportamento
interpretativo, il significato potenziale della materia testuale troverà un suo pieno
compimento. Come dice Eco in proposito:
Il Lettore Modello è un insieme di condizioni di felicità, testualmente stabilite, che
devono essere soddisfatte perché un testo sia pienamente attualizzato nel suo contenuto
potenziale (Eco 1979: 62).
10
Nel libro da noi citato Eco (1979) parla specificatamente di testi scritti. In questo caso, viste le
forti analogie tra i concetti usati da questo autore e lo schema da noi riportato e la mancanza di eventuali
contraddizioni teoriche ci sentiamo di estendere la classificazione di Eco a tutti i tipi di testo riguardanti la
comunicazione mediata.