6
Nonostante le difficoltà iniziali e l’opposizione del traduttore di trattare
McLuhan
3
, Mr. Hirasawa ha accettato di buon grado tale scelta interpretativa
e non è stata una sorpresa la sua successiva partecipazione ad una
compilation-tributo a Marshall McLuhan
4
.
Esistono poi delle variabili ambientali e culturali che hanno reso la scelta di
McLuhan una tentazione irresistibile. Lo studioso canadese inscrive la cultura
occidentale (con le sue caratteristiche di separazione oggetto-soggetto,
individualismo, attenzione alla figura piuttosto che allo sfondo) entro
l’impatto
5
del alfabeto fonetico
6
. Particolarmente interessante dunque la
possibilità di confrontarsi con una cultura basata su una scrittura non fonetica,
quale quella giapponese
7
.
L’assenza del brainframe alfabetico, inoltre, dovrebbe
8
permettere ai due
media considerati nel presente lavoro (il computer e l’elettricità, strumenti e
3 Il coordinatore del team di traduzione dal giapponese mi ha fortemente sconsigliato di nominare
esplicitamente McLuhan nella intervista: “At the present, Japanese is critical against McLuhan. His name is
used only to get business money. To prevent Mr.Hirasawa's misunderstanding, would you able to rewrite the question
without McLuhan's name?”. Consiglio non ascoltato.
4
World Wide Kind, ottobre 2000. http://www.groove.nl/cd/g/gr-045.html. Il brano di apertura si basa
sulla voce campionata di Marshall McLuhan.
5
Si noti che il termine “impatto”, particolarmente caro ai deterministi, è particolarmente significativo
per le presupposizioni implicite a cui spesso si accompagna: racchiude l’intera responsabilità di un
processo nel subitaneo presentarsi di una nuova tecnologia, in sé già dotata di una precisa identità.
Studiosi non deterministi preferiscono impiegare il termine “influenza”.
6
E dei tre media correlati: lo spazio euclideo, la prospettiva e la stampa a caratteri mobili hanno come
presupposto lo spazio astratto, visivo prodotto dall’alfabeto fonetico.
7
Il processo di occidentalizzazione, con relativa esposizione al medium fonetico, è avvenuto solo di
recente e in tempi rapidissimi, producendo notevoli fratture culturali intergenerazionali. Molto
interessante il commento del coordinatore del team giapponese di traduzione, Shinji Miyoshi: “Yes, for
our Japanese, individualism is a Occidental invenction. At the first of 20 century, many Japanese scholars visited to UK,
and they encountered a Occidental invenction. Most of young Japanese people are individualistic.”.
8
Almeno stando all’ultimo McLuhan: Marshall McLuhan e Bruce B. Powers, Il Villaggio Globale, 1989
Oxford University Press
7
temi
9
centrali della produzione di Hirasawa) di palesare effetti differenti
rispetto alla realtà occidentale.
Da non dimenticare inoltre l’importanza attribuita da questa corrente di
pensiero al ruolo dell’artista: per McLuhan solo l’artista
10
– rivolgendo
un’attenzione particolare ai sensi e alla percezione – è in grado di percepire gli
effetti ambientali delle tecnologie; per De Kerckhove
11
“gli artisti attuali sono le
punte coscienti di un grande iceberg sonnambulistico
12
”. McLuhan nutriva inoltre una
particolare stima nelle capacità degli orientali di percepire i cambiamenti
introdotti dai media:
L'orientale si oppone alla tecnica e alle
innovazioni poiché ha un'acuta coscienza del
loro potere magico di trasformare il mondo
dell'uomo.
13
9
Il computer è lo strumento cardine della produzione musicale. L’elettricità è, nella produzione di
Hirasawa, persino un tema centrale. Da notare che di recente Hirasawa compone musica unicamente
avvelendosi di energia solare e i suoi concerti “silenziosi” sfruttano accumulatori fotovoltaici per
alimentare le cuffie date in dotazione al pubblico.
10 “Because inherent in the artist's creative inspiration is the process of subliminally sniffing out environmental change. It's
always been the artist who perceives the alterations in man caused by a new medium, who recognizes that the future is the
present, and uses his work to prepare the ground for it”. Marshall McLuhan, "The Playboy Interview: Marshall
McLuhan", Playboy Magazine, March 1969
11 Universalmente riconosciuto erede spirituale di McLuhan: “Mi piacerebbe che le persone che potrebbero sentirsi
in qualche modo a disagio nel vedere tanti riferimenti alla sua opera in questo libro comprendessero che ho meno timore di
essere accusato di servilismo che non di scrivere qualcosa non all’altezza della sua eccezionale visione del mondo”,
Derrick de Kerckhove, BRAINFRAMES. MENTE, TECNOLOGIA, MERCATO, Baskerville,
Bologna 1993.
12 Intervista a De Kerckhove rilasciata a Telema, a cura di Chiara Sottocorona,
http://www.fub.it/telema/TELEMA6/DeKerck6.html
13
Intervista a Marshall McLuhan rilasciata a Pierre Babin e pubblicata il 29 Gennaio 2003 (sic!) su
L’Avvenire. Reperibile nella rassegna stampa di swift, il sito italiano dedicato alla filosofia:
http://lgxserver.uniba.it/lei/rassegna/030129k.htm
8
Alla luce di ciò, l’utilizzo di questa costellazione teorica appare
particolarmente indicata nel confrontarci con l’artista giapponese Susumu
Hirasawa e la sua opera.
Ciò ovviamente non implica che sia impossibile utilizzare altri strumenti
teorici né che non si sia coscienti dei limiti e dei pericoli – di per sé evidenti –
di tale prospettiva teorica.
Riguardo alle modalità di svolgimento del lavoro di ricerca, si è coinvolto
l’autore nell’interpretazione della propria produzione tramite un’intervista
svolta via mail.
Se da un lato lo strumento telematico ha negato quelle sfumature che solo la
compresenza fisica permette di rilevare, dall’altro ha dato all’intervistato un
maggior tempo per esercitare la propria riflessività (5 mesi).
Piuttosto che ingabbiare Hirasawa in un rigido scheletro prefissato di
domande si è preferito optare per una struttura flessibile: numerosi scambi di
e-mail con poche domande, approfondendo di volta in volta le risposte
dell’intervistato (che ha esercitato pienamente il suo potere di focalizzazione
tematica, indirizzando l’intervista nelle direzioni più significative
nell’interpretazione della propria opera).
Le principali difficoltà incontrate in fase di ricerca sono di natura linguistica e
culturale: le risposte di Hirasawa – rilasciate in giapponese – hanno richiesto
9
un processo di traduzione particolarmente delicato, data la polisemanticità
14
delle lingue orientali, il soggetto astratto dell’intervista e la sensibilità artistica
di Hirasawa. Per minimizzare i rischi di misunderstanding si è costituito un
team di 4 traduttori (3 di origine giapponese, 1 di origine britannica). Da
sottolineare, in tutta onestà, che spesso ho dovuto fare i conti con la tendenza
a leggere una cultura diversa dalla mia attraverso un’ottica occidentale. Anche
qui il team di traduzione ha rivestito un ruolo importante di
contestualizzazione culturale, fornendo sempre utili e interessanti spiegazioni.
In fase di stesura ci si è confrontati con un problema metodologico che chi
scrive di McLuhan non può nemmeno sperare di evitare. Si sarebbe voluto
argomentare attraverso sicuri nessi logici e causali, con un preciso prima e
dopo e una netta distinzione tra causa ed effetto, secondo un procedere
assolutamente lineare. Tutte caratteristiche tipiche della scrittura scientifica
occidentale a cui – secondo una certa scuola di pensiero – qualsiasi lavoro
accademico, sia pure la modesta tesi di uno studente, deve conformarsi.
Il problema è che con McLuhan il linguaggio e la logica che espone il
problema diventano parte del problema stesso! La suddivisione tra ipotesi e
tesi, le categorie kantiane stesse di causalità e di tempo sarebbero il prodotto
storico di una precisa tecnologia, prodotto che avremmo reificato al punto da
considerarlo naturale. Anzi, come analizzato successivamente, gli stessi
14
“La trascrizione fonetica sacrifica mondi di significato e di percezione presenti in forme come i geroglifici e ideogrammi
cinesi” da Marshall McLuhan, “Gli strumenti del comunicare”, Arnoldo Mondatori Editore S.p.A, Milano,
1964, pag 93.
10
concetti di “natura” e di “naturale” sarebbero “determinati” da un dato
brainframe.
Si comprenda il paradosso, per dirla con McLuhan, di “affrontare un
problema tipico dell’emisfero destro
15
” come nel nostro caso il problema
dell’arte elettronica “servendosi delle tecniche e delle modalità di cognizione
dell’emisfero sinistro” quali l’analisi e i lineari nessi causali, il che è
decisamente “paragonabile a ballare il tip-tap incatenati!”
16
.
Proporre un’analisi secondo le tradizionali strutture d’esposizione avrebbe
significato ricomporre, riordinare e, in ultima analisi, travisare le
considerazioni originali di McLuhan e la risonante complessità dell’oggetto
d’analisi
17
. Quindi, evitando eccessive tassonomie si è preferito procedere
conservando in parte quel incedere al limite della metafora
18
che costituisce la
caratteristica più visibile e la base metodologica più significativa della galassia
McLuhan.
15
Per McLuhan, “Il compito dell’artista è quello di riferire sulla natura dello sfondo analizzando le forme
di sensibilità scaturite da ogni nuovo sfondo, o modalità culturale, molto prima che l’uomo comune
abbia il sospetto che qualcosa sia cambiato”. Noi non ci accorgiamo degli ambienti nei quali siamo
immersi come il pesce del famoso aforisma non è cosciente dell’acqua. Solo l’artista è in grado di
comprendere e portare in primo piano (figura, elemento cognitivo tipico dell’emisfero sinistro) ciò che
noi non vediamo o diamo per scontato (sfondo, elemento cognitivo tipico dell’emisfero destro).
Marshall McLuhan e Bruce B. Powers, Il Villaggio Globale, 1989 Oxford University Press. Nell’edizione
Sugarco a pag. 24.
16
Ibidem, pag. 25.
17
Susumu Hirasawa, che nel nostro caso è anche soggetto e interprete di se stesso!
18
“Il ruolo della metafora è di elevare lo sfondo celato alla sfera della sensibilità. [...] Le tecnologie sono
metafore”. Ibidem, pag. 28.