II
il nome di “globalizzazione”. Così è nato il mio interesse per le vicende della
crisi Argentina, al punto che questa tesi doveva riguardare esclusivamente quel
particolare evento. Inoltre, non potevo restare indifferente al fatto che un’area
potenzialmente ricca di risorse come l’America Latina fosse stata ciclicamente
martoriata per anni da devastanti crisi finanziarie, apparentemente inevitabili. Ciò
mi ha portato a volerne indagare le ragioni. Così, col tempo, addentrandomi
sempre più in tali problematiche, il mio interesse per l’Argentina si è trasformato
in un’attrazione per le “crisi” in generale. Proseguendo nel mio percorso, ho
potuto vedere come la crisi Asiatica abbia esteso i propri effetti all’intero mondo
finanziario, colpendo anche Paesi “lontani” come Brasile e Russia. Dopo il
default Russo e il crollo (scongiurato solo all’ultimo) del Long-Term Capital
Management Fund negli Stati Uniti, sembrava veramente possibile un effetto
domino che coinvolgesse l’intero sistema finanziario mondiale. La crisi Asiatica
e le sue conseguenze “globali” hanno svelato la realtà che, in un mondo
economicamente integrato, la prosperità e il benessere in Paesi “lontani” possono
creare opportunità ovunque, ma ha anche evidenziato che l’instabilità in
un’economia lontana può creare incertezza e fragilità in casa propria. Il successo
di un singolo Stato può arricchire altri Stati, ma allo stesso modo i suoi errori
possono colpirli duramente.
Quindi, il primo dato che si può trarre dagli eventi dell’ultimo decennio è
l’esistenza di una interdipendenza sovranazionale che deriva da una sempre
maggiore integrazione dei commerci e dei mercati dei capitali.
Tutto ciò ci porta a sottolineare la crescente importanza di una “governance”
efficace, sia a livello nazionale che transnazionale. La concezione tradizionale
del conflitto tra “il governo” e “il mercato” può, per molti versi, apparire non
veritiera. Un’economia di mercato ha, infatti, bisogno di una gamma di funzioni
di cui i mercati, per loro stessa natura, non possono dotarsi autonomamente, tra i
quali strutture legislative, educazione, reti di sicurezza sociale, e altre ancora,
III
che solo i governi possono assicurare in modo efficace. Inoltre, in un mondo di
Nazioni sovrane, anche se sempre più temi acquisiscono una natura
multinazionale – pensiamo al commercio e ai mercati dei capitali appunto, alle
problematiche ambientali, al terrorismo e ad alcuni temi riguardanti la salute
pubblica ( la SARS ne è un esempio) – tuttavia possono essere affrontati
efficacemente solo dai singoli Governi. In questo senso, globalizzazione non
significa che i governi nazionali contano di meno perché le forze esterne
dell’economia mondiale limitano il loro potere. L’idea che mi sono fatto,
lavorando a questa tesi, è di segno differente; l’impatto potenziale dei problemi
di un singolo Paese sugli altri dimostra che i governi Nazionali contano eccome.
Tuttavia altrettanto conta la risposta dei mercati dei capitali globali alle politiche
economiche nazionali, siano esse buone o cattive.
Un altro punto importante riguarda il fatto che, quando comincia a svilupparsi
una crisi di fiducia e i capitali cominciano a lasciare un Paese, non bastano né il
denaro né nuove riforme economiche da sole a risanare la situazione: sono
ambedue necessari. I Governi devono implementare programmi di riforma
coraggiosi per convincere i creditori e gli investitori – sia stranieri sia nazionali –
che “restare” nel Paese è nel loro interesse, perché crescita e stabilità
ritorneranno. In molti casi, fare questo significa affrontare debolezze croniche
diventate ormai insostenibili, come la fragilità del sistema bancario o la
corruzione. Inoltre, governo e autorità monetarie devono stabilizzare i tassi di
cambio e i tassi di interesse a livelli “tranquillizzanti” per i risparmiatori,
nazionali e stranieri, rendendoli fiduciosi riguardo ai rendimenti futuri. Anche le
istituzioni internazionali, come il Fondo Monetario Internazionale, sono
necessarie perché una risposta efficace alle crisi finanziarie deve combinare il
supporto per politiche economiche forti con un sufficiente sostegno finanziario
per dare a queste politiche il tempo di dare risultati e di creare fiducia. Questo
IV
permetterà, nel frattempo, ai governi di sostenere programmi essenziali, tra cui
reti di sicurezza sociale per proteggere gli strati più poveri della popolazione.
Infine, l’ultimo punto su cui vorrei attirare la vostra attenzione è che gli
“strumenti” oggi disponibili per fronteggiare una crisi finanziaria non sono
moderni come i mercati: le risorse e le abilità analitiche degli esperti del Fondo
Monetario Internazionale e della Banca Mondiale, l’impegno da parte dei governi
del G-8, la capacità di molti Stati nel mondo di cooperare, in caso di crisi, sono
riusciti finora a tenere sotto controllo il disordine nei mercati finanziari
internazionali, ma non in quelli emergenti. In particolare, poiché il Fondo
Monetario Internazionale è stato fondato circa sessant’anni fa, con l’obiettivo di
promuovere la stabilità in un mondo a cambi fissi nel quale il commercio dei
beni, e non i movimenti di capitale, dominavano l’economia internazionale, ci si
può domandare se sia riuscito ad adeguarsi alle sfide poste dalla globalizzazione
dei mercati.
Difficile dare una risposta. L’unica certezza è che ancora molto deve essere fatto
nell’ambito dell’architettura finanziaria globale, e il processo sarà complesso e di
lunga durata.
Gli avvenimenti di quest’ultimo decennio e di questo primo scorcio di nuovo
millennio, dalla crisi Messicana, passando per quella Asiatica, arrivando oggi a
quella Argentina, ci lasciano con un senso di forte insicurezza di fronte alla
imprevedibilità del mercato dei capitali. Devono farci, inoltre, riflettere su quanti
danni esse abbiano provocato alla gente comune. Non va, poi, dimenticato
quanto siamo stati vicini, nel 1997, ad una crisi finanziaria di dimensioni globali.
Robert Rubin, ex-segretario del Tesoro Americano, ha detto che “i mercati
finanziari sono guidati dalla natura umana e, per questo, hanno la propensione
all’eccesso”. Questo significa che crisi finanziarie periodiche sono virtualmente
inevitabili. Capire cosa è successo l’ultima volta può aiutarci a prevenire e a
rispondere in modo più efficace in futuro.
V
Questa tesi vuole, quindi, essere un microscopico tentativo di “capirci di più” su
quanto è accaduto negli anni ’90 in America Latina. Nel Capitolo 1 viene
presentato un quadro generale della situazione economica (ma non solo) dei
Paesi dell’America Latina: gli anni ‘90 dovevano essere il decennio della riscossa
dopo il decennio perduto, ma le aspettative hanno tradito ; infatti, prima il
Messico, poi il Brasile hanno dovuto fronteggiare due crisi economiche. Il nuovo
millennio si è poi aperto con una nuova crisi che ha colpito l’Argentina. Nel
capitolo 2 intitolato “Il sistema finanziario” si comincia ad andare più a fondo nei
problemi economico-finanziari “cronici” che affliggono i Paesi dell’area. Nel
Capitolo 3 viene studiato un recente modello di Labàn/Larraìn che ci aiuta a
capire cosa è accaduto all’inizio degli anni ’90 quando i principali Paesi
dell’America Latina sono diventati dei catalizzatori di capitali stranieri. Si vedrà,
soprattutto, come sia difficile fermare il flusso di capitali quando esso comincia a
diventare “eccessivo”. Si traggono poi alcune conclusioni di politica economica.
Nel Capitolo 4 ci si chiede se, nella determinazione dei flussi di capitali
dall’estero, contino di più fattori “interni” al Paese “ricettore” oppure fattori
esterni, indipendenti dalla volontà del governo nazionale. L’analisi è corredata da
uno studio empirico di Vittorio Corbo e Leonardo Hernandez, due economisti
della Banca Centrale Cilena. Nel Capitolo 5 si è effettuato un lavoro di ricerca di
dati macroeconomici sui Paesi in via di sviluppo, in particolare su quelli
latinoamericani. Attraverso il commento di questi dati, si è provato a disegnare
un possibile scenario a breve per l’America Latina. Infine, nel Capitolo 6, si
espone quella che può diventare una possibile nuova tendenza della letteratura
economica sulle economie emergenti chiedendosi, in particolare, se nei paesi
emergenti abbia ancora senso porsi come obiettivo primario di politica
economica la scelta del regime di cambio. Seguiranno le considerazioni finali.
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CAPITOLO 1 : IL QUADRO GENERALE
1.1 INTRODUZIONE: DAL 1990 A OGGI
Quello attuale non è forse il periodo peggiore vissuto dai paesi dell’America Latina ma è
certamente molto difficile poterlo considerare come uno tra i migliori. La regione ha
attraversato un altro decennio di crescita lenta. Le crisi sembrano essere divenute ancora più
frequenti, con le conseguenze della crisi Argentina particolarmente gravi ancora oggi. La
povertà diminuì durante la prima metà degli anni’90 per poi riprendere la sua crescita dal
1997. La crescita dell’occupazione è agonizzante. Gli investimenti in quest’area sono
diminuiti rispetto agli anni’70. L’economia mondiale vive una fase di stagnazione, i prezzi
di molti beni di prima necessità, di recente, hanno raggiunto il livello più basso degli ultimi
anni, e i mercati emergenti sembrano essere “fuori moda” per gli investitori. In molti paesi
c’è una sfiducia crescente nei propri leaders politici che, fortunatamente, non si è tramutata
in sfiducia nei confronti del sistema democratico.
Certo, il pessimismo potrebbe apparire eccessivo. Non va dimenticato, infatti, che la crescita
economica è tornata ad essere una realtà in America Latina solo nella prima metà degli
anni’90,fino a quando un nuovo ciclone di crisi economiche e finanziarie ha travolto la
regione. L’inflazione, il più grande nemico dei poveri, è stata domata. Le statistiche ci
dicono, inoltre, che progressi nell’ambito sociale, misurati nello specifico dal grado di
longevità, alfabetizzazione e mortalità infantile, sono continuati anche durante la decade
delle crisi debitorie (gli anni ’80) e gli anni’90. (vedi Tabella 1.1)
Ma andando oltre le statistiche, i popoli dell’America Latina hanno certamente il diritto di
sentirsi delusi dal decennio appena trascorso che non ha mantenuto le promesse e le
speranze che erano state accese all’inizio degli anni’90, quando ci si aspettava che le
riforme economiche avrebbero riportato la regione su un sentiero virtuoso di crescita
economica che avrebbe presto avvicinato i “living standards” dell’area a quelli dei paesi
industrializzati. I primi due anni di questo nuovo secolo non hanno registrato alcun
2
incremento netto nell’ “output” della regione, di gran lunga il peggior risultato dal biennio
1982-83 ,coincidente con l’inizio della fase di crisi debitorie.
Oggi chi vive e lavora nei paesi dell’America Latina vuole sapere cosa è andato storto, e
vuole una nuova agenda di riforme economiche con l’obiettivo di correggere le debolezze
del passato.
Tabella 1.1 Statistiche sociali per Paesi Emergenti, 1960-2000 (fonte World Bank)
Nazione
O Regione
Tasso di Alfabetizzazione
(percentuale)
Aspettativa di vita
(anni)
Mortalità Infantile
(ogni mille nati vivi)
Argentina
Brasile
Cile
Colombia
Messico
Perù
Venezuela
America Latina
E Carabi
Est-Asiatico e Pacifico
Europa e Asia
Centrale
Medio Oriente e
Nord Africa
Sud Asiatico
Africa Sub-Sahariana
Paesi in via di sviluppo
1970 1980 1990 2000
93 94 96 97
68 76 81 85
88 82 94 96
78 84 89 92
75 82 78 91
72 80 86 90
76 84 89 93
74 80 85 88
55 68 79 86
94 95 96 97
30 42 54 65
32 39 46 55
28 38 50 62
53 62 69 75
1960 1970 1980 1990 2000
65 67 70 72 74
55 59 63 66 68
57 62 69 74 76
57 61 66 68 72
57 62 67 71 73
48 54 60 66 69
60 65 68 71 73
56 61 65 68 70
39 59 64 67 69
-- -- 68 69 69
47 52 58 64 68
44 49 54 59 62
40 44 48 50 47
44 55 60 63 64
1960 1970 1980 1990 2000
60 52 35 25 17
114 95 71 48 32
113 77 32 16 10
97 70 41 30 20
93 73 51 36 29
141 108 81 54 32
79 53 36 25 19
105 84 61 41 29
131 79 57 44 36
-- -- 41 28 20
165 134 98 56 43
163 139 119 87 73
164 138 116 103 91
143 108 88 67 59