IV
La nuova esigenza di coniugare la dimensione dell’economicità con quel-
la della socialità, pone l’impresa di fronte alla necessità di trovare un metodo
per rendere visibile il nuovo orientamento etico. In mancanza di una normativa
che disciplini la materia sono stati creati modelli e linee guida nazionali e inter-
nazionali che cercano di standardizzare la rendicontazione socio-ambientale per
rendere possibile un confronto di tali documenti nel tempo e nello spazio.
Nel secondo capitolo si affronta l’importanza di comunicare i risultati
dell’agire tramite comportamenti socialmente corretti, nella consapevolezza che
il bilancio sociale non è l’unico strumento utilizzabile a tal fine. Per aumentare
la notorietà e l’immagine del proprio marchio e prodotto, il mondo dell’impresa
si avvicina a cause di ordine sociale, adotta codici etici di condotta, promuove
iniziative di raccolta fondi da destinare ai paesi del terzo mondo. Parallelamente
ad un consumatore più responsabile l’azienda sembra divenire più altruista.
Nel terzo capitolo si esaminano le origini e il ruolo della rendicontazione
integrativa, vengono mostrati alcuni modelli di bilancio sociale, descritte le sue
funzioni, i suoi destinatari, vengono inoltre presentate delle linee guida per la
redazione di rapporti ambientali sviluppate dalla Fondazione ENI Enrico Mattei
e infine, viene illustrata la più recente e completa iniziativa di standardizzazione
dei report di sostenibilità promossa dal Global Reporting Iniziative.
Infine, il quarto capitolo espone il caso aziendale di Granarolo S.p.A per
evidenziare come i diversi modelli di rendicontazione siano stati utilizzati in una
realtà imprenditoriale. L’attenzione verrà posta in particolare sui seguenti a-
spetti: profilo e modello di business del Gruppo Granarolo, il suo approccio alla
CSR, il ruolo della rendicontazione socio-ambientale nella politica di CSR,
l’analisi del bilancio di sostenibilità 2002.
1
CAPITOLO 1
L’AFFERMAZIONE DELLA CSR COME STRUMENTO DI
COMPETITIVITA’ TRA LE AZIENDE
1.1 IL MUTAMENTO DELLO SCENARIO SOCIO-ECONOMICO CON-
NESSO ALLA GLOBALIZZAZIONE
“Il crollo del muro di Berlino prima e dell’Unione Sovietica poi, ha reso
evidente quanto da anni era già chiaro agli osservatori più attenti: che i sistemi
capitalistici, basati sulla proprietà privata dei fattori di produzione e sull'alloca-
zione delle risorse e del prodotto regolate dai mercati, erano di gran lunga più ef-
ficienti e più innovativi, e perfino più capaci di alzare il livello di vita delle classi
più deboli, rispetto ai sistemi comunisti, fondati sulla proprietà pubblica delle
imprese e sull’uso della pianificazione centralizzata come meccanismo di coordi-
namento dei processi economici.
Gli anni successivi hanno confermato questa verità storica e hanno, inol-
tre, mostrato che i sistemi comunisti non sono stati superiori nemmeno là dove
avrebbero dovuto eccellere: la protezione dell’ambiente e la creazione delle con-
dizioni per lo sviluppo delle persone”
1
.
Alla luce della superiorità del capitalismo nel promuovere il benessere e-
conomico e sociale, si è accentuata nel mondo la tendenza a sostituire i sistemi di
pianificazione centralizzati e burocratici con meccanismi di scelta decentrata re-
golati dai mercati.
1
Demattè C., L’impresa schiacciata fra pressione dei mercati e la responsabilità sociale, Economia
& Management , N. 4, luglio-agosto 2002.
2
Questa propensione si è concretizzata in un insieme d’interventi – libera-
lizzazioni, privatizzazioni, apertura delle frontiere – che hanno concorso alla glo-
balizzazione, all’intensificazione della concorrenza, all’indebolimento degli Stati
nazionali nel controllo della dinamica delle proprie economie sempre più condi-
zionate da forze di mercato sopranazionali. Le imprese, sottoposte alla forte pres-
sione competitiva, sono state costrette a reagire e sono diventate le protagoniste
del progetto di rinnovamento, assumendo un ruolo centrale nel sistema economi-
co e sociale. Questo cambio di marcia le ha costrette a rivedere non solo i propri
sistemi operativi e gestionali, ma anche a modificare i cardini attorno ai quali ar-
ticolare le scelte strategiche.
Agli inizi degli anni 70, Milton Friedman, cofondatore assieme a George
Stigler della celebre scuola di Chicago, ed entrambi Premi Nobel dell’economia,
poteva scrivere: “il vero dovere sociale dell’impresa è ottenere i più elevati pro-
fitti (ovviamente in un mercato aperto, corretto e competitivo) producendo così
ricchezza e lavoro per tutti nel modo più efficiente possibile”
2
.
A sua volta, una tale affermazione era la diretta conseguenza di un pensie-
ro compiuto che, precedentemente, Friedman aveva esposto in una delle sue o-
pere più note: “Capitalism and Freedom”. Il messaggio era chiaro: l’unica legit-
timazione, etica e sociale ad un tempo, del fare impresa è operare per massimiz-
zare il profitto nel rispetto delle regole del gioco di mercato.
Altrettanto chiara era la giustificazione di una proposizione così impegna-
tiva: poiché il profitto è un indicatore sintetico di efficienza (allocativa), massi-
mizzare il profitto significa fare il miglior uso possibile di risorse e quindi opera-
re, in ultima istanza, per il bene comune (creare cioè ricchezza e lavoro per tutti).
Sotto tali condizioni, catena del valore economico e catena del valore sociale fi-
niscono col coincidere. In tale contesto assumono rilevanza sia la critica alla glo-
balizzazione sia la crisi dei mercati finanziari
3
.
2
Friedman M., Capitalism and Freedom, Chicago University Press, Chicago, 1962, pg.133.
3
Sacconi L., Un contratto sociale per l’impresa , in Etica per le produzioni, Milano, 2003.
3
a) La critica alla globalizzazione: molti di coloro che simpatizzano con i movi-
menti di critica alla “globalizzazione” non lo fanno perché, come ciecamente
accade per alcuni attivisti, siano contrari alla formazione di un sistema di op-
portunità di scambio e di relazioni economiche a livello globale; essi piutto-
sto, non credono che i mercati globali siano di per sé condizione sufficiente
per la diffusione equa della ricchezza e la massimizzazione del benessere.
A tale scopo, secondo tale impostazione, occorrerebbero istituzioni, sia per il
funzionamento del mercato (definizione dei diritti di proprietà a tutela delle
parti, contratti abbastanza chiari ed articolati, informazione e capacità contrat-
tuale non troppo diseguale, imposizione dei contratti e dei diritti), sia per
l’accesso dei singoli al mercato (istituzioni che provvedano a “beni principa-
li” come istruzione, salute, sicurezza, previdenza sociale contro le carestie e la
povertà, protezione contro le calamità naturali, in grado di garantire alle per-
sone le capacità senza le quali non possono prendere parte attivamente né alla
società, né al sistema degli scambi).
In mancanza di queste istituzioni il mercato non funziona adeguatamente co-
me meccanismo di allocazione delle risorse e troppo pochi sono coloro che
hanno accesso alla ricchezza (che quindi non genera tanto benessere quanto
potrebbe). Efficienza ed equità dovrebbero essere simultaneamente custodite
e garantite da un insieme appropriato di istituzioni. E’ vero che strutture glo-
bali di questo tipo, in grado di regolare le transazioni internazionali e le eco-
nomie in via di sviluppo, a tutt’oggi non esistono.
D’altra parte è anche vero che con ciò non si intendono solo istituzioni giuri-
diche (imposte con la forza della legge) ma anche semplici convenzioni socia-
li e regole di condotta, che costituiscono la trama istituzionale soggiacente a
un mercato che funzioni appropriatamente.
Ecco perché si chiede alle imprese trans-nazionali di assumersi la responsabi-
lità sociale di agire “come se” queste istituzioni esistessero.
4
b) La crisi dei mercati finanziari: fattori scatenanti e amplificatori di fiducia nel-
la Borsa di New York sono stati, certamente, la scoperta che alcuni soggetti
di dubbia qualificazione abbiano sfruttato sistematicamente il loro vantaggio
informativo nei confronti degli azionisti per attuare politiche di bilancio, col-
ludere con gli auditor, i revisori dei conti e con consulenti finanziari; il tutto
in conflitto d’interessi con gli azionisti.
Se le imprese manipolano i dati e trasmettono segnali devianti rispetto al loro
stato e alle loro prospettive, esse inducono i mercati in errore, con il rischio di
“effetti domino”
4
che possono assumere dinamiche e intensità imprevedibili.
4
Dal principio su cui si basa il funzionamento del noto gioco del domino, deriva che l’effetto do-
mino si ha quando un determinato evento produce una serie consequenziale di altri eventi ad esso
connessi e collegati in un rapporto di causa-effetto, con un conseguente e gravoso danno comples-
sivo. Può esserne un esempio eclatante il caso del crollo dei mercati dopo la bolla speculativa sul-
la nuova economia e con il caso Enron.
5
1.2 LA NASCITA DELLA RESPONSABILITA’ SOCIALE QUALE “LI-
CENSE TO OPERATE”
Oggi, nel tempo della società post-fordista, la generazione del profitto
continua ad essere condizione necessaria ma non sufficiente, perché l’impresa
possa dirsi legittimata agli occhi della società civile. La maggior parte degli stu-
diosi di etica d’impresa, o business ethics, condivide il concetto secondo il quale
l’impresa debba sviluppare una nozione di economicità che, superando gli stecca-
ti della teoria classica della massimizzazione del profitto, incorpori obiettivi di
natura umanistico-ambientale con l’impiego di un efficace strumento come la
partecipazione; in questo modo si potrà parlare di nozione etica di economicità,
in funzione della quale valutare la responsabilità sociale dell’impresa
5
. È da con-
dividere l’opinione secondo cui il problema della responsabilità sociale
dell’impresa non consiste, infatti, nel riparare i danni in qualche modo cagionati
alla società, o nel riparare quei danni che giovano ai propri interessi o ancora
nell’implementare azioni filantropiche, e così via; quanto, piuttosto, nel porsi il
problema delle interrelazioni esistenti tra i propri scopi, le proprie strutture e la
propria organizzazione e gli scopi, le strutture e l’organizzazione degli altri sog-
getti del sistema sociale considerato nella sua globalità. Occorre distinguere il
contenuto della responsabilità sociale dagli strumenti che garantiscono la morali-
tà del comportamento, come la regolazione giuridica esterna, l'autoregolamenta-
zione o la creazione di una cultura etica d’impresa. Detti strumenti costituiscono
il sistema etico di riferimento ed in base a quest’ultimo si giudica il contenuto
della responsabilità sociale. In merito all’efficacia degli strumenti citati, il mi-
gliore sembra essere la cultura d’impresa; tuttavia essa richiede un notevole di-
spendio di tempo, perciò sembra talvolta preferibile impiegare strumenti
d’immediato effetto (leggi, accordi privatistici a livello d’associazione di catego-
5
Al termine responsabilità sociale è assegnata una pluralità di significati, in quanto il suo contenuto
deve essere rapportato al sistema di valori umani presenti in un certo luogo e in un certo periodo
storico.
6
ria, ecc.), che sono meno efficaci, ma stimolano l’interiorizzazione di valori u-
manistico-ambientali. Le relazioni esistenti tra consenso sociale e qualità
dell’economicità inducono a ricercare soluzioni “culturali” innovative, che co-
niughino il lato competitivo con quello sociale. E’ ormai accertato e ampiamente
documentabile che la valutazione che il mercato dà di un' impresa dipende anche
– e talvolta in buona misura – dalla cosiddetta “corporate social performance”
(CSR), ossia dalla capacità dell’impresa di realizzare investimenti socialmente
responsabili in grado di attribuirle quella legittimazione sociale di cui l’impresa
ha oggi bisogno per competere con successo. Si stima che negli USA, gli inve-
stimenti socialmente responsabili abbiano raggiunto il 10% circa di quelli com-
plessivi
6
.
Anche l’Europa , soprattutto la Gran Bretagna, si è posta da qualche anno
sulla medesima scia, e ciò a partire dalla presa d’atto che le imprese che non in-
vestono in asset immateriali (come la reputazione, la congruenza delle azioni ri-
spetto al giudizio etico corrente, il prestigio sociale) vengono sistematicamente
sanzionate dal mercato. Tale fenomeno può trovare spiegazione in tre ragioni
principali
7
. Si tratta di ragioni che valgono a farci comprendere come quello della
“corporate social responsibilty”, vale a dire della responsabilità sociale
dell’impresa, non sia un fenomeno passeggero legato ad una qualche moda cultu-
rale, ma qualcosa di permanente destinato a connotare di per sé il comportamento
globale dell’impresa globale nel nostro futuro.
La prima ragione è connessa con una vera e propria novità emergente: la
responsabilità sociale del consumatore-cittadino. Si tratta del fatto che la figura,
ormai superata, del consumatore come ricettore passivo delle proposte che gli
vengono dalla produzione, va cedendo il passo ad un soggetto che vuol sì con-
sumare, ma in modo critico.
6
Il Corporate Social Responsability Monitor è la più importante indagine condotta a livello interna-
zionale sui temi della responsabilità sociale delle imprese. Viene realizzata annualmente in 25 Pae-
si dagli istituti facenti parte del network Environics di cui Eurisko è il rappresentante italiano.
(Corporate Social Responsibility Monitor 2002, Seminario Eurisko, 23 gennaio 2003).
7
Zamagni S., Della responsabilità sociale d’impresa, saggio pubblicato sul sito
www.bilanciosociale.it
7
Ciò significa che, con le sue decisioni d’acquisto e, più in generale, con i
suoi comportamenti, il consumatore intende contribuire a “costruire” l’offerta di
quei beni e servizi di cui fa domanda sul mercato. Non gli basta più il celebrato
rapporto qualità-prezzo; vuole sapere come quel certo bene è stato prodotto e se
nel corso della sua produzione l’impresa ha violato, in tutto o in parte, i diritti
fondamentali della persona che lavora
8
.
Seconda ragione: la delocalizzazione delle imprese. Oggi, in tempi in cui i
mercati di riferimento dell’impresa diventano sempre più globali, può accadere –
come le cronache puntualmente confermano – che produrre profitto non equival-
ga, necessariamente, a produrre benessere diffuso. In questo modo, la tradiziona-
le logica di legittimazione dell’impresa, secondo la quale la generazione di pro-
fitto era fonte di benefici sociali, cessa d'essere credibile e, dunque, creduta.
Di qui la richiesta implicita, emergente dalla società, che le imprese riveli-
no all’esterno, avvalendosi di tanti strumenti a loro disposizione – il bilancio so-
ciale, il bilancio ambientale, il cause-releted marketing, la comunicazione media-
tica e non – il modo specifico in cui si esprime la loro responsabilità nei confronti
di tutti gli “stakeholder” e non solamente degli shareholder
9
.
8
Si prenda il caso della multinazionale Nike. Dopo che alcune associazioni di consumatori avevano
denunciato lo scandalo del lavoro minorile sotto pagato in India e in Pakistan, il titolo Nike preci-
pitò dai circa 66 dollari dell’agosto del 1997 ai 39 dollari del gennaio del 1998, e ciò in conse-
guenza ad una ben orchestrata campagna di boicottaggio (esperienze analoghe sono capitate alla
Rebook e alla Nestlè). Recenti indagini di mercato (come la CSR Monitor 2002, e le indagini con-
dotte dall’ISPO – Istituto per gli Studi sulla Pubblica Opinione – nel giugno 2003) hanno eviden-
ziato che l’80% dei consumatori europei sia propenso a favorire lo sviluppo di imprese impegnate,
in qualche modo e in qualche misura, nel sociale. Il 72% dei consumatori italiani intervistati ha di-
chiarato che sarebbe disposto a pagare un prezzo più elevato per i beni che acquistano se avessero
certezza (e garanzie) che le imprese in gioco siano sottoposte a certificazione sociale (del tipo
SA8000) oppure si siano impegnate in iniziative socialmente rilevanti. (Klein N., No Logo, Baldini
& Castaldi, 2000, Milano).
9
Il bilancio sociale è un documento integrativo di comunicazione e di valutazione dell’aspetto so-
ciale dell’attività aziendale; serve per calcolare, rappresentare, comunicare e controllare i risultati
sociali; si utilizza, inoltre, per programmare la strategia e gli obiettivi sociali; il cause-related mar-
keting (ossia il marketing legato ad una buona causa), è un’attività commerciale, in cui le impre-
se, le organizzazioni nonprofit o le cause di utilità sociale formano una partnership al fine di pro-
muovere un’immagine, un prodotto o un servizio, traendone reciprocamente vantaggio; fra gli
strumenti di comunicazione utilizzati si segnalano: campagne media sui giornali, tv ecc; sponsoriz-
zazioni di iniziative; convegni, seminari pubblici; finanziamento organizzazioni nonprofit etc.
8
Terza ragione: a causa dei pervasivi fenomeni di asimmetria informativa
e di incompletezza contrattuale, è sempre più difficile per il management control-
lare l’operato dei propri collaboratori e dipendenti e i comportamenti opportuni-
stici. Ebbene parecchie storie di successo indicano che, la responsabilità sociale
dell’impresa è il più potente dei modi attraverso cui l’impresa si crea una reputa-
zione e dunque è in grado di utilizzare a proprio vantaggio il meccanismo della
persuasione nei confronti di tutti coloro che in essa operano
10
.
10
Si pensi – per restare nel nostro paese- ad imprese come la COOP, la Merloni, la Henkel Italia, la
catena Naturasì, la società Autostrade, la Telecom, la Granarolo S.p.A. si tratta d’imprese che uti-
lizzano i vari strumenti della rsi, in special modo del bilancio sociale e il bilancio di sostenibilità,
per primo adottato dalla Granarolo- sia per rivedere il modello organizzativo della governance a-
ziendale, sia per avviare un ripensamento radicale circa il modo di fare impresa oggi. In particolar
modo, circa il modo di favorire i processi di creazione e diffusione della conoscenza, sia tacita sia
esplicita, all’interno dell’organizzazione. Dati rilevati dalla consultazione di vari siti internet:
http://www.trenitalia.it; http://telecomitalia.it/investor-relation/documenti-finanziari/ind;
http://www.merloni.com/it/; etc.
9
1.3 L’EVOLUZIONE DEI CRITERI DECISIONALI DI SCELTA DEI
MERCATI E L’AFFERMAZIONE DELLA CSR
L’evoluzione volontaria dei nuovi criteri di responsabilità sociale non
comporta un’aggiunta – opzionale e in superficie – ai processi fondamentali
dell’impresa, bensì significa incidere in profondità sull’insieme dei suoi modelli
di gestione. La responsabilità sociale delle imprese ha una lunga tradizione, ma
diversamente dal passato si assiste al tentativo di gestirla strategicamente come
contributo volontario allo sviluppo sostenibile, di riconoscerla come una compo-
nente essenziale della propria identità e di sviluppare un insieme di strumenti a-
deguati nei confronti delle imprese da parte dei cittadini, degli investitori, delle
istituzioni.
L’impresa avrebbe bisogno di dotarsi di un approccio strategico che defi-
nisca un criterio di bilanciamento e fornisca un punto di equilibrio tra i molteplici
interessi e le legittime pretese dei diversi stakeholder. Tale orientamento è basato
su un modello di gestione dell’impresa fondato sull’idea di un “contratto socia-
le”
11
equo ed efficiente tra l’impresa e i suoi stakeholder. Il contratto sociale è
una pietra di paragone; esso non è un contratto reale ma un contratto ideale
12
.
L’idea del contratto sociale si fonda su un principio di giustizia in base al quale è
giusto ciò che gli individui razionalmente e consensualmente accettano in modo
unanime. Per realizzare un accordo equo è necessario che gli interessi di tutti sia-
no presi in considerazione, che tutti siano informati e non ingannati, che nessuno
abbia subito o debba subire forza o costrizione e che tale accordo sia raggiunto
volontariamente mediante l’esercizio della razionalità.
Le motivazioni che spingono ad agire conformemente al criterio di re-
sponsabilità etica e sociale, contenuto nel contratto sociale dell’impresa, fanno
leva sugli effetti di reputazione: la reputazione è una risorsa/investimento tra le
11
Un’idea che, dopo essere stata diversamente ripresentata da filosofi ed economisti come Rawls,
Gauthier, Buchanan e Binmore, altri hanno cercato di applicare anche all’etica d’impresa.
12
Sacconi L., Un contratto sociale per l’impresa, in Etica per le produzioni, Milano, 2003.
10
più importanti dell’impresa poiché è la base dei rapporti di fiducia grazie ai quali
tutte le transazioni con l’impresa si svolgono efficacemente, abbassando i costi di
contrattazione e di governo. Per un’impresa avere reputazione equivale ad affer-
mare che i suoi stakeholder hanno fiducia in un trattamento equo delle loro legit-
time aspettative. La teoria economica, in particolare i modelli di teoria dei giochi
ripetuti, hanno analizzato e descritto come la reputazione nasca da:
- un meccanismo determinato da un’interazione ripetuta tra stakeholder ed
impresa;
- l’osservazione del comportamento dell’impresa;
- l’aggiornamento delle credenze dello stakeholder sull’impresa nel corso
del tempo
13
.
Solo se la reputazione supera un livello ritenuto soddisfacente dallo stake-
holder, questi avrà un atteggiamento cooperativo verso l’impresa. Il meccanismo
della reputazione ha inizio se esiste un commitment dell’impresa nei confronti
degli stakeholder e se questo è, in un certo grado, verificabile ed osservabile. Il
premio del meccanismo della reputazione è l’aumento della reputazione stessa e
questo è anche il fattore che rende credibile il commitment. Inoltre, gli effetti di
reputazione possono tramutarsi in un fattore di vantaggio competitivo per le im-
prese, sui mercati e nei rapporti con le organizzazioni pubbliche
14
: se un’impresa
è ritenuta capace di rispettare gli impegni assunti i suoi stakeholder la preferiran-
no ad altre.
Nelle transazioni semplici, caratterizzate da scambi immediati, è meno
difficoltoso verificare la qualità di un’impresa, valutarne la correttezza nei com-
portamenti e conseguentemente registrare una crescita o perdita della sua reputa-
zione. I rapporti con l’impresa sono caratterizzati da una crescente complessità,
incertezza e imprevedibilità, che attraverso i semplici rapporti contrattuali o le
leggi non possono essere disciplinati.
13
La teoria della contrattazione è una branca consolidata della teoria dei giochi, che fu iniziata dal
matematici John Nash (premio Nobel dell’economia assieme a Reinard Selten e John Harsanyi).
14
Ad esempio, negli appalti come condizione di preferenza o criterio aggiuntivo di qualificazione da
valutarsi nell’assegnazione dell’appalto.
11
Nelle più frequenti transazioni complesse, soggette ad eventi imprevisti,
di fronte ai quali i contratti mostrano la loro incompletezza, e caratterizzate da in-
formazione asimmetrica tra le parti, spesso la verifica della qualità è possibile so-
lo in un secondo momento (experience good) o addirittura impossibile (credence
good) ed anche la determinazione di una crescita o perdita di reputazione da parte
dell’impresa è incerta
15
. Il meccanismo degli effetti di reputazione da solo non è
sufficiente, l’impresa dovrebbe chiarire:
– il suo impegno nei confronti di tutti i suoi stakeholder;
– i principi decisionali a cui intende ispirare le proprie azioni nelle interazioni
strategiche con gli stakeholder;
– rendere conto di quanto fatto e della coerenza con gli impegni dichiarati, in
modo da rendere osservabile e verificabile a tutti il suo comportamento.
Gli strumenti a disposizione dell’impresa per comunicare un commitment
credibile e verificabile sono: l’introduzione di un Codice etico aziendale,
l’attuazione del codice etico attraverso la formazione e il controllo/auditing, il
controllo esterno da parte degli stakeholder, le attività di reporting periodico, la
certificazione indipendente. L’etica d’impresa ridurrebbe così l’ambiguità, la va-
ghezza e l’arbitraria discrezionalità nei casi in cui i contratti e le leggi sono trop-
po rigidi, inadeguati o semplicemente muti. In questo senso l’etica rappresenta
una risorsa addizionale per l’impresa e ne accresce il valore.
Ciò spiega perché l’impresa ha interesse ad adottare strumenti di respon-
sabilità sociale; ad es. dall’attuazione di un codice etico dipende la reputazione
dell’impresa, e quindi, la disponibilità degli stakeholder a proseguire relazioni
cooperative con l’impresa stessa. In altri termini: quanto maggiore è la comples-
sità della transazione, maggiori sono i rischi di abuso temuti dagli stakeholder e
maggiore è la preoccupazione dell’impresa per la propria reputazione, tanto più
15
Sacconi L., Q-RES: Strumenti e linee guida per il management etico sociale dell’impresa, Dipar-
timento di Economia, Università di Trento, 2002.
12
grande e avvertita l’importanza dell’etica d’impresa come elemento di governo
dell’impresa stessa e delle relazioni con i suoi interlocutori esterni
16
.
Tale tendenza ha avuto espressioni diverse sui differenti contesti culturali
e legali nazionali e si è rafforzata grazie alle esperienze innovative che per prime,
hanno sviluppato e fatto propri gli strumenti di responsabilità etico-sociale
d’impresa: il codice etico, il bilancio sociale, il community investing, l’attività di
social and ethical accounting, auditing and reporting. Inoltre, il ruolo crescente
che le imprese vengono assolvendo, nello sviluppo economico e nella vita sociale
e politica, rende evidente l’importanza di uno standard di qualità della responsa-
bilità etica e sociale d’impresa. Diventa quindi necessario il disegno dei sistemi
di gestione rivolti ad assicurare la CSR
17
.
Anche nel nostro Paese si è voluto offrire un contributo a tale processo
dando vita ad un gruppo costituito dal “Centre for Ethics Law & Economics”
18
,
centro di ricerca dell’Università C. Cattaneo di Castellanza, e da un gruppo
d’imprese, società di consulenza ed associazioni nonprofit che, convinti della
necessità dell’etica d’impresa, hanno dato avvio al Progetto Qualità-RES
19
,.
Il Progetto Q-RES ha lo scopo di definire e sviluppare un modello di qua-
lità della responsabilità etico-sociale d’impresa, osservabile e certificabile, in
grado di raggruppare coerentemente diversi strumenti e fornire criteri di misu-
16
La consapevolezza di tutto questo ha portato all’affermarsi, nel ultimo decennio, di forme di “ac-
countability” delle imprese verso gli stakeholder stessi.
17
Nel dibattito internazionale, in parte riassunto ma anche rilanciato dal “Green paper” della Com-
missione Europea, stanno emergendo tentativi di standardizzazione di un sistema di qualità per la
CSR.
18
Il CELE è il centro di ricerca dell’Università Cattaneo di Castellana, Varese, diretto dal Prof. Lo-
renzo Sacconi, che pone al centro della propria ricerca le norme morali, giuridiche e sociali che re-
golano l’economia e sono essenziali per promuovere la razionalità e l’efficienza economica e al
contempo per garantire alle istituzioni dell’economia – e in particolare al sistema delle imprese- la
necessaria legittimità morale e sociale.
19
I partecipanti al Progetto Q-RES (Qualità-Responsabilità Etico-Sociale): ABI, AIIA, AIOCI,
BOSCH-REXROTH, CERTIQUALITY, Consorzio CGM, Confersercenti, COOP ADRIATICA,
COOP consumatori NORDEST, ENEL, Fondazione italiana Accenture, HAY GROUP, KEN-
DRION, LINDT, PWC, UNICREDITO, UNIPOL. Project Partners: SCS AZIONINNOVA, SO-
DALITAS, TRANSPARENCY INTERNATIONAL ITALY.
13
razione e valutazione della qualità della performance etica e sociale delle impre-
se
20
.
Gli strumenti di gestione per la CSR previsti dal Progetto Q-RES sono:
1. visione etica d’impresa: non una semplice affermazione della missione pro-
duttiva, ma una visione del contratto sociale che l’impresa offre ai suoi sta-
keholder, vale a dire, del bilanciamento equo tra i loro interessi;
2. codice etico: è un documento contenente un insieme di principi etici, valori
fondamentali e regole generali di condotta che definiscono i diritti e i doveri
dei collaboratori verso l’impresa e guidano le relazioni dell’impresa con gli
stakeholder;
3. formazione etica: l’attività di formazione etica in azienda è l’insieme delle
attività che sviluppano e adeguano nel tempo la capacità di riconoscere,
analizzare e risolvere dilemmi etici a livello organizzativo attraverso stru-
menti concettuali filosofici, economici, giuridici, organizzativi; essa si ri-
volge ai collaboratori dell’azienda, in primo luogo ai responsabili decisiona-
li, per comunicare e creare condivisione attorno ai valori e ai principi del
codice etico aziendale;
4. rendicontazione etico-sociale: attività di public reporting (bilancio sociale,
social report, bilancio di sostenibilità, ecc.) con i quali l’impresa comunica
periodicamente all’esterno una misurazione dell’impatto sociale, ambientale
ed economico delle proprie attività, e una valutazione dei risultati ottenuti in
relazione agli impegni assunti, ai programmi realizzati e agli effetti prodotti
sui diversi stakeholder; i modelli di riferimento: GRI (rendicontazione di
sostenibilità; AA1000 (coinvolgimento degli stakeholder) e in Italia GBS
(bilancio sociale e calcolo del Valore Aggiunto);
20
La missione del Progetto è promuovere una visione dell’impresa basata sul contratto sociale con
gli stakeholder attraverso la definizione di un nuovo standard di qualità, certificabile a livello in-
ternazionale, della responsabilità etico-sociale d’impresa, che ne tuteli la reputazione e
l’affidabilità.