2
volte programmi e materie per aggiornarsi secondo l’evoluzione economica e, soprattutto, 
industriale. La permeabilità del Maic alle pressioni delle esigenze economiche, e la riforma con la 
quale Gentile tentò di ridurre l’istruzione professionale a educazione di secondo piano, rafforzarono 
oltremodo l’incisività degli interessi industriali nel plasmare un settore, nel quale scuole vere e 
proprie convissero con corsi pratici.  
Anche la Dalmine fu piuttosto attiva nel settore, costituendo due scuole, prima di quella interna per 
gli apprendisti. Una si rivolse ai ragazzi diplomati dalle scuole elementari, l’altra sorse dopo la 
Grande Guerra, come opera sociale e strumento di preparazione della manodopera.  
Le scuole aziendali, tuttavia, risposero a finalità, che andavano al di là della pura qualificazione 
degli operai: rivolgendosi, per lo più, a giovani lavoratori, intendevano formarne la mentalità, oltre 
che le capacità lavorative. Erano scuole dell’azienda per l’azienda. La Scuola Apprendisti della 
Dalmine fu particolarmente impegnata non solo nel preparare operai, ma anche nell’educare 
uomini, contando su un clima politico favorevole e su istituzioni, che posero in primo piano il 
rispetto per la gerarchia sociale, e l’attitudine alla disciplina. Proprio quei valori, che la formazione 
interna alle imprese cercò di trasmettere, anche se con finalità tutte interne alle esigenze produttive. 
Tali esigenze furono di avere a disposizione lavoratori ben preparati, ma affidabili, perché 
pienamente partecipi della mentalità aziendale. 
Proprio per mettere in luce quella continua commissione tra pubblico e privato, che caratterizzò la 
scuola professionale, il primo capitolo della presente ricerca è dedicato alle vicende dell’istruzione 
professionale tra il 1860 e la seconda guerra mondiale, in cui il settore subì diversi cambiamenti in 
linea con i concreti sviluppi economici. Nel secondo capitolo si esaminano, invece, le vicende della 
Dalmine, mettendone in luce l’impegno non solo produttivo, ma anche sociale, concretizzatosi, oltre 
che in una serie di opere assistenziali per i dipendenti, anche, come detto, in due scuole 
professionali, che prepararono la strada alla Scuola Apprendisti del 1937. Inoltre verranno 
esaminate le posizioni sulle scuole professionali di due manager, che sentirono come strategico 
l’impegno per la competenza dei lavoratori, anche di livello basso: Agostino Rocca, amministratore 
delegato di Ansaldo e Dalmine, e Ugo Gobbato, ideatore, quest’ultimo, di quella Scuola Allievi 
Fiat, che divenne un punto di riferimento per istituzioni analoghe, nonché fondatore di una 
istituzione analoga anche presso l’Alfa Romeo. Il terzo capitolo mostra, invece, quali convinzioni 
stessero alla base della Scuola Apprendisti della Dalmine, che intese formare uomini davvero 
dell’azienda, e non solo lavoratori. Per questo la struttura scolastica interna si configurò con i 
caratteri del ‘vivaio’ di lavoratori, cercando di mantenere separati gli allievi dal luogo di 
produzione, e riproducendo, nell’officina della Scuola, una sorta di fabbrica ideale. Infine, nel 
quarto capitolo verrà mostrato il concreto funzionamento della Scuola Apprendisti, ma anche 
 3
l’evoluzione delle iniziative formative della Dalmine verso un “centro di istruzione professionale”. 
Molta importanza assunsero via via, proprio i corsi interni, più pratici, e meno ambiziosi della 
Scuola, nonché la scuola di avviamento professionale, creata per essere al servizio della Scuola 
Apprendisti, e che continuò a funzionare anche quando, nel 1948, le strategie dell’azienda 
decretarono la fine della Scuola Apprendisti fino al 1958.  
Questa ricerca si basa, essenzialmente, su una parte del poderoso fondo archivistico, che raccoglie i 
documenti sulle attività scolastiche della Dalmine, ed è conservato presso la Fondazione Dalmine. 
Si è inoltre cercato di valorizzare una letteratura teorica sulle scuole apprendisti finora 
sostanzialmente non considerata, e che proprio in Pietro Ruffoni e, soprattutto, in Luigi Ricca trovò 
interessanti esponenti.    
 
 
 4
 
CAPITOLO  1 
   
L'ISTRUZIONE PROFESSIONALE INDUSTRIALE IN ITALIA 
DALL'UNIFICAZIONE AL 1945. 
 
1.1  L'istruzione professionale in Italia nelle leggi dal 1859 al 1900. 
 
La legge Casati
1
 fu emanata nel 1859 dal governo del Regno Subalpino dei Savoia. Estesa a tutto il 
territorio italiano man mano che esso veniva unificato sotto la monarchia sabauda, costituì la legge 
fondamentale della scuola italiana
2
 per più di sessant'anni, cioè fino alla riforma Gentile del 
1923/24, con la quale il fascismo, dopo aver preso il potere (1922), riorganizzò la scuola secondo le 
idee di Giovanni Gentile, ministro della Pubblica Istruzione. 
La Casati escluse l'istruzione professionale dalle competenze della Pubblica Istruzione, e un decreto 
del 1861 (n.347) la affidò alle cure del ministero di Agricoltura, Industria e Commercio. 
Quest'ultimo mantenne tali competenze fino al 1929. Questa scelta fu dovuta alla concezione della 
scuola professionale, e dell'istruzione professionale in genere, come 'speciale': sostanzialmente la 
scuola del lavoro fu considerata incapace di svolgere un ruolo educativo e formativo, viste le sue 
finalità utilitaristiche
3
. Inoltre il ministero economico, che fu incaricato di sopraintendere 
all'istruzione professionale, fu ritenuto più vicino alle esigenze economiche delle diverse zone 
produttive, che condizionavano fortemente modalità e caratteristiche delle diverse scuole pratiche.
4
 
A livello legislativo, tuttavia, le iniziative furono davvero ridotte, anche da parte di questo 
ministero, almeno fino all'inizio del XX secolo: due circolari, indicate con il nome dei due ministri 
che le fecero emanare, Cairoli nell'ottobre 1879, e Miceli nel gennaio 1880.
5
  
                                                 
1La legge fu denominata così da Gabrio Casati (1798-1873) ministro dell'Istruzione nel 1859-1860.Fu emanata 
senza discussione parlamentare, in virtù dei  pieni poteri conferiti al governo Cavour, impegnato nella conduzione 
della seconda guerra d'Indipendenza (1858-1860).   
2
 La Casati prevedeva l'obbligatorietà scolastica solo per i primi due anni della scuola elementare, che era gratuita. 
Le elementari duravano però quattro anni, ed erano completamente gratuite. Dopo le elementari erano previste 
diverse opzioni. Il corso di studi classici durava otto anni, suddivisi tra ginnasio (cinque anni) e liceo (tre anni), e 
dava accesso a tutte le facoltà universitarie. Per il ramo tecnico erano previsti la scuola tecnica (tre anni), e 
l'istituto tecnico (tre anni). La scuola normale doveva preparare i futuri maestri. 
3
 Su questo punto, vedi Aldo Tonelli, L'istruzione tecnica e professionale nelle strutture e nei programmi da 
Casati ai giorni nostri, Milano, Giuffrè, 1964, pp. 8-10. 
4
 A.Tonelli, L'istruzione tecnica e professionale, cit., p. 9 
5
 A.Tonelli, L' istruzione tecnica e professionale , cit., p. 59 
 5
La circolare Cairoli confermava alle scuole professionali lo status di autonomia organizzativa del 
quale avevano goduto fino allora: consigli direttivi, composti da rappresentanti degli enti 
concorrenti alla spesa di mantenimento delle scuole stesse, le avrebbero amministrate e avrebbero 
scelto gli insegnanti, di preferenza tra i residenti del luogo, al fine di non spendere troppo negli 
stipendi. Dal canto suo, il governo avrebbe approvato statuti, regolamenti, programmi, e avrebbe 
concorso alle spese di mantenimento in misura dei due quinti, versati alla provincia, ente 
individuato come il più idoneo al sostegno delle scuole professionali. La circolare prevedeva che le 
scuole fossero sottoposte a ispezioni, e che gli eventuali sussidi sarebbero stati sospesi in caso di 
inadempienze. Il provvedimento di Miceli, dal canto suo, dava istruzioni sull'ordinamento delle 
scuole professionali, sui modelli di organico e i programmi per gli insegnamenti di tecnologia. Alle 
circolari si aggiunse un decreto del 1885, con il quale furono distinti tre tipi di scuole professionali: 
le scuole d'arti e mestieri, le scuole d'arte applicata all'industria e le scuole speciali. Le scuole d'arti 
e mestieri prevedevano corsi a svolgimento diurno o serale, feriale o festivo. Dovevano fornire agli 
operai giovani e adulti nozioni di scienza applicata all'industria e ai mestieri, che essi aspiravano ad 
esercitare, o già esercitavano. Le scuole d'arte applicata all'industria intendevano diffondere tra 
operai e artigiani il gusto dell'arte nell'industria, grazie all'insegnamento del disegno applicato.  La 
differenza tra i due tipi di scuola stava nella prevalenza degli insegnamenti industriali all'interno dei 
programmi della scuola d'arti e mestieri. Le scuole speciali, infine, erano scuole d'arti e mestieri, 
che impartivano insegnamenti scientifici applicati, e furono denominate 'speciali' perché indirizzate 
a specifici mestieri o professioni
6
. 
                                                 
 
6
 Cfr. A.Tonelli, L'istruzione tecnica e professionale, cit.,  pp. 60-61   
 6
1.2 Le prime iniziative per l'istruzione industriale e artigiana in Lombardia nell'800. 
 
I provvedimenti di cui abbiamo appena parlato mettono in luce come in materia di istruzione 
professionale le iniziative attuate da enti, come comuni, provincie o Camere di Commercio, da 
associazioni di privati, da singoli filantropi, e da istituzioni religiose ebbero un ruolo fondamentale. 
Del resto il regolamento Mamiani per la legge Casati concesse a comuni e provincie la facoltà di 
aggregare alle diverse sezioni degli istituti tecnici quelle scuole di perfezionamento che ritennesero 
più adeguate alle condizioni dell'economia locale, sancendo una tradizione di iniziative locali ormai 
abbastanza consolidata
7
.  
Rispetto all'istruzione professionale industriale aprirono la strada le regioni italiane, che furono 
precocemente interessate dalla prima rivoluzione industriale nella prima metà dell'800. Tra di esse 
si distinse la Lombardia, nella quale le iniziative a carattere laico e quelle sostenute da religiosi e 
religiose, si divisero il settore dell'educazione al lavoro. Non è questa la sede per ripercorrere le 
vicende che hanno determinato lo sviluppo industriale della Lombardia, soprattutto nella prima 
metà dell'800 in merito alla questione educativa possiamo dire che lo sviluppo industriale, e in 
generale quello economico, portarono con sé un duplice ordine di problemi: il precoce avviamento 
al lavoro di bambini, o comunque di minorenni di entrambi i sessi, rese difficile la loro frequenza 
delle scuole elementari, le scuole cioè destinate a impartire la cultura di base. Tuttavia, l'impiego di 
bambini e ragazzi era imposto dai ritmi elevati di sviluppo, soprattutto industriale, e dalla precaria 
situazione economica delle famiglie, e non era una novità già in agricoltura.
8
  
                                                 
7
 Cfr. A.Tonelli, L'istruzione tecnica e professionale, cit., p.10. Il regolamento prese il nome da Terenzio Mamiani 
della Rovere, ministro della pubblica istruzione che lo fece promulgare.  
8
 Secondo un dato fornito da Giuseppe Sacchi (citato da F.Hazon, Storia della formazione professionale in 
Lombardia, Milano, Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura, 1994, pag. 51) in Lombardia il 
numero di fanciulli occupati nelle fabbriche era, nel 1840, di trentottomila. Giuseppe Sacchi, educatore e 
pedagogista milanese, nacque a Milano nel 1804. Fu allievo di G.D.Romagnosi [(1761-1835) , e convinto 
assertore dell'importanza della psicologia come fondamento dei metodi educativi. A Milano promosse l'istituzione 
di asili sul modello di quelli fondati a Cremona da Ferrante Aporti [(1791-1858).Si occupò inoltre di assistenza 
agli ex carcerati e della cura di bambini rachitici, per i quali diede vita ad un istituto di cura a Milano, insieme a 
Gaetano Pini (1873). Lasciò parecchi scritti, tra cui due importanti sulla scuola sperimentale italiana. Morì a 
Milano nel 1891. 
 7
Questa scolarizzazione carente non fu risolta neppure dai provvedimenti del governo austriaco, che 
dominò la Lombardia fino al 1859: nel 1818 il governo imperiale stabilì l'obbligatorietà 
dell'istruzione elementare per ragazzi e ragazze dai sei ai dodici anni ed istituì tre tipi di scuola 
elementare, minori, maggiori e tecniche
9
. In seguito, nel 1843, vietò l'assunzione nelle fabbriche di 
bambini sotto i nove anni, fissò limiti orari per le giornate lavorative dei ragazzi sopra questa soglia 
di età e decise ulteriori provvedimenti per regolamentare maggiormente il lavoro minorile
10
. Dal 
canto suo, quella parte della società lombarda attenta non solo allo sviluppo industriale, ma anche 
alle sue conseguenze sociali, sollecitò iniziative proprio nella cultura di base, anche come 
necessaria premessa a qualsiasi tipo di istruzione professionale. Infatti, per quanto i dati ufficiali del 
governo austriaco fossero particolarmente positivi (nel 1834, 68 per cento di ragazzi e 42 per cento 
di ragazze frequentavano le scuole
11
, i suoi censimenti periodici sul tasso di scolarizzazione 
elementare tenevano conto solo di chi frequentasse le scuole effettivamente e di quanto 
dichiaravano le scuole stesse 
12
. A conferma di una situazione reale non certo soddisfacente anche 
in zone come Bergamo, che dichiarava nel 1834 il 90 per cento di frequenza alle scuole 
elementari,
13
 vengono le notizie relative alle scuole serali e domenicali di insegnamento elementare 
creati circa trent'anni dopo, a partire dal 1860 (quindi a unificazione dell'Italia appena avvenuta), 
dalla Società industriale bergamasca (di cui parleremo tra breve). Queste scuole si rivolsero 
inizialmente ad operai adulti, poi ne furono create per ragazzi e donne nel decennio successivo
14
, 
viste le pressanti richieste.  
                                                 
9
 Le elementari minori vennero istituite per la prima  istruzione di tutti i ragazzi; le elementari maggiori dovevano 
preparare i giovani che volevano prepararsi alle scienze ed alle arti; Le elementari tecniche avrebbero dovuto 
istruire coloro che volevano dedicarsi al commercio ed agli impieghi del settore economico. Solo le elementari 
maggiori e le tecniche furono a carico del governo austriaco, mentre le minori furono a carico dei comuni, col 
risultato che molti comuni rurali non erano in grado di sostenere questo onere.I gradi superiori di scuola 
comprendevano il ginnasio-liceo, che impartiva la cultura classico-umanistica; le scuole reali, che dovevano 
preparare gli alunni ad attività amministrative e commerciali; a Venezia e Milano, i due capoluoghi del regno 
Lombardo Veneto furono costituite le scuole tecniche, dotate di regolamento organico solo nel 1838 e divenute 
scuole reali superiori nel 1851: erano composte di sei classi, di cui il triennio inferiore era denominato scuola reale 
inferiore. 
 Fu creata inoltre una scuola reale inferiore semplificata e ridotta, della durata di due anni: si rivolgeva ai ragazzi 
desiderosi di abilitarsi alla all'esercizio di arti e mestieri. Cfr. F.Hazon, Storia della formazione, cit., pp. 53-58 
10
 F. Hazon, Storia della formazione, cit., p. 50.  
11
 F.Hazon, Storia della formazione, cit., p. 54. 
12
 F. Hazon, Storia della formazione, cit., p.  56.  
13
 F. Hazon, Storia della formazione, cit., p. 57. 
14
 Brunella Valota, “L'istruzione tenuta nei giusti limiti…” La società industriale bergamasca e le scuole 
popolari, in " Studi e ricerche di storia contemporanea ", n.20, novembre 1983, pp. 40-62. La scuola dei fanciulli 
prese il via nel 1876. La scuola per adulti si interruppe nel 1865-66, per il numero sempre minore di alunni dai 
450 iniziali, e riprese nel 1871, rivolgendosi ai maggiori di quattordici anni, per non porsi in alternativa alle le 
scuole elementari pubbliche. Vedi: Gianpiero Fiumi, L'istruzione professionale e tecnica dall'unità al primo 
conflitto mondiale, in Vera Zamagni e Sergio Zaninelli (a cura di), Storia economica e sociale di Bergamo, vol. 5 , 
tomo II, Fra Ottocento e Novecento. Lo sviluppo dei servizi , p 323, Bergamo, Fondazione per la Storia 
Economica e Sociale di Bergamo, 1997. Il saggio si trova alle pagine 319-391.  
 8
Molto spesso gli adulti avevano frequentato le prime due classi obbligatorie delle scuole elementari, 
ma l'impiego precoce nelle professioni industriali e artigiane aveva come cancellato le poche 
nozioni apprese, e mai più riprese nel corso degli anni. D'altra parte, anche la frequenza a queste 
scuole risultava per lo più limitata a coloro che non lavoravano secondo i ritmi  e gli orari di 
fabbrica, che lasciavano un tempo limitatissimo alle attività extra lavorative: le ore della sera, in cui 
si svolgevano le lezioni, erano riservate solo a coloro che erano meno vincolati a turni ed orari 
prestabiliti (agricoltori, ortolani, fabbri, falegnami, muratori)
15
, ma erano, invece, legati, nello 
svolgimento delle loro attività, alla durata delle ore di luce.  
Tornando all'istruzione professionale, il suo rapporto con lo sviluppo economico si può definire 
biunivoco: infatti essa fornisce alla forza lavoro l'abilità necessaria all'introduzione produttiva di 
nuove tecniche e per il loro aggiornamento, quindi può condizionare lo sviluppo. Ma quest'ultimo 
determina capacità lavorative più diffuse, amplia le specializzazioni, provoca più produzione e 
consumo: dunque suscita anche un maggior grado di cultura
16
. Era proprio questo maggior grado di 
cultura a suscitare la preoccupazione degli ambienti più conservatori della borghesia e delle 
istituzioni. La conoscenza consapevole delle basi del proprio mestiere, che poteva essere fornita 
dall'educazione professionale, avrebbe potuto provocare nei lavoratori la progressiva 
consapevolezza del proprio ruolo sociale, determinando una precisa volontà di emancipazione. 
Tuttavia, le posizioni più conservatrici si dovettero confrontare con uno sviluppo economico, e 
soprattutto industriale ormai avviato. L'opinione dei più illuminati, tra i quali, a Milano, si 
distinsero Carlo Cattaneo
17
 e Enrico Mylius
18
  conciliava la necessità di formare maestranze 
preparate in modo da stare al passo con le esigenze tecnologiche e produttive imposte dal mercato e 
                                                 
15
 G.Fiumi, L'istruzione professionale, cit., p. 323.  
16
 Cfr. F. Hazon, Storia della formazione, cit., p. 61. 
15 
 Carlo Cattaneo nacque a Milano nel 1801. Dopo la laurea in giurisprudenza a Pavia nel 1824, divenne uno dei 
pubblicisti e animatori della vita politica e culturale italiana e lombarda, occupandosi soprattutto di scienze 
sociali. Collaborò a "L'Antologia", agli "Annali di Giurisprudenza"(su cui pubblicò Ricerche economiche sulle 
interdizioni imposte dalle leggi civili agli Israeliti, sorta di commento alle legislazioni moderne, nel 1837), al 
"Crepuscolo" di Carlo Tenca e alla "Rivista Contemporanea". Il suo impegno politico ed ideale nel solco della 
pratica illuministica lombarda trovò sbocco soprattutto nella rivista che fondò nel 1839, e diresse per cinque anni: 
"Il Politecnico". In questa rivista Cattaneo e gli altri collaboratori sostennero la causa di una cultura in grado di 
essere sapere concreto, in polemica con la tendenza umanistico retorica che caratterizzava la cultura italiana. 
Interlocutrice privilegiata della rivista fu la borghesia industriale lombarda. "Il Politecnico",chiamò a collaborare 
chimici, fisici, naturalisti, igienisti e medici, ma anche filosofi e storici e letterati e linguisti. Tuttavia il tono 
fondamentale era fornito dai numerosi articoli di Cattaneo, su argomenti letterari, storici, economici e sociali. Nel 
1845 fu nominato segretario della Società d'incoraggiamento alle arti e mestieri. Dopo aver vissuto da 
protagonista le "cinque giornate" di Milano, nel 1848, la sconfitta lo costrinse a trovare rifugio in Svizzera, dove 
maturò appieno il suo repubblicanesimo federalista. Dal 1859 riprese la direzione del "Politecnico", che divenne il 
suo principale organo di espressione.Eletto parlamentare nel parlamento subalpino, non rientrò in Italia (1860), 
per evitare di giurare fedeltà allo Statuto di Carlo Alberto. Visse gli ultimi anni a Castagnole, presso Lugano. Morì 
a Castagnole nel 1869.     
18
 Enrico Mylius (1769-1854) nacque a Francoforte sul Meno, ma si stabilì in giovane età a Milano facendone il 
centro della sua attività di finanziere e mecenate. Fondatore e primo presidente della associazione scelse Cattaneo 
come segretario e relatore della stessa nel 1845 e 1846     
 9
dalla concorrenza internazionale, e la sollecitudine suscitata da un forte senso di giustizia sociale e 
da ideali umanitari
19
. Alcune istituzioni e personalità ecclesiastiche si muovevano in direzione 
simile, mosse, tuttavia, da considerazioni e principi differenti. Per i liberali illuminati era in gioco la 
prospettiva di estendere la conoscenza dei principi del lavoro "moderno" e produttivo a tutti coloro 
che si dimostrassero capaci di recepirli attraverso lo studio compiuto in apposite scuole: appunto, le 
scuole professionali. Oltre ad una crescita delle strutture economiche e produttive, si sarebbe così 
realizzata anche una crescita dell'individuo in grado di elevarsi, non solo professionalmente, grazie 
ad istituzioni create dalla lungimiranza della nascente borghesia industriale lombarda. Nacque 
secondo tali prospettive, a Milano, la Società di Incoraggiamento Arti e Mestieri nel 1838. La sua 
costituzione fu dovuta soprattutto all'opera di Enrico Mylius, animatore del congresso di 
commercianti e industriali che appoggiò il progetto di creare una associazione finalizzata al 
miglioramento della pratica manifatturiera a Milano e provincia. Lo scopo dichiarato 
dell'associazione era di favorire il progresso delle arti industriali e l'istruzione "non solo tecnica", 
ma "civile e morale" dei lavoratori, e di favorire gli studi e la ricerca scientifica applicata. In un 
primo momento la Società si limitò all'assegnazione di borse di studio per coloro che con il lavoro e 
lo studio mirassero ad introdurre miglioramenti tecnici nell'industria chimica e meccanica. Di fatto, 
tuttavia, vennero gratificati con contributi anche operai e capi fabbrica dimostratisi particolarmente 
zelanti. Ma il tempo dimostrò l'insufficienza dei soli contributi economici come stimolo al 
progresso industriale, e la Società decise di erigere scuole di scienze applicate all'industria, la prima 
delle quali fu quella di chimica, finanziata da Mylius, e diretta alla formazione di operai e capi-
fabbrica. Questo fu solo l'inizio di una attività didattica rivolta alla formazione di operai e 
disegnatori, tra cui la scuola serale e festiva di tessitura serica per operai (1844), e i corsi di 
geometria (1845) nucleo della Scuola di Meccanica, fondata nel 1854.
20
  
                                                 
19
 Si vedano le dichiarazioni di Cattaneo citate da F. Hazon, Storia della formazione, cit, pp.61-62, e tratte da "Il 
Politecnico", marzo 1839, pag.264 
20
 F. Hazon, Storia della formazione, cit., pag. 64. Seguirono un "Corso per capomastri" e un "Corso per tintoria" 
(anni '70), la Scuola di Eletttrotecnica (1902), la Scuola Tecnica Superiore, dovuta ad Ettore Conti. Nel '38 
quest'ultima ottenne il riconoscimento del diploma di "perito industriale". Sulle vicende della Società vedi la 
ricostruzione di Carlo G. Lacaita, L’intelligenza produttiva. Imprenditori, tecnici e operai nella Società di 
Incoraggiamento d’Arti e mestieri di Milano (1838-1988), Milano, Electa, 1990.  
 10
Il versante non laico delle iniziative di istruzione professionale trovò un capostipite importante 
nell'Istituto S.Barnaba di Brescia, fondato da Ludovico Pavoni nel 1821.Il suo fondatore, in linea 
con il filantropismo cristiano, vide nel lavoro soprattutto un mezzo per educare cristianamente i 
giovani e avviarli ad una vita dignitosa. Ciò soprattutto in connessione alle difficili condizioni 
sociali della provincia di Brescia. Nei progetti di Pavoni, l'istituto bresciano deve essere per i 
giovani che lo frequentavano famiglia, casa e officina. L'istituto prevedeva scuole per calzolai, sarti, 
falegnami, per fabbri e la scuola per tipografia, prima scuola grafica d'Italia.
21
                  
 
                                                 
21
 F. Hazon, Storia della formazione, cit., p. 70   
 11
1.3 L’educazione al lavoro a Bergamo e in provincia tra 1800 e 1900.  
 
 1.3.1 La Società industriale bergamasca: istruzione ed educazione. 
 
La Società d'incoraggiamento d'arti e mestieri costituì un imprescindibile punto di riferimento
22
 per 
la Società industriale bergamasca. Il sodalizio bergamasco nacque nel 1844 soprattutto per opera 
dell'imprenditore serico Giovan Battista Berizzi, di simpatie mazziniane, il quale, nel 1843, 
all'Ateneo di Bergamo denunciò l'immobilismo delle attività produttive locali, e sostenne la 
necessità di creare una istituzione in grado di riunire le forze imprenditoriali per stimolare 
l'iniziativa privata e favorire l'introduzione dei processi innovativi, che gli sforzi personali dei 
singoli imprenditori non avrebbero realizzato facilmente
23
. Forti erano, non solo su Berizzi, le 
suggestioni suscitate da alcune invenzioni e dall'importazione di macchine, anche in provincia di 
Bergamo, di cui si cominciavano a comprendere uso e applicazioni. Da qui nacque un forte 
interesse per la migliore conoscenza dei processi produttivi.
24
 
Gli inizi della Società non furono facili, soprattutto per motivi politici: la presidenza dei 113 soci 
fondatori fu affidata al conte Pietro Moroni, meno sospetto al governo austriaco di Berizzi. Ma 
questa mossa fu inutile: lo statuto della Società fu più volte fatto ritoccare dalle autorità imperiali, e 
l'autorizzazione all'attività venne solo nel 1847 quando si svolse il primo congresso. Le convulse 
vicende del 1848, e le loro conseguenze ritardarono però l'inizio dell'attività effettiva fino al 
secondo congresso, del gennaio 1856.
25
 Il sodalizio mise, fin dalla fondazione, in programma di 
promuovere l'incremento delle attività industriali e agricole, in città e provincia
26
, e in questo 
programma si inserì anche l'istituzione di scuole per il lavoro, agricolo e industriale: i progetti 
originari dovettero però essere rinviati fino a quando la Società ebbe maggiore libertà d'azione, cioè 
dal 1856 in poi. Ed è specialmente nel campo dell'istruzione pratica e popolare che la Società 
                                                 
22
 Gianluigi della Valentina, Associazionismo, istruzione e industrializzazione. La Società industriale bergamasca, 
in  Id., Terra, lavoro e società. Fonti per la storia del Bergamasco in età contemporanea, Bergamo, Il Filo di 
Arianna, 1984, pp. 111-123. 
B.Valota, “L'istruzione tenuta nei giusti limiti…”, cit., pp. 43-44. 
23
 B. Valota, “ L'istruzione tenuta nei giusti limiti…”, cit., pp. 40-41. G. della Valentina sottolinea come Berizzi, e 
non solo lui, intendessero fare dell'erigenda Società anche un puntello per l'introduzione della tessitura della seta 
in provincia, attività che si era spenta da tempo. Cfr. G. della Valentina, Associazionismo, istruzione, cit., pp. 112 
24
 G.della Valentina, Associazionismo, istruzione, cit, p. 112. 
25
Cfr. G. della Valentina, Associazionismo, istruzione, cit., p. 113.  
B.Valota, “L'istruzione tenuta nei giusti limiti…”, cit., p. 41. Il primo nome della Società fu “Istituto per 
l'istruzione e l'incoraggiamento dell'industria agraria e manifatturiera.” 
26
 Tra le prime iniziative intraprese dalla Società troviamo la costituzione di un museo mineralogico, la 
compilazione di una statistica dei forni fusori delle valli bergamasche, e, soprattutto, nel 1857, la promozione 
della prima esposizione agricolo-industriale della provincia, che però ebbe pochi espositori, a causa delle 
diffidenze ambientali sull'iniziativa. Esiti migliori ebbe la seconda esposizione del 1870, in una situazione 
economica migliore (circa un migliaio di espositori). Numerose, anche se non sempre fortunate anche le iniziative 
in campo agricolo. Cfr. B. Valota, “L'istruzione tenuta nei giusti limiti…”, cit.,  pp.  42-43.  
 12
bergamasca guardò alla Società d'incoraggiamento milanese come un modello, soprattutto quando i 
soci constatarono che le iniziative promosse a Milano potevano essere adottate a Bergamo e 
organizzate in modo da non provocare sconvolgimenti sociali
27
. Infatti, il sodalizio, promuovendo 
le scuole del lavoro, era mosso certamente dalla volontà di educare le maestranze alla conoscenza 
dei procedimenti produttivi più aggiornati, anche per creare un gruppo di operai e capi fabbrica che 
permettesse alla provincia di emanciparsi gradualmente dalla dipendenza di maestranze straniere 
(svizzere e tedesche soprattutto). Inoltre era presente la sollecitudine verso una giustizia sociale, che 
permettesse anche ai lavoratori, attraverso la propria professionalità, di stare al passo con i progressi 
della società civile. Ma a questo legame tra istruzione, tecnologia e giustizia sociale, si 
accompagnava il timore di vedere sovvertiti gli equilibri sociali consolidati, a causa delle possibili 
attese e ambizioni provocate, nelle maestranze operaie, da un maggior livello di conoscenze sul 
funzionamento delle strutture industriali. Dunque, ecco emergere in primo piano un concetto 
parallelo a quello di istruzione: quello di educazione. L'istruzione doveva trasmettere conoscenze e 
'valori'. Le conoscenze dovevano essere solo quelle strettamente necessarie per comprendere le 
evoluzioni dei modi di produzione, evitando di aprire ai lavoratori orizzonti culturali e mentali 
troppo vasti. Mentre i 'valori' da trasmettere consistevano nella virtù e nel dovere, cui l'istruzione-
educazione doveva persuadere gli animi dei lavoratori, e nella consapevolezza, da parte degli 
allievi-lavoratori, della loro 'naturale' collocazione sociale. Le condizioni materiali e morali della 
classe operaia avrebbero potuto migliorare, secondo le convinzioni dei soci della società, solo se 
finalizzate non al danno, ma al vantaggio e all'interesse stesso delle altri classi sociali
28
. Quindi un 
manto di 'paternalismo' doveva rendere l'istruzione professionale inoffensiva per gli equilibri 
sociali. Lo dimostrano anche le conferenze e le letture pubbliche organizzate dalla Società su temi 
educativi, morali e di igiene, a partire dai primi anni settanta dell'800.
29
          
                                                 
27
 B. Valota, “L'istruzione tenuta nei giusti limiti…”, cit., p. 44 ; G.della Valentina, Associazione, istruzione, cit., 
p. 115. 
28
 G. della Valentina, Associazione, istruzione, cit., pag. 117,citazione da Società industriale bergamasca, Atti, 
puntata XVII, Bergamo, 1877, p. 29.  
29
 G. della Valentina, Associazione, istruzione, cit., pag. 116. B.Valota, “L'istruzione tenuta nei giusti limiti…”, 
cit., p. 44. 
 
 13
1.3.2 La scuola di disegno promossa dalla Società industriale. 
 
Nel 1858 fu inaugurata la scuola di disegno promossa dalla Società industriale bergamasca. 
Completamente gratuita, serale e festiva, si rivolgeva a tutti i lavoratori manuali (esclusi i lavoratori 
agricoli), e non ebbe regolamenti fino al 1878, ma l'unica limitazione fu l'età minima di iscrizione 
(dieci anni)
30
. In quegli anni si stava sviluppando un confronto tra i sostenitori del modello 
'francese', cioè una scuola professionale orientata alla pratica nell'officina annessa alla scuola, e i 
sostenitori del modello 'belga', in cui la scuola del lavoro curava maggiormente l'insegnamento 
teorico dei principi delle scienze applicate alle arti e all'industria, senza un tirocinio immediato nelle 
officine
31
. Le scuole del modello belga avevano svolgimento serale e festivo, e proprio lo 
svolgimento delle lezioni lontano dagli orari di lavoro avrebbe loro consentito di raccogliere un 
numero sufficiente di adesioni anche nei centri industriali minori e tra le professioni più modeste: a 
favore di queste scuole si espressero anche le circolari Cairoli e Miceli, di cui abbiamo parlato 
sopra.
32
 L'orientamento degli organizzatori della scuola di disegno bergamasca, più volte ribadito, 
fu essenzialmente pratico, per quanto i corsi, ivi tenuti, riguardassero solo il disegno e non 
prevedessero insegnamenti di altre materie. Gli allievi furono in grande maggioranza artigiani. Gli 
insegnamenti di disegno furono articolati in tre corsi: disegno meccanico, disegno architettonico e 
disegno ornamentale
33
. Per quanto i corsi fornissero anche qualche necessaria nozione teorica
34
 per 
sostenere gli insegnamenti di disegno, l'obiettivo dei docenti e degli organizzatori fu di stimolare 
tramite, l'osservazione e la raffigurazione, la sensibilità estetica e il gusto per la produzione creativa, 
vista la quasi totale assenza di cognizioni scientifiche
35
. Lo sviluppo industriale avrebbe richiesto 
però ben altri interventi educativi, ma soprattutto la mancanza di locali adeguati per organizzare 
                                                 
30
 B. Valota, “L' istruzione tenuta nei giusti limiti…”,cit., p. 49. Il regolamento del 1878 ribadì la necessità che 
l'istruzione fosse plasmata sui bisogni degli operai, e introdusse norme sulla disciplina, la frequenza e sugli 
indirizzi dellainsegnamento. 
31
 Cfr. Carlo G.Lacaita, Istruzione e sviluppo industriale in Italia 1859-1914, Firenze, Giunti, 1973, pp. 75-76; 
G.P.Fumi, L'istruzione professionale e tecnica, cit.,  p. 359 
32
 Cfr. G.Fumi, L'istruzione professionale e tecnica, cit., pag. 359  
33
 B. Valota, “L'istruzione tenuta nei giusti limiti…”, cit., pag. 48; G.Fumi, L'istruzione professionale e tecnica, 
cit., pag. 362.  
34
 Di geometria, per il disegno di ornato; di fisica, per quello meccanico. Il corso di disegno ornato e quello 
architettonico era rivolto pittori, intagliatori, muratori; il corso di disegno meccanico era per fabbri e falegnami. 
Le lezioni si tenevano tre o quattro volte la settimana, da dicembre a maggio. La professione degli allievi faceva sì 
che al sopraggiungere della primavera, con l'allungarsi delle giornate, essi fossero determinati a sfruttare la 
maggior quantità di luce naturale per lo svolgimento della loro attività. Dunque, in primavera si svolgeva solo la 
lezione domenicale. 
Cfr. B.Valota, “L'istruzione tenuta nei giusti limiti…”, cit., pag. 48. 
35
 G.Fumi, L'istruzione professionale e tecnica, cit.,  p.363 
 14
corsi pratici di meccanica rese qualsiasi progetto fallimentare o impraticabile
36
. La situazione si 
sbloccò solo alla fine degli anni '80, quando i corsi furono trasferiti nei locali acquisiti dalla Società 
per la sezione industriale (a svolgimento diurno) dell'Istituto tecnico statale, del quale la Società 
stessa fu una forte sovvenzionatrice. In sostanza, da quel momento il sodalizio bergamasco rinunciò 
alla gestione diretta di scuole per l'educazione industriale, limitandosi al sostegno economico delle 
iniziative in questo settore. Il progetto e la speranza dei curatori della scuola fu che la dotazione di 
insegnanti, macchinari e officine, condivisi con l'Istituto, contribuisse a migliorare la qualità 
dell'istruzione pratica dei corsi serali, che furono costituiti da un corso biennale preparatorio, con 
una maggiore attenzione alle attività industriali, e da un corso di applicazione triennale
37
, cui si 
poteva accedere dopo il corso biennale. Furono fissati, oltre al limite di età, anche precisi caratteri 
di istruzione minima obbligatoria. Nonostante questo, l'efficacia didattica rimase limitata, a causa 
del numero eccessivo degli allievi
38
, che non permetteva di impartire un'istruzione approfondita.           
                                                 
36
 G. Fumi, L'istruzione professionale e tecnica, cit., p. 364. Tra il 1867 e il 1869, e poi nel 1872-73 si tenne una 
lezione settimanale di meccanica applicata ai mestieri, ma con poca fortuna, nonostante i primi corsi fossero stati 
sollecitati proprio da allievi della scuola.  
37
 G. Fumi, L'istruzione professionale e tecnica, cit., p. 365 e nota 
38
  Ibidem. Il limite di età fu fissato in quattordici anni. Era necessario saper leggere e scrivere e conoscere qualche 
elementare nozione di aritmetica.