2
volte programmi e materie per aggiornarsi secondo l’evoluzione economica e, soprattutto,
industriale. La permeabilità del Maic alle pressioni delle esigenze economiche, e la riforma con la
quale Gentile tentò di ridurre l’istruzione professionale a educazione di secondo piano, rafforzarono
oltremodo l’incisività degli interessi industriali nel plasmare un settore, nel quale scuole vere e
proprie convissero con corsi pratici.
Anche la Dalmine fu piuttosto attiva nel settore, costituendo due scuole, prima di quella interna per
gli apprendisti. Una si rivolse ai ragazzi diplomati dalle scuole elementari, l’altra sorse dopo la
Grande Guerra, come opera sociale e strumento di preparazione della manodopera.
Le scuole aziendali, tuttavia, risposero a finalità, che andavano al di là della pura qualificazione
degli operai: rivolgendosi, per lo più, a giovani lavoratori, intendevano formarne la mentalità, oltre
che le capacità lavorative. Erano scuole dell’azienda per l’azienda. La Scuola Apprendisti della
Dalmine fu particolarmente impegnata non solo nel preparare operai, ma anche nell’educare
uomini, contando su un clima politico favorevole e su istituzioni, che posero in primo piano il
rispetto per la gerarchia sociale, e l’attitudine alla disciplina. Proprio quei valori, che la formazione
interna alle imprese cercò di trasmettere, anche se con finalità tutte interne alle esigenze produttive.
Tali esigenze furono di avere a disposizione lavoratori ben preparati, ma affidabili, perché
pienamente partecipi della mentalità aziendale.
Proprio per mettere in luce quella continua commissione tra pubblico e privato, che caratterizzò la
scuola professionale, il primo capitolo della presente ricerca è dedicato alle vicende dell’istruzione
professionale tra il 1860 e la seconda guerra mondiale, in cui il settore subì diversi cambiamenti in
linea con i concreti sviluppi economici. Nel secondo capitolo si esaminano, invece, le vicende della
Dalmine, mettendone in luce l’impegno non solo produttivo, ma anche sociale, concretizzatosi, oltre
che in una serie di opere assistenziali per i dipendenti, anche, come detto, in due scuole
professionali, che prepararono la strada alla Scuola Apprendisti del 1937. Inoltre verranno
esaminate le posizioni sulle scuole professionali di due manager, che sentirono come strategico
l’impegno per la competenza dei lavoratori, anche di livello basso: Agostino Rocca, amministratore
delegato di Ansaldo e Dalmine, e Ugo Gobbato, ideatore, quest’ultimo, di quella Scuola Allievi
Fiat, che divenne un punto di riferimento per istituzioni analoghe, nonché fondatore di una
istituzione analoga anche presso l’Alfa Romeo. Il terzo capitolo mostra, invece, quali convinzioni
stessero alla base della Scuola Apprendisti della Dalmine, che intese formare uomini davvero
dell’azienda, e non solo lavoratori. Per questo la struttura scolastica interna si configurò con i
caratteri del ‘vivaio’ di lavoratori, cercando di mantenere separati gli allievi dal luogo di
produzione, e riproducendo, nell’officina della Scuola, una sorta di fabbrica ideale. Infine, nel
quarto capitolo verrà mostrato il concreto funzionamento della Scuola Apprendisti, ma anche
3
l’evoluzione delle iniziative formative della Dalmine verso un “centro di istruzione professionale”.
Molta importanza assunsero via via, proprio i corsi interni, più pratici, e meno ambiziosi della
Scuola, nonché la scuola di avviamento professionale, creata per essere al servizio della Scuola
Apprendisti, e che continuò a funzionare anche quando, nel 1948, le strategie dell’azienda
decretarono la fine della Scuola Apprendisti fino al 1958.
Questa ricerca si basa, essenzialmente, su una parte del poderoso fondo archivistico, che raccoglie i
documenti sulle attività scolastiche della Dalmine, ed è conservato presso la Fondazione Dalmine.
Si è inoltre cercato di valorizzare una letteratura teorica sulle scuole apprendisti finora
sostanzialmente non considerata, e che proprio in Pietro Ruffoni e, soprattutto, in Luigi Ricca trovò
interessanti esponenti.
4
CAPITOLO 1
L'ISTRUZIONE PROFESSIONALE INDUSTRIALE IN ITALIA
DALL'UNIFICAZIONE AL 1945.
1.1 L'istruzione professionale in Italia nelle leggi dal 1859 al 1900.
La legge Casati
1
fu emanata nel 1859 dal governo del Regno Subalpino dei Savoia. Estesa a tutto il
territorio italiano man mano che esso veniva unificato sotto la monarchia sabauda, costituì la legge
fondamentale della scuola italiana
2
per più di sessant'anni, cioè fino alla riforma Gentile del
1923/24, con la quale il fascismo, dopo aver preso il potere (1922), riorganizzò la scuola secondo le
idee di Giovanni Gentile, ministro della Pubblica Istruzione.
La Casati escluse l'istruzione professionale dalle competenze della Pubblica Istruzione, e un decreto
del 1861 (n.347) la affidò alle cure del ministero di Agricoltura, Industria e Commercio.
Quest'ultimo mantenne tali competenze fino al 1929. Questa scelta fu dovuta alla concezione della
scuola professionale, e dell'istruzione professionale in genere, come 'speciale': sostanzialmente la
scuola del lavoro fu considerata incapace di svolgere un ruolo educativo e formativo, viste le sue
finalità utilitaristiche
3
. Inoltre il ministero economico, che fu incaricato di sopraintendere
all'istruzione professionale, fu ritenuto più vicino alle esigenze economiche delle diverse zone
produttive, che condizionavano fortemente modalità e caratteristiche delle diverse scuole pratiche.
4
A livello legislativo, tuttavia, le iniziative furono davvero ridotte, anche da parte di questo
ministero, almeno fino all'inizio del XX secolo: due circolari, indicate con il nome dei due ministri
che le fecero emanare, Cairoli nell'ottobre 1879, e Miceli nel gennaio 1880.
5
1La legge fu denominata così da Gabrio Casati (1798-1873) ministro dell'Istruzione nel 1859-1860.Fu emanata
senza discussione parlamentare, in virtù dei pieni poteri conferiti al governo Cavour, impegnato nella conduzione
della seconda guerra d'Indipendenza (1858-1860).
2
La Casati prevedeva l'obbligatorietà scolastica solo per i primi due anni della scuola elementare, che era gratuita.
Le elementari duravano però quattro anni, ed erano completamente gratuite. Dopo le elementari erano previste
diverse opzioni. Il corso di studi classici durava otto anni, suddivisi tra ginnasio (cinque anni) e liceo (tre anni), e
dava accesso a tutte le facoltà universitarie. Per il ramo tecnico erano previsti la scuola tecnica (tre anni), e
l'istituto tecnico (tre anni). La scuola normale doveva preparare i futuri maestri.
3
Su questo punto, vedi Aldo Tonelli, L'istruzione tecnica e professionale nelle strutture e nei programmi da
Casati ai giorni nostri, Milano, Giuffrè, 1964, pp. 8-10.
4
A.Tonelli, L'istruzione tecnica e professionale, cit., p. 9
5
A.Tonelli, L' istruzione tecnica e professionale , cit., p. 59
5
La circolare Cairoli confermava alle scuole professionali lo status di autonomia organizzativa del
quale avevano goduto fino allora: consigli direttivi, composti da rappresentanti degli enti
concorrenti alla spesa di mantenimento delle scuole stesse, le avrebbero amministrate e avrebbero
scelto gli insegnanti, di preferenza tra i residenti del luogo, al fine di non spendere troppo negli
stipendi. Dal canto suo, il governo avrebbe approvato statuti, regolamenti, programmi, e avrebbe
concorso alle spese di mantenimento in misura dei due quinti, versati alla provincia, ente
individuato come il più idoneo al sostegno delle scuole professionali. La circolare prevedeva che le
scuole fossero sottoposte a ispezioni, e che gli eventuali sussidi sarebbero stati sospesi in caso di
inadempienze. Il provvedimento di Miceli, dal canto suo, dava istruzioni sull'ordinamento delle
scuole professionali, sui modelli di organico e i programmi per gli insegnamenti di tecnologia. Alle
circolari si aggiunse un decreto del 1885, con il quale furono distinti tre tipi di scuole professionali:
le scuole d'arti e mestieri, le scuole d'arte applicata all'industria e le scuole speciali. Le scuole d'arti
e mestieri prevedevano corsi a svolgimento diurno o serale, feriale o festivo. Dovevano fornire agli
operai giovani e adulti nozioni di scienza applicata all'industria e ai mestieri, che essi aspiravano ad
esercitare, o già esercitavano. Le scuole d'arte applicata all'industria intendevano diffondere tra
operai e artigiani il gusto dell'arte nell'industria, grazie all'insegnamento del disegno applicato. La
differenza tra i due tipi di scuola stava nella prevalenza degli insegnamenti industriali all'interno dei
programmi della scuola d'arti e mestieri. Le scuole speciali, infine, erano scuole d'arti e mestieri,
che impartivano insegnamenti scientifici applicati, e furono denominate 'speciali' perché indirizzate
a specifici mestieri o professioni
6
.
6
Cfr. A.Tonelli, L'istruzione tecnica e professionale, cit., pp. 60-61
6
1.2 Le prime iniziative per l'istruzione industriale e artigiana in Lombardia nell'800.
I provvedimenti di cui abbiamo appena parlato mettono in luce come in materia di istruzione
professionale le iniziative attuate da enti, come comuni, provincie o Camere di Commercio, da
associazioni di privati, da singoli filantropi, e da istituzioni religiose ebbero un ruolo fondamentale.
Del resto il regolamento Mamiani per la legge Casati concesse a comuni e provincie la facoltà di
aggregare alle diverse sezioni degli istituti tecnici quelle scuole di perfezionamento che ritennesero
più adeguate alle condizioni dell'economia locale, sancendo una tradizione di iniziative locali ormai
abbastanza consolidata
7
.
Rispetto all'istruzione professionale industriale aprirono la strada le regioni italiane, che furono
precocemente interessate dalla prima rivoluzione industriale nella prima metà dell'800. Tra di esse
si distinse la Lombardia, nella quale le iniziative a carattere laico e quelle sostenute da religiosi e
religiose, si divisero il settore dell'educazione al lavoro. Non è questa la sede per ripercorrere le
vicende che hanno determinato lo sviluppo industriale della Lombardia, soprattutto nella prima
metà dell'800 in merito alla questione educativa possiamo dire che lo sviluppo industriale, e in
generale quello economico, portarono con sé un duplice ordine di problemi: il precoce avviamento
al lavoro di bambini, o comunque di minorenni di entrambi i sessi, rese difficile la loro frequenza
delle scuole elementari, le scuole cioè destinate a impartire la cultura di base. Tuttavia, l'impiego di
bambini e ragazzi era imposto dai ritmi elevati di sviluppo, soprattutto industriale, e dalla precaria
situazione economica delle famiglie, e non era una novità già in agricoltura.
8
7
Cfr. A.Tonelli, L'istruzione tecnica e professionale, cit., p.10. Il regolamento prese il nome da Terenzio Mamiani
della Rovere, ministro della pubblica istruzione che lo fece promulgare.
8
Secondo un dato fornito da Giuseppe Sacchi (citato da F.Hazon, Storia della formazione professionale in
Lombardia, Milano, Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura, 1994, pag. 51) in Lombardia il
numero di fanciulli occupati nelle fabbriche era, nel 1840, di trentottomila. Giuseppe Sacchi, educatore e
pedagogista milanese, nacque a Milano nel 1804. Fu allievo di G.D.Romagnosi [(1761-1835) , e convinto
assertore dell'importanza della psicologia come fondamento dei metodi educativi. A Milano promosse l'istituzione
di asili sul modello di quelli fondati a Cremona da Ferrante Aporti [(1791-1858).Si occupò inoltre di assistenza
agli ex carcerati e della cura di bambini rachitici, per i quali diede vita ad un istituto di cura a Milano, insieme a
Gaetano Pini (1873). Lasciò parecchi scritti, tra cui due importanti sulla scuola sperimentale italiana. Morì a
Milano nel 1891.
7
Questa scolarizzazione carente non fu risolta neppure dai provvedimenti del governo austriaco, che
dominò la Lombardia fino al 1859: nel 1818 il governo imperiale stabilì l'obbligatorietà
dell'istruzione elementare per ragazzi e ragazze dai sei ai dodici anni ed istituì tre tipi di scuola
elementare, minori, maggiori e tecniche
9
. In seguito, nel 1843, vietò l'assunzione nelle fabbriche di
bambini sotto i nove anni, fissò limiti orari per le giornate lavorative dei ragazzi sopra questa soglia
di età e decise ulteriori provvedimenti per regolamentare maggiormente il lavoro minorile
10
. Dal
canto suo, quella parte della società lombarda attenta non solo allo sviluppo industriale, ma anche
alle sue conseguenze sociali, sollecitò iniziative proprio nella cultura di base, anche come
necessaria premessa a qualsiasi tipo di istruzione professionale. Infatti, per quanto i dati ufficiali del
governo austriaco fossero particolarmente positivi (nel 1834, 68 per cento di ragazzi e 42 per cento
di ragazze frequentavano le scuole
11
, i suoi censimenti periodici sul tasso di scolarizzazione
elementare tenevano conto solo di chi frequentasse le scuole effettivamente e di quanto
dichiaravano le scuole stesse
12
. A conferma di una situazione reale non certo soddisfacente anche
in zone come Bergamo, che dichiarava nel 1834 il 90 per cento di frequenza alle scuole
elementari,
13
vengono le notizie relative alle scuole serali e domenicali di insegnamento elementare
creati circa trent'anni dopo, a partire dal 1860 (quindi a unificazione dell'Italia appena avvenuta),
dalla Società industriale bergamasca (di cui parleremo tra breve). Queste scuole si rivolsero
inizialmente ad operai adulti, poi ne furono create per ragazzi e donne nel decennio successivo
14
,
viste le pressanti richieste.
9
Le elementari minori vennero istituite per la prima istruzione di tutti i ragazzi; le elementari maggiori dovevano
preparare i giovani che volevano prepararsi alle scienze ed alle arti; Le elementari tecniche avrebbero dovuto
istruire coloro che volevano dedicarsi al commercio ed agli impieghi del settore economico. Solo le elementari
maggiori e le tecniche furono a carico del governo austriaco, mentre le minori furono a carico dei comuni, col
risultato che molti comuni rurali non erano in grado di sostenere questo onere.I gradi superiori di scuola
comprendevano il ginnasio-liceo, che impartiva la cultura classico-umanistica; le scuole reali, che dovevano
preparare gli alunni ad attività amministrative e commerciali; a Venezia e Milano, i due capoluoghi del regno
Lombardo Veneto furono costituite le scuole tecniche, dotate di regolamento organico solo nel 1838 e divenute
scuole reali superiori nel 1851: erano composte di sei classi, di cui il triennio inferiore era denominato scuola reale
inferiore.
Fu creata inoltre una scuola reale inferiore semplificata e ridotta, della durata di due anni: si rivolgeva ai ragazzi
desiderosi di abilitarsi alla all'esercizio di arti e mestieri. Cfr. F.Hazon, Storia della formazione, cit., pp. 53-58
10
F. Hazon, Storia della formazione, cit., p. 50.
11
F.Hazon, Storia della formazione, cit., p. 54.
12
F. Hazon, Storia della formazione, cit., p. 56.
13
F. Hazon, Storia della formazione, cit., p. 57.
14
Brunella Valota, “L'istruzione tenuta nei giusti limiti…” La società industriale bergamasca e le scuole
popolari, in " Studi e ricerche di storia contemporanea ", n.20, novembre 1983, pp. 40-62. La scuola dei fanciulli
prese il via nel 1876. La scuola per adulti si interruppe nel 1865-66, per il numero sempre minore di alunni dai
450 iniziali, e riprese nel 1871, rivolgendosi ai maggiori di quattordici anni, per non porsi in alternativa alle le
scuole elementari pubbliche. Vedi: Gianpiero Fiumi, L'istruzione professionale e tecnica dall'unità al primo
conflitto mondiale, in Vera Zamagni e Sergio Zaninelli (a cura di), Storia economica e sociale di Bergamo, vol. 5 ,
tomo II, Fra Ottocento e Novecento. Lo sviluppo dei servizi , p 323, Bergamo, Fondazione per la Storia
Economica e Sociale di Bergamo, 1997. Il saggio si trova alle pagine 319-391.
8
Molto spesso gli adulti avevano frequentato le prime due classi obbligatorie delle scuole elementari,
ma l'impiego precoce nelle professioni industriali e artigiane aveva come cancellato le poche
nozioni apprese, e mai più riprese nel corso degli anni. D'altra parte, anche la frequenza a queste
scuole risultava per lo più limitata a coloro che non lavoravano secondo i ritmi e gli orari di
fabbrica, che lasciavano un tempo limitatissimo alle attività extra lavorative: le ore della sera, in cui
si svolgevano le lezioni, erano riservate solo a coloro che erano meno vincolati a turni ed orari
prestabiliti (agricoltori, ortolani, fabbri, falegnami, muratori)
15
, ma erano, invece, legati, nello
svolgimento delle loro attività, alla durata delle ore di luce.
Tornando all'istruzione professionale, il suo rapporto con lo sviluppo economico si può definire
biunivoco: infatti essa fornisce alla forza lavoro l'abilità necessaria all'introduzione produttiva di
nuove tecniche e per il loro aggiornamento, quindi può condizionare lo sviluppo. Ma quest'ultimo
determina capacità lavorative più diffuse, amplia le specializzazioni, provoca più produzione e
consumo: dunque suscita anche un maggior grado di cultura
16
. Era proprio questo maggior grado di
cultura a suscitare la preoccupazione degli ambienti più conservatori della borghesia e delle
istituzioni. La conoscenza consapevole delle basi del proprio mestiere, che poteva essere fornita
dall'educazione professionale, avrebbe potuto provocare nei lavoratori la progressiva
consapevolezza del proprio ruolo sociale, determinando una precisa volontà di emancipazione.
Tuttavia, le posizioni più conservatrici si dovettero confrontare con uno sviluppo economico, e
soprattutto industriale ormai avviato. L'opinione dei più illuminati, tra i quali, a Milano, si
distinsero Carlo Cattaneo
17
e Enrico Mylius
18
conciliava la necessità di formare maestranze
preparate in modo da stare al passo con le esigenze tecnologiche e produttive imposte dal mercato e
15
G.Fiumi, L'istruzione professionale, cit., p. 323.
16
Cfr. F. Hazon, Storia della formazione, cit., p. 61.
15
Carlo Cattaneo nacque a Milano nel 1801. Dopo la laurea in giurisprudenza a Pavia nel 1824, divenne uno dei
pubblicisti e animatori della vita politica e culturale italiana e lombarda, occupandosi soprattutto di scienze
sociali. Collaborò a "L'Antologia", agli "Annali di Giurisprudenza"(su cui pubblicò Ricerche economiche sulle
interdizioni imposte dalle leggi civili agli Israeliti, sorta di commento alle legislazioni moderne, nel 1837), al
"Crepuscolo" di Carlo Tenca e alla "Rivista Contemporanea". Il suo impegno politico ed ideale nel solco della
pratica illuministica lombarda trovò sbocco soprattutto nella rivista che fondò nel 1839, e diresse per cinque anni:
"Il Politecnico". In questa rivista Cattaneo e gli altri collaboratori sostennero la causa di una cultura in grado di
essere sapere concreto, in polemica con la tendenza umanistico retorica che caratterizzava la cultura italiana.
Interlocutrice privilegiata della rivista fu la borghesia industriale lombarda. "Il Politecnico",chiamò a collaborare
chimici, fisici, naturalisti, igienisti e medici, ma anche filosofi e storici e letterati e linguisti. Tuttavia il tono
fondamentale era fornito dai numerosi articoli di Cattaneo, su argomenti letterari, storici, economici e sociali. Nel
1845 fu nominato segretario della Società d'incoraggiamento alle arti e mestieri. Dopo aver vissuto da
protagonista le "cinque giornate" di Milano, nel 1848, la sconfitta lo costrinse a trovare rifugio in Svizzera, dove
maturò appieno il suo repubblicanesimo federalista. Dal 1859 riprese la direzione del "Politecnico", che divenne il
suo principale organo di espressione.Eletto parlamentare nel parlamento subalpino, non rientrò in Italia (1860),
per evitare di giurare fedeltà allo Statuto di Carlo Alberto. Visse gli ultimi anni a Castagnole, presso Lugano. Morì
a Castagnole nel 1869.
18
Enrico Mylius (1769-1854) nacque a Francoforte sul Meno, ma si stabilì in giovane età a Milano facendone il
centro della sua attività di finanziere e mecenate. Fondatore e primo presidente della associazione scelse Cattaneo
come segretario e relatore della stessa nel 1845 e 1846
9
dalla concorrenza internazionale, e la sollecitudine suscitata da un forte senso di giustizia sociale e
da ideali umanitari
19
. Alcune istituzioni e personalità ecclesiastiche si muovevano in direzione
simile, mosse, tuttavia, da considerazioni e principi differenti. Per i liberali illuminati era in gioco la
prospettiva di estendere la conoscenza dei principi del lavoro "moderno" e produttivo a tutti coloro
che si dimostrassero capaci di recepirli attraverso lo studio compiuto in apposite scuole: appunto, le
scuole professionali. Oltre ad una crescita delle strutture economiche e produttive, si sarebbe così
realizzata anche una crescita dell'individuo in grado di elevarsi, non solo professionalmente, grazie
ad istituzioni create dalla lungimiranza della nascente borghesia industriale lombarda. Nacque
secondo tali prospettive, a Milano, la Società di Incoraggiamento Arti e Mestieri nel 1838. La sua
costituzione fu dovuta soprattutto all'opera di Enrico Mylius, animatore del congresso di
commercianti e industriali che appoggiò il progetto di creare una associazione finalizzata al
miglioramento della pratica manifatturiera a Milano e provincia. Lo scopo dichiarato
dell'associazione era di favorire il progresso delle arti industriali e l'istruzione "non solo tecnica",
ma "civile e morale" dei lavoratori, e di favorire gli studi e la ricerca scientifica applicata. In un
primo momento la Società si limitò all'assegnazione di borse di studio per coloro che con il lavoro e
lo studio mirassero ad introdurre miglioramenti tecnici nell'industria chimica e meccanica. Di fatto,
tuttavia, vennero gratificati con contributi anche operai e capi fabbrica dimostratisi particolarmente
zelanti. Ma il tempo dimostrò l'insufficienza dei soli contributi economici come stimolo al
progresso industriale, e la Società decise di erigere scuole di scienze applicate all'industria, la prima
delle quali fu quella di chimica, finanziata da Mylius, e diretta alla formazione di operai e capi-
fabbrica. Questo fu solo l'inizio di una attività didattica rivolta alla formazione di operai e
disegnatori, tra cui la scuola serale e festiva di tessitura serica per operai (1844), e i corsi di
geometria (1845) nucleo della Scuola di Meccanica, fondata nel 1854.
20
19
Si vedano le dichiarazioni di Cattaneo citate da F. Hazon, Storia della formazione, cit, pp.61-62, e tratte da "Il
Politecnico", marzo 1839, pag.264
20
F. Hazon, Storia della formazione, cit., pag. 64. Seguirono un "Corso per capomastri" e un "Corso per tintoria"
(anni '70), la Scuola di Eletttrotecnica (1902), la Scuola Tecnica Superiore, dovuta ad Ettore Conti. Nel '38
quest'ultima ottenne il riconoscimento del diploma di "perito industriale". Sulle vicende della Società vedi la
ricostruzione di Carlo G. Lacaita, L’intelligenza produttiva. Imprenditori, tecnici e operai nella Società di
Incoraggiamento d’Arti e mestieri di Milano (1838-1988), Milano, Electa, 1990.
10
Il versante non laico delle iniziative di istruzione professionale trovò un capostipite importante
nell'Istituto S.Barnaba di Brescia, fondato da Ludovico Pavoni nel 1821.Il suo fondatore, in linea
con il filantropismo cristiano, vide nel lavoro soprattutto un mezzo per educare cristianamente i
giovani e avviarli ad una vita dignitosa. Ciò soprattutto in connessione alle difficili condizioni
sociali della provincia di Brescia. Nei progetti di Pavoni, l'istituto bresciano deve essere per i
giovani che lo frequentavano famiglia, casa e officina. L'istituto prevedeva scuole per calzolai, sarti,
falegnami, per fabbri e la scuola per tipografia, prima scuola grafica d'Italia.
21
21
F. Hazon, Storia della formazione, cit., p. 70
11
1.3 L’educazione al lavoro a Bergamo e in provincia tra 1800 e 1900.
1.3.1 La Società industriale bergamasca: istruzione ed educazione.
La Società d'incoraggiamento d'arti e mestieri costituì un imprescindibile punto di riferimento
22
per
la Società industriale bergamasca. Il sodalizio bergamasco nacque nel 1844 soprattutto per opera
dell'imprenditore serico Giovan Battista Berizzi, di simpatie mazziniane, il quale, nel 1843,
all'Ateneo di Bergamo denunciò l'immobilismo delle attività produttive locali, e sostenne la
necessità di creare una istituzione in grado di riunire le forze imprenditoriali per stimolare
l'iniziativa privata e favorire l'introduzione dei processi innovativi, che gli sforzi personali dei
singoli imprenditori non avrebbero realizzato facilmente
23
. Forti erano, non solo su Berizzi, le
suggestioni suscitate da alcune invenzioni e dall'importazione di macchine, anche in provincia di
Bergamo, di cui si cominciavano a comprendere uso e applicazioni. Da qui nacque un forte
interesse per la migliore conoscenza dei processi produttivi.
24
Gli inizi della Società non furono facili, soprattutto per motivi politici: la presidenza dei 113 soci
fondatori fu affidata al conte Pietro Moroni, meno sospetto al governo austriaco di Berizzi. Ma
questa mossa fu inutile: lo statuto della Società fu più volte fatto ritoccare dalle autorità imperiali, e
l'autorizzazione all'attività venne solo nel 1847 quando si svolse il primo congresso. Le convulse
vicende del 1848, e le loro conseguenze ritardarono però l'inizio dell'attività effettiva fino al
secondo congresso, del gennaio 1856.
25
Il sodalizio mise, fin dalla fondazione, in programma di
promuovere l'incremento delle attività industriali e agricole, in città e provincia
26
, e in questo
programma si inserì anche l'istituzione di scuole per il lavoro, agricolo e industriale: i progetti
originari dovettero però essere rinviati fino a quando la Società ebbe maggiore libertà d'azione, cioè
dal 1856 in poi. Ed è specialmente nel campo dell'istruzione pratica e popolare che la Società
22
Gianluigi della Valentina, Associazionismo, istruzione e industrializzazione. La Società industriale bergamasca,
in Id., Terra, lavoro e società. Fonti per la storia del Bergamasco in età contemporanea, Bergamo, Il Filo di
Arianna, 1984, pp. 111-123.
B.Valota, “L'istruzione tenuta nei giusti limiti…”, cit., pp. 43-44.
23
B. Valota, “ L'istruzione tenuta nei giusti limiti…”, cit., pp. 40-41. G. della Valentina sottolinea come Berizzi, e
non solo lui, intendessero fare dell'erigenda Società anche un puntello per l'introduzione della tessitura della seta
in provincia, attività che si era spenta da tempo. Cfr. G. della Valentina, Associazionismo, istruzione, cit., pp. 112
24
G.della Valentina, Associazionismo, istruzione, cit, p. 112.
25
Cfr. G. della Valentina, Associazionismo, istruzione, cit., p. 113.
B.Valota, “L'istruzione tenuta nei giusti limiti…”, cit., p. 41. Il primo nome della Società fu “Istituto per
l'istruzione e l'incoraggiamento dell'industria agraria e manifatturiera.”
26
Tra le prime iniziative intraprese dalla Società troviamo la costituzione di un museo mineralogico, la
compilazione di una statistica dei forni fusori delle valli bergamasche, e, soprattutto, nel 1857, la promozione
della prima esposizione agricolo-industriale della provincia, che però ebbe pochi espositori, a causa delle
diffidenze ambientali sull'iniziativa. Esiti migliori ebbe la seconda esposizione del 1870, in una situazione
economica migliore (circa un migliaio di espositori). Numerose, anche se non sempre fortunate anche le iniziative
in campo agricolo. Cfr. B. Valota, “L'istruzione tenuta nei giusti limiti…”, cit., pp. 42-43.
12
bergamasca guardò alla Società d'incoraggiamento milanese come un modello, soprattutto quando i
soci constatarono che le iniziative promosse a Milano potevano essere adottate a Bergamo e
organizzate in modo da non provocare sconvolgimenti sociali
27
. Infatti, il sodalizio, promuovendo
le scuole del lavoro, era mosso certamente dalla volontà di educare le maestranze alla conoscenza
dei procedimenti produttivi più aggiornati, anche per creare un gruppo di operai e capi fabbrica che
permettesse alla provincia di emanciparsi gradualmente dalla dipendenza di maestranze straniere
(svizzere e tedesche soprattutto). Inoltre era presente la sollecitudine verso una giustizia sociale, che
permettesse anche ai lavoratori, attraverso la propria professionalità, di stare al passo con i progressi
della società civile. Ma a questo legame tra istruzione, tecnologia e giustizia sociale, si
accompagnava il timore di vedere sovvertiti gli equilibri sociali consolidati, a causa delle possibili
attese e ambizioni provocate, nelle maestranze operaie, da un maggior livello di conoscenze sul
funzionamento delle strutture industriali. Dunque, ecco emergere in primo piano un concetto
parallelo a quello di istruzione: quello di educazione. L'istruzione doveva trasmettere conoscenze e
'valori'. Le conoscenze dovevano essere solo quelle strettamente necessarie per comprendere le
evoluzioni dei modi di produzione, evitando di aprire ai lavoratori orizzonti culturali e mentali
troppo vasti. Mentre i 'valori' da trasmettere consistevano nella virtù e nel dovere, cui l'istruzione-
educazione doveva persuadere gli animi dei lavoratori, e nella consapevolezza, da parte degli
allievi-lavoratori, della loro 'naturale' collocazione sociale. Le condizioni materiali e morali della
classe operaia avrebbero potuto migliorare, secondo le convinzioni dei soci della società, solo se
finalizzate non al danno, ma al vantaggio e all'interesse stesso delle altri classi sociali
28
. Quindi un
manto di 'paternalismo' doveva rendere l'istruzione professionale inoffensiva per gli equilibri
sociali. Lo dimostrano anche le conferenze e le letture pubbliche organizzate dalla Società su temi
educativi, morali e di igiene, a partire dai primi anni settanta dell'800.
29
27
B. Valota, “L'istruzione tenuta nei giusti limiti…”, cit., p. 44 ; G.della Valentina, Associazione, istruzione, cit.,
p. 115.
28
G. della Valentina, Associazione, istruzione, cit., pag. 117,citazione da Società industriale bergamasca, Atti,
puntata XVII, Bergamo, 1877, p. 29.
29
G. della Valentina, Associazione, istruzione, cit., pag. 116. B.Valota, “L'istruzione tenuta nei giusti limiti…”,
cit., p. 44.
13
1.3.2 La scuola di disegno promossa dalla Società industriale.
Nel 1858 fu inaugurata la scuola di disegno promossa dalla Società industriale bergamasca.
Completamente gratuita, serale e festiva, si rivolgeva a tutti i lavoratori manuali (esclusi i lavoratori
agricoli), e non ebbe regolamenti fino al 1878, ma l'unica limitazione fu l'età minima di iscrizione
(dieci anni)
30
. In quegli anni si stava sviluppando un confronto tra i sostenitori del modello
'francese', cioè una scuola professionale orientata alla pratica nell'officina annessa alla scuola, e i
sostenitori del modello 'belga', in cui la scuola del lavoro curava maggiormente l'insegnamento
teorico dei principi delle scienze applicate alle arti e all'industria, senza un tirocinio immediato nelle
officine
31
. Le scuole del modello belga avevano svolgimento serale e festivo, e proprio lo
svolgimento delle lezioni lontano dagli orari di lavoro avrebbe loro consentito di raccogliere un
numero sufficiente di adesioni anche nei centri industriali minori e tra le professioni più modeste: a
favore di queste scuole si espressero anche le circolari Cairoli e Miceli, di cui abbiamo parlato
sopra.
32
L'orientamento degli organizzatori della scuola di disegno bergamasca, più volte ribadito,
fu essenzialmente pratico, per quanto i corsi, ivi tenuti, riguardassero solo il disegno e non
prevedessero insegnamenti di altre materie. Gli allievi furono in grande maggioranza artigiani. Gli
insegnamenti di disegno furono articolati in tre corsi: disegno meccanico, disegno architettonico e
disegno ornamentale
33
. Per quanto i corsi fornissero anche qualche necessaria nozione teorica
34
per
sostenere gli insegnamenti di disegno, l'obiettivo dei docenti e degli organizzatori fu di stimolare
tramite, l'osservazione e la raffigurazione, la sensibilità estetica e il gusto per la produzione creativa,
vista la quasi totale assenza di cognizioni scientifiche
35
. Lo sviluppo industriale avrebbe richiesto
però ben altri interventi educativi, ma soprattutto la mancanza di locali adeguati per organizzare
30
B. Valota, “L' istruzione tenuta nei giusti limiti…”,cit., p. 49. Il regolamento del 1878 ribadì la necessità che
l'istruzione fosse plasmata sui bisogni degli operai, e introdusse norme sulla disciplina, la frequenza e sugli
indirizzi dellainsegnamento.
31
Cfr. Carlo G.Lacaita, Istruzione e sviluppo industriale in Italia 1859-1914, Firenze, Giunti, 1973, pp. 75-76;
G.P.Fumi, L'istruzione professionale e tecnica, cit., p. 359
32
Cfr. G.Fumi, L'istruzione professionale e tecnica, cit., pag. 359
33
B. Valota, “L'istruzione tenuta nei giusti limiti…”, cit., pag. 48; G.Fumi, L'istruzione professionale e tecnica,
cit., pag. 362.
34
Di geometria, per il disegno di ornato; di fisica, per quello meccanico. Il corso di disegno ornato e quello
architettonico era rivolto pittori, intagliatori, muratori; il corso di disegno meccanico era per fabbri e falegnami.
Le lezioni si tenevano tre o quattro volte la settimana, da dicembre a maggio. La professione degli allievi faceva sì
che al sopraggiungere della primavera, con l'allungarsi delle giornate, essi fossero determinati a sfruttare la
maggior quantità di luce naturale per lo svolgimento della loro attività. Dunque, in primavera si svolgeva solo la
lezione domenicale.
Cfr. B.Valota, “L'istruzione tenuta nei giusti limiti…”, cit., pag. 48.
35
G.Fumi, L'istruzione professionale e tecnica, cit., p.363
14
corsi pratici di meccanica rese qualsiasi progetto fallimentare o impraticabile
36
. La situazione si
sbloccò solo alla fine degli anni '80, quando i corsi furono trasferiti nei locali acquisiti dalla Società
per la sezione industriale (a svolgimento diurno) dell'Istituto tecnico statale, del quale la Società
stessa fu una forte sovvenzionatrice. In sostanza, da quel momento il sodalizio bergamasco rinunciò
alla gestione diretta di scuole per l'educazione industriale, limitandosi al sostegno economico delle
iniziative in questo settore. Il progetto e la speranza dei curatori della scuola fu che la dotazione di
insegnanti, macchinari e officine, condivisi con l'Istituto, contribuisse a migliorare la qualità
dell'istruzione pratica dei corsi serali, che furono costituiti da un corso biennale preparatorio, con
una maggiore attenzione alle attività industriali, e da un corso di applicazione triennale
37
, cui si
poteva accedere dopo il corso biennale. Furono fissati, oltre al limite di età, anche precisi caratteri
di istruzione minima obbligatoria. Nonostante questo, l'efficacia didattica rimase limitata, a causa
del numero eccessivo degli allievi
38
, che non permetteva di impartire un'istruzione approfondita.
36
G. Fumi, L'istruzione professionale e tecnica, cit., p. 364. Tra il 1867 e il 1869, e poi nel 1872-73 si tenne una
lezione settimanale di meccanica applicata ai mestieri, ma con poca fortuna, nonostante i primi corsi fossero stati
sollecitati proprio da allievi della scuola.
37
G. Fumi, L'istruzione professionale e tecnica, cit., p. 365 e nota
38
Ibidem. Il limite di età fu fissato in quattordici anni. Era necessario saper leggere e scrivere e conoscere qualche
elementare nozione di aritmetica.