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civili e quelle amministrative: l’ampiezza della
responsabilità civile, l’entità della sanzione amministrativa,
l’estensione della tutela reale dell’occupazione, le
conseguenze dell’antisindacalità, gli interessi sui ritardati
adempimenti. Le sanzioni penali vengono spesso neglette.
Eppure non soltanto sono in genere le più gravi, ma
presentano spesso risvolti di natura civilistica ed
amministrativa. Si pensi ad esempio alla risarcibilità dei
danni morali dei soggetti offesi dal reato -che talora
possono essere numerosissimi, come nelle ipotesi di
comunità di consumo, ambientali o di lavoro- oppure all’
impossibilità di accedere ad appalti o a rapporti con la
pubblica amministrazione per i condannati a reati, a volte
pure lievi, di lavoro.
In questa tesi si cercherà di individuare, raggruppare per
argomento e, dove possibile, approfondire tramite le varie
opinioni dottrinali ed i vari indirizzi giurisprudenziali, le
singole sanzioni penali attualmente in vigore nel diritto del
lavoro, avendo particolare riguardo anche ai numerosi ed
eterogenei provvedimenti di depenalizzazione che hanno
trasformato determinate condotte da illeciti penali in illeciti
16
amministrativi puniti quindi con una sanzione
amministrativa e non penale.
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CAPITOLO 1
“Principi generali”
1.1 Le sanzioni penali nel diritto del lavoro.
In quello che potremmo definire diritto penale del lavoro
confluiscono le norme penali generali di tutela degli
interessi regolati dal rapporto di lavoro e le norme penali
speciali che la legislazione in materia di lavoro istituisce a
chiusura dei suoi precetti.
Ci troviamo pertanto in una branca del diritto che per
quanto concerne lo strumento sanzionatorio appartiene al
diritto penale, mentre per quanto concerne la materia
disciplinata appartiene al diritto del lavoro.
L’idea di rafforzare la tutela del lavoro subordinato con la
previsione di sanzioni penali risale agli albori del secolo;
se le prime apparizioni risultarono sporadiche e furono poi
seguite da un lungo intervallo (il quale riflette comunque la
scarsità di interventi del legislatore in tutto il settore del
lavoro), il processo divenne successivamente, a partire
dagli anni ’20, impetuoso ed inarrestabile, altrettanto che
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caotico e disordinato. Dal secondo dopoguerra in quasi tutte
le leggi in materia di la lavoro e di previdenza sociale è
stata inserita una parte contenente sanzioni penali; sicché
oggi orientarsi in questo labirinto di norme è diventata
un’impresa ardua come nessuna.
Lo stesso Statuto dei Lavoratori contiene una parte relativa
alle sanzioni penali anche se non risulta ben chiaro a quali
criteri si sia ispirato il legislatore nello scegliere le norme
la cui violazione deve essere sanzionata penalmente.
Nel nostro ordinamento positivo comunque la sanzione
penale occupa una posizione residuale nel sistema di tutela
delle condizioni di lavoro, dell’integrità personale dei
lavoratori e della sicurezza dei luoghi e degli strumenti di
lavoro. La garanzia dell’effettività della tutela è infatti
assicurata in via prioritaria sul piano civilistico.
In questo ambito centrale è la norma contenuta nell’art.
2087 cod. civ.:
“ l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio
dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del
lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare
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l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di
lavoro”.
Il precetto posto da questo articolo si è tra l’altro
inevitabilmente arricchito con l’entrata in vigore della carta
costituzionale che ne ha imposto una lettura più ampia di
quella proposta dal codificatore, in quanto ispirata alla
compatibilità con i principi costituzionali che direttamente
o indirettamente riguardavano la materia.
2
La sanzione penale si limita a sostenere l’apparato
repressivo previsto da quella legislazione specifica con la
quale si impongono, in genere a carico del datore di lavoro,
obblighi particolari il cui assolvimento non esaurisce
l’adempimento dell’art. 2087 cod. civ., ma è espressamente
imposto in quanto attiene a ciò che il legislatore ordinario
ritiene sia assolutamente indispensabile per la tutela delle
condizioni di lavoro, dell’integrità personale dei lavoratori
e della sicurezza dei luoghi e degli strumenti di lavoro.
Per quanto riguarda il sistema sanzionatorio, in
considerazione del fatto che la detenzione del datore di
lavoro potrebbe incidere sull’attività imprenditoriale con
2
Artt. 2, 3, 4, 32, 35, 36, 37, 39, 40, 41, 46 Cost.;
20
danno ultimo, e certamente rilevante, per la situazione
occupazionale proprio di coloro che la norma penale vuole
tutelare, cioè i lavoratori, la sanzione penale tipica del
diritto del lavoro è la pena pecuniaria; per lo più la
responsabilità è meramente contravvenzionale e solo in
alcune disposizioni, in genere in materia di sicurezza del
lavoro si prevede, in alternativa con la sanzione pecuniaria,
anche la pena detentiva, per i casi di maggiore gravità.
Non raramente la sanzione pecuniaria è moltiplicata per
ogni giornata di permanenza della condotta repressa e per
ogni lavoratore interessato. Con questa tecnica
sanzionatoria si mira a rendere l’entità della sanzione sul
piano economico proporzionale alla continuazione ed alla
permanenza della condotta illecita, ferma restando la
tenuità della pena per quanto riguarda la specie.
Il risultato di un siffatto sistema sanzionatorio è tuttavia
evidente: la sanzione pecuniaria, spesso contenuta in limiti
piuttosto modesti, non è idonea a scoraggiare
comportamenti antigiuridici, non solo per la sua entità, ma
anche e soprattutto perché consente il rimedio
dell’oblazione, al quale i datori di lavoro ricorrono
21
piuttosto di frequente per estinguere il reato ed evitare gli
inconvenienti ed i rischi del procedimento penale.
E’ proprio per questo che qualche autore ha potuto parlare
di una sorta di “depenalizzazione strisciante”, alludendo ad
un sostanziale processo di assimilazione tra l’illecito penale
e quello amministrativo.
1.2 Legittimità, opportunità e finalità del sistema
sanzionatorio penale nel diritto del lavoro.
Non è mancato in passato chi ha contestato che il lavoro
possa essere considerato come un bene meritevole di tutela
penale, la quale (in materia di negozi giuridici) sarebbe
concepibile solo quando si versi in ipotesi di frode ed
inganno, essendo riservati alla tutela delle altre posizioni
soggettive i consueti strumenti civilistici. Altri hanno
invece sostenuto che il legislatore penale sarebbe soggetto
a precisi limiti di ordine costituzionale, sicché non gli
sarebbe lecito estendere l’area dell’illecito penale anche a
settori non dotati di rilevanza primaria.
E’ tuttavia agevole rilevare come la concezione del
rapporto di lavoro sotto un profilo meramente contrattuale
22
sia da ritenere oramai superata e come oramai si ammetta
comunemente che siamo in presenza di un rapporto
caratterizzato da un fattore tipico, quale è quello della
implicazione della persona di uno dei contraenti. Se è vero
ciò, è anche logicamente insostenibile che la tutela della
persona non rientri in quella sfera di rilevanza
costituzionale cui fanno capo interessi e diritti primari.
Un intervento penetrante da parte del legislatore, anche con
la sanzione penale, è pertanto da ritenere pienamente
giustificato.
3
Del tutto diverso è, invece, il discorso relativo alla
opportunità della sanzione penale.
Alcuni autori hanno affermato che la inopportunità del
sistema sanzionatorio penale nel diritto del lavoro è una
conseguenza diretta della sua caoticità. Un sistema caotico
è anche, di per sé, poco opportuno.
Ciò è vero, ma null’altro starebbe a significare se non che
occorre ridisegnare il sistema restituendogli la necessaria
organicità.
3
Carlo SMURAGLIA, Le sanzioni nella tutela del lavoro subordinato, Convegno A.I.D.LA.S.S.,
Alba, 1978, 59.-
23
Altri contestano l’opportunità del sistema sanzionatorio
penale nel diritto del lavoro, temendo che l’eccesso di
sanzioni penali finisca per incidere sullo stesso ruolo
dell’impresa e sulla sua stessa capacità di sviluppo
economico. Anche qui bisogna dire con chiarezza che il
complesso della normativa penale in materia di lavoro
appare tutt’altro che incidente sull’economia delle imprese,
proprio per la modesta rilevanza delle sanzioni e per la
facile possibilità di eluderle o comunque vanificarle.
E’ evidente che esiste un problema di grande rilievo in un
settore come quello del lavoro in cui alla sorte delle
imprese sono legate, in modo immediato e diretto, anche le
sorti dei lavoratori e delle loro famiglie. Ma esso si pone in
termini concreti solo quando le sanzioni siano di entità tale
da poter cagionare l’interruzione dell’attività produttiva; il
che, nel nostro caso, è un problema di pura prospettiva, non
certo riferibile alla struttura attuale del sistema
sanzionatorio.
Insomma non sembra che il problema della opportunità
possa essere risolto in termini generali ed univoci. Non
esiste una scelta da compiere una volta per tutte a favore o
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contro le sanzioni penali; esiste, invece, un problema di
politica legislativa che postula scelte oculate ed attente da
parte del legislatore, nel contesto sistematico della
protezione effettiva degli interessi primari di cui stiamo
parlando. Ci sono sanzioni penali del tutto inutili e in
qualche modo dannose (per l’appesantimento che ne deriva
e per le conseguenze economiche) e ve ne sono altre che
andrebbero rinforzate.
Proprio alla eliminazione di quelle sanzioni penali inutili e
dannose sono diretti i vari provvedimenti di
depenalizzazione che esamineremo.
Particolarmente delicato è il problema delle finalità che il
sistema sanzionatorio penale del diritto del lavoro intende
perseguire.
Un sistema sanzionatorio penalistico è, di per se, ispirato
anche a finalità repressive, trattandosi comunque di colpire
comportamenti che la legge considera lesivi di beni
meritevoli di adeguata tutela. Ma la funzione repressiva non
può mai essere considerata fine a se stessa; ciò non solo
per l’obbiettivo finale che per l’art. 27 Cost. dovrebbe
essere pur sempre quello della rieducazione del condannato,
25
ma anche e soprattutto perché la previsione di sanzioni
dovrebbe rispondere anche all’esigenza di scoraggiare i
comportamenti antigiuridici. Peraltro, per quanto riguarda
la nostra materia, è evidente che la rieducazione del
condannato ha un senso estremamente limitato, mentre per
lo stesso tipo di sanzioni che solitamente viene prescelto,
c’è ben poco da confidare nell’efficacia intimidatrice delle
norme.
A tutto ciò dobbiamo aggiungere che, in molti casi, il danno
cagionato dal reato al bene protetto è assolutamente
irreversibile: sicché la repressione può servire a fini ben
limitati, senza tuttavia che sia possibile ricondurre in
pristino la situazione colpita.
Emerge dunque, con assoluta evidenza, la funzione
preventiva che le norme devono avere, soprattutto in un
settore come quello del lavoro.
Tale funzione può assolversi non solo e non tanto con la
previsione di pene adeguate, ma anche e soprattutto con la
predisposizione di strumenti capaci di realizzare tempestivi
interventi e di imporre l’osservanza delle norme prima
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ancora che le condotte antigiuridiche siano giunte a
compimento ed abbiano prodotto risultati irreversibili.
La valutazione del vigente sistema sanzionatorio ci porta ad
affermare che esso svolge sicuramente una funzione di
disturbo, ma raramente assurge al livello intimidatorio o
prevenzionale che pure sarebbe imposto dalla rilevanza
degli interessi tutelati.
1.3 La depenalizzazione dei reati minori. Dalla L.
689/1981 al D.Lgs. 507/1999.
La maggior parte del diritto penale del lavoro è basato, per
quanto riguarda la pena, sul sistema contravvenzionale, ed è
proprio la mole spropositata di reati contravvenzionali
istituiti dal legislatore ad occupare gran parte del carico di
lavoro che obera ed assilla la giustizia penale fino quasi a
comprometterne l’efficienza.
Soprattutto a partire dalla fine degli anni ’60, si è assistito
ad un ampio processo di trasformazione dell’illecito
amministrativo in illecito penale che ha reso estremamente
difficoltoso individuare e raggruppare le ipotesi
contravvenzionali previste da numerose leggi speciali.
27
Più recentemente si è invece tentato di porre in essere un
procedimento inverso mediante interventi così detti di
depenalizzazione, diretti a trasformare un numero
consistente di contravvenzioni in illeciti amministrativi.
Taluna parte della dottrina vorrebbe questo procedimento
tanto radicale da pervenire all’abolizione totale del sistema
delle contravvenzioni, trasformando in delitti le fattispecie
contravvenzionali più gravi e sanzionando solo
amministrativamente le fattispecie meno gravi.
Un primo massiccio intervento di depenalizzazione è stato
attuato con la promulgazione della legge 24 novembre
1981, n. 689 (che continua tutt’oggi a rappresentare il
complesso di norme di parte generale in tema di
depenalizzazione), con la quale si è anzitutto provveduto a
regolamentare organicamente la materia delle sanzioni
amministrative, modellandola su quella delle pene criminali
e muovendo dall’applicazione ad esse del principio di
legalità, previsto dall’art. 1, secondo il quale “nessuno può
essere assoggettato a sanzioni amministrative se non in
forza di una legge che sia entrata in vigore prima della
commissione della violazione”.
28
Sempre dall’art. 1 si ricavano altri tre principi corollari del
principio di legalità e che devono essere applicati in
materia di sanzioni amministrative: il principio di
tassatività, il principio di irretroattività e la riserva di
legge.
Relativamente al primo principio non ci sono precisazioni
da fare, precisazioni che invece si impongono negli altri
due e che vedremo più avanti.
L’art. 3, della L. 689/1981, stabilisce che nelle violazioni
cui è applicabile una sanzione amministrativa ciascuno è
responsabile della propria azione od omissione, cosciente e
volontaria, sia essa dolosa o colposa, ponendo in rilievo
anche negli illeciti amministrativi, l’elemento soggettivo.
E’ quindi responsabile di una violazione amministrativa
solo la persona fisica cui è riferibile l’azione o l’omissione
che integra la violazione
4
(particolari problemi, che
analizzeremo più oltre, si pongono nella individuazione del
responsabile nella delega di funzioni), tranne che la
violazione non sia stata perpetrata in buona fede, infatti, il
secondo comma dell’art. 3, stabilisce che, se la violazione è
4
Cass. 25 ottobre 1997, n. 10518.-