2 
L’analisi non segue uno schema cronologico sequenziale, bensì 
uno a temi. Come già anticipato, partendo dall’esame del processo si 
arriverà letteralmente a scomporlo e ad esaminarne così i vari 
protagonisti, uno per uno. In questo modo si può vedere quale fu la 
relazione tra le varie parti in causa e la lista nera in sé; come se fosse una 
vicenda a due e non con molteplici fattori concomitanti. 
 
La trattazione inizia con la descrizione degli eventi che portarono 
al processo che ebbe luogo nell’ottobre del 1947, il processo degli 
Hollywood Ten. Vengono presentati gli hearings voluti dall’HUAC (la 
Commissione per le Attività Antiamericane) e le conseguenze che ebbero 
sulla comunità cinematografica più famosa del mondo. Questo primo 
capitolo, quindi, viene ad essere un’introduzione ed una base dalla quale 
partire per poi analizzare coloro i quali in quel processo furono chiamati, 
direttamente o indirettamente, in causa.  
Il secondo capitolo prende in esame il primo grande imputato della 
Witch-Hunt hollywoodiana, il partito comunista. La storia del CPUSA 
viene analizzata da due diverse prospettive: una nazionale, dove si valuta 
il comportamento del Party nella politica degli Stati Uniti del periodo 
1930-1960, ed una locale, dove si parla più specificatamente del rapporto 
tra il partito comunista e la comunità hollywoodiana. Questo capitolo si 
prefigge non solo di determinare fino a che punto il legame CPUSA-
Hollywood fosse effettivamente ‘pericoloso’, ma anche, e soprattutto, 
quale fu la vera natura di quel legame e che cosa significò per i cineasti 
hollywoodiani.  
Il terzo capitolo affronta la storia del processo di sindacalizzazione 
degli artisti di Hollywood. Il sindacato degli sceneggiatori e quello degli 
attori furono due protagonisti assoluti nelle vicende dell’autunno 1947: si 
trovarono, allo stesso tempo, nella posizione di accusati e accusatori. 
L’analisi della storia dei due sindacati, sempre filtrata attraverso la lente 
deformante del processo del 1947, aiuta a comprendere i perché della 
loro condotta di fronte all’attacco della destra anticomunista, e, inoltre, 
che cosa significò per Hollywood la loro graduale perdita di potere nei 
confronti del management. 
 3 
 I sindacati degli artisti (che a Hollywood prendevano il nome di 
Guild) possono essere considerati i principali bersagli della Red Scare 
hollywoodiana. Mentre l’influenza del CPUSA sul materiale 
cinematografico, e sulla comunità dei cineasti più in generale, non fu mai 
un qualcosa temuto da tutti (i produttori sapevano bene che potevano 
gestire la situazione senza subire troppi contraccolpi dal punto di vista 
economico), i sindacati, al contrario, vennero subito attaccati da tutte le 
parti. Il management hollywoodiano, per esempio, era molto più 
preoccupato di ciò che i neonati sindacati potevano ottenere per i loro 
membri che delle presunte mire eversive di un gruppo di cineasti 
comunisti. 
 In questo modo si vedrà anche come nelle vicende hollywoodiane 
si rispecchiassero quelle della nazione intera. Immagine riflessa di un 
macrocosmo più grande, Hollywood offre la possibilità di esaminare le 
dinamiche politiche dell’America di quel periodo. I sindacati, e non i 
comunisti in sé, erano al centro della reazione conservatrice. Gli 
anticomunisti avevano certamente più interesse a delegittimare la classe 
sindacale, che nel periodo 1930-1940 era arrivata ad ottenere un potere 
ed un peso politico mai più raggiunti, che a zittire ed eliminare dalla 
scena politica un partito già minato dall’interno.  
Il quarto capitolo si concentra sul grande ‘nemico’ degli artisti 
progressisti, l’associazione dei produttori (MPAA – Motion Picture 
Association of America). La discussione si sposta su chi materialmente 
prese la decisione di introdurre la blacklist e questo capitolo risulta 
fondamentale per capire come mai Hollywood svendette la propria libertà 
artistica e politica.  
Diversi fattori concorsero a convincere gli executive a fare il 
grande passo: il Paramount Case, l’avvento della televisione ed il move 
to suburbia (e la conseguente modificazione dei pattern di vita degli 
americani nel dopoguerra). La crisi economica, che investì l’industria nel 
1947, convinse il management a cedere all’isteria anticomunista, ma, 
come si vedrà più avanti, l’introduzione della blacklist, più che un 
ripiegamento di fronte al nuovo trend politico, si caratterizzò per essere 
una contromossa manageriale per poter far fronte alla problematica 
situazione in cui versava l’economia degli studios. 
 4 
Il quinto capitolo tratta un tema molto sentito al tempo dei mogul (i 
magnati degli studios), la Jewish Question. Tra le varie cause che 
convinsero o che, in una qualche maniera, portarono l’HUAC ad 
investigare Hollywood non va dimenticata la matrice antisemita di alcuni  
membri della commissione senatoriale. Questo spunto serve da base di 
partenza per una discussione su ciò che voleva dire essere ebrei nella 
Hollywood del periodo 1930-1940. Come si vedrà, parlare di Jewishness 
implica diversi fattori che si incontrano (o scontrano) con le altre 
tematiche affrontate nel resto del lavoro: la lotta sindacale, il tema della 
libertà artistica e la politica degli studios.  
Questo tipo di discussione vuole aiutare a comprendere più in 
profondità quali fossero i reali equilibri tra le varie componenti 
dell’industria cinematografica. La differente concezione che avevano gli 
artisti ed i mogul del proprio background culturale e religioso, per 
esempio, mostra come il problema dell’origine israelita fosse causa di 
incomprensioni non solo tra gentili (non ebrei) ed ebrei, ma anche tra gli 
ebrei stessi: “according to their boosters, these makhers [i magnati ebrei] 
of the film world wanted not only money, power, and social acceptance 
by their fellow capitalists…but also to establish their names as the 
royalty of modern entertainment. While the impression of business-
outsiders wanting to be accepted by America – in practice, to be admitted 
to Los Angeles country clubs and to private schools for their children – 
properly goes comfortably along with their own self-image as 
paternalistic Jewish godfathers to their employees, neither explains their 
cravings for undiluted power or their ruthlessness toward the studio 
workforce. According to the contrary immigrant story passed down 
through the slums and revived in Hollywood, the perfect willingness to 
squeeze fellow Jews continued to mark the disreputable route to the top, 
concluded by rich rascals distancing themselves from their unwashed 
kinsmen”
2
.   
Il sesto ed ultimo capitolo esamina quello che avrebbe dovuto 
essere il principale imputato agli hearings del 1947, il cinema. 
Nonostante la centralità di questo tema, si scoprirà come il prodotto 
cinematografico, invece di costituire il perno della tattica inquisitoria 
della commissione anticomunista, fu, paradossalmente, il campo 
d’indagine più trascurato.  
 5 
Questa valutazione dell’operato dell’HUAC evidenzia ancora di 
più come l’introduzione della blacklist trovi giustificazione in diverse 
concause e non solo, come professavano i politici reazionari, nella 
presunta infiltrazione di messaggi sovversivi nei film del periodo. 
Nonostante ciò, il cinema hollywoodiano non uscì ‘indenne’ dall’attacco 
dell’HUAC. La blacklist operò, sia direttamente che indirettamente, una 
profonda modificazione del processo creativo, e, conseguentemente, del 
prodotto finito. L’analisi di alcuni filoni cinematografici intrinsecamente 
rapportabili a quell’evento serve a spiegare quanto fondate fossero le 
accuse formulate dall’HUAC ed in che modo quella decisione cambiò il 
volto del ‘futuro’ cinema americano.  
 
 
 
 
 
 6 
La Guerra Fredda 
 
“…And people in America have always been 
shouting about the things, they are not”
3
. 
 
La blacklist, come è stato anticipato, non fu un evento relegato alla 
sola Hollywood; al contrario, fu piuttosto la risultante di diverse tensioni 
che interessarono l’intera nazione. D’altronde non poteva essere 
diversamente. Sin dai suoi albori Hollywood conquistò un posto speciale 
nella vita degli americani e le avventure dei suoi protagonisti (membri di 
una comunità di ‘eletti’) divennero subito patrimonio comune ed 
elemento unificante per una società senza radici e senza un vero passato. 
La frase ‘Hollywood is a state of mind, not a place’, infatti, dimostra 
quanto in profondità la Dream House Factory sia arrivata ad influenzare 
l’immaginario collettivo ed è da questa affermazione che si deve partire 
ogniqualvolta si parli del rapporto che lega Hollywood alla società 
americana. 
 
Russia e Stati Uniti, nonostante le diverse ipotesi che Roosevelt 
aveva cercato di imporre, alla fine della guerra si trovarono coinvolte in 
una serie di spartizioni. La morte dell’uomo del New Deal e le 
incomprensioni tra Est e Ovest fecero il resto. Le esitazioni ed i malintesi 
che avevano costellato la storia dell’alleanza russo-americana durante la 
guerra non poterono più essere appianati dopo la fine di questa. L’assetto 
internazionale venne così a trovarsi spaccato in due blocchi ben distinti, 
due sistemi di satelliti ruotanti attorno alle due superpotenze.  
Gli Stati Uniti del dopoguerra erano molto diversi da quelli di 5 
anni prima. La Depressione era oramai un ricordo e la guerra aveva 
trasformato l’America nella vera dominatrice della politica 
internazionale: “the war not only put the United States in a position to 
dominate much of the world; it created conditions for effective control at 
home….the war rejeuvenated American capitalism….the biggest gains 
were in corporate profits…but enough went to workers and farmers to 
make them feel the system was doing well for them…the war solves 
problems of control”
4
.  
 7 
La guerra aveva così risanato i conti delle casse statali ed aveva 
aiutato i lavoratori ad uscire dalla spirale di disoccupazione e miseria che 
li aveva minacciati per più di dieci anni. Tuttavia, il regime economico 
instaurato in tempo di guerra non poteva continuare all’infinito, la 
popolazione, infatti, era stanca di fare dei sacrifici per mantenere uno 
stato ‘militarizzato’. Poco dopo la fine del conflitto un Gallup poll 
confermò questa tendenza: gli americani erano in favore della 
smobilitazione e della smilitarizzazione.  
Questo nuovo sentire, però, andava contro gli interessi di coloro i 
quali avevano tratto più giovamento dal particolare clima dell’economia 
in tempo di guerra: i finanzieri e la nuova classe imprenditoriale (si veda 
in proposito l’atteggiamento di Eric Johnston, capo della MPAA, nel 
secondo dopoguerra, cap 3 – 4). Le varie rivendicazioni sociali portate 
avanti dal New Deal Rooseveltiano e dai sindacati negli anni ’30 
dovevano essere dimenticate e sostituite col nuovo modello di sviluppo 
economico introdotto in tempo di guerra. In altre parole, si doveva 
trovare il modo per poter continuare sulla falsariga del periodo bellico. 
 Quale fu la soluzione escogitata dall’amministrazione Truman?  
La Guerra Fredda. L’Unione Sovietica e l’ideologia socialista furono 
additate come il cancro più pericoloso che avesse mai minacciato le 
società libere e democratiche dell’Occidente. Nonostante le enormi 
perdite umane (più di 20 milioni) e le distruzioni materiali subite durante 
il conflitto l’Unione Sovietica stava recuperando velocemente e nel giro 
di qualche anno arrivò ad essere l’unica vera contendente allo strapotere 
americano. Truman, pressato dal rinvigorito partito repubblicano e dalle 
richieste dei dirigenti dell’industria che volevano mantenere l’economia 
in regime ‘di guerra’, presentò Stalin ed i suoi non solo come dei rivali 
ma come una minaccia immediata e pericolosa.  
Il dibattito interno, dopotutto, aveva sempre visto l’opinione 
pubblica ed il governo scagliarsi contro il comunismo, sin dalle sue prime 
manifestazioni. I famosi raid anticomunisti del 1919, disposti dall’allora 
ministro della giustizia A. Mitchell Palmer, dovevano essere solo la 
prima manifestazione di una intolleranza che negli Stati Uniti del lassez 
faire andava oltre la mera componente politica. Le parole di colui che 
diede la spinta propulsiva alla lotta anticomunista, il capo dell’FBI J. 
Edgar Hoover, ricordano come per gli americani l’ideologia bolscevica 
 8 
fosse qualcosa di più di un semplice credo politico: “The danger of 
Communism in America lies not in the fact that it is a political 
philosophy but in the awesome fact that it is a materialistic religion, 
inflaming in its adherent a destructive fanaticism. Communism is 
secularism on the march. It is a mortal foe of Christianity. Either it will 
survive or Christianity will triumph because in this land of ours the two 
cannot live side by side”
5
. Inoltre, la paura di una guerra atomica ed il 
senso di colpa collettivo per Hiroshima concorrevano ad alzare il livello 
di tensione tra la popolazione. Premesso ciò, si capisce come mai fu 
abbastanza semplice per gli Stati Uniti di fine anni ’40 entrare in quella 
che fu chiamata the Age of Anxiety.  
Il limite tra ideologia e situazione economica, quindi, si fece 
impercettibile. L’economia americana, allarmata dalla crescente 
inflazione che investì la nazione nel 1946, cercava di espandersi nel 
mercato estero facendo leva sull’ideologia capitalista e sull’immagine di 
Land of opportunity diffusa dalla propaganda statunitense durante la 
guerra. “L’America voleva esportarsi in toto, produzione commerciale e 
valori ideologici; e più che mai l’URSS veniva identificata con il pericolo 
esterno, che poteva minare la sicurezza interna”
6
. 
Le ultime speranze di un compromesso pacifico tra USA e URSS 
caddero quando Henry Wallace, ex vicepresidente di Roosevelt, perse le 
elezioni del 1948. Alla guida di un terzo partito, un’anomalia nel 
panorama politico made in USA, non riuscì a portare sulle sue posizioni 
un numero sufficiente di americani. Wallace fu l’unico a proporre una via 
alternativa allo scontro frontale, ma nel 1948 l’opinione pubblica aveva 
già subito troppi attacchi da parte delle forze anticomuniste, basti pensare 
che il processo degli Hollywood Ten aveva avuto luogo un anno prima e 
che il famoso caso Hiss – Chambers era in pieno svolgimento. “The 
triumph of the Great Melodrama [the Cold War] was also the triumph of 
the HUAC. The forties and fifties were the days of the Committee’s 
dubious glory. After all, its only real scoop, ever, was the Hiss case 
(1948)….Hiss was a victim, not of justice, but of the clock: 1949 was a 
devastating year for the United States. Russia was found to have an atom 
bomb, and China went Socialist. How far the hysteria went in the West 
may be gauged from the fact that the possibility of just up and atom-
 9 
bombing Moscow was raised there by….Bertrand Russell! Heads had to 
roll, and Hiss’s  did”
7
. 
 
 
In questo clima politico la blacklist hollywoodiana e la caccia alle 
streghe (Witch-Hunt) trovarono un terreno molto fertile. Hollywood ebbe 
un ruolo fondamentale nella politica del tempo; una specie di palco dal 
quale proclamare il nuovo corso della politica nazionale e dal quale 
influenzare l’opinione pubblica. Sebbene le liste di proscrizione furono 
utilizzate anche in molte altre aree dell’economia americana, il fenomeno 
fu subito associato a Hollywood. Le inchieste che indagavano sulle 
affiliazioni politiche dei cineasti servivano a dimostrare che nessuno 
poteva sfuggire al volere delle varie commissioni inquisitrici: quante 
possibilità di salvezza avrebbe avuto un professore universitario, un 
impiegato statale o un lavoratore qualunque se Charlie Chaplin, Elia 
Kazan e tutti gli altri dovettero o fuggire o sottomettersi al volere dei 
reazionari? Nessuna. “Come simbolo di un radicalismo ‘pericoloso’, 
Hollywood era solo la punta di un iceberg, ma era una punta illuminata al 
neon che catturava l’attenzione dell’intero paese – proprio quello che 
l’HUAC sperava di ottenere”
8
. 
Hollywood, quindi, fu una specie di warning, un avvertimento 
all’intera nazione. Nonostante ciò, la blacklist non può essere spiegata 
solamente rapportandola agli eventi che stavano sconvolgendo gli 
equilibri politici degli Stati Uniti. L’isteria anticomunista promossa dal 
governo e l’ideologia del consenso, che muoveva i primi passi in quegli 
anni, incisero sicuramente, ma non va mai dimenticato che la blacklist fu 
un evento ‘genuinamente’ hollywoodiano.  
Qui la caccia ai comunisti iniziò virtualmente venti anni prima. La 
crisi del ’29 portò molti americani, e conseguentemente molti artisti, su 
posizioni considerate radical, e nel decennio seguente a Hollywood ebbe 
inizio un braccio di ferro tra artisti progressisti e management che vide 
nel processo dei Ten una specie di resa dei conti. Il processo ai Dieci, 
quindi, più che l’inizio della caccia ai comunisti costituì la fine di un 
ventennale scontro tra due contendenti che lottarono per il ‘controllo’ 
dell’industria più famosa del mondo. Come ricorda Colin Shindler, “the 
political paranoia of the late 1940s and 1950s, the time of rampant 
 10  
McCarthyism, fed on the idealism of the 1930s. Just as it is impossible 
fully to understand the Alger Hiss trial without acknowledging Hiss’s 
work as a New Dealer in the Department of Agriculture under Rexford 
Tugwell, so it is equally difficult to appreciate the Red baiting of 
Hollywood after 1947 without recognising that its origins lay in the 
Depression”
9
.  
Perciò, come è stato anticipato all’inizio di questa introduzione, si 
vedrà come la storia della blacklist fu allo stesso tempo sia fenomeno 
nazionale che fenomeno locale. Solo intersecando queste due prospettive 
si potrà cercare di comprendere la reale portata di quell’evento. Un 
evento, vale la pena ricordare, che mutò per sempre il volto della 
Hollywood della Golden Age. 
 
 
 11  
Note: 
 
                                                 
1
 Patrick McGilligan and Paul Buhle “Tender Comrades: a Backstory of the Hollywood Blacklist”, St. 
Martin’s Griffith, New York, 1999. pag XIV 
2
 Paul Buhle and Dave Wagner, “Radical Hollywood: the Untold Story Behind America’s Favorite 
Movies”, The New Press, New York, 2002. pag 66 
3
 D.H. Lawrence, “Studies  in Classic American Literature”, Penguin Books, 1971. pag 10 
4
 Howard Zinn, “A People’s History of the United States”, Harper and Row Publishers, New York, 
1980. pag 407 
5
 Peter L. Steinberg, “The Great Red Menace: United States Prosecution of American Communists, 
1947 – 1952”, Greenwood Press, Westport, Connecticut. Pag XI 
6
 Giuliana Muscio, “Lista Nera a Hollywood: La Caccia alle Streghe negli Anni Cinquanta”, Feltrinelli 
Economica, Milano, 1979. pag 8 
7
 Eric Bentley, “Thirty Years of Treason: Excerpts from Hearings before the House Committee on Un-
American Activities 1938 – 1968”, Nation Books, New York, 2002. pag 939 
8
 Larry Ceplair e Steven Englund, “Inquisizione a Hollywood: Storia Politica del Cinema Americano 
1930 – 1960”, Editori Riuniti, Roma, 1981. pag 8 
9
 Colin Schindler, “Hollywood in Crisis: Cinema and American Society 1929-1939”, Routledge, 
London-New York, 1996. pag 52 
  
 
12   
Capitolo 1 
 
“Gli Interrogatori” 
 
 
1.1 La Commissione per le Attività Antiamericane  
(HUAC) 
 
“….But the modern right wing, as Daniel Bell 
has put it, feels dispossessed: America has been 
largely taken away from them and their kind, 
though they are determined to try to repossess it 
and to prevent the final destructive act of 
subversion. The old American virtues have 
already been eaten away by cosmopolitans and 
intellectuals; the old competitive capitalism has 
been gradually undermined by socialist and 
communist schemers; the old national security 
and independence have been destroyed by 
treasonous plots,  having as their most powerful 
agents not merely outsiders and foreigners but 
major statesmen seated at the very centers of 
American power. Their predecessors discovered 
foreign conspiracies; the modern radical right 
finds that conspiracy also embraces betrayal at 
home”
1
. 
 
Questa lunga citazione può essere considerata un riassunto del 
pensiero politico che caratterizzava l’ideologia della destra americana nel 
periodo della guerra fredda. L’HUAC, la commissione per le attività 
antiamericane, non faceva eccezione; anzi, si distinse per essere il 
principale organo inquisitorio tra quelli che cercarono di tradurre 
l’ideologia reazionaria in azione pratica e politica. Fu, cioè, la prima tra 
le varie commissioni che si susseguirono nel periodo della paranoia 
anticomunista a prendere l’iniziativa e ad investigare sulle presunte 
infiltrazioni Un-American nella società a stelle e strisce. 
 
  
 
13   
Che cosa vuol dire Un-American e che cosa avevano in mente i 
vari deputati del congresso americano quando votarono la creazione 
dell’HUAC nel 1938? 
Per rispondere alla prima domanda è utile porsi altre domande:  
 
“Does the Frenchman or the Englishman or the 
Italian find it necessary to speak of himself as 
‘one hundred per cent’ English, French, or 
Italian?…..When they disagree with one another 
over national policies, do they find it necessary 
to call one another Un-English, Un-French, or 
Un-Italian? No doubt they too are troubled by 
subversive activities and espionage, but are their 
countermeasures taken under the name of 
committees on Un-English, Un-French, or Un-
Italian activities?
2
. 
 
In una nazione come gli Stati Uniti dove non vi è né una etnia 
principale né una cultura comune, ma, al contrario, vi sono molteplici 
gruppi etnici e mille culture diverse l’offesa più infamante può essere 
quella di venire definiti Un-American (non americani). Le società 
patriottiche e le ideologie antisovversive, spiega Hofstadter, forniscono 
alle famiglie americane di vecchia ascendenza ed a quelle di più recente 
immigrazione la piena rassicurazione sulla loro più totale adesione ai 
valori dominanti di quella stessa società. Di solito il sentimento di 
identità nazionale o di appartenenza culturale ed il sentimento del proprio 
status sociale sono due cose facilmente distinguibili tra di loro. Tuttavia, 
in America non è mai stato così. Le due cose, infatti, sono venute a 
coincidere: 
 
 “In this country a person’s status – that is, his 
relative place in the prestige hierarchy of his 
community – and his rudimentary sense of 
belonging to the community – that is what we 
call his ‘Americanism’ – have been intimately 
joined”
3
. 
 
  
 
14   
Di conseguenza essere accusati di Un-Americanism implica non 
solo una diminuzione considerevole del proprio prestigio sociale, ma 
anche la prova inconfutabile del tradimento portato alla cultura della 
propria comunità d’adozione. Le varie commissioni antieversive che si 
susseguirono, si va dall’HUAC di Dies e Thomas fino al Senate Internal 
Security Subcommittee (SISS) di Pat McCarran e McCarthy, svolgevano 
una fondamentale funzione per gli immigrati che non appartenevano al 
mainstream anglosassone: li facevano sentire tutti parte di quella middle 
class che nello sviluppo storico americano era venuta ad avere 
caratterizzazioni quasi mitiche. Roberto Giammanco osserva che “il mito 
della middle class è da sempre l’ideologia e, soprattutto, il filtro 
insostituibile per la percezione dell’American Dream”
4
. 
Chi veniva accusato di tramare contro il governo degli Stati Uniti 
d’America non era solo un criminale, era “un figlio di Belzebù venuto dal 
Reno, dal Danubio, Dalla Vistola e dall’Elba…[era] uno straniero 
miserabile e senza scrupoli…che in vita non ha mai lavorato onestamente 
neanche un’ora….”
5
. In altre parole era Un-American. Colui che andava 
contro il sogno americano o che teorizzava un sistema diverso doveva 
essere eliminato e messo nelle condizioni di non nuocere più. L’integrità 
del costrutto ideologico del sogno americano era in pericolo, ed ecco che 
le commissioni che combattevano le Un-American activities venivano in 
suo soccorso. Un soccorso, nella maggior parte dei casi, tutt’altro che 
disinteressato: “Certainly, it is not hard to conceive of the existence of 
the countersubversive tradition as a subterranean source of popular 
irrationality and xenophobia that could be exploited by ambitious 
politicians or special interest groups to direct hostility against the 
opponents of their choice”
6
. 
 
 
  
 
15   
L’osservazione fatta da Ellen Schrecker ci porta alla seconda 
domanda. Perché l’HUAC venne istituito nel 1938?  
Andando a ritroso si possono individuare le origini del progetto; nel 
1919, infatti, già si era presentato il più Un-American dei pericoli: il 
comunismo. Nel febbraio di quell’anno il Senato americano indagò in 
merito a “qualsiasi tentativo di propagandare nel paese i principi della 
rivoluzione russa”
7
; ma solo con l’avvento di Franklin Delano Roosevelt 
e del New Deal la paura di una red invasion si istituzionalizzò nella 
mente della destra più ostile al nuovo corso politico. Mentre nel 1919 i 
famosi raid di Lusk e Palmer furono in un certo qual senso episodi isolati, 
negli anni trenta la situazione cambiò significativamente.  
Nel 1934 il Congresso cominciò ad interessarsi al problema nazista 
in America sotto la spinta del deputato Samuel Dickstein, democratico 
eletto nel dodicesimo distretto di New York. Ebreo ed esperto nel campo 
dell’immigrazione non impiegò molto tempo a rendersi conto del forte 
sentimento antisemita e della grande diffusione di letteratura 
antiamericana che circolava tra le migliaia di immigrati illegali che 
popolavano la sua città d’origine. Tutto ciò lo portò ad investigare in 
proprio sull’operato di gruppi fascisti e neonazisti negli Stati Uniti. Il 
risultato dell’indagine fu tale che nel novembre 1933 il Congresso creò 
una commissione con il compito di indagare sull’attività eversiva di 
gruppi filo-nazisti. 
Nel gennaio 1934 iniziarono i primi interrogatori della 
neocommissione che portava il nome di ‘Special Committe on Un-
American Activities’, che venne poi ribattezzata commissione 
McCormack-Dickstein, dal nome dei due deputati che la presiedevano. 
Come sottolinea Giuliana Muscio il fatto che anche questa commissione 
portasse la dicitura Un-American conferma che “l’identificazione tra 
valori ideologici e immagine nazionale era presente molto tempo prima 
della guerra fredda”
8
. Un-American, quindi, non è un aggettivo 
applicabile solo all’eversione comunista, è qualcosa che ha radici molto 
più lontane.