II
Direttiva del 23 marzo 2001 n. 23 che riproduce senza modifica il contenuto
della direttiva 50/1998, oggi abrogata.
La nuova disciplina, pur confermando i principi ispiratori della
precedente, presenta un contenuto più ampio ed aspetti di significativa
innovazione largamente tributari della giurisprudenza sia interna che,
soprattutto, comunitaria. La stessa Direttiva che si recepisce, d'altronde, aveva
come scopo principale quello di chiarire e precisare la nozione di trasferimento
di azienda proprio alla luce dei risultati interpretativi raggiunti nell'arco di un
decennio dalla Corte Europea.
L'importanza, teorica e pratica, delle modifiche intervenute sollecita un
approfondimento, con riferimento ad una pluralità di problemi variegati e
complessi, che può essere compiutamente articolato soltanto all'interno di una
riflessione di carattere generale.
Uno sguardo d'insieme al D.Lgs. n. 18 del 2001 rende subito evidente
l'intenzione del legislatore nazionale di cogliere l'occasione offerta dal
recepimento della direttiva n. 50/98 CE per incidere significativamente
sull'assetto normativo preesistente. Probabilmente la spinta a procedere in
questa direzione deriva dalle recenti vicende applicative dell'art. 2112, divenuto
strumento chiave per la realizzazione dei processi cosiddetti di
esternalizzazione avviati, oramai con frequenza, dalle imprese italiane alla
ricerca (a volte, ma non sempre, coronata da successo) di assetti più agili e
flessibili, indispensabili per accrescere sui mercati la propria competitività e,
così, fronteggiare la concorrenza.
Con questa tesi, intendo affrontare ed analizzare le problematiche
riguardanti le diverse fattispecie che rientrano nella nozione di trasferimento di
impresa con riferimento alle ultime direttive comunitarie ed alla legislazione
nazionale.
Per poter analizzare la vicenda circolatoria dell'azienda, è necessario
partire dallo studio del concetto di azienda attraverso la definizione fornita
dall'art. 2555 c.c., per poi passare ad un esame storico della norma dell'art. 2112
III
c.c., senza dimenticare le modifiche operate nel nostro ordinamento dal
recepimento delle direttive CE e dal recente decreto legislativo 276/2003
attuativo della c.d. Legge "Biagi".
In seguito si analizzerà la normativa vigente riguardante il trasferimento
d’azienda ed i suoi effetti sui rapporti di lavoro, che vanno dalla conservazione
dei diritti dei lavoratori ai licenziamenti.
L’analisi proseguirà affrontando tematiche riguardanti le procedure
sindacali e la contrattazione collettiva, aggiungendo cenni sull'incidenza del
trasferimento d’azienda sui rapporti previdenziali.
Successivamente verranno affrontate le problematiche relative
all’esternalizzazione dei processi produttivi. Questa è una tematica che ha
assunto grande rilievo nel quadro economico attuale.
L’esternalizzazione comporta innanzitutto una cessione di ramo
aziendale, e pertanto deve confrontarsi con l’art. 2112 c.c., come riformulato
dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2001 n. 18.
Una normativa specifica, infine, è dettata per il trasferimento di aziende
sottoposte a procedure concorsuali o versanti in stato di grave crisi economica,
nei quali casi è possibile, in presenza di un accordo sindacale, una parziale
deroga alla normativa di tutela individuale.
1
Capitolo I
Evoluzione legislativa dell’istituto del trasferimento di
azienda.
Sommario: 1.1 La nozione di trasferimento accolta dall’art. 2112 c.c.. – 1.2 La Direttiva
187/77 CEE. - 1.2.1 La Legge 428 del 1990 art. 47. - 1.3 Le Direttive n. 50/1998 CE e
23/2001 CE. - 1.3.1 Ambito soggettivo. – 1.3.2 La nozione di trasferimento d’azienda nel
diritto comunitario. - 1.4 Il Decreto legislativo 2 febbraio 2001 n. 18. – 1.4.1 Le modifiche
all’art. 47 L. 428/90. – 1.4.2 La nozione di azienda trasferita nella nuova disciplina: il
definitivo superamento dell’art. 2555 c.c.. – 1.4.3 Alcune riflessioni conclusive. – 1.5 Il
nuovo intervento del legislatore nazionale: la legge 30 del 2003.
1.1 La nozione di trasferimento accolta dall’art. 2112 c.c..
Lo studio dedicato all’esame della disciplina predisposta
dall’ordinamento in caso di trasferimento di un complesso aziendale
1
,
dovrebbe avere inizio con l'analisi della nozione di azienda fornita dal
codice civile.
Il primo articolo del codice civile che può creare la base di partenza
per questa tesi, è l’art. 2555 dove l’azienda è definita come “il complesso
dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa”. L'analisi
può proseguire con l'esame delle nozioni di impresa e di imprenditore,
contenute nell’articolo 2082 c.c., dove si definisce imprenditore colui che
“esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della
produzione o dello scambio di beni o di servizi”; quindi soltanto dal
combinato disposto dagli art. 2082 e 2555 c.c. si rileva che l’esercizio di
un’azienda è l’attività dell’imprenditore la quale va identificata con l’attività
d’impresa mentre l’azienda è costituita da un insieme di beni
2
.
L’imprenditore, nello svolgimento la sua attività, utilizza un insieme
di beni, collegati tra loro, per il raggiungimento degli obiettivi perseguiti
1
Cfr. ROMEI R., Il rapporto di lavoro nel trasferimento dell’azienda, Giuffrè, Milano
1993, pag. 3.
2
http://www.impresit.com/trasfaziend.htm.
2
dall’impresa; oltre ai beni materiali ed i servizi, va ricompreso anche il
lavoro dei prestatori d’opera che, coordinato ed organizzato
dall’imprenditore, costituisce l’oggetto dell’attività d’impresa.
Si può quindi affermare che le nozioni di azienda, impresa e
imprenditore siano, nel nostro ordinamento, strettamente connesse.
Peraltro, fatta eccezione per la norma definitoria contenuta nell’art.
2555 c.c., rilevante sotto il profilo strutturale, la restante normativa
contenuta nel Codice civile prende in considerazione l’azienda
essenzialmente da un punto di vista dinamico, regolando cioè le
conseguenze che si producono nell’ipotesi in cui si proceda ad una sua
alienazione ovvero ad una sua concessione in affitto o in usufrutto.
L’importanza nell’economia della disciplina giuridica dell’azienda
trova conferma nel fatto stesso che il trasferimento d’azienda sia una
vicenda presa in considerazione da una serie di altre disposizioni, tra le quali
rientra naturalmente l’art. 2112 c.c., che si distaccano dalla disciplina
“generale” contenuta negli articoli del Codice civile successivi all’art. 2555
c.c.
3
.
La disciplina contenuta nell’art. 2112 c.c. trova applicazione
innanzitutto in caso di trasferimento del complesso aziendale ed in caso di
concessione in godimento del medesimo a titolo di usufrutto o affitto, quindi
il concetto di trasferimento, rimanda per un verso a quello di successione,
alla quale si fa ricorso quando si vuole indicare il passaggio di titolarità da
un diritto da un soggetto ad un altro e per un altro alla nozione di acquisto,
cioè quella particolare vicenda per la quale un soggetto diviene titolare di un
diritto di proprietà su una cosa, in questo caso l’azienda, già spettante ad un
precedente proprietario.
Dalla nozione di acquisto possiamo distinguere un modo di acquisto
a titolo originario, ed un modo di acquisto a titolo derivativo; a quest’ultimo
si legherà il concetto di trasferimento d’azienda. Sotto questo aspetto, per
“trasferimento” di un diritto si intende una vicenda che racchiude in sé i due
distinti momenti della perdita di un diritto da parte di un soggetto e del
3
subingresso di un altro nella posizione giuridica del precedente.
Nell’ambito dell’acquisto a titolo derivativo, tuttavia, va ricompresa
non solo l’ipotesi in cui la trasmissione del complesso aziendale sia il
risultato di un atto di disposizione del suo titolare, e sia quindi frutto di un
atto di trasferimento volontario, ma anche l’ipotesi in cui essa avvenga
prescindendo del tutto dalla volontà del precedente titolare, e quindi anche
contro la sua volontà, come avviene ad esempio nel caso di trasferimento
coattivo.
La prospettiva accolta dall’art. 2112 c.c. si riferisce al solo
trasferimento volontario, trovando conferma anche nel primo comma
dell’art. 47 della L. n. 428/1990 dove si fa riferimento “all’intenzione” dei
contraenti di procedere ad un trasferimento di azienda, evidenziando così
come la disciplina in materia di circolazione del complesso aziendale si
fondi sul presupposto implicito di un negozio traslativo del complesso
aziendale, con esclusione quindi dei trasferimenti coattivi.
Alla precisazione dei confini riguardanti il concetto di trasferimento
rilevante ai fini dell’art. 2112 c.c., deve seguire l’analisi dell’altro elemento
oggetto di studio cioè l’azienda.
L’intera disciplina parte dal presupposto che col trasferimento vi sia
una normale continuazione da parte dell’acquirente dell’esercizio
dell’impresa e insieme al complesso aziendale, siano trasferiti anche i
rapporti di lavoro.
La rilevanza che l’azienda assume nella realtà economica e sociale è
data non soltanto dall’insieme di beni che la compongono, ma soprattutto
dai rapporti giuridici indispensabili per l’esercizio dell’attività economica.
Non sono rari i casi in cui è possibile osservare come il passaggio
dei rapporti contrattuali inerenti l’attività di impresa rappresenti una
condizione essenziale al trasferimento dell’azienda.
Modificando però il punto di osservazione e guardando soltanto alla
definizione operata dall’ordinamento nell’art. 2555 c.c., si può notare come
in quest’ultimo vi sia una netta contrapposizione dei beni ai diritti; perciò
3
Cfr. ROMEI R., Il rapporto di lavoro nel trasferimento dell’azienda, Giuffrè, Milano
4
dalla nozione di “bene” accolta dall’art. 2555 c.c. e di conseguenza, dalla
nozione di azienda, devono considerarsi esclusi sia i rapporti di lavoro, sia
quelli di credito e di debito, ed in generale ogni rapporto contrattuale
finalizzato all’esercizio di un’attività d’impresa.
Inoltre la trasmissione dei rapporti contrattuali rappresenta una
conseguenza solamente eventuale del trasferimento d’azienda, essendo
rimessa alla volontà della parti; il “patto contrario” di cui parla il primo
comma dell’art. 2558 c.c. evidenzia infatti come i rapporti contrattuali non
possano considerarsi elementi costitutivi del complesso aziendale, potendo
essere esclusi senza che il negozio traslativo perda le sue caratteristiche di
negozio di alienazione dell’azienda
4
.
L’art. 2555 c.c. non determina però la relazione giuridica che deve
intercorrere tra il complesso dei beni organizzati ed il suo titolare;
quest’ultimo, perciò, ne può disporre non solo in base ad un diritto di
proprietà, ma anche in base ad un diritto reale di godimento; il che significa
che il fenomeno del trasferimento d’azienda non consiste solo nel
trasferimento della proprietà dei beni aziendali: esso comporta anche la
cessione, all’acquirente dell’azienda, dei contratti che assicuravano
all’imprenditore alienante il godimento di quei beni aziendali, dei quali non
era proprietario (art. 2558 c.c.).
Perciò, se un’azienda si compone, in parte di beni appartenenti
all’imprenditore ed, in parte, di beni che l’imprenditore ha in affitto, il
trasferimento dell’azienda sarà, per i primi, trasferimento della proprietà e,
per i secondi, cessione dei contratti
5
.
A questo punto si pone il problema di identificare le caratteristiche
del complesso dei beni affinché possa qualificarsi come azienda.
Tradizionalmente tale requisito si identifica nell’organizzazione, e
cioè in quel particolare modo di essere dei beni aziendali che li rende idonei
allo svolgimento di una attività produttiva; naturalmente, vista la natura
1993, pag 4
4
Cfr. ROMEI R., Il rapporto di lavoro nel trasferimento dell’azienda, Giuffrè, Milano
1993, pag. 12.
5
Cfr. GALGANO F., Diritto privato, Cedam, Padova 1990, pag. 464-465.
5
variabile dei beni che compongono l’azienda, il loro mutare nel tempo non
pregiudica l’identità dell’intero complesso, a patto che rimanga invariata
l’attitudine di quest’ultimo allo svolgimento di un’attività d’impresa.
È inoltre ammissibile l’ipotesi in cui un organismo produttivo possa
essere frazionato in due o più parti, purché naturalmente, l’insieme dei beni
risultanti dal frazionamento sia idoneo a consentire la ripresa, o l’esercizio
ex novo di un’attività imprenditoriale.
Si scrive, di solito, che il trasferimento dell’azienda comporta, per
l’acquirente, la successione nell’impresa. L’espressione è però tecnicamente
impropria: l’impresa è, come si è osservato, un’attività ed è perciò, non
suscettibile di successione in senso tecnico-giuridico. Si può succedere nella
qualità di proprietario e di creditore, ma non nella qualità di imprenditore.
Chi compera l’altrui azienda eserciterà un’impresa corrispondente,
dal punto di vista economico, a quella già esercitata dall’imprenditore
alienante, ma non potrà dirsi che egli continua la, medesima impresa: egli
acquisterà la qualità di imprenditore a titolo originario, e non a titolo
derivativo
6
.
Inoltre, l’art. 2112 c.c. non richiede necessariamente la prosecuzione
dell’attività d’impresa come condizione imprescindibile per la sua
applicabilità.
La disciplina che governa la responsabilità solidale dell’acquirente,
può infatti trovare applicazione anche nel caso di trasferimento dell’azienda
cui faccia immediatamente seguito la cessazione dei rapporti di lavoro
7
.
La successione dei contratti è un fenomeno di dimensioni più ampie
rispetto al trasferimento; infatti, a norma dell’art. 2558 c.c., la successione
opera per ogni altro contratto stipulato dall’imprenditore per l’esercizio
6
Cfr. GALGANO F., Diritto privato, Cedam, Padova 1990, pag. 464 ed in particolare
ricordando quanto affermato da FRANCESCHELLI, Saggio sulla cessione dei marchi, in
Riv. Dir. comm., 1948, pag. 5, secondo il quale “la cessione di azienda ... non comporta il
passaggio ... , assieme all’azienda, della relativa impresa, ma determina normalmente una
soluzione di continuità tra la precedente e la successiva gestione, ... in quanto l’impresa,
quale attività economica organizzata per la gestione di un’azienda (art. 2555 c.c.), è
inseparabile dall’imprenditore, di cui costituisce un modo di operare, ... sicché ha carattere
eminentemente soggettivo ed è perciò estranea al contenuto obiettivo dell’azienda”.
7
Cfr. ROMEI R., Il rapporto di lavoro nel trasferimento dell’azienda, Giuffrè, Milano
1993, pag. 20.
6
dell’impresa ed attua, in tal modo, una più generale sostituzione
dell’acquirente dell’azienda nelle posizioni contrattuali dell’imprenditore
alienante
8
.
Di questo più generale fenomeno, prima delle varie riforme che
hanno interessato il settore, la disciplina andava ricercata nel solo art. 2112
c.c. relativo ai contratti di lavoro stipulati dall’imprenditore per l’esercizio
dell’impresa: “In caso di trasferimento dell’azienda, se l’alienante non ha
dato disdetta in tempo utile, il contratto di lavoro continua con l’acquirente,
e il prestatore di lavoro conserva i diritti derivanti dall’anzianità raggiunta
anteriormente al trasferimento. L’acquirente è obbligato in solido con
l’alienante per tutti i crediti che il prestatore aveva al tempo del
trasferimento in dipendenza del lavoro prestato, compresi quelli che
trovano causa nella disdetta data dall’alienante, sempreché l’acquirente ne
abbia avuto conoscenza all’atto del trasferimento, o i crediti risultino dai
libri dell’azienda trasferita o dal libretto di lavoro. Con l’intervento delle
associazioni professionali alle quali appartengono l’imprenditore e il
prestatore di lavoro, questi può consentire la liberazione dell’alienante
dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro. Le disposizioni di
questo articolo si applicano anche in caso di usufrutto o di affitto di
azienda”.
Questa è stata per quasi cinquant’anni l’unica disciplina normativa
dell’istituto. Si dovrà aspettare l’intervento della Comunità Europea, con la
Direttiva numero 187 del 14.02.1977 perché la fattispecie veda arricchirsi di
ulteriori garanzie ad opera della dell’art. 47 della legge del 29.12.1990
numero 428; quest’ultima, oltre a riscrivere la disposizione codicistica
dell’art. 2112, introduce un nuovo sistema.
8
L’art 2558 c.c. stabilisce che “se non è pattuito diversamente, l’acquirente dell’azienda
subentra nei contratti stipulati per l’esercizio dell’azienda stessa che non abbiano carattere
personale. Il terzo contraente può tuttavia recedere dal contratto entro tre mesi dalla notizia
del trasferimento, se sussiste una giusta causa, salvo in questo caso la responsabilità
dell’alienante. Le stesse disposizioni si applicano anche nei confronti dell’usufruttuario e
dell’affittuario per la durata dell’usufrutto e dell’affitto”.
7
1.2 La Direttiva 187/77 CEE.
La Direttiva Europea del 14 febbraio 1977, n.187/77 CEE fu rivolta
all’armonizzazione delle legislazioni nazionali circa il mantenimento dei
diritti dei lavoratori in caso di trasferimento delle aziende.
L’importanza di questa Direttiva può cogliersi nella circostanza che
essa, unitamente ad altre quattro Direttive adottate in quel decennio
(precisamente alle direttive n. 175/75 sui licenziamenti collettivi, n. 117/75
sulla parità retributiva uomo donna, n. 206/76 sulla parità di trattamento
uomo donna e n. 987/80 sull’insolvenza del datore di lavoro) costituisce il
nucleo “storico” più significativo del “il sistema di politica sociale
europea”
9
.
La Direttiva del 1977 si riferiva “ai trasferimenti di imprese, di
stabilimenti o parti di stabilimenti ad un nuovo imprenditore in seguito a
cessione contrattuale o fusione” (art.1 comma 1) e, comunque, nel caso e
nei limiti “in cui l’impresa, lo stabilimento o parte di esso da trasferire si
trovi nel campo di applicazione territoriale del Trattato” (art.1 comma 2).
Due Direttive, di poco posteriori, rispettivamente del 10 ottobre
1978, n. 855/78, e del 17 dicembre 1982, n. 891/82, estesero l’ambito di
tutela dei lavoratori all’ipotesi di fusione, anche per incorporazione (art.12),
nonché di scissione, delle società per azioni (art.10).
Il trasferimento d’azienda, come precisato dalla giurisprudenza della
Corte di Giustizia
10
, comprendeva tutte le ipotesi aventi ad oggetto una
entità economicamente ancora esistente, dotata di propria identità, ovvero di
una sua autonoma funzionalità
11
.
Rilevante è la sostituzione “a qualsiasi titolo” della persona, fisica o
giuridica, del datore di lavoro, anche indipendentemente dal trasferimento
della proprietà dell’azienda, e quindi anche nel caso di affitto dell’azienda, o
di ritrasferimento della medesima al termine del contratto di affitto o di
9
Cfr. FOGLIA R., “Il trasferimento d’azienda nell’unione europea, la normativa
comunitaria”, Relazione al convegno di Milano, 5 novembre 2001. Centro studi di Diritto
del Lavoro "Domenico Napoletano".
10
Sent. Corte di Giustizia 18 marzo 1986 n. C-24/85 Spijkers in http://europa.eu.int.
8
leasing
12
.
Nel senso più ampio si può affermare che la direttiva si applica a
tutti i casi di mutamento della persona fisica o giuridica responsabile
dell’impresa che assume le obbligazioni del datore di lavoro nei confronti
dei dipendenti dell’impresa medesima
13
.
Era altresì necessario che l’azienda trasferita “mantenesse la sua
identità” il che presupponeva che l’impresa proseguisse la sua attività
originaria, ovvero che il cessionario riconducesse l’azienda nella stessa
attività o in attività analoghe
14
.
In particolare la sentenza Suzen dell’11 marzo 1997, C-13/95 ha
escluso l’applicazione della direttiva: a) quando l’operazione non sia
accompagnata da una cessione di elementi patrimoniali materiali o
immateriali significativi in termini di numero e di competenze del personale
già destinato dal predecessore all’esecuzione del contratto; b) quando il
trasferimento di una semplice attività non sia accompagnato dal
trasferimento di un’entità economica che conservi la propria identità
precisando che un’entità economica non può essere ridotta all’attività che le
era stata affidata.
Tale sentenza ha peraltro affermato che sussiste il trasferimento: a)
quando esso abbia ad oggetto un’entità economica stabile ed adeguatamente
strutturata ed autonoma; b) che il criterio decisivo per stabilire se si
configuri un trasferimento ai sensi della direttiva consiste nella circostanza
che, come già precedentemente affermato, l’entità in questione conservi la
propria identità che risulta in particolare dal fatto che la sua gestione sia
stata effettivamente proseguita o ripresa.
Secondo l’interpretazione di questa sentenza emerge con chiarezza
che il trasferimento d’impresa può considerarsi tale soltanto se il
11
Sent. Corte di Giustizia 19 settembre 1995, n. C-48/94, Rygaard, in http://europa.eu.int.
12
Sent. Corte di Giustizia 10 febbraio 1988, n.C-324/86, Daddy’s, in http://europa.eu.int;
Sent. 5 maggio 1988, nn. C-144 e 145/87, Berg e Busschers, in http://europa.eu.int, v pure
la Sent. 19 maggio 1992, n. C-29/91, Redmond, in http://europa.eu.int.
13
Cfr. FOGLIA, “Il trasferimento d’azienda nell’unione europea, la normativa
comunitaria”, Relazione al convegno di Milano del 5 novembre 2001, Centro studi diritto
del lavoro “Domenico Napoletano”.
9
trasferimento di beni e rapporti sia disposto in funzione dell’esercizio
dell’impresa, o meglio si può sostenere che, ai sensi della direttiva,
l’esercizio dell’impresa attiene al momento causale del trasferimento.
In altre parole secondo l’interpretazione della Corte di Giustizia il
trasferimento d’impresa comporta che i due profili, quello della cessione del
complesso di beni e rapporti giuridici e quello dell’esercizio attuale
dell’impresa da parte del cessionario, siano strettamente connessi perché il
trasferimento d’impresa non può ridursi a trasferimento di attività senza
trasferimento di beni e neppure al trasferimento di beni e rapporti senza
esercizio dell’impresa
15
.
L’ottica fondamentale della Direttiva era quella della “indifferenza
delle vicende attinenti alla proprietà, o, meglio, alla titolarità dell’azienda
rispetto ai rapporti di lavoro costituiti nell’ambito di essa: a qualunque atto
conseguisse, la cessione doveva comunque risultare neutra per i lavoratori, i
quali non potevano essere licenziati o fatti oggetto di trattamenti meno
favorevoli
16
.
La Direttiva n. 187/77 CEE prevedeva – anche se in termini meno
analitici rispetto alla direttiva sui licenziamenti collettivi - una procedura
obbligatoria di informazione e consultazione a carico sia del cedente che del
cessionario, ambedue tenuti a comunicare in tempo utile ai rappresentanti
dei rispettivi lavoratori i motivi, le conseguenze, giuridiche, economiche e
sociali derivanti dal trasferimento, nonché le eventuali misure progettate nei
loro confronti e che formano oggetto delle consultazioni.
Le informazioni e le consultazioni dovevano essere assicurate in
tempo utile, prima dell’attuazione delle modifiche aziendali (art. 6 comma
3). In mancanza di rappresentanti sindacali, i lavoratori interessati dovevano
essere comunque previamente informati sulla data del trasferimento (art. 6
comma 5).
14
Sent. Corte di Giustizia 15 giugno 1988, n. C-101/87, Bork international, in
http://europa.eu.int; Sent. 18 marzo 1986, n. 24/85, Spijkers, ivi.
15
Cfr. SANTORO PASSARELLI G., La nuova disciplina del trasferimento d’impresa,
Ipsoa, Milano 2002, pagg. 5-6.
16
Cfr. FOGLIA R., Il trasferimento d’azienda nell’unione europea, in La nuova disciplina
del trasferimento d’impresa, Ipsoa, Milano 2002, pagg. 28 e ss.