4
perdono la loro specificità e non interferiscono con la raccolta, analisi e interpretazione dei
dati, non solo sono legittime, ma possono anche guidarci nel territorio dell’Altro, aiutandoci a
delineare un quadro più chiaro del fenomeno in esame. A questa conclusione siamo giunti
dopo mesi di dubbi sull’opportunità di affrontare, in questa sede, un tema di così scottante
attualità e che si presta facilmente a visioni pregiudiziali, sia apocalittiche che integrate, per
usare la terminologia di Eco (1963), dove viene sottolineato da un lato l’aspetto per così dire
demoniaco della comunicazione berlusconiana, che sarebbe dunque incontrastabile, dall’altro
la sua assoluta ingenuità e spontaneità, per cui l’abilità comunicativa sarebbe una qualità
intrinseca della personalità di Berlusconi, una predisposizione naturale, esattamente come la
sua nota passione per il canto o per le barzellette.
A nostro parere entrambe queste visioni devono essere respinte poiché propongono una
banalizzazione eccessiva del fenomeno Berlusconi che, lungi dal favorirne una comprensione
approfondita, ha finito per giovare allo stesso Berlusconi, corroborando la sua teoria
vittimistica del “complotto” che vediamo all’opera negli ambiti più diversi della sua azione
politica, dalla celebre affermazione “remano contro”, pronunciata a proposito
dell’opposizione in occasione della caduta del primo governo Berlusconi, nel dicembre del
1994, fino alle più recenti invettive contro i magistrati “golpisti”, accusati di aver condannato
ingiustamente per corruzione l’amico avvocato, nonché parlamentare di Forza Italia ed ex
ministro della Difesa, Cesare Previti.
Insomma, la domanda a cui cercheremo di dare una risposta convincente è: perché
l’immagine di Berlusconi e la sua comunicazione sono vincenti sia a livello strettamente
elettorale che a livello politico in generale? E perché la rivista Una storia italiana rappresenta
almeno in parte un’eccezione da questo punto di vista?
Nel tentativo di rispondere a questa domanda faremo riferimento a concettualizzazioni e
modelli riconducibili a ambiti disciplinari molto diversi tra loro, dalle scienze della
comunicazione, come la sociologia e psicologia della comunicazione, alla politologia,
passando per la semiotica e la linguistica, privilegiando però dapprima una visione sistemica e
successivamente massmediologica del fenomeno in esame.
In particolare, nel primo capitolo presenteremo un discorso introduttivo sulla
comunicazione politica e sulle complesse relazioni fra i diversi attori della polis,
concentrandoci in particolare sull’attore partito politico.
5
Il secondo capitolo affronta l’analisi genetica di Forza Italia, illustrandone la storia, le
trasformazioni organizzative e le strategie politiche di costruzione del consenso. In
particolare, cercheremo di individuare una definizione appropriata di questa formazione
politica relativamente giovane, passata nell’arco di pochi anni da un modello di partito
assolutamente originale nel panorama politico italiano dei primi anni novanta a un modello
più tradizionale e ortodosso.
Il terzo capitolo è dedicato all’analisi delle strategie comunicative più innovative che
sono state messe in atto da Forza Italia e dal suo leader in occasione delle ultime tre elezioni
politiche del 1994, 1996 e 2001.
Nel quarto capitolo, centrale per il nostro lavoro, ci proponiamo di analizzare Una
storia italiana, prodotto simbolico che racchiude in forma esasperata tutte le caratteristiche
più tipiche dell’universo comunicativo berlusconiano e che, nonostante questo (o proprio per
questo), non è riuscito a coinvolgere completamente il lettore/elettore nella narrazione
fiabizzata della vita di Berlusconi, arrivando persino a generare talvolta perplessità e
umorismo fra i suoi stessi elettori.
Infine, nelle conclusioni cercheremo di riportare il discorso all’interrogativo cruciale da
cui muove questo lavoro: spiegare i rapporti che intercorrono tra strategie politiche e
comunicative di Forza Italia e, in particolare, tra il successo conseguito da questo partito in
ambito politico e il suo abile sfruttamento delle risorse mediatiche, soprattutto quelle messe a
disposizione dal suo leader.
6
Cap. 1 Comunicazione politica e sistema dei partiti
1.1 Cos’è la comunicazione politica. Uno sguardo alla storia
La campagna per le elezioni politiche del 13 maggio 2001 ha proiettato di nuovo
Berlusconi e il suo partito al centro della scena politica nazionale e anche internazionale,
suscitando, ancor prima della sua vittoria elettorale, una messe incredibile di discussioni e
dibattiti attorno alle caratteristiche della sua leadership, al nodo irrisolto del conflitto
d’interessi, che gli conferisce un potere incommensurabile in un settore cruciale quale quello
dei mezzi di comunicazione di massa, alle sue promesse e agli eventi mediali in cui queste
sono state rese pubbliche, come la puntata di “Porta a porta” di Bruno Vespa in cui venne
stipulato il celebre “contratto con gli italiani”. Ma già nel 1994, dopo la “discesa in campo” e
l’inattesa vittoria delle elezioni politiche del 27-28 marzo, commentatori e studiosi iniziarono
a focalizzare l’attenzione sul fenomeno Berlusconi, protagonista di un cambiamento
fondamentale, una vera e propria rivoluzione, nel modo di fare comunicazione politica in
Italia, grazie anche alla potenza di fuoco del suo arsenale mediatico e alla sua esperienza nei
settori del marketing e della pubblicità commerciale.
Fu allora, quando i risultati delle elezioni non apparvero più scontati dopo decenni di
immobilismo in cui non esisteva nessuna reale alternativa di governo al regime democristiano
prima e pentapartitico poi, che il tema della comunicazione politica assunse particolare
rilievo, portando in primo piano questioni sopite, come quella della funzione ancillare svolta
dal sistema dei media rispetto al sistema politico in Italia, in contrapposizione alla funzione di
“watchdog”, di cane da guardia degli interessi pubblici, che essi svolgono nella generalità dei
paesi democratici, a cominciare dagli Stati Uniti. Non a caso è proprio in questo paese che gli
studi sulla comunicazione politica e sul posto da essa occupato all’interno della dimensione
politica nel suo complesso si sono sviluppati da tempo, almeno a partire dagli anni venti,
mettendo in luce dapprima le caratteristiche, i contenuti e le modalità di produzione della
propaganda bellica, con Lasswell (1927)
1
, e in seguito della comunicazione politico-elettorale
nei regimi democratici, in cui il tempo della politica è scandito da elezioni libere, competitive,
significative e tenute a scadenze prestabilite (Pasquino, 1997).
1
Citato in Wolf (1985).
7
In realtà, andando più indietro nel tempo, come fa, ad esempio, Mazzoleni (1998),
possiamo far risalire la nascita della comunicazione politica ai tempi dell’antica Grecia,
legandola all’affermazione della filosofia classica nel V-IV secolo a.C. Autori come Platone e
Aristotele già si erano posti il problema della definizione e legittimazione dell’autorità e del
potere e della capacità persuasoria del discorso politico sui cittadini riuniti nell’agorà della
polis. Ma, ancora prima, furono soprattutto i sofisti a dimostrare la straordinaria potenza della
retorica che, in quanto arte della parola e del discorso o logos, poteva essere utilizzata per
rendere vera anche la tesi più paradossale (eristica) e che, proprio per la sua capacità
persuasiva, era considerata essenziale per dominare le assemblee popolari e ottenere incarichi
pubblici. Uno dei più illustri sofisti e maestri di retorica, Gorgia, sosteneva che la funzione del
discorso non è quella di dire il vero in sé, che non esiste, ma di produrre nell’animo la
persuasione. Secondo Sini (1986):
“La parola, dice Gorgia, pur essendo un corpo piccolissimo e invisibile, è la grande
dominatrice della vita degli uomini; essa calma la paura, elimina il dolore, suscita la
gioia, aumenta la pietà. La retorica di Gorgia, più che educativa, è perciò ‘magica’,
fondata su poteri estetici più che logici”.
Ce lo dimostrano ad esempio i discorsi paradossali di questo sofista, capace persino,
attraverso un raffinato gioco dialettico, di difendere Elena contro tutta la tradizione che
l’accusava di aver tradito Menelao e i greci scatenando la guerra di Troia.
In seguito vedremo come la retorica, intesa in senso sofistico come arte della
persuasione, suscitatrice di passioni, emozioni e illusioni, continui a essere protagonista della
comunicazione politica contemporanea, a più di 2500 anni dalle sue prime formulazioni.
Ritornando alla ricostruzione storiografica delle origini della comunicazione politica, la
retorica venne successivamente ereditata dai romani che ne fecero uso nelle numerose
elezioni che si tennero durante il periodo repubblicano, quando furono persino elaborati dei
prototipi degli odierni manifesti elettorali disegnati sulla pietra e Cicerone predispose un
manuale di comunicazione politica, il Commentariolum petitionis, anticipando di svariati
secoli quella professionalizzazione che è uno dei tratti più tipici delle campagne elettorali
contemporanee, condotte frequentemente in base ai consigli e suggerimenti di esperti di
marketing e immagine.
8
Dopo secoli di abbandono degli ideali democratici, sarà solo alla fine del Settecento,
con la rivoluzione americana e quella francese, che questi ritorneranno prepotentemente sulla
scena della storia moderna e poi contemporanea, portando con sé la rinascita della
comunicazione politica come strumento per conquistare il consenso e disciplina di studio.
Chiaramente, finché le elezioni si tenevano all’interno di regimi politici oligarchici, in cui
solo ristrette élite erano chiamate a esprimere le proprie preferenze e opinioni politiche e a
partecipare al voto, la comunicazione politica fu considerata un’attività marginale e non
decisiva per la conquista del potere. Essa iniziò a dispiegare tutte le sue potenzialità solo nei
regimi pienamente democratici con l’estensione universale del suffragio, la formazione di una
sfera pubblica in cui il dialogo sociale poteva svilupparsi in condizioni di parità (Habermas,
1962)
2
e infine la sua trasformazione in una sfera pubblica mediatizzata con la diffusione su
vasta scala dei grandi mezzi di comunicazione di massa e in particolare della televisione.
Questi però, pur assumendo un’importanza cruciale, non occupano interamente lo spazio
pubblico, poiché un ruolo di primo piano nella formazione dell’opinione pubblica è svolto
anche dalla comunicazione interpersonale o faccia a faccia, come dimostrato fin dagli anni
Quaranta dalla teoria del two-step flow of communication elaborata da Lazarsfeld, Berelson e
Gaudet nel 1944
3
. Nel tentativo di individuare i meccanismi che influenzano il
comportamento elettorale durante le campagne presidenziali statunitensi, i ricercatori della
prestigiosa Columbia School scoprirono che l’influenza dei mass media sul pubblico non si
esercita direttamente, ma è mediata dall’azione dei c.d. leader d’opinione, persone che
manifestano un elevato grado di coinvolgimento e interesse per la campagna elettorale e che
svolgono una funzione di indirizzo rispetto alle scelte del resto dell’elettorato.
Comunque la centralità dei mass media nella produzione e diffusione di comunicazione
politica è ormai un fatto unanimemente riconosciuto, come evidenziano il modello
pubblicistico-dialogico e quello mediatico (Mazzoleni, 1998).
2
Citato in Mazzoleni (1998).
3
Questa teoria è esposta nell’opera The People’s Choice, New York, Duell, Sloan & Pearce, 1944. Citata in
Mazzoleni (1998).
9
In entrambi possiamo individuare i tre principali attori della comunicazione politica:
1) il sistema mediale, costituito da tutti i mezzi di comunicazione di massa, come stampa,
radio, televisione, cinema, e dai c.d. nuovi media, che consentono un maggior grado di
interattività, come Internet.
2) il sistema politico, costituito sia da attori istituzionali, come il Parlamento, il Governo
e la magistratura, sia da attori non istituzionali, come i partiti, i movimenti, i gruppi di
pressione o lobbies.
3) la società civile, ossia i cittadini, che, a differenza dei sistemi precedenti, non hanno
un profilo, un’identità stabile, ma si manifestano come un insieme unitario soltanto in
determinate circostanze, per esempio durante le elezioni, quando diventano elettori, o
durante lo svolgimento di un sondaggio, quando vestono i panni dell’opinione
pubblica.
Nel primo modello i tre principali attori della comunicazione politica, il sistema
mediale, il sistema politico e i cittadini o la società civile, interagiscono reciprocamente
creando spazi comunicativi di natura politica che, sovrapponendosi l’uno all’altro, danno
luogo a una comunicazione politica mediatizzata. Nel secondo modello invece l’interazione
fra i tre attori genera uno spazio mediale che funge da contesto all’interno del quale si
esplicano i rapporti fra i media stessi e gli altri due soggetti della comunicazione politica, il
sistema politico e i cittadini, a cui vengono imposte di conseguenza logiche tipicamente
mediali. La differenza fra i due modelli è evidente: mentre nel primo modello, definito
pubblicistico-dialogico perché colloca la comunicazione politica all’interno di un processo
discorsivo che coinvolge in maniera paritaria tutti gli attori, i mass media svolgono una
funzione determinante ma accidentale e contingente, nel senso che essi si sono affiancati agli
altri due attori della comunicazione politica in un secondo tempo e potrebbero anche
scomparire in futuro senza mutare la sostanza della comunicazione; nel secondo invece i mass
media hanno un valore aggiunto rispetto agli altri due attori della comunicazione politica,
costituendo l’arena all’interno della quale si estrinsecano le loro relazioni reciproche ed
essendo quindi in grado di influenzare contenuti, modi e tempi della comunicazione.
10
E’ a questo proposito che si parla di mediatizzazione della politica, indicando con tale
espressione uno dei principali effetti del sistema mediale sul sistema politico su cui ci
soffermeremo tra breve.
Nel corso degli ultimi quaranta-cinquanta anni questi due sistemi sono andati incontro a
trasformazioni così profonde, come la diffusione capillare e pervasiva dei media e il declino
dei partiti di massa tradizionali, che oggi risulta senza dubbio dominante il modello mediatico
della comunicazione politica.