dell’assicurato – dall’altro. È chiaro come in un tale contesto, ricco di nuovi caratteri,
gli organi di vigilanza non potessero lasciare invariata la loro posizione rischiando di
farla risultare inadeguata ed obsoleta ed è per questo che tali organi hanno dovuto
ridefinire il proprio rapporto e le tipologie di controllo sul sistema finanziario,
passando da un orientamento –in termini di vigilanza- di tipo strutturale alla
cosiddetta vigilanza prudenziale, ossia realizzando un insieme di regole uniformi
all’interno delle quali i soggetti vigilati possono determinare le proprie scelte
gestionali. È sorprendente come due diversi settori, quali quello bancario e quello
assicurativo, si siano trovati a dover fronteggiare un problema analogo ossia quello di
far evolvere un sistema relativamente semplice per renderlo più adeguato agli
effettivi rischi delle imprese e incentivare, attraverso la sua flessibilità, una migliore
gestione interna dei rischi stessi. Questo necessità ha ricevuto delle prime risposte nel
settore bancario che ha costituito per quello assicurativo una utile ma non esaustiva
fonte d’ispirazione sia per i metodi di quantificazione dei rischi sia per il ricorso ai
modelli interni delle imprese. Nonostante ciò, le peculiarità del settore assicurativo –
tra cui si ricorda che alcuni rischi sono tipici delle imprese di assicurazione, che le
imprese non dipendono le une dalle altre come sul mercato bancario e che l’attività di
erogazione prestiti non è comparabile a quella delle banche - fanno sì che determinati
aspetti di vigilanza abbiano una disciplina settoriale e quindi esclusiva.
L’insieme delle considerazioni svolte costituisce la base di partenza di questo lavoro
che ha lo scopo di formulare alcune riflessioni di natura critica sui temi collegati alla
Patrimonializzazione degli intermediari assicurativi e creditizi.
Nel primo capitolo si compie un’analisi ragionata dei profili critici dei rischi e si
effettua una classificazione di quelli che sono i rischi tipici degli intermediari
assicurativi e creditizi. Si fa presente come parte dei rischi indicati possa essere
prevenuta attraverso l’introduzione di norme volte a regolamentare l’attività di tali
intermediari. Le misura di prevenzione previste dal legislatore, finalizzate al controllo
e alla delimitazione dei rischi, comprendono i criteri di gestione, i coefficienti di
patrimonializzazione, l’adeguatezza organizzativa ed i requisiti di onorabilità, di
competenza e di esperienza che debbono possedere i soggetti che assumono posizioni
nell’ambito degli organi amministrativi e di controllo o che rivestono responsabilità
di direzione. Segue un breve cenno ad alcuni dei metodi e delle tecniche utilizzate per
valutare e gestire il rischio di credito – Credit Derivatives, l’approccio VaR,
l’approccio Credit Metrics.
Nel secondo capitolo si analizza lo stato dell’arte della solvibilità delle imprese di
assicurazione nella disciplina comunitaria. La generalizzata liberalizzazione avvenuta
nel settore assicurativo se da una parte ha prodotto una “deregulation” gestionale e
commerciale, dall’altra ha sottoposto le imprese di assicurazione ad un rafforzato
regime di controlli prudenziali consistenti nella costante vigilanza della situazione
patrimoniale e finanziaria dell’impresa e del possesso del Margine di Solvibilità e di
Riserve Tecniche sufficienti. Riguardo alle riserve tecniche, la principale
preoccupazione del legislatore è stata non solo quella di imporre la loro costituzione
ma anche di assicurare la sufficienza delle coperture degli impegni assunti
imponendo, a tal fine, tutta una serie di disposizioni relative ai principi di calcolo e
alle modalità di copertura. Le stesse sono classificate, poi, a seconda che siano
relative a contratti di assicurazione sulla vita o contro i danni e presentano
denominazioni diverse in relazione alla natura della garanzia che assolvono. Il
margine di solvibilità, invece, deve essere costituito con quella parte del capitale
libero da impegni verso gli assicurati e può essere inteso come cuscinetto
supplementare che serve per far fronte ai possibili imprevisti che possono
manifestarsi e che possono intaccare la solidità finanziaria dell’impresa. Esso è uno
strumento complementare al capitale minimo e alle riserve tecniche e, a differenza di
queste ultime, è determinato considerando un’ulteriore componente rispetto
all’attività svolta dall’impresa: l’attività che si prevede per il futuro. Non gode del
principio di funzionamento - tipico dell’attività assicurativa - nel quale le riserve
tecniche sono costituite con i premi raccolti. Deve essere costituito con i capitali
apportati dagli azionisti o, in generale, utili e attività dell’impresa stessa. Le varie
direttive che regolano il margine di solvibilità precisano quali beni possono entrarne a
far parte e quali valori sono esclusi. In linea di massima, la scelta comunitaria
privilegia la costituzione del margine con attività che presentano un buon grado di
liquidità e non eccessivamente rischiose. Il margine è differenziato, nelle fasi di
calcolo, per il ramo vita e per il ramo danni. Ogni formula cerca di prendere in
considerazione i fattori rilevanti del ramo: riserve matematiche e capitali sotto rischio
(rami vita); riserve tecniche e premi (rami danni). Oltre al valore del margine di
solvibilità, la normativa stabilisce un livello minimo di questo che deve essere
obbligatoriamente mantenuto sempre dall’impresa di assicurazione dal momento
della sua costituzione, definito Quota di Garanzia. Il margine presenta però dei limiti
che si possono sintetizzare nella visione estremamente statica dell’attività
assicurativa, nella previsione uniforme e generalizzata delle aliquote, nella mancata
considerazione dei diversi profili di rischio e nei criteri semplicistici nella
determinazione del margine di solvibilità che viene calcolato attraverso semplici
relazioni lineari con i valori di bilancio. Siccome i valori di riferimento – per la
valutazione della capacità di un’impresa di assicurazione di far fronte ai propri
impegni futuri- sono presi dal bilancio di esercizio, nell’ultima parte del capitolo 2°
viene brevemente trattato il progetto di armonizzazione dei principi contabili
internazionali. L’ingresso delle imprese di assicurazione sui mercati internazionali
pone l’accento sull’importanza del linguaggio utilizzato per diffondere le
informazioni. Linguaggio che quanto più sarà comune, tanto più porterà alla
comparabilità di operazioni e fatti gestionali simili, alla trasparenza ed alla facilità nel
reperimento dei capitali, all’incentivo alla globalizzazione ed alle agevolazioni nelle
verifiche da parte delle autorità di vigilanza.
Nel terzo capitolo viene analizzato il sistema americano – Risk-Based Capital - di
controllo della solvibilità delle imprese di assicurazione. Tale sistema, a differenza
del margine di solvibilità europeo, si adatta meglio alla complessa articolazione dei
rischi che richiede strumenti di misurazione della solvibilità basati su standard di
capitali flessibili. Il requisito patrimoniale viene calibrato al profilo di rischio della
singola impresa. Il sistema Risk-Based Capital si differenzia, nelle fasi di calcolo, a
seconda se si considera il ramo vita o il ramo danni: sono prese in considerazione per
i due rami le diverse categorie di rischio. La formula mira ad individuare il capitale
minimo necessario ad una compagnia per sostenere la sua attività complessiva in
funzione della quantità e della natura dei rischi assunti; per ciascun rischio viene
determinato il requisito patrimoniale di copertura e si determinano i diversi livelli di
intervento dell’autorità di vigilanza. La formula non si limita a sommare le
componenti di RBC determinata per ciascuna categoria di rischio ma opera una
compensazione sul presupposto che non tutti i rischi possono causare perdite
contemporaneamente. I limiti del RBC consistono essenzialmente nella difficoltà di
determinare i pesi per le differenti tipologie di rischio considerate nella formula, nella
mancata discriminazione per il fattore dimensionale e nella possibilità che il
management dell’impresa di assicurazione decida di uscire da un business redditizio
ma più rischioso in quanto per lo stesso sono previsti livelli di patrimonializzazione
più elevati. Nell’ultima parte del 3° capitolo si passa ad una breve analisi del sistema
Canadese il quale, per il calcolo del requisito minimo permanente per i fondi propri,
mutua dall’ RBC americano il principio della scomposizione per il rischio, con
leggere differenze nei rischi coperti e nel fatto che il requisito patrimoniale
corrisponde alla semplice somma dei requisiti di ciascun rischio.
Nel quarto capitolo si dà risalto all’adeguatezza del capitale nelle istituzioni creditizie
e si analizzano i fondamenti della regolamentazione prevista dall’Accordo di Basilea
del 1988. Tale accordo ha proposto l’adozione di un sistema di requisiti di capitale
uniformi per le banche attive a livello internazionale in quanto le differenze fra i
sistemi di regolamentazione del capitale nei diversi paesi creavano condizioni di
disparità, in termini di concorrenza, fra i sistemi stessi. Gli obiettivi di tale accordo
erano quello di rafforzare la solidità e solvibilità del sistema bancario internazionale –
attraverso l’introduzione di requisiti minimi di capitale correlati al rischio - e quello
di ridurre le differenze competitive fra le banche attive a livello internazionale -
attraverso l’introduzione di un approccio standard. Con ciò si tendeva a ridurre il
verificarsi di crisi bancarie senza minare la concorrenza internazionale all’interno
dell’industria bancaria. Col passare del tempo lo schema fornito dall’accordo dell’ 88
ha reso evidenti i suoi limiti evidenziando che la diversità del merito creditizio delle
controparti non è considerata adeguatamente, che la scadenza dei crediti non è
considerata un fattore di rischio e che il principio di diversificazione del portafoglio è
del tutto trascurato. E proprio da questo muove il nuovo progetto che intende
perseguire un sistema di regole prudenziali più efficace e maggiormente in grado di
cogliere i rischi dell’attività bancaria (Accordo di Basilea 2). Tale accordo, destinato
ad entrare in vigore entro il 2006, prevede notevoli innovazioni con riferimento sia
alle tipologie di rischi considerati sia alle relative modalità di misurazione –
approccio standardizzato e approccio basato sull’utilizzo di rating interni. Nel nuovo
contesto che si va delineando vengono “premiati”, in termini di requisiti più bassi, gli
operatori che adottano sistemi gestionali di misurazione e controllo dei rischi più
sofisticati. Le autorità di vigilanza, inoltre, non si limitano a semplici operazioni di
ispezioni e di richiesta di informazioni, ma verificano anche che le banche siano
dotate di processi interni corretti nella misurazione del rischio e nel calcolo del
requisito patrimoniale. Viene data particolare enfasi alla trasparenza, ritenuta di
fondamentale importanza affinché il mercato possa adeguatamente valutare se una
banca gestisca in modo corretto il rischio, esercitando così la sua funzione di
disciplina sul management bancario.
Nel quinto capitolo, infine, si fa cenno al progetto Solvibilità II, con cui la
Commissione europea intende sottoporre a revisione l’insieme delle norme che
presiedono alla vigilanza prudenziale sulle imprese di assicurazione. L’obiettivo di
tale progetto è quello di definire un sistema di vigilanza prudenziale che sia meglio
calibrato sui rischi effettivi a cui le singole imprese sono esposte e che possa
incentivare una migliore misurazione e gestione dei rischi da parte delle imprese
stesse. Un contributo rilevante è venuto dal progetto di riforma prudenziale del
settore bancario (Nuovo accordo di Basilea). Il sistema prudenziale non è più visto
come una semplice enunciazione di coefficienti finanziari regolamentari ma
comprende altri due pilastri che vengono a completare questi requisiti quantificati.
Tale progetto costituisce l’occasione per rafforzare le norme e le pratiche prudenziali
e migliorare, così, l’integrazione del mercato unico europeo in modo da consolidare
le basi del riconoscimento reciproco e della cooperazione tra autorità di vigilanza.
Tale sistema, quindi, dovrebbe essere costituito non solo da una serie di rapporti
quantitativi e di indicatori ma dovrebbe comprendere anche gli aspetti qualitativi che
influenzano l’esposizione al rischio di un’impresa quali la gestione, il controllo
interno dei rischi e la situazione concorrenziale.