5
possano esercitare una forte spinta verso l’indebolimento
delle relazioni all’interno della famiglia e favorire
l’isolamento dei suoi vari componenti. Appare chiaro
inoltre che gli effetti prodotti da una forte esposizione
a una televisione prevalentemente declinata su modelli
commerciali piuttosto che educativi, inducono
atteggiamenti sempre più di tipo consumistico,
sostitutivi di valori e significati.>>
2
Ciò che rende la televisione così prominente nel
panorama delle comunicazioni di massa sono la grande
facilità di fruizione e l’aspetto ludico di questo
strumento: guardare la televisione è un’azione che si può
compiere in tutta comodità, senza alcuna spesa e,
soprattutto per gli adolescenti, come intermezzo fra
altre attività pomeridiane.
Quest’ultimo aspetto è particolarmente importante:
la televisione riempie gli spazi di tempo libero dei
fruitori, possiede dunque una spiccata capacità invasiva
che, combinata con il suo porsi come divertimento (che
spinge i telespettatori ad accettare meno criticamente i
contenuti proposti) la rende di fatto un’agenzia
educativa.
È infatti normale nel guardare la televisione
accettare il suo “gioco”: ciò che si vede in un cartone
animato (o in un film, in un telefilm, ecc…) è ovviamente
finto, ma lo spettatore finge di non saperlo, o meglio
sceglie di non tenerne conto allo scopo di divertirsi; e
questo divertimento ha varie <<facce>> che vanno dalla
voglia di svago dopo una giornata di lavoro per gli
adulti ai bisogni di modelli da imitare, di informazioni
2
Ibidem, pag. 127
6
sul mondo, di avventura e di ottimismo per i bambini e
gli adolescenti.
Naturalmente, la televisione propone valori, visioni
del mondo, idee, modelli di comportamento propri (e
funzionali ai propri obiettivi) facendo, dunque,
concorrenza alle agenzie educative tradizionali: famiglia
e scuola soprattutto.
Non a caso, dunque, si parla di essa come agenzia
educativa: perché il risultato che consegue da tutto ciò
è una diffusione uniforme di modelli di comportamento; i
media sono un’"industria della coscienza" che crea e
modella la cultura della nostra società.
Nessuno, anche volendolo, potrebbe raccontare una
storia senza, seppure involontariamente, connotarla con
le sue idee e sottendere la propria visione del mondo.
Da questa considerazione si può partire per
osservare come ogni apparentemente semplice racconto
audiovisivo porti implicito in sé un consistente livello
non dichiarato; con "non dichiarato" si intende tutto ciò
che è sottinteso, al di là di ciò che il testo dice
apertamente di contenere, ad esempio: la serie animata
"Dragon Ball", oggetto particolare di studio nel presente
lavoro, si propone agli spettatori come una serie di
lotta, al livello non dichiarato si pone tutto ciò che
non è inerente al combattimento corpo a corpo fra i
personaggi: e cioè tutto un bagaglio di idee,
comportamenti, valori, stereotipi e modelli alcuni dei
quali avvalorati e rinforzati (altri indicati come
sbagliati) dagli eroi protagonisti.
7
Una trama, proprio come ogni singolo episodio e
finanche ogni piccola scena, riflettono inevitabilmente
il modo di pensare e di vedere il mondo di chi le crea e
le produce.
Piercesare Rivoltella sottolinea che <<Matura così
l’idea che i media siano opachi, cioè che la
rappresentazione del mondo cui essi mettono capo non sia
una semplice restituzione fisica delle cose come stanno,
ma il risultato di una mediazione simbolica.>>
3
, e ciò è
vero per tutti i programmi: film, telefilm, telenovele,
ed a maggior ragione lo è per le serie animate che, per
antonomasia, creano mondi, ambientazioni e storie
volutamente surreali.
La televisione ha imparato a sfruttare sempre meglio
e sempre più massicciamente questa caratteristica.
Ogni scena ed ogni avvenimento rappresentato, come
anche l’ambientazione stessa in cui i personaggi sono
immersi, le loro idee, i loro modi di pensare sono
messaggi che lo spettatore riceve, spesso
inconsapevolmente, e che hanno un grosso peso,
soprattutto per i bambini e gli adolescenti per una serie
di motivi:
- perché essi hanno bisogno per la loro crescita di
modelli da imitare, eroi ai cui comportamenti (e
quindi ai cui valori) rifarsi;
- perché, ed è naturale, essi non hanno ancora
sviluppato una coscienza critica ed una maturità
tali da poter leggere fra le righe del testo
cogliendo ciò che sottende, per poi valutarlo;
3
P. C. Rivoltella, a cura di, L’audiovisivo e la formazione.
Metodi per l’analisi., Cedam, Padova 1998, pag. 6.
8
- perché, e questo invece non dovrebbe avvenire,
essi sono spesso lasciati soli davanti alla
televisione dai genitori che, in tal modo, fanno
mancare il loro prezioso apporto in fase di
lettura, interpretazione e valutazione del testo
audiovisivo.
Accade dunque spesso che gli spettatori, soprattutto
quelli più giovani, inconsciamente apprendano la cultura
che la televisione propone e porta avanti: è in questo
senso che si parla di mass media produttori, fautori e
diffusori di cultura.
Per questi motivi, scopo del presente lavoro è
indagare quali idee, concetti, valori e modelli di
comportamento giungono agli spettatori italiani,
soprattutto ai più giovani, allorquando fruiscono, a
scopo di svago, della visione di uno dei cartoni animati
più famosi in assoluto a livello mondiale, capace di
vantare un successo vastissimo in tutte le categorie di
pubblico: la serie animata "Dragon Ball", proveniente dal
Giappone.
Nel primo capitolo si fornisce una visione d'insieme
delle serie animate Giapponesi elencandone alcune
caratteristiche tipiche, oltre a ripercorrere, dal punto
di vista storico, le varie tappe dell'importazione in
Italia di tali prodotti negli ultimi trent'anni.
Il secondo capitolo è interamente dedicato alla
presentazione della serie "Dragon Ball" nelle sue
componenti principali, per fornirne la necessaria
conoscenza.
9
Il terzo capitolo riguarda gli strumenti principali
dell'analisi del testo audiovisivo, descrivendoli e
preparandone l'utilizzo nel capitolo quarto.
Il quarto capitolo analizza i messaggi che "Dragon
Ball" invia al pubblico in merito ad una serie di
tematiche importanti, scelte sulla base della loro
rilevanza educativa. Inoltre, fornisce la trascrizione
grafica di interessanti sequenze tratte dal cartone
animato, a sostegno e come esempio di quanto esposto.
Nel quinto capitolo, poi, ci si colloca maggiormente
in una prospettiva pragmatica, analizzando il rapporto
del testo audiovisivo con il contesto di fruizione;
l'attenzione è focalizzata sulle trasformazioni che il
prodotto subisce in conseguenza del mutare del contesto
di pubblico: censure, target, ecc…
Infine sono presenti due appendici: la prima
contiene la trama completa di "Dragon Ball" (si è
preferito collocarla in appendice a causa della sua
lunghezza), la seconda presenta la leggenda cinese a cui
la serie paga un consistente tributo, almeno nella sua
parte iniziale, facendo parte del suo retroterra
culturale.
10
1 LE SERIE ANIMATE GIAPPONESI
Fino alla metà degli anni ’70 in Italia le serie
animate giapponesi erano praticamente sconosciute, il
perché della vera e propria invasione del mercato che
esse hanno compiuto è da ricercarsi nella notevole
capacità delle case produttrici giapponesi di crearne in
grandissima quantità a costi bassissimi.
Gli anni ’80, e ancor più gli anni ’90, vedono la
decisa affermazione sul mercato internazionale dei
“manga” giapponesi. Questo termine indica i fumetti,
mentre ci si riferisce ai cartoni animati con la parola
“anime”.
In realtà comunque non c’è manga che non abbia la
sua trasposizione audiovisiva e viceversa, dunque i due
termini sono spesso inseparabili
4
.
Gli anime possono essere film d’animazione, spesso
della durata di un normale film, autoconclusivi,
contenenti cioè una fine logica della trama (in questo
caso si chiamano OAV: Original Animated Video); oppure
essere organizzati in serie, prevedendo il dipanarsi
della trama lungo un numero solitamente molto elevato di
episodi
5
.
4
Per quanto riguarda il concetto di rimediazione si veda J.
D. BOLTER, R. GRUSIN, Remediation. Competizione e integrazione tra
media vecchi e nuovi, Guerini, Milano, 2002.
5
Per quanto riguarda la serialità si veda il seguente
contributo: G. MICHELONE, I ragazzi e i cartoons televisivi: una
proposta didattica, in R. GIANNATELLI, P. C. RIVOLTELLA, a cura di,
Teleduchiamo. Linee per un uso didattico della televisione, LDC,
Torino 1994.
11
A tutt’oggi le reti televisive italiane trasmettono
per la maggior parte dello spazio dedicato ai giovani e
giovanissimi prodotti importati dal Giappone, anche se
con significative differenze rispetto al passato,
differenze che saranno esaminate in seguito.
Proprio di una delle più diffuse e fortunate serie
animate ci occuperemo in modo specifico a partire dal
prossimo capitolo: la serie intitolata “Dragon Ball”.
Ora è interessante tracciare brevemente la storia
dell'avvento dell'animazione giapponese in Italia.
12
1.1 L'INVASIONE DELLE SERIE ANIMATE GIAPPONESI SUL
MERCATO
Il mercato dell'animazione, almeno per quanto
riguarda l'Italia, negli ultimi trent'anni è, di fatto,
quasi esclusivamente importazione di prodotti
giapponesi
6
; è questo il motivo per cui ci si riferisce
spesso a tale fenomeno con termini forti quali, appunto,
"invasione".
Questa importazione ha attraversato varie fasi, di
cui almeno tre principali: dalla seconda metà degli anni
'70 alla prima metà degli anni '80 (comunemente definita
prima ondata), la seconda metà degli anni '80, fino ad
"Akira" (il periodo della transizione) e dall'inizio
degli anni '90 in poi (la seconda ondata).
Va detto che il presente paragrafo non pretende di
essere esaustivo del fenomeno, ma anzi riassuntivo, dando
un'idea generale che permetta di inquadrare meglio la
situazione attuale e rimandando, per un approfondimento
storico completo ed esteso, alle pubblicazioni esistenti
sull'argomento
7
.
6
Prodotti acquistati a volte direttamente dal Giappone, a
volte, invece, passando attraverso gli Stati Uniti, per risparmiare
sulla difficoltosa traduzione e sul ribaltamento delle tavole (i
Giapponesi scrivono e leggono da destra verso sinistra).
7
La principale fonte cui si è attinto è la rivista IF.
IMMAGINI E FUMETTI, Mangamania, vent'anni di Giappone in Italia,
Epierre, Milano, marzo 1999.
13
1.1.1 DALLA META' DEGLI ANNI '70 AI PRIMI ANNI '80
Nel 1978 il Giappone si riprende, finalmente, dagli
strascichi della seconda guerra mondiale e firma un
trattato di pace con il suo nemico storico, la Cina.
Da questo momento la sua economia diviene tanto
emergente da guadagnarsi l'appellativo di "tigre
d'oriente"; il Giappone esporta, infatti, moltissimi
prodotti tra i quali l'hardware (settore che i giapponesi
hanno letteralmente rivoluzionato) ed, appunto, gli anime
ed i manga.
Nel 1976, per la prima volta, la RAI trasmette una
serie animata giapponese: si tratta di "Heidi" (titolo
originale "Alps no shojo Heidi": Heidi la ragazza delle
Alpi), che conquista il pubblico a tal punto da fungere
da apripista per l'arrivo di tutte le altre serie animate
che vengono acquistate da allora in avanti.
"Heidi" era un prodotto totalmente nuovo e, per
l'epoca, atipico: i programmi per ragazzi dell'epoca
erano i cartoons della Warner e di Hanna&Barbera,
notevolmente infantili, caratterizzati da personaggi
esclusivamente macchiettistici e da episodi
autoconclusivi.
"Heidi", invece, presentava una trama ed una
sceneggiatura coinvolgenti e ricche di colpi di scena,
gli episodi erano concatenati a formare una storia lunga
e complessa, ricca di eventi.
Anche i personaggi, poi, erano del tutto nuovi: ben
caratterizzati, profondamente umani, ognuno dotato di una
personalità piena di sfaccettature; inoltre, nel corso
della storia subivano un processo di crescita.
14
Se a tutto ciò si aggiungono l'ottimo livello
dell'animazione e il rivoluzionario design dei
personaggi, semplificato ma espressivo, si può capire
come i giovani spettatori italiani non avessero mai visto
nulla di simile e quanto ne furono affascinati, di fatto
divenendo una generazione dall'approccio al mezzo
televisivo profondamente nuovo.
Nel 1978 è ancora la RAI ad assicurarsi la
trasmissione di "Goldrake" (il vero titolo della serie
italiana è "Atlas UFO Robot", in originale "UFO Robot
Grendizer") che ottiene un successo vastissimo.
Le innovazioni rispetto ai programmi per ragazzi di
allora erano molte: innanzitutto il fatto che il
protagonista fosse un alieno che difendeva la Terra
dall'attacco di altri alieni, poi il tono serio e
relativamente adulto della serie, l'eroismo dei
personaggi impegnati loro malgrado in una guerra lunga e
difficile, e soprattutto lo spettacolare e gigantesco
robot antropomorfo Goldrake comandato dall'interno; per
tutti questi motivi, ed altri ancora, la serie divenne un
autentico cult.
È anche utile per una maggiore completezza una breve
carrellata dei principali generi in cui le serie
dell'epoca possono essere suddivise.
Cominciamo dal genere robotico: il successo di
"Goldrake" spinse molti a seguire la medesima strada,
avviando una serie quasi infinita di produzioni analoghe,
tra le quali ricordiamo "Jeeg robot d'acciaio", "Il
grande Mazinga" e "Mazinga Z" (i cui soggetti sono tutti
e quattro di Go Nagai); si è già detto degli innumerevoli
tentativi di imitazione, comunque in alcuni casi il
genere riuscì a discostarsi abbastanza dal canovaccio-
15
base di Nagai, trattando la tematica robotica in modo più
leggero ed umoristico: è il caso di "Daitarn III" e
"L'invincibile robot Trider G7".
Citiamo anche "Gundam", la prima serie che riuscì a
trasportare il genere robotico su un terreno più
realistico, offrendo sceneggiature più elaborate,
personaggi più complessi e un mecha design più credibile.
Vi è poi il genere dei supereroi senza robots:
"Tekkaman", "Kyashan" e "Hurricane Polimar" sono esseri
umani che, a causa di esperimenti scientifici,
acquisiscono capacità uniche e le sfruttano per
proteggere la Terra combattendo i cattivi di turno.
Diverso è il caso delle opere di Leji Matsumoto,
"Capitan Harlock", "Starblazers" e "Galaxy express 999",
in cui non esistono supereroi o superguerrieri, i
personaggi sono normali esseri umani ed il piacere della
visione è dovuto a sceneggiature complesse e personaggi
ben caratterizzati e stratificati.
Non si può tralasciare il genere sportivo che,
ricchissimo in Giappone per motivi culturali (ogni
istituto scolastico giapponese è legato alla pratica di
più discipline sportive), ebbe un successo enorme anche
in Italia, sia nel caso delle serie che si dedicavano
esclusivamente allo sport (citiamo "Mimì e la nazionale
di pallavolo", "Rocky Joe" e "Tommy, la stella dei
Giants"), sia quando una serie legava maggiormente la
pratica sportiva alla vita quotidiana ("Forza Sugar",
"Pat, la ragazza del baseball"), sia quando la serie
assumeva toni decisamente più telenovelistici ("Jenny la
tennista").
16
Un altro importante filone è rappresentato dalle
serie dedicate ad un pubblico femminile, che si possono
suddividere in due principali sottogeneri: da una parte i
cartoni animati ispirati alle gesta di simpatiche
maghette, come "Sally la maga", "Bia, la sfida della
magia", "Lo specchio magico" e "Lulù, l'angelo tra i
fiori"; dall'altra parte le vere e proprie soap opera:
soprattutto "Candy Candy" e "Georgie" caratterizzate da
sceneggiature strappalacrime, protagoniste vulnerabili e
sentimentali perseguitate dalla sfortuna.
Fra le serie per ragazze non basate sull'elemento
magico un posto d'onore va a "Lady Oscar", romanzo
storico complesso di grande tensione e maturità
stilistica.
In ultimo ricordiamo il genere per bambini,
costituito per la maggior parte da animali dotati di
parola e sentimenti identici a quelli umani, fra cui
spiccano "Kimba, il leone bianco", "L'ape Magà" e "L'ape
Maia".
Con una così grande varietà di tipologie, era in un
certo qual modo inevitabile che i cartoni animati
giapponesi conquistassero il pubblico di giovani
telespettatori italiani; il che si verificò puntualmente,
almeno fino all'esplosione delle prime polemiche tra la
fine degli anni '70 e i primi anni '80. Nel frattempo le
televisioni italiane, tra il 1979 e il 1983 mandarono in
onda circa 150 serie televisive, riuscendo a stupire
anche gli stessi produttori giapponesi.
17
1.1.2 LA SECONDA META' DEGLI ANNI '80
La messa in onda dei cartoni animati giapponesi nel
periodo precedente era avvenuta in forma totalmente
incontrollata. Si pensi che i tre quarti delle produzioni
nipponiche di quel periodo furono trasmesse in Italia
almeno una volta.
Inoltre, il concetto di censura era all'epoca
assente, dunque le serie vennero proposte sui teleschermi
italiani in forma uguale all'originale.
Tutto ciò durò finché non si arroventarono le
polemiche dovute al fatto che i genitori trovavano tali
prodotti ricchi di contenuti diseducativi ed inadatti ai
più giovani. I punti fondamentali delle proteste delle
associazioni dei genitori furono il fattore violenza,
l'elemento dello scontro fisico in generale e la presenza
negli anime di blandi accenni sessuali.
Furono proprio queste proteste a portare, dalla metà
degli anni '80, ad una messa in onda molto più
controllata delle serie giapponesi.
In questo quadro generale in cui la televisione
pubblica faceva retromarcia di fronte agli anime, emerse,
come gruppo di riferimento nel campo dei cartoni animati
giapponesi, la Fininvest che, nonostante una scelta
oculatissima delle serie da proporre, riuscì ad
accaparrarsi i prodotti migliori sul mercato nella
seconda metà degli anni '80.
Furono, ovviamente, bandite tutte le serie
incentrate sullo scontro fisico (e quindi anche le serie
robotiche); comunque, "Italia 1" con il suo programma
contenitore "Bim Bum Bam" seppe offrire anime di ottima
18
qualità sia nuovi, come "L'incantevole Creamy", "Occhi di
gatto", "Là sui monti con Annette", "Lovely Sara" e
"Pollyanna", sia recuperando alcune serie vecchie
ritenute proponibili secondo i nuovi standard imposti
dalle recenti polemiche (è il caso di "Lupin III", "Jenny
la tennista" e "Candy Candy").
In anni più recenti sono state proposte anche serie
dal target più adulto, pesantemente censurate perché
dirette, come sempre, ad un pubblico infantile; un
calzante esempio è dato da "È quasi magia Johnny",
esordito su "Italia 1" nel 1989.
Uno dei principali problemi che i programmatori dei
palinsesti televisivi e i responsabili di produzione si
trovarono ad affrontare in quegli anni di bufera fu
quello degli adattamenti.
Dato che tutto ciò che giungeva dal Giappone era,
secondo la pubblica opinione, brutto, violento e
soprattutto portatore di valori differenti dai nostri e
quindi pericolosi, gli esperti incaricati di adattare una
serie televisiva (ovvero di trasformarla da giapponese in
italiana), onde evitare problemi di qualsiasi sorta
(denunce di associazioni di genitori, campagne
diffamatorie da parte della stampa, attacchi di
psicologi, ecc…) optarono per una soluzione drastica:
tutto ciò che era giapponese doveva essere eliminato.
Sigle, nomi di personaggi, insegne di negozi, scritte,
cibi, religioni furono trasformati in termini, oggetti e
situazioni italiane o, al massimo, americaneggianti.
Ecco perché nella nuova ondata di anime i personaggi
non hanno nomi giapponesi, ma si chiamano Tinetta o
Johnny e vivono situazioni molto simili a quelle dei
coetanei occidentali.