2
• l'ausilio nella diagnosi e nella terapia es. cateteri, drenaggi.
Un concetto molto importante che occorre introdurre prima di proseguire, è
quello della biocompatibilità, intesa come la capacità di un biomateriale di
determinare, nei tessuti circostanti e più in generale nell'organismo, una
risposta "favorevole" alla sua presenza.
Un'importante distinzione deve essere fatta fra biomateriali eubiotici e
biomateriali xenobiotici: i primi originano da esseri viventi; gli altri sono di
origine industriale, sintetica.
§ I.1 Biomateriali eubiotici:
Con questo termine s'indicano i biomateriali di origine biologica che, dopo
opportuni trattamenti, sono inseriti nell'organismo umano. Il vantaggio dei
biomateriali eubiotici è quello di avere un'ottima biocompatibilità, però hanno
lo svantaggio di essere limitati in quantità e di essere possibili veicoli di
trasmissione di infezioni.
§ I.2 Biomateriali xenobiotici:
Vengono classificati sulla base della loro composizione chimica in materiali
metallici, polimeri, materiali ceramici. Alla loro progettazione cooperano
studiosi di varie discipline: ci sono ingegneri che studiano le proprietà dei
materiali e progettano dispositivi che rispecchino nella forma e nella funzione
i corrispettivi biologici, ci sono biologi e fisiologi che studiano l'istopatologia
1
Black J. Biological performance of materials. 2nd ed. New York M. Dekker 1992.
3
ma anche l'immunologia e i modelli sperimentali, ci sono infine i medici delle
varie discipline che svolgono studi clinici sui vari biomateriali. Gli svantaggi
dei biomateriali xenobiotici sono rappresentati da una minore
biocompatibilità, tuttavia possiedono il vantaggio di una maggiore affidabilità
tecnica, di una maggiore disponibilità quantitativa e di una sicura sterilità
all'impianto. La loro natura sintetica permette inoltre una gamma molto ampia
di progettazioni, tese a soddisfare le esigenze più disparate.
Lo scopo di questa tesi, consiste nel fornire una vasta revisione della
letteratura esistente riguardo ai biomateriali xenobiotici e alle problematiche
cliniche ad essi inerenti. Il secondo capitolo è costituito da una panoramica
tecnica dei vari materiali distinti per natura in metalli, polimeri e ceramiche. Il
terzo capitolo è dedicato alla biocompatibilità dei biomateriali, ossia è una
revisione degli studi fatti al fine di migliorare l'integrazione fra organismo e
biomateriale; si tratteranno nel dettaglio gli aspetti della reazione
infiammatoria acuta, la flogosi cronica e l'emocompatibilità, per i materiali a
contatto con il flusso sanguineo. Il capitolo quarto è invece dedicato al
destino dei materiali da impianto all'interno dell'organismo: si assiste, infatti,
a fenomeni di degradazione del biomateriale ad opera dei tessuti biologici e a
fenomeni di usura del biomateriale stesso legati al lavoro svolto all'interno
dell'organismo. Il capitolo quinto è dedicato agli aspetti tossici dei
biomateriali; nonostante siano in genere inerti e ben accettati dall'organismo,
una serie di reazioni "indesiderate" o tossiche possono derivare dalla
presenza del biomateriale; queste reazioni sono di tipo infiammatorio,
4
fibrotico, infettivo. Questo capitolo è molto importante poiché molte dispute
sono sorte a proposito dei possibili effetti, a breve e a lungo termine,
dell'impianto di biomateriali nel corpo umano. Queste apprensioni sono
legate ai risultati sperimentali riguardanti la possibile cancerogenesi
determinata dai biomateriali, nonché il rapporto con lo sviluppo di infezioni a
seguito dell'impianto del biomateriale stesso. Sempre in relazione agli effetti
tossici dei biomateriali è stato creato un capitolo a parte, il sesto, dedicato al
rapporto esistente fra biomateriali e sviluppo di malattie autoimmuni: in
particolare numerosi studi hanno centrato l'attenzione sul silicone e lo
sviluppo di collagenopatie. Il capitolo settimo è invece dedicato alla
normativa europea in materia di produzione e utilizzo dei biomateriali.
L'ultimo capitolo, l'ottavo offre una vasta panoramica dei più comuni impieghi
dei biomateriali; questi dispositivi hanno ormai pervaso infatti tutti i campi
della medicina e con la collaborazione di fisiologi, ingegneri e chimici, nuovi
materiali e nuovi dispositivi sono continuamente introdotti nella pratica
medica. In questo capitolo viene anche brevemente descritta la nuova
classe di biomateriali, quelli derivanti dalla ingegneria tissutale. Essi
rappresentano un compromesso tra i materiali di sintesi e i materiali di
origine biologica, riassumendo le migliori qualità di entrambi.
5
Capitolo II - CLASSIFICAZIONE DEI BIOMATERIALI
XENOBIOTICI
Una classificazione molto diffusa dei biomateriali è quella che tiene conto
della loro natura chimica; questo permette, infatti, di evidenziare le proprietà
fisiche delle varie molecole che li costituiscono e quindi rende ragione degli
utilizzi di tali composti nei vari campi della medicina.
Un'utile tavola sinottica2 dei biomateriali in uso è di seguito indicata:
Biomateriali Esempi
Metalli viti e placche ossee
Polimeri suture, protesi vascolari, rimpiazzo
di tessuti molli
Ceramiche protesi dentali
Le proprietà di un sostituto ideale furono stabilite da Scales (Prec.R.Soc.
Med., 46,647,1953.). Il sostituto ideale del tessuto deve essere:
1) Non diverso, dal punto di vista fisico, dal tessuto da sostituire;
2) Incapace di scatenare una reazione infiammatoria o una reazione contro
il corpo estraneo;
3) Incapace di produrre uno stato di allergia o d'ipersensibilità;
4) Chimicamente inerte;
2
J.D.Bronzino The Biomedical Engineering Handbook CRC Press
6
5) Non cancerogeno;
6) Capace di resistere a particolari sforzi;
7) Capace di essere modellato nella forma desiderata
8) In grado di essere sterilizzato.
§ II.1 I materiali metallici:
I metalli possono essere ottenuti da metalli semplici e dalla loro
composizione in leghe. Hanno una struttura cristallina, in cui gli atomi si
dispongono secondo una struttura geometrica tridimensionale unitaria, detta
cella, che si ripete nello spazio. Gli atomi generano tra loro un legame
metallico grazie al quale possiedono la caratteristica di essere buoni
conduttori di calore ed elettrici, hanno, infatti, una bassa resistività. Per quel
che riguarda le leghe, è possibile costruire dei diagrammi di stato che
correlano la composizione-temperatura del metallo con il suo stato fisico, che
può essere: solido, liquido o in varie composizioni dei due stati, secondo le
percentuali dei metalli che le compongono.
Per costruire una lega si parte dal metallo purificato da eventuali sostanze
estranee, quindi si miscelano i vari metalli allo stato fuso secondo le
proporzioni desiderate. La lega quindi solidifica in varie forme (lingotti o
barre), poi con successive colate o con stampaggi a freddo o a caldo si
ottengono le forme definitive. In seguito, i biomateriali sono trattati
termicamente per raggiungere determinate proprietà meccaniche, da ultimo
sono rifiniti in superficie per giungere alla massima biocompatibilità possibile.
7
Questi biomateriali si caratterizzano per la loro duttilità, infatti oltre un certo
carico il biomateriale si deforma anziché rompersi; inoltre hanno un elevato
carico di snervamento, in altre parole possono sopportare carichi elevati
senza rompersi né deformarsi. Resistono molto bene alla fatica meccanica,
dove non importa la frequenza dei cicli di lavoro. Purtroppo venendo a
contatto con i liquidi biologici tendono ad usurarsi.
ACCIAIO INOSSIDABILE:
Il primo metallo usato come biomateriale fu il vanadio, che fu utilizzato per
costruire placche di fissaggio per fratture ossee; le placche di Sherman. In
seguito fu introdotto l'acciaio inossidabile più robusto e meno esposto alla
corrosione del suo precedente; si trattava di una lega costituita da ferro,
carbonio e, in minore percentuale, da cromo. Un ulteriore passo avanti si
ebbe addizionando all'acciaio inossidabile una piccola percentuale di
molibdeno, questo permise di ridurre parzialmente la corrosione, ma il
metallo ottenuto, oltre ad essere molto costoso era troppo duro da lavorare.
Un'ulteriore modifica si ebbe con la riduzione del contenuto in carbonio dallo
0.08% allo 0.03%; questa modifica permise di ottenere una migliore
resistenza alla corrosione in soluzione acida. Anche la concentrazione di
cromo fu ridotta all'11 %, per ridurre la corrosione dell'acciaio; nonostante il
cromo sia un elemento reattivo, è passivato per ottenere la migliore
resistenza possibile alla corrosione. Il principale tipo di acciaio inossidabile è
l'austenitico, che in fase solida si forma da una lega di ferro e carbonio in %
8
inferiore al 2, detta appunto austenite, è quello che meglio si presta
all'impiego clinico protesico per l'elevata resistenza alla corrosione, dovuta
soprattutto alla presenza del nickel che stabilizza la fase austenitica. Questi
metalli possono essere modificati nelle loro caratteristiche mediante
lavorazione a freddo, soprattutto per quanto riguarda l'aumento della
durezza.
LEGHE DI COBALTO:
L'American Society for Testing and Materials ha individuato quattro leghe al
cobalto adatte ad essere impiantate; si distinguono per il diverso contenuto
degli elementi, ma le due più utilizzate sono le leghe CoCrMo (Cobalto-
Cromo-Molibdeno), da cui si ottiene un prodotto mediante fusione, e le leghe
di CoNiCrMo (Cobalto-Nickel-Cromo-Molibdeno), usate per ottenere un
prodotto forgiato a caldo. In entrambi i casi la lega è costituita per la quasi
totalità da cromo e cobalto e l'aggiunta del molibdeno serve ad aumentare la
resistenza meccanica del metallo, mediante la riduzione delle dimensioni dei
grani. Le due leghe hanno caratteristiche di corrosione molto simili ma la lega
di CoNiCrMo, possiede una resistenza meccanica notevolmente superiore
all'altra e la rende adatta per le applicazioni nelle quali si richiedono
un'elevata resistenza alla fatica meccanica e all'uso prolungato, come ad
esempio nelle protesi articolari dell'anca dove, oltre alla sollecitazione
funzionale di questa importante articolazione, si deve certamente evitare
l'usura della protesi a distanza di tempo.
9
TITANIO E LEGHE:
Può essere considerato come l'ultimo arrivato tra i metalli in uso negli
impianti, ma deve il suo enorme successo alle sue caratteristiche di
leggerezza e buone proprietà meccaniche. Alle alte temperature è molto
reattivo e in presenza di ossigeno tende a ossidarsi. Proprio per questo
motivo la sua lavorazione ad alte temperature avviene in un'atmosfera inerte,
oppure è lavorato in un ambiente sotto vuoto. La variante più utilizzata è
costituita dal Ti6Al4V, composta dal 6.00% di Alluminio e dal 4.00% di
Vanadio. La bassa densità di questa lega (4.5 g/cm3) sorprende soprattutto
per la forza specifica cioè la forza per densità, che la pone al di sopra di tutti
gli altri metalli. Possiede una buona resistenza alla corrosione grazie alla
formazione di uno strato superficiale ossidato; ha però una bassa resistenza
alla corrosione per sfregamento e per questo, non è utilizzato nelle superfici
articolari. Una caratteristica importante del titanio e della sua lega Ti-6Al-4V
(Titanio-Alluminio-Vanadio) emersa da un recente studio (Ahmad M.
Biomaterials 20:211-220;1999), consiste nella capacità di stimolare la
produzione di sostanze proteiche, mineralizzate e della matrice
extracellulare, che rendono questa lega molto importante per la
rigenerazione ossea. Un'importante lega di titanio e nickel (TiNi) possiede
una caratteristica importante: la memoria elastica; i composti di questa lega
hanno, infatti, la capacità, a seguito di una deformazione plastica, di
riassumere la forma originale con l'aumentare della temperatura. Per fare
10
questo si costruisce la forma desiderata e si scalda a una temperatura di
482°-510°C che è la temperatura della memoria elastica; se la successiva
deformazione del materiale temprato avviene al di sotto della temperatura
della memoria elastica e se non si sono superati i limiti di resistenza dello
stato cristallino, con l'aumentare della temperatura il materiale riacquisterà la
forma di partenza. Queste particolari caratteristiche rendono questa lega
particolarmente adatta alla produzione di filtri cavali, impianti ortopedici o clip
per aneurismi intracranici.
TANTALIO:
Questo materiale fu scoperto nel 1802 e deve il suo nome alle difficoltà
incontrate nello studio delle sue proprietà e della natura chimica. Dagli inizi
del novecento si ottiene in forma metallica mediante elettrolisi dal
fluortantalato di potassio. Il metallo finito contiene tracce di ossigeno, nitrati,
carbonio e idrogeno. E' una lega malleabile e duttile, resistente agli agenti
chimici, quali acido nitrico e solforico, non dà luogo a scambi di ioni metallici
in quanto stabile in ambito fisiologico. E', inoltre, relativamente inerte e
resistente alla corrosione. Possiede una struttura cristallina densa, ha quindi
un'elevata temperatura di fusione che si aggira attorno ai 3000° C che ne
rende difficoltosa la produzione. Ha una buona resistenza alla fatica ma
bassa resistenza tensile.
11
§ II.2 I materiali polimerici: 3
Si ottengono per polimerizzazione di singole unità monomeriche mediante
reazioni di poliaddizione e policondensazione: nel primo caso i monomeri
sono uniti a catena dopo avere turbato la stabilità atomica del monomero di
partenza che per riacquistarla dovrà legarsi a un altro monomero: questo
processo può avvenire per un numero infinito di volte. Con la
policondensazione, dall'unione dei monomeri, si ottengono alcuni prodotti
secondari come l'acqua, l'acido cloridrico, ecc. che devono essere eliminati
durante la sintesi. Ottenuto il polimero si potrà, mediante tecniche di
stampaggio o fusione, ottenere il prodotto biomedico finale secondo le
esigenze del caso. Le catene ottenute possono essere lineari, ramificate o
costituire delle strutture cristalline. I vari polimeri differiscono poi per i
monomeri che li costituiscono: i monomeri possono essere disposti in modo
casuale, alternato, a blocchi, ecc. Nei primi due casi si avrà una struttura con
alta viscoelasticità, proprietà che esprime il diverso comportamento del
biomateriale di fronte alla velocità di deformazione: se la velocità è elevata il
polimero avrà caratteristiche elastiche, cioè tenderà a deformarsi
minimamente accumulando un grosso quantitativo di energia che rilascerà in
una sola volta superato un punto critico di rottura, oltre il quale il polimero
non riacquisterà la forma originale. Se la velocità di deformazione è lenta il
polimero avrà un comportamento di tipo plastico ossia tenderà a mantenere
la deformazione causata dallo sforzo applicato sin dall'inizio. Per quanto
3
Grabb and Smith Plastic Surgery 4thed J. W. Smith -S.J. Aston
12
riguarda il comportamento termico, i polimeri hanno una temperatura di
rammollimento che rappresenta il passaggio dallo stato solido a quello
gommoso. I polimeri risultano avere un'alta resistività al passaggio di
corrente, sono cioè degli isolanti. Alcuni polimeri appositamente studiati per
dispositivi endoculari possiedono proprietà ottiche, cioè sono in grado di
trasmettere i raggi luminosi di radiazioni incidenti.
Per quanto riguarda la biocompatibilità, i polimeri esposti al flusso sanguineo
devono essere trattati con opportuni accorgimenti di superficie per prevenire
la formazione di trombi; l'uso degli anticoagulanti non è infatti sufficiente.
POLIVINILCLORIDE (PVC):
Il PVC è un polimero amorfo, molto rigido per l'ingombro sterico costituito dal
voluminoso atomo di Cl, che costituisce una catena laterale; per renderlo più
flessibile sono addizionate delle sostanze plastiche fino al 10 % del PVC.
Esiste la possibilità che con l'aumentare della temperatura questo polimero
rilasci dell'acido cloridrico (HCl); per questo motivo il PVC è addizionato con
degli stabilizzanti termici come saponi metallici o sali. Durante la sintesi di
questo polimero sono utilizzati dei lubrificanti che impediscono l'adesione del
PVC alle superfici metalliche. Nell'ambito medico il PVC è utilizzato in
pellicole di rivestimento per sacche contenenti sangue o altre soluzioni,
nonché nelle cannule, cateteri e mezzi dialitici.
Mc Carthy Plastic Surgery vol 1 W.B. Saunders 1990
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POLIETILENE (PE):
Il polietilene esiste in diverse formulazioni secondo il grado di cristallinità: si
parla di PE a alta densità (HDPE) , a bassa densità (LDPE), a bassa densità
lineare (LLDPE) , bassissima densità (VLDPE) e PE a peso molecolare ultra
alto (UHMWPE).
Il LDPE e il LLDPE sono usati per contenitori e tubi; l'HDPE è utilizzato nelle
bottiglie farmaceutiche, l'UHMWPE è ampiamente usato in ortopedia per
costruire una parte dei componenti protesici articolari ad esempio il cotile
nella protesi d'anca, il piatto tibiale nel ginocchio, la superficie rotulea. Il PET
presenta buona resistenza agli sforzi applicati e buona resistenza alla
sterilizzazione, inoltre è biologicamente inerte, flessibile e biocompatibile. Tra
i vari utilizzi vi sono le protesi vascolari di medio e grosso calibro, nonché
come superficie di ancoraggio per altri materiali come ad esempio il silicone.
POLIMETILMETACRILATO (PMMA):
Il PMMA è un materiale amorfo con ottima resistenza agli alcali e altre
soluzioni inorganiche. Il suo successo è legato alla elevata trasparenza alla
luce, al suo alto indice di refrazione e alla buona biocompatibilità. Visto il suo
92 % di trasmissione della luce visibile è ampiamente utilizzato per i
contenitori medici, attrezzature per dialisi e ovviamente come dispositivi
intraoculari e lenti a contatto; per le proprietà fisiche e tintoriali è usato in
odontoiatria e chirurgia maxillofacciale. Anche in campo ortopedico trova la
sua applicazione come cemento osseo per fissare le protesi.