IV
Carta costituzionale ritiene preminenti (si veda, in tal senso, l’art.
41 Cost.).
Ciò premesso, il primo capitolo di questo lavoro, muovendo dagli
studi e dalle analisi condotte in questi ultimi anni dalle scienze della
psichiatria, psicologia e sociologia del lavoro, si preoccupa
inizialmente di inquadrare il mobbing in ambito giuridico, in un
contesto, quale quello lavorativo, nel quale il prestatore di lavoro è
collocato in una posizione di subordinazione socio-economica.
Proseguendo, attraverso una prima ma pur significativa
elaborazione giurisprudenziale, vengono messi in luce quegli
accorgimenti e quei meccanismi che permettono di realizzare una
tutela forte delle posizione lese del lavoratore e individuate tutta
una serie di categorie negative all’interno delle quali compendiare
le manifestazioni delle condotte vessatorie, per dar conto delle
infinite modalità attuative del mobbing. Più avanti ancora vengono
espresse le posizioni di dottrina e giurisprudenza in punto di danno
alla professionalità. Appaiono significativi in tal senso: da una
parte, il convincimento sempre più generalizzato di un’ automatica
risarcibilità del “vulnus”, arrecato da questa tipologia di danno,
alla dignità e personalità umane; dall’altro i correttivi individuati
dalla giurisprudenza in punto di risarcimento equitativo, tra cui il
ricorso al parametro retributivo, perché consentono, in qualche
V
modo, di verificare la congruità dell’operato giudiziario altrimenti
troppo discrezionale.
Nel secondo capitolo dedicato alla responsabilità nel mobbing,
viene dapprima condotta un’attenta analisi della norma dell’art.
2087 c.c., fondamento della responsabilità contrattuale, perché
potenzialmente idonea a salvaguardare la persona del lavoratore,
complessivamente intesa. Rileva in particolare il dato per cui tale
tutela è stata realizzata soprattutto operando un raccordo con i
principi costituzionali, in particolare con l’art. 32 Cost., a scapito,
quindi, di una piena valorizzazione della norma. Proseguendo, si è
realizzato un confronto tra le aree di responsabilità contrattuale ed
aquiliana con lo scopo di individuare il regime più conveniente per
il lavoratore e si è compiuta un’indagine sulla responsabilità
personale degli autori delle condotte “illecite”, vero che, spesso, si
è identificato il posto di lavoro quale luogo di esclusione della
punibilità. In chiusura di capitolo si è analizzata la disciplina in
tema di assolvimento dell’onere della prova. Attenzione particolare,
in questa sede, è stata rivolta al nesso causale, perché da una sua
più o meno attenta ricostruzione viene a dipendere il riconoscimento
e il conseguente accollo della responsabilità.
Il capitolo terzo, riconosciuto il ruolo fortemente precettivo dei
principi costituzionali che riconoscono e tutelano i diritti della
VI
persona e dopo aver dato conto delle posizioni espresse dalla
giurisprudenza che a partire dalla sentenza 184/1986 ha
riconosciuto nello schema logico-giuridico “art. 2043 c.c. (o art.
2087 c.c.)+ art. 32 Cost.” uno strumento per la tutela di tali diritti,
prende in considerazione la nuova categoria del danno esistenziale,
quale figura risarcitoria che tiene in considerazione l’insieme delle
“ripercussioni relazionali di segno negativo” che non permettono lo
sviluppo della persona del danneggiato.
In chiusura di capitolo viene prospettata la possibilità di
realizzare una riparazione dei danni non patrimoniali attraverso il
ricorso all’azione inibitoria.
Il quarto capitolo cerca di individuare, alla luce delle proposte di
legge, della normativa esistente nel nostro Paese e in ambito
europeo, soluzioni per la promozione di un sistema di reazione al
mobbing fondato soprattutto sulla prevenzione del fenomeno.
1
CAPITOLO PRIMO
IL MOBBING NEL RAPPORTO DI LAVORO:
UNA FATTISPECIE RILEVANTE DI DANNO
ALLA PERSONA
1.1 Il mobbing tra scienza medica e giuridica
Fino ai tempi più recenti il mobbing è stato esclusivo o
prevalente campo di indagine della psichiatria, psicologia,
sociologia del lavoro. L’attenzione crescente verso le tematiche
afferenti ai profili psicologici dell’ambiente di lavoro si deve far
risalire, principalmente, ad alcune verifiche statistiche condotte
nei paesi scandinavi in relazione alla registrazione delle sempre
più numerose assenze dei lavoratori a causa di disturbi e
patologie non direttamente cagionati da infortuni o da malattie
professionali nel senso tradizionale del termine.
La rilevazione della diminuzione degli incidenti in passato
più comuni rispetto al progressivo incremento dei fenomeni di
natura relazionale, riconducibili a rapporti tra colleghi di lavoro
o tra questi ed il datore di lavoro/superiore gerarchico, ha quindi
sollecitato un approccio scientifico nei confronti del fenomeno
2
fino a pervenire alla individuazione di una “nuova”
1
fattispecie
di malessere sebbene molto indefinita nei contenuti e nei confini.
Si ritiene che sia utile, sin da ora, collocare questo
fenomeno nel contesto socio-economico proprio delle nazioni ad
economia avanzata, caratterizzato sempre più da consolidate crisi
di natura strutturale soprattutto sul fronte occupazionale: il
ridimensionamento degli organici, i processi di riorganizzazione
e di ristrutturazione, specialmente nelle grandi aziende, hanno
favorito e costituito l’habitat congeniale per il sorgere di forti
conflittualità e tensioni nei relativi ambienti di lavoro; dal
massiccio ingresso nel mercato del lavoro di categorie sociali
deboli quali quelle delle donne e degli immigrati che diventano
un facile bersaglio di diverse tipologie di discriminazione; dalla
progressiva precarizzazione dei rapporti di lavoro:
l’istituzionalizzazione di contratti di lavoro a termine introduce,
certamente, elementi di flessibilità per il sistema economico
avvertiti, però, dal lavoratore come precarietà, instabilità della
propria posizione professionale; in definitiva questo, spinto dalla
1
Il mobbing si delinea come una nuova disciplina di ricerca che però descrive un
fenomeno certamente esistente già nel passato, ma mai affrontato con precisione e che
soprattutto non aveva mai ricevuto un proprio nome specifico che lo identificasse.
3
necessità di dover, in qualche modo, rendere stabile il rapporto di
lavoro, finisce per alienare i propri diritti
2
; ed ancora,
dall’espandersi di organizzazioni di lavoro post-fordiste
3
poco
efficienti o comunque caratterizzate da estrema competitività
4
5
.
Le prime elaborazioni sistematiche sul mobbing sono state
condotte in Svezia nel corso degli anni ottanta dello scorso
secolo, nell’ambito della psicologia del lavoro, da un gruppo di
esperti guidati dal più autorevole teorizzatore e studioso del
2
“La flessibilità esasperata forse è uno strumento di efficienza economica ma
probabilmente non costituisce un valore sul piano organizzativo ed è sicuramente
dannosa su quello esistenziale”. Così VISCOMI, A., Il mobbing: alcune questioni su
fattispecie ed effetti, in Lav. Dir., 2002, p. 62.
3
In questo senso si è espresso Piercarlo Cargnel, presidente di Previndai. Per un esame
dei fattori organizzativi, principale causa del mobbing: CLAY, R.A., “Lean
Production”may also be a lean toward injuries, in APA Monitor, 1999, p. 26;
TAVERNA, N., Il mobbing in ambiente di lavoro, in Ambiente e Sicurezza, Il Sole 24
Ore, 3, p. 31. Il mobbing è un fenomeno che interessa contemporaneamente la persona
e l’organizzazione, o meglio la persona nell’ambito di un organizzazione di lavoro
(VISCOMI, A., op. cit., ibidem), ma deve essere, comunque considerato una patologia
all’interno di una “normale” struttura produttiva.
4
Anche il Parlamento Europeo, con la Risoluzione A5-0283 del 20 settembre 2001, si è
soffermato sui concetti di precarietà e competitività del lavoro quali fattori che hanno
posto le condizioni per il radicamento di questo malessere nell’ambito delle
organizzazioni di lavoro.
5
In un recente articolo (MERLO, F., Il mal d’ufficio, ultima trovata della filosofia
buonista, in Sette, supplemento del Corriere della Sera, n. 47, 26 novembre 1998) si è
qualificato il mobbing come uno strumento di selezione naturale, “l’ordalia medievale
che rende forti e seleziona i migliori”. Questa tesi appare francamente insostenibile:
“non si deve certo auspicare e rimpiangere la “peste” sol perché essa ha consentito al
Manzoni dei Promessi Sposi di scrivere pagine di incomparabile bellezza. Anche i
tentativi di stupro consentono alle nostre donne di imparare l’aggressività, apprendere
le tecniche di reazione, temprare carattere e muscoli, ma non per questo dobbiamo
inneggiare e tollerare la violenza sessuale! I sistemi per temprarsi sono ben altri e
debbono conformarsi ai principi della solidarietà e del rispetto della dignità
individuale”. Così MEUCCI, M., Violenza da mobbing sul posto di lavoro, in D&L-
Riv. Crit. Dir. Lav., 2000, p. 283.
4
fenomeno: Heinz Leymann
6
.
I suoi contributi sono stati divulgati in buona parte
dell’Europa ed in particolare in tutta la penisola scandinava, in
Austria, Francia, Germania, Olanda e Svizzera.
Il merito di aver posto l’attenzione sui fenomeni di natura
psicosociale riconosciuto a Leymann, ha fatto si che i paesi
scandinavi si siano posti come pionieri sul piano del
riconoscimento normativo del mobbing. Le leggi sull’ambiente
di lavoro, infatti, risalgono addirittura al 1975 in Danimarca e al
1977 in Norvegia e Svezia e già allora facevano riferimento alle
implicazioni psicologiche che un ambiente umanamente ostile
può produrre sulla salute delle persone. I progressi compiuti
grazie all’approccio scientifico alla materia hanno poi sollecitato
un intervento specifico del legislatore nazionale svedese. La
Svezia, infatti, in particolare l’Ente Nazionale per la Salute e la
6
HEINZ, LEYMANN. Psicologo e sociologo tedesco emigrato in Svezia (venuto a
mancare nel 1999). E’ stato il primo studioso ad occuparsi del mobbing e a battezzarlo
con questo nome (1984), riscuotendo da subito un grande successo sia in Svezia che,
dopo qualche anno, in Francia, Germania e da ultimo negli USA e in Australia, grazie
anche all’importante contributo di studiosi quali Field, Hirigoyen, Mc Carthy, tutti
animati dall’intento comune di combattere questa grave distorsione del mondo del
lavoro. La sua opera più diffusa è Mobbing. Psychoterror am Arbeitsplatz und wie
man sich dagegen wehren kann, Rowohlt, Reinbek, 1995. Si segnalano inoltre:
Mobbing and psychological Terror at Workplaces, in Violence and Victims, 1990, vol.
5, n. 2; The Content and Development of Mobbing at Work, in EJWOP, V, n. 2, 1996.
Lo stesso Leymann ha poi costruito un sito internet, “THE MOBBING
ENCYCLOPAEDIA” consultabile all’indirizzo http: //www.leymann.se .
5
Sicurezza, è stato il primo Paese ad aver emanato, nel 1993, uno
specifico regolamento
7
per la prevenzione del fenomeno
contenente “disposizioni relative alle misure da adottare contro
forme di persecuzione psicologica negli ambienti di lavoro” e,
ancora, ad aver riconosciuto il mobbing come malattia
professionale. Sempre attraverso lo stesso regolamento sono
state introdotte in Svezia delle indicazioni puntuali sulla
necessità di attivare interventi preventivi, anche attraverso i
Comitati aziendali, per l’attività di prevenzione principale
riguardo alla programmazione del lavoro: non solo infatti il
datore deve organizzare il lavoro in modo da impedire il
fenomeno del mobbing, ma non deve lasciare dubbi in merito
alla sua disapprovazione e sotto la sua responsabilità ricade
anche la riabilitazione delle vittime
8
.
In Norvergia nel 1994, con Legge n. 41 del 24/VI/1994,
all’art. 12 si è modificata la Legge AML (Ambient Medical
7
Ordinanza AFS n. 17 del 21 settembre 1993, in vigore dal 31 marzo 1994. Degno di
nota è poi un ulteriore regolamento coevo: Ordinanza AFS n. 2 del 14 gennaio 1993, in
vigore dal 01 luglio 1993. Consultabili in http://www.cgil.it/saluteesicurezza/mobbing
on line.htm .
8
La normativa svedese ha introdotto la figura dell’Osservatore di reparto dotato di un
forte potere deterrente; in Germania si va diffondendo la figura aziendale del Garante
antimobbing sulla base di accordi specifici tra aziende e sindacati, che garantiscono la
terzietà di questo soggetto rispetto alle due controparti.
6
Law) del 4/II/1977 sulla tutela dell’ambiente di lavoro,
inserendovi la previsione secondo la quale “i lavoratori non
devono essere esposti a molestie o ad altri comportamenti
sconvenienti”. E’ chiaro che si tratta di una formulazione molto
generica che lascia aperta la possibilità di farvi rientrare
molteplici ipotesi, si tratta comunque di un importante passo
avanti; mentre il regolamento svedese parla espressamente di
mobbing, la legge norvegese discorre più genericamente di
molestie e di comportamenti sconvenienti, termini per la
definizione dei quali e implicito un rinvio alla elaborazione
giurisprudenziale che già da anni riconosce in questo paese una
tutela adeguata per questa fattispecie di danno alla persona del
lavoratore.
La Germania risulta essere attualmente un paese molto
evoluto in fatto di studio e prevenzione del mobbing. In questo
paese, a partire dagli anni novanta dello scorso secolo, sono state
intraprese varie iniziative sia da parte del Sindacato, con obiettivi
di sensibilizzazione e di intervento, sia da parte del Servizio
sanitario pubblico che si è dotato di strumenti per la diagnosi e la
cura dei danni provocati dal mobbing e si è giunti a far rientrare
7
tali danni nella statistica delle malattie professionali per le quali
è possibile richiedere il risarcimento del danno
9
. La Germania
risulta inoltre essere il primo paese nel quale si siano condotti i
primi esperimenti di contrattazione collettiva per la prevenzione
del fenomeno negli ambienti di lavoro. In tal senso degno di
pubblicità è l’Accordo aziendale siglato presso la Volkswagen,
tra parti aziendali e sindacali, il 27 giugno 1996 ed operativo dal
1 luglio 1996: “una cultura d’impresa che si distingua per un
atteggiamento di cooperazione sul posto di lavoro pone le basi
per un positivo clima lavorativo aziendale ed è quindi un
importante presupposto per il successo economico dell’impresa.
Le molestie sessuali ed il mobbing nonché le discriminazioni per
origine, colore della pelle e religione, disturbano gravemente la
pace sociale del posto di lavoro. Tali atteggiamenti costituiscono
un’offesa alla dignità umana ed una violazione dei diritti
personali e sono incompatibili con lo spirito cui è informato il
regolamento del lavoro. Essi danno luogo ad un ambiente
degradato e pervaso dallo stress e preparano il terreno a disturbi
9
In Italia i casi di mobbing possono essere denunciati all’INAIL, in base alla
sentenza n. 179/1989, come malattie professionali non tabellate, per cui spetta al
lavoratore l’onere della prova dell’origine professionale, concetto questo d’altronde
ribadito dall’art. 10 D. Lgs. 38/2000.
8
della salute. L’impresa, quindi, si impegna ad impedire molestie
sessuali, mobbing e discriminazioni e a favorire e sostenere un
clima di schietta collaborazione”.
La Volkswagen ha stipulato questo accordo acquisita la
consapevolezza, attraverso rilevazioni empiriche, dei gravi costi
aziendali che queste pratiche comportano; specularmente le
rappresentanze sindacali hanno colto l’occasione per poter
affrontare la questione sotto il profilo del diritto alla dignità del
lavoratore. L’impresa automobilistica è soddisfatta
dell’applicazione di questo Codice
10
, perché ha calcolato di aver
così registrato una diminuzione dell’1% nei congedi per malattia,
che si è tradotta in un risparmio di 50 milioni di dollari l’anno
11
.
In Italia, il primo approccio al fenomeno, sempre
nell’ambito della psicologia del lavoro, risale a tempi più
prossimi a noi, precisamente gli anni novanta dello scorso secolo
10
Questo Accordo aziendale introduce elementi di novità per la prevenzione del fenomeno
delle aggressioni psicofisiche ed ha ispirato e stimolato nel nostro Paese le prime
elaborazioni di contrattazione collettiva e di autoregolamentazione delle imprese in
materia. In tal senso, degno di nota, con riferimento alla contrattazione aziendale,
risulta l’Accordo di Clima “ATM (Azienda Torinese Mobilità)-SATTI”, siglato il 25
gennaio 2001, in C&CC, 2001, 4, p. 43, o in http://www.snfia.org/mobbing/documenti,
e, nel campo dell’autoregolamentazione, il Codice etico “Azienda Sanitaria Ospedaliera
OIRM-S.ANNA”, nonché il Codice etico adottato dalla compagnia Reale Mutua
Assicurazioni con delibera del Consiglio di Amministrazione del 16 ottobre 2001.
11
MILLER, K.L., They call it “mobbing”, in News Week, 14 agosto 2000, p. 45.
9
ed è opera del tedesco Harald Ege
12
che da anni svolge la propria
attività nel nostro Paese.
Da sempre il diritto segue la scienza e traduce in termini
giuridici quanto già è consolidato dalla prassi empirica: da ciò
consegue che lì, dove gli studi e le elaborazioni scientifiche sui
fenomeni sociali, riconducibili a rapporti tra colleghi di lavoro o
tra superiori gerarchici e subalterni, hanno avuto il loro debutto,
si sono sviluppate le prime forme di tutela giuridica della
persona del lavoratore in punto di lesione dei diritti. Per questa
12
HARALD, EGE. Psicologo del lavoro e specialista in Relazioni Industriali e del
Lavoro, collabora con l’Università di Bologna e ha fondato PRIMA, “Associazione
Italiana contro Mobbing e stress psicosociale”. Autore di numerosi studi condotti sul
fenomeno: EGE, H., Mobbing. Che cos’è il terrore psicologico sul posto di lavoro,
Pitagora, Bologna, 1996; EGE, H., Il mobbing in Italia. Introduzione al mobbing
culturale, Pitagora, Bologna, 1997; Ege, H., I numeri del mobbing, la prima ricerca
italiana, Pitagora, Bologna, 1998; EGE, H., LANCIONI, M., Stress e mobbing,
Pitagora, Bologna, 1998; EGE, H., I numeri del mobbing. Interviste e questionari a più
di trecento vittime, Pitagora, Bologna, 1999; EGE, H., Mobbing, conoscerlo per
vincerlo, FrancoAngeli, Milano, 2001; EGE, H., Mobbing aziendale e collettivo, o
molestia, in Lav. Giur., 2002, p. 76; EGE, H., La valutazione peritale del danno da
mobbing, Giuffrè, Milano, 2002. Negli anni 1996 e 1997 ha effettuato un’indagine sul
fenomeno del mobbing considerando trecento vittime di queste persecuzioni sui luoghi
di lavoro in tutto il territorio nazionale (con prevalenza di casi nel Lazio, Emilia
Romagna e Lombardia). I risultati di questo studio sono riportati nell’opera, EGE, H., I
numeri del mobbing: la prima ricerca italiana, op. cit., p. 8. La ricerca mette in
evidenza che in Italia le vittime sarebbero circa un milione e mezzo (le statistiche
condotte, negli anni 1996-1997, dall’ “European Foundation for Improvement of
Living and Working Conditions”, un istituzione dell’Unione Europea, indicano che in
Italia la prevalenza del fenomeno tra i lavoratori si attesta intorno al 4,2%), mentre non
meno di cinque milioni quelle, in qualche modo, coinvolte nel fenomeno (spettatori o
amici e familiari delle vittime). Il mobbing è estremamente pericoloso, potendo
addirittura indurre a suicidi. Ricerche condotte in Svezia hanno stimato che, in questo
Paese, il 10%-15% dei suicidi sarebbe riconducibile a questo fenomeno (Fonte:
LEIMANN, H., Suicide and conditions at Workplace, 1990). In Italia tale percentuale
si attesterebbe intorno al 13% (Fonte: EGE, H., op. cit.).
10
ragione la prima forma di tutela ad emergere è quella avente
natura riparatoria (ex-post) di matrice giurisprudenziale.
Per la formulazione di una normativa specifica si richiede
invece una impostazione di respiro più ampio, più precisamente
il dispositivo dovrebbe quantomeno garantire una tutela
realizzabile in una dimensione preventiva
13
.
Il mobbing fino a pochi anni fa, come già evidenziato in
apertura di capitolo, costituiva esclusivo oggetto di indagine per
medici, psicologi, sociologi; solo recentemente è assurto a
questione giuridica dietro la sempre più avvertita esigenza di
individuare una categoria all’interno della quale potessero
collocarsi tutte quelle condotte vessatorie, persecutorie illecite
non tipizzate dal legislatore, ma comunque determinanti e
riprovevoli ai sensi degli artt. 1345, 1418 e 1324 c.c., poste in
essere nei diversi ambiti sociali (famiglia, lavoro, scuola,...).
13
La congruità di un intervento normativo in materia è stata diversamente valutata in
dottrina: da una parte, infatti, coloro (per tutti: M. Meucci, P.G. Monateri) che
auspicano l’elaborazione ed approvazione di una legge specifica per depurare lo
svolgimento del rapporto di lavoro da connotati di violenza morale e di terrorismo
psicologico si contrappongono a quanti (per tutti: A. Boscati, R. Nunin) che,
segnalando come, in realtà, la rilevanza di una autonoma qualificazione giuridica del
mobbing risiederebbe non tanto nella novità delle condotte concretamente esercitate
quanto nel nome attribuito alla fattispecie, ritengono che l’adozione di un
provvedimento legislativo “ad hoc” non comporterebbe altra conseguenza se non
quella di appesantire il quadro normativo vigente che già oggi appronta tutta una serie
di strumenti per tutelare, sia in chiave preventiva che riparatoria, il lavoratore contro le
condotte illecite.
11
Se è vero che le condotte discriminatorie sono riscontrabili
nei vari ambienti in cui si esplica e si realizza l’esistenza di una
persona, il fenomeno, però, riveste ed acquisisce un’importanza
e peculiarità notevoli se lo si inquadra in ambito lavorativo e
cioè all’interno di un gruppo funzionale, vero che la gestione del
rapporto sociale perde, qui, l’aspetto della volontarietà e
spontaneità per accedere a quello della necessità, in
considerazione del fatto che nessuno può volontariamente
sottrarsi all’ineluttabilità del doversi procurare i mezzi di
sostentamento per poter condurre “un’esistenza libera e
dignitosa” (Art. 36, I comma, Costituzione); vero che al lavoro
la nostra Costituzione riconosce una nobilissima e preminente
funzione di estrinsecazione e realizzazione della persona; vero,
ancora, che “mentre tutti gli altri contratti riguardano l’avere
delle parti, il contratto di lavoro riguarda certamente anche
l’avere per il datore di lavoro, ma per il lavoratore riguarda e
garantisce l’essere, il bene che è condizione dell’avere e di ogni
altro bene”
14
.
14
SANTORO PASSARELLI, F., Nozioni di diritto del lavoro, Jovene, Napoli, 1948, p.
274.