Introduzione
VI
Il capitolo II predispone una formula teorica per lo studio del diritto al confronto con
l’accusatore, affrontando complesse questioni definitorie. Da una parte, si delimiteranno i contorni
della categoria dei «testimoni d’accusa» e, dall’altra, si illustrerà il metodo del confronto, attraverso
l’individuazione degli elementi costitutivi del «paradigma del contraddittorio». Opportune
combinazioni delle possibili «deviazioni» dal suddetto paradigma consentiranno di delineare tre
fondamentali categorie di testimoni problematici che ricorrono con significativa frequenza nei
procedimenti penali di ogni tempo e ideologia: i testimoni «assenti», i testimoni «anonimi» e i
testimoni «vulnerabili».
Nel capitolo III, la formula verrà messa alla prova attraverso l’analisi della versione «europea»
del diritto al confronto, contenuta nell’art. 6 comma 3 lett. d) della Convenzione Europea dei diritti
dell’uomo. Sul punto, negli ultimi vent’anni, la scure della giurisprudenza di Strasburgo non ha
risparmiato alcuno dei principali Paesi dell’Unione Europea - Italia, Austria, Francia, Olanda,
Germania, Spagna, Regno Unito, Belgio - nonostante la diversa, e talora contrastante, ispirazione
ideologica dei rispettivi modelli processuali. Le categorie dei testimoni «assenti», «anonimi» e
«vulnerabili» consentiranno di riorganizzare sistematicamente le pronunce dei giudici europei e di
localizzarne le ricorrenti, e talora censurabili, incongruenze.
Nel capitolo IV l’attenzione si concentrerà sul diritto positivo italiano che, dal 1999, annovera
esplicitamente il diritto al confronto tra le garanzie costituzionali di un «giusto» processo penale,
«regolato dal principio del contraddittorio nella formazione della prova». A norma dell’art. 111
comma 3° Cost., infatti, la procedura penale deve garantire all’accusato «la facoltà, davanti al giudice,
di interrogare o fare interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico». A ciò si aggiunga
che, a dimostrazione della serietà con cui il legislatore costituzionale ha inteso promuovere il diritto al
confronto, lo stesso articolo precisa che «la colpevolezza dell’accusato non può essere provata sulla
base delle dichiarazioni rese da chi, per libera scelta, si è sempre volontariamente sottratto
all’interrogatorio dell’imputato e del suo difensore».
Alla novella costituzionale si devono quantomeno due benefici effetti. In primo luogo, essa ha
ispirato una doverosa quanto complessa revisione del codice di rito a cui, nel 2001, è stato restituito
l’originario carattere adversarial, dopo le lacerazioni prodotte dagli interventi pendolari della Corte
costituzionale e del legislatore. In secondo luogo, essa ha promosso la riscoperta del giusnaturalismo
nella dottrina processual-penalistica. Non mancano nella cultura giuridica, in verità, orientamenti
reattivi che, adoperando ancora gli schemi concettuali della mentalità inquisitoria e privilegiando la
tutela dell’interesse pubblico alla promozione dei diritti fondamentali dell’individuo, concepiscono il
«giusto processo» come «un’esigenza oggettiva» di attuazione della Costituzione anziché come un
fondamentale ed inviolabile human right. Questa trasfigurazione del giusto processo è tanto insidiosa
poiché vuole convertire i diritti soggettivi in potestà dello Stato servendo così, addirittura con una
copertura costituzionale, i valori e le suggestioni della difesa sociale. Da un’attenta ricostruzione dei
principi del processo e da una lettura puntuale delle norme del codice, viceversa, emerge un sistema
normativo che riconosce le garanzie dell’imputato come veri e propri diritti dell’uomo e, di
conseguenza, pone oggi l’ordinamento italiano all’avanguardia nella promozione del right to
confrontation.
Capitolo I
1
CAPITOLO I
IL DIRITTO AL CONFRONTO
QUALE FONDAMENTALE DIRITTO DELL’UOMO
TRA STORIA E COMPARAZIONE
§1. FONDAMENTI E PIANO D’INDAGINE
Il confronto tra accusato e «accusatore»
1
risveglia emozioni primordiali ancor prima che speculazioni
giuridiche. La contestazione di un addebito, sebbene non formalizzata con i crismi dell’incriminazione
penale, induce l’uomo, additato come colpevole, ad invocare una singolar tenzone, di natura quasi fisi-
ca, con chi ha sollevato le accuse: si faccia avanti in pubblico, se ne ha il coraggio, e dica ad alta voce
ciò che sa, sotto giuramento, accettando di sottoporsi al contraddittorio.
Come si dimostrerà in questo studio, il tema del «diritto al confronto» con i testimoni a carico
solleva delicate questioni di teoria e politica del diritto che, per la verità, da sempre percorrono il di-
battito tra gli studiosi del processo penale. Ivi, infatti, la contestazione dell’addebito mette a repenta-
glio la reputazione, la libertà personale e, talora, persino la stessa sopravvivenza dell’accusato. Si dirà
che il diritto al confronto ha natura «fondamentale»: alla legittima aspettativa del cittadino che riven-
dica tutela di fronte all’apparato giudiziario non potrà dunque contrapporsi il richiamo ai valori di og-
gettività ed efficienza, finalizzati alla salvaguardia delle posizioni di primato dei pubblici poteri.
L’aspetto più problematico dello studio del diritto al confronto, tuttavia, risiede nel fatto che
l’attuazione concreta di tale diritto riposa, in massima parte, sui meccanismi procedurali relativi
all’acquisizione delle fonti di prova, in particolare di quella lato sensu «testimoniale». A questo propo-
sito, deve sottolinearsi che, allo stato attuale dell’evoluzione storica così come nei secoli passati, ogni
ordinamento dotato di giurisdizione penale è sovrano assoluto della propria normazione probatoria.
1
È opportuno sgombrare fin d’ora il campo da un possibile equivoco terminologico. Nei sistemi contemporanei di giustizia criminale, il ruo-
lo di «accusatore» in senso formale è attribuito dalla legge ad un organo dell’amministrazione pubblica (e.g. Procura della Repubblica, Par-
quet, District Attorney’s Office, Crown Prosecution Service, Staatsanwaltschaft etc…). Tale organo è funzionalmente investito del compito
di promuovere l’azione penale secondo le disposizioni del diritto nazionale. Non si vuole con ciò disconoscere come, nell’evoluzione storica
della procedura penale, siano esistiti anche sistemi a contesa disponibile (così la Grecia arcaica, per esempio) in cui il ruolo di accusatore era
assegnato al privato cittadino, dalla cui esclusiva volontà dipendeva l’instaurazione del processo. In questo studio, peraltro, ogni successivo
riferimento all’«accusatore» deve intendersi circoscritto alle fonti «sostanziali» delle prove a carico dell’accusato, ossia ai soggetti che
apportano un contributo «testimoniale» sfavorevole all’imputato. In altre parole, il termine «accusatore» è qui utilizzato quale sinonimo di
«testimone a carico», in un’accezione non inedita per la dottrina processual-penalistica italiana (cfr. P. TONINI, Il diritto a confrontarsi con
l’accusatore, in Dir.pen.proc., 1998, p. 1506; ID., Diritto dell’imputato a interrogare colui che lo accusa e diritto di non rispondere, in
Dir.pen.proc., 1997, p. 353-357; C. FANUELE, Il diritto dell’accusato a confrontarsi con il proprio accusatore nel procedimento cautelare, in
Dir.pen.proc., 2003, p. 71-76; C. CONTI, Profili penalistici della testimonianza assistita: l’esimente dell’art. 384 c.p. tra diritto al silenzio e
diritto a confrontarsi con l’accusatore, in Riv.it.dir.proc.pen., 2002, p. 840-866; M. E. CATALDO, Diritto a confrontarsi con il proprio accu-
satore e lettura delle precedenti dichiarazioni per impossibilità di ripetizione: un difficile equilibrio, in Foro toscano, 2000, p. 289-291; D.
VIGONI, Ius tacendi e diritto al confronto dopo la l. n. 63 del 2001: ipotesi ricostruttive e spunti critici, in Dir.pen.proc., 2002, p. 87-104 e,
in prospettiva comparatistica, C. VETTORI, Il diritto a confrontarsi con l’accusatore nell’ordinamento inglese, in Cass.pen., 2000, p. 2836-
2843; V. SANTORO, Il cambio da coimputato a teste esalta il confronto, in Guida dir., 2001, n. 13, p. 48; M. MONTAGNA, Diritto al silenzio e
diritto al confronto, in G. CERQUETTI - C. FIORIO (a cura di), Dal principio del giusto processo alla celebrazione di un processo giusto, Ce-
dam, Padova, 2002, p. 143 s.). Al «fondamentale diritto di confrontarsi con la fonte di accusa» fa riferimento anche, in giurisprudenza, Corte
cost., 2 novembre 1998, n. 361, in Giur.cost., p. 3127-3128.
Capitolo I
2
Ne segue che, nonostante le procedure penali delle nazioni occidentali e dei più prestigiosi tri-
bunali internazionali enuncino con formulazioni pressoché identiche il diritto dell’accusato a confron-
tarsi con i testimoni a carico, esso sia rivestito di contenuti tecnici straordinariamente differenti
2
. Non
esiste un consenso tra i sistemi di giustizia penale, in buona sostanza, su quale sia il «giusto» valore
probatorio da attribuire alle dichiarazioni testimoniali rese al di fuori della dialettica con l’accusato né
tanto meno su quali siano le circostanze, di fatto o di diritto, che giustificano deviazioni
dall’acquisizione della testimonianza in contraddittorio.
Il diritto al confronto si presenta quindi sotto forma di una pluralità di «versioni» autonome,
articolate per lo più su base nazionale. In questo lavoro, particolare attenzione verrà dedicata a quella
statunitense
3
, a quella «europea»
4
e, ovviamente, a quella italiana
5
. È opportuno premettere che, se è
relativamente semplice discutere ed illustrare i contorni di tali «versioni», è, al contrario, assai più
complesso elaborare una teoria del diritto al confronto che sia applicabile a qualunque ordinamento,
ponendosi quale parametro per la verifica della sua equità nella gestione del sapere testimoniale
d’accusa.
Da una parte, non può nascondersi come la stessa espressione diritto al «confronto»
6
sia, per
certi versi, problematica. Numerosi ordinamenti considerati nel prosieguo, in verità, fanno riferimento
più specificamente al «diritto al contro-esame»
7
, ovvero al «diritto a interrogare o a fare interrogare»
8
i
testimoni a carico. In uno studio dottrinale che intenda approfondire i molteplici corollari di una mate-
ria così variegata, sintetizzando, in prospettiva comparativa, gli insegnamenti dei giuristi provenienti
2
In altre parole, il fatto che la stragrande maggioranza degli ordinamenti giuridici occidentali contemporanei dichiari, talora solennemente, il
proprio impegno a garantire all’accusato il diritto al confronto non deve indurre il lettore a concludere che esista un modello unitario per la
gestione del sapere testimoniale d’accusa. La disciplina di tale sapere, infatti, dipende non solo dai contenuti normativi che ogni ordinamento
assegna al diritto al confronto ma anche da una serie di questioni tecniche connesse (quali le tempistiche di assegnazione dello status di te-
stimone, i diritti e doveri di quest’ultimo, la legittimità di contatti pre-processuali tra testimone e difensore dell’accusato, le modalità di rea-
lizzazione dell’esame dibattimentale, il trattamento probatorio del «sentito dire»), su cui non esiste conformità tra le legislazioni degli Stati.
Per un approccio comparatistico sul tema della prova non si può prescindere dalle osservazioni di M. TARUFFO, Prova - diritto comparato e
straniero, in Enc.giur., Treccani, Roma, 1991, vol. XXV, p. 1 s. Il più organico e articolato studio comparato in materia di prova penale si ri-
trova nel vol. 63/1992 della Revue internationale de droit pénal, intitolato «La preuve en procédure pénale comparée - Evidence in
comparative criminal procedure». Tra i contributi si segnalano J. PRADEL, Rapport général, p. 13-31; J. R. SPENCER, Le droit anglais, p. 83-
103; F. CASORLA, Le droit français, p. 183-204; P. CORSO, Le droit italien, p. 205-36; P. HÜNERFELD, Le driot allemand, p. 57-81; C. VAN
DEN WYNGAERT - H. D. BOSLY, Le droit belge, p. 105-116; G. J. M. CORSTENS, Le droit néerlandais, p. 273-288; J.-Y. CHEVALLIER,
Rapport de synthèse pour les Pays d Europe continentale, p. 43-55; S. J. SCHULHOFER - F. GREENBERG - B. J. GREENBERG, Rapport de
synthèse pour les pays de common law, p. 33-42. Cfr. anche E. AMODIO, Diritto di difesa e diritto alla prova nello spazio giudiziario
europeo, in A. LANZI - F. RUGGIERI - L. CAMALDO (a cura di), Il difensore e il pubblico ministero europeo, Cedam, Padova, 2002, p. 103 s;
J. R. SPENCER, Evidence, in M. DELMAS-MARTY - J. R. SPENCER (a cura di), European criminal procedures, Cambridge univ.press,
Cambridge, 2002, p. 594-640 e letteratura ivi citata.
3
Su cui si veda ampiamente infra, §9.
4
Il riferimento è da ritenersi inteso alla «versione» del diritto al confronto risultante dalle pronunce degli organi giudiziari incaricati
dell’amministrazione della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, alla cui analisi è interamente dedicato il
successivo cap. III.
5
Cfr. infra, §7 e cap. IV. La versione italiana del diritto al confronto trova il proprio fondamento normativo nell’art. 111 comma 3° Cost.
che, come è noto, attribuisce all’imputato «la facoltà di interrogare o fare interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico».
6
Un ulteriore fattore di complessità emerge rispetto a quegli ordinamenti giuridici che impiegano il termine «confronto» per descrivere auto-
nomi istituti di diritto interno. È il caso dell’Italia, in cui il «confronto» costituisce un mezzo di prova (cfr. artt. 211-212 c.p.p.) esperibile in
aggiunta all’esame dibattimentale, nel caso di disaccordo tra due soggetti, quindi anche tra accusato e testimone, su «fatti e circostanze im-
portanti». In Francia, le corrispondenti confrontations, disciplinate dagli artt. 114-121 c.p.p., possono svolgersi, secondo la giurisprudenza,
anche tra imputato e testimone (nonostante la lettera del codice parli delle sole «parti»), ma esclusivamente ove il giudice lo ritenga opportu-
no (Cass.crim., 26 janv. 1994, Bull.crim., n°35). In Inghilterra, il termine confrontation descrive anche lo strumento d’indagine finalizzato
all’identificazione fisica dell’accusato da parte di un testimone oculare, cui si procede eccezionalmente qualora non sia possibile predisporre
una identification parade (la disciplina del confrontation è contenuta in Code of Practice for the identification of persons by police officers
(cd. «Code D») §2.10-2.11).
7
È quanto avviene, per esempio, nella tradizione giuridica inglese, su cui cfr. infra, §5.1. In termini di «diritto al contro-esame» si esprime
anche, in Italia, E. AMODIO, Giusto processo, diritto al silenzio e obblighi di verità dell’imputato sul fatto altrui, in Cass.pen., 2001, p. 3587
s. L’Autore motiva la propria meditata e consapevole scelta di rinunciare alla traslazione della locuzione right to confrontation sottolineando,
con rigore, «come le nozioni di confronto e accusatore assumono un significato ben diverso nel diritto processuale italiano». Sebbene
l’obiezione meriti grande considerazione (prova ne sia che le difficoltà definitorie sui termini in questione sono state previamente illustrate
nelle note n. 1 e n. 6) quest’indagine predilige invece il «diritto al confronto con l’accusatore» per le ragioni indicate nell’immediato prosie-
guo.
8
È questa la frase ricorrente sia negli strumenti di diritto internazionale pattizio, menzionati nel successivo §6, che nel già citato art. 111
comma 3° Cost.
Capitolo I
3
dalle più disparate tradizioni processualistiche, la locuzione diritto al confronto deve tuttavia preferirsi
per la sua duttilità e il suo valore polisemico. Come si vedrà, infatti, lo strumento del «confronto» e-
sprime in nuce una pluralità di contenuti garantistici che ricomprendono certamente l’esame dibatti-
mentale della fonte d’accusa ma, in esso, non si esauriscono. Parlare di diritto al «contro-esame», del
resto, rischia di ingenerare un pericoloso equivoco, ove si osservi che, sul piano procedurale, esso
spetta di norma anche alla pubblica accusa, con riferimento ai testimoni prodotti dalla difesa. È peral-
tro evidente che le due posizioni non sono assolutamente equiparabili, posto che il solo diritto
dell’imputato trova riconoscimento, quale diritto «fondamentale», tanto in strumenti internazionali per
la protezione dei diritti dell’uomo che in fonti normative di rango costituzionale.
Dall’altra, la determinazione della categoria soggettiva del «testimone d’accusa» suscita, forse
inaspettatamente, complesse questioni dogmatiche. Il diritto al confronto deve infatti poter trovare ap-
plicazione non solamente rispetto ai dichiaranti dibattimentali ma, con le dovute precisazioni, anche a
chi abbia rilasciato allegazioni accusatorie suscettibili di essere impiegate nel giudizio sulla colpevo-
lezza dell’imputato
9
ovvero, più semplicemente, a tutti i «soggetti fonti di prova a carico»
10
.
Questo capitolo si apre con alcune riflessioni sulla natura del diritto al confronto e sui costi so-
ciali connessi alla sua salvaguardia. La trattazione prosegue collocando sistematicamente il diritto al
confronto nell’ambito della persistente dicotomia tra sistemi processuali ad ispirazione «accusatoria» o
«inquisitoria». Nelle sezioni successive, attraverso un excursus storico e comparatistico, si illustrerà la
genesi del diritto al confronto nei sistemi processuali adversarial e la sua successiva esportazione in
ambiente inquisitorio, per il tramite di talune autorevoli fonti del diritto internazionale pattizio. Il capi-
tolo si chiuderà con l’esposizione delle ragioni per cui non sia possibile fare affidamento sulla «ver-
sione» statunitense del diritto al confronto (che pure muove dalla più antica e celebrata enunciazione
del medesimo, la confrontation clause del Sesto Emendamento alla Costituzione federale), ai fini della
predisposizione di una formula tendenzialmente universale per lo studio delle tematiche che, a tale di-
ritto, si ricollegano.
9
Lo riconosce P. TONINI, La prova penale, Cedam, Padova, 4
a
ed., 2000, p. 15, laddove afferma che «il diritto a confrontarsi non vale soltan-
to nei confronti dei testimoni», ma deve invece «essere attuato nei confronti di tutte le persone che rendono dichiarazioni a carico». Per la de-
finizione della locuzione «dichiarazione testimoniale», assolutamente centrale nella prospettiva seguita in questo lavoro, si rinvia alle rifles-
sioni svolte infra, cap. II, §2.
10
Così, a proposito del dettato dell’art. 6 comma 3 lett. d) Cedu, V. GREVI, Dichiarazioni dell’imputato sul fatto altrui, diritto al silenzio e
garanzia del contraddittorio, in ID., Alla ricerca di un processo penale «giusto». Itinerari e prospettive, Giuffrè, Milano, 2000, p. 241.
Capitolo I
4
§2. NATURA «FONDAMENTALE» DEL DIRITTO AL CONFRONTO
Tradirebbe l’ispirazione liberale
11
e garantistica
12
del giusnaturalismo processuale un’esposizione che
trattasse il diritto al confronto quale oggetto di incondizionata «devozione». Un simile approccio pre-
sterebbe il fianco alle critiche di chi, con lodevole sagacia, mette in guardia sui limiti dell’imperante
«retorica» dei diritti dell’uomo che, negli ultimi anni, domina la scena del dibattito dottrinale nel setto-
re della procedura penale così come in vaste aree del pensiero filosofico-giuridico
13
. In particolare, si
intende rifuggire il moralismo di chi, muovendo da assiomi circa la superiorità «etica» di questo o
quell’altro diritto, resti imprudentemente insensibile alla verifica dei costi sociali che la tutela di una
qualsiasi garanzia individuale pur sempre comporta.
Sottovalutare ovvero contestare sic e simpliciter l’esistenza dei suddetti costi è strategia im-
produttiva sotto vari aspetti. Da un lato, sostenere che il diritto al confronto possa essere assicurato «a
costo zero» significa suggerire implicitamente che il suo «valore» (sotto forma di impatto sulle tecni-
che processuali di accertamento della responsabilità penale) sia tutto sommato circoscritto. Al contra-
rio, è proprio perché si tratta di un diritto eccezionalmente importante - e dunque «costoso» - che le
procedure penali di ogni tempo e nazione ne hanno sempre limitato in varia misura l’ambito di appli-
cazione, seppur attraverso meccanismi procedurali oltremodo disomogenei
14
. D’altro canto, solo una
puntuale analisi dei costi e dei benefici connessi alla salvaguardia del diritto al confronto può convin-
cere lo studioso che sia più ideologicamente incline a sacrificare le istanze di tutela individuale a favo-
re della protezione della «difesa sociale»
15
dell’opportunità di rinunciare all’utilizzo probatorio di con-
tributi «testimoniali» raccolti al di fuori dal vaglio del contraddittorio
16
.
11
Si sottoscrive qui la nozione di «liberalismo» enunciata da C. E. LARMORE, The morals of modernity, Cambridge univ.press, Cambridge,
1996, p. 182 e ripresa da M. LOUGHLIN, Rights, democracy, and law, in T. CAMPBELL - K. D. EWING - A. TOMKINS (a cura di), Sceptical es-
says on human rights, Oxford univ.press, Oxford, 2001, p. 44 s., secondo cui l’essenza della concezione che essa rappresenta sta nella «ri-
vendicazione dei diritti dell’individuo alla vita, alla libertà ed alla ricerca della felicità. Il liberalismo ha un interesse tutto sommato limitato
per i diritti che garantiscono la partecipazione del singolo a processi di formazione di decisioni collettive: al contrario, i diritti liberali sono
finalizzati primariamente all’imposizione di restrizioni verso l’attività di governo ed alla delimitazione di un’area di autonomia individuale».
Come si dirà, un simile approccio impone talora di sacrificare lo stesso «principio democratico», nella misura in cui esso consentirebbe alla
maggioranza dei cittadini una restrizione ad libitum dei diritti in questione, mediante il richiamo, per esempio, ai valori di tutela della «difesa
sociale» ovvero dell’«interesse pubblico». Si veda, inoltre, R. M. DWORKIN - S. MAFFETTONE, I fondamenti del liberalismo, Laterza, Roma,
1996, p. 12-24.
12
Sul punto cfr. L. FERRAJOLI, Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale, cit., Laterza, Roma, 4
a
ed., 1997.
13
La tentazione dei giuristi impegnati nella tutela e nella promozione dei diritti dell’uomo di trattare i medesimi «quali oggetti di devozione
piuttosto che di valutazione razionale nell’ottica del differenziale tra costi e benefici» costituisce il più serio limite della retorica contempora-
nea sui diritti umani secondo D. KENNEDY, The International Human Rights movement: part of the problem?, in Europ.Human Rights law
rev., 2001, p. 246.
14
Anche nei sistemi a caratterizzazione più marcatamente accusatoria, come si dirà più oltre (cfr., infra, §3.2), il riconoscimento del diritto al
confronto non ha mai impedito la predisposizione di eccezioni alla rule against hearsay (la regola che esclude l’ammissibilità della prova
«per sentito dire»). Tali eccezioni, a ben guardare, possono talora legittimare proprio il ricorso a fini di prova di un sapere testimoniale «me-
diato», raccolto al di fuori del confronto dialettico delle parti. Per un’introduzione sui complessi rapporti tra hearsay e confrontation nel dirit-
to anglo-americano si rinvia fin d’ora a A. L. T. CHOO, Hearsay and confrontation in criminal trials, Clarendon press, Oxford, 1996. Un re-
cente contributo al dibattito nella dottrina italiana è fornito da G. DI PAOLO, La testimonianza «de relato» nel processo penale - Un’indagine
comparata, Università degli Studi di Trento, Trento, 2002.
15
Per una riflessione articolata sugli intricati rapporti tra processo penale come luogo di garanzia delle libertà individuali e come presupposto
necessario per l’applicazione della legge penale, cfr. V. GREVI, Garanzie individuali ed esigenze di difesa sociale nel processo penale, in L.
LANFRANCHI (a cura di), Garanzie costituzionali e diritti fondamentali, Ist.enc.it., Roma, 1997, p. 255 s. L’Autore, pur riconoscendo che
«non si possa certo dire che il processo penale persegua - come suo obiettivo diretto - una finalità di difesa sociale» prosegue tuttavia affer-
mando che, «poiché il processo penale rappresenta l’unico percorso possibile per realizzare la funzione repressiva degli illeciti penali, esso
risulta in concreto finalizzato al perseguimento di tale esigenze». Per questa ragione dunque, esso dovrebbe essere disciplinato sulla base di
regole tali da assicurarne il funzionamento «secondo canoni di efficacia, così da consentirgli di conseguire in termini fisiologici il proprio
scopo istituzionale - rappresentato dall’accertamento della verità storica» (ivi, p. 262). Sul tema v. anche M. PISANI, Processo penale e diritti
fondamentali, in M. PISANI - A. MOLARI - V. PERCHINUNNO - P. CORSO, Manuale di procedura penale, Monduzzi, Bologna, 4
a
ed., 2001, p.
11-21
16
Non si vuole con ciò nascondere, peraltro, che l’approccio sviluppato in questo e nel seguente capitolo sia dichiaratamente finalizzato al ri-
goroso contenimento delle «deviazioni» dal «paradigma del contraddittorio» (tali nozioni saranno definite compiutamente infra, cap. II, §2 e
§3) nei limiti della stretta necessità. Ciò si basa sull’elementare osservazione che le pagine più oscurantiste della storia del processo penale si
caratterizzano proprio per l’elevato indice di «deviazione» dal metodo dialettico nel procedimento di raccolta di contributi di natura testimo-
niale (si vedano i successivi §5.3 e §5.4).
Capitolo I
5
Ciò premesso, deve essere chiaro fin d’ora che il right to confrontation è qui studiato e descrit-
to quale fondamentale «diritto dell’uomo», in una riflessione che mira a coniugare l’eredità storica del
diritto naturale con le acquisizioni della recente dottrina costituzionalistica. Questa collocazione dog-
matica, a dire la verità, pare addirittura imposta dai richiami «incondizionati»
17
al diritto al confronto
che sono presenti nei principali trattati internazionali per la protezione e la tutela dei diritti dell’uomo,
cui si farà ampio riferimento nel prosieguo della trattazione (cfr. infra, §6). Una volta individuato
l’orizzonte giusnaturalistico entro cui si inquadra questo lavoro è possibile in qualche misura prescin-
dere dalla formale posizione in cui il diritto al confronto si colloca nell’ambito delle fonti normative di
questo o quell’ordinamento. Persino dove tale diritto trova solenne enunciazione a livello costituziona-
le, del resto, non è esclusa la possibilità che insorgano orientamenti interpretativi restrittivi che, in os-
sequio a istanze di salvaguardia del potere pubblico connaturate a ideologie ispirate dal principio di
autorità, vogliano comunque circoscriverne l’incidenza sulle norme di procedura e di prova
18
.
In una società, d’altro canto, gli individui non interagiscono facendo leva solo ed esclusiva-
mente sui diritti fondamentali che l’ordinamento garantisce loro. Nel conflitto politico si esprimono in-
fatti anche le aspettative individuali finalizzate ad una modificazione dell’ordine costituito affinchè un
diritto disatteso - o anche solo non sufficientemente protetto - trovi adeguata tutela giuridica. Su queste
basi assume rilevanza l’indagine storica che, a seconda dei casi, descriva il processo di «emersione» di
un determinato diritto fondamentale nelle coscienze civili degli uomini ovvero il processo di esporta-
zione/importazione del medesimo tra sistemi giuridici differenti.
Poiché la titolarità di un diritto fondamentale comporta anche la disponibilità di mezzi idonei
ad obbligare lo Stato a soddisfare l’aspettativa del singolo, infine, è ragionevole prevedere che, spe-
cialmente laddove al riconoscimento di un nuovo diritto non si accompagni un contestuale rinnova-
mento dell’ordine sociale e giuridico, le autorità di tale Stato e le forze reazionarie che ne legittimano
il potere accolgano la sua solenne affermazione con diffidenza, se non addirittura con strenua resisten-
za. È quindi compito dell’interprete delimitare con esattezza i confini del diritto fondamentale di cui di
volta in volta si discute e localizzare, in astratto, le ragioni che possono venire legittimamente invocate
per operarne una compressione.
17
Sulle implicazioni dell’enunciazione «secca» del diritto al confronto nei trattati internazionali, nel Sesto Emendamento alla Costituzione
Americana e nell’art. 111 della Costituzione italiana si discuterà più oltre, §2.2.
18
In Italia, per esempio, con l’introduzione dei principi del giusto processo nell’art. 111 Cost. «si è definitivamente attribuito al controesame
il rango di diritto costituzionale dell’imputato, espressione suprema dell’esercizio del diritto di difesa»; cfr. E. AMODIO, La procedura penale
dal rito inquisitorio al giusto processo, in Cass.pen., 2003, p. 1419. Ciononostante, non mancano forme di «accanimento ermeneutico» che
mirano allo svuotamento del principio costituzionale, mortificandone la portata innovativa, così G. GIOSTRA, Prova e contraddittorio, in
Cass.pen., 2002, p. 3289. In particolare, il riferimento è alla fuorviante dicotomia tra garanzie «oggettive» e «soggettive» che, riducendo il
giusto processo ad un’esigenza oggettiva di attuazione della Costituzione (cfr., sul punto, M. CHIAVARIO, Appunti sul processo penale,
Giappichelli, Torino, 2000, p. 12), ne perdono invece di vista il carattere più autentico, ossia quello di un vero e proprio concentrato di diritti
inviolabili della persona umana. La materia sarà approfondita infra, cap. IV, §2.1.
Capitolo I
6
§2.1. Diritto al confronto ed «interesse pubblico»
Collocare il diritto al confronto tra gli iura naturalia, si noti, non significa trascurare l’esistenza di
un’ampia serie di valori e contro-interessi che, con il medesimo, possano in qualche misura interferire.
Si supponga, per un momento, che il diritto al confronto comportasse l’assoluta ed incondizionata «i-
nammissibilità» (nei processi con giuria) o «inutilizzabilità»
19
(in quelli affidati a magistrati professio-
nisti) di qualsiasi contributo testimoniale raccolto senza contraddittorio tra accusato e testimone a cari-
co. Le conseguenze sarebbero addirittura dirompenti: i sistemi di giustizia penale si troverebbero co-
stretti a rinunciare - sempre e comunque - al sapere probatorio di coloro che, per morte, infermità, o al-
tra causa, non siano fisicamente in grado di presentarsi in giudizio. In aggiunta, sarebbero ingiusta-
mente precluse misure protettive in sede di assunzione della prova rispetto ad individui psicologica-
mente fragili ovvero soggetti a minacce e intimidazioni.
È questa la ragione per cui gli ordinamenti processuali penali della storia non hanno mai e-
scluso l’assegnazione di un qualche valore probatorio ad alcune fra le dichiarazioni raccolte al di fuori
del confronto dialettico tra imputato e testimone d’accusa. Ciò vale, come si dirà più oltre (cfr. infra,
§3.2), tanto per i sistemi a matrice inquisitoria quanto per quelli ispirati da principi adversarial.
Le riflessioni appena svolte sollevano più di un interrogativo circa l’approccio che l’interprete
debba assumere di fronte alla necessità di consentire, in certe circostanze, a compressioni del diritto al
confronto. Il tema è esaminato nei suoi risvolti tecnico-procedurali nel successivo capitolo II, ma è
opportuno illustrare fin d’ora i presupposti teoretico-filosofici su cui quest’indagine si fonda. In parti-
colare, è opportuno sgombrare il campo dalla tentazione di assoggettare il diritto al confronto ad un
malinteso giudizio di bilanciamento con le ragioni della «difesa sociale» o dell’«interesse pubblico».
Un punto di partenza può ritrovarsi nella recente affermazione del Privy Council, laconica nel-
la sua semplicità, secondo cui il valore fondamentale e il marchio di costituzionalità di un diritto non
possono essere privi di significato; viceversa sono «chiari segnali del valore aggiunto che
l’ordinamento giuridico assegna alla sua protezione»
20
. L’obiettivo di attribuire una dimensione con-
creta a tale «valore aggiunto» trova l’espressione più autentica proprio in un’accurata selezione dei
«costi» che possano essere legittimamente invocati quali ragioni fondanti una «compressione» di tale
diritto.
Dai costi suddetti deve, in ogni caso, essere escluso il pregiudizio dell’interesse pubblico (in-
teso, come si dirà nel prosieguo, come interesse della maggioranza dei consociati) posto che laddove il
perseguimento di esso sia intrinsecamente incompatibile con il rispetto di un diritto individuale «fon-
damentale»
21
è il primo a dover soccombere, non il secondo. Gli studiosi della procedura penale, ine-
vitabilmente esposti alle più disparate contingenze (ed emergenze) cui il proprio ordinamento è perio-
dicamente soggetto, non possono e non devono dimenticare questo basilare paradigma di matrice giu-
snaturalistica, rielaborato dalla dottrina internazionale più sensibile ad una riscoperta della inesauribile
forza espansiva della teoria della natural justice.
19
A questo punto della trattazione, i due concetti vanno intesi in senso ampio. Il termine «inammissibilità» si riferisce qui alle regole di e-
sclusione probatoria che mirano ad evitare che la giuria popolare venga a conoscenza di una determinata informazione, mentre la nozione di
«inutilizzabilità» riguarda il divieto per il giudice professionista di fare uso della medesima nel processo di formazione del proprio convinci-
mento e, a maggior ragione, di menzionarla in sede di motivazione del provvedimento. Maggiori riflessioni sulla diversa natura dei meccani-
smi di gestione della prova penale negli ambienti adversarial e inquisitorio si proporranno nell’immediato prosieguo della trattazione (cfr. in-
fra, §3.2).
20
Allie Mohammed Appellant v. The State Respondent [1999] 2 A.C. 111, 123, P.C.
21
Per approfondimenti relativi alla definizione ed alle implicazioni filosofiche, giuridiche e politiche dei «diritti fondamentali», intesi come
diritti soggettivi che spettano universalmente a «tutti» gli esseri umani in quanto dotati dello status di persone, o di cittadini o di persone ca-
paci d’agire e costituenti, in ultima analisi, le «leggi del più debole contro la legge del più forte» si rinvia a L. FERRAJOLI (a cura di), Diritti
fondamentali: un dibattito teorico, Laterza, Roma, 2
a
ed., 2002, con particolare riferimento ai contributi di ID., I diritti fondamentali nella te-
oria del diritto, ivi, p. 145 s. e ID., I fondamenti dei diritti fondamentali, ivi, p. 318 s.
Capitolo I
7
Alla riflessione di Ronald Dworkin
22
, in particolare, va il merito di aver dimostrato come, una
volta che un ordinamento si sia assunto la responsabilità di garantire al cittadino un diritto «fondamen-
tale», tale diritto «vada preso sul serio»
23
, con la conseguenza che ogni sua successiva limitazione ba-
sata su un potenziale conflitto con l’«interesse pubblico» sia giuridicamente oltre che politicamente
inaccettabile
24
.
L’Autore prende le mosse dal riconoscimento che qualunque diritto fondamentale comporta
l’insorgere di un’aspettativa del singolo nei confronti della burocrazia governativa (lato sensu conside-
rata) del proprio Stato. Tale aspettativa si connota in senso particolarmente forte poiché il carattere
fondamentale del diritto impone che la legge lo protegga anche - e anzi, soprattutto - nei confronti del-
la maggioranza dei cittadini di quello Stato. In altre parole, la legge deve difendere tale diritto anche
qualora, nel caso concreto, la suddetta maggioranza non si riconosca in tale diritto ovvero ne consideri
riprovevole l’esercizio. Alcuni esempi chiariscono il concetto. Il cittadino ha diritto ad essere omoses-
suale anche se le persone che lo circondano non lo sono, ed anche se la maggioranza dei consociati ri-
tiene che tale condizione costituisca una minaccia grave alla pace sociale. Lo storico ha diritto a nega-
re l’esistenza dell’Olocausto, nonostante la sua tesi ripugni alle coscienze dell’umanità. A ben guarda-
re, l’essenza di un diritto fondamentale è data proprio dalla possibilità di invocarlo ed esercitarlo con-
tro l’interesse e l’opinione della maggioranza. Di più: è dovere preciso di ogni struttura istituzionale
che proclami il rispetto di un diritto fondamentale proteggerlo anche contro gli interessi della maggio-
ranza politico-sociale che, di tale struttura, esprime il governo
25
.
Occorre dunque distinguere tra i diritti della maggioranza
26
, che come tali non possono valere
quale giustificazione della limitazione dei diritti individuali fondamentali, ed i diritti fondamentali di
(altri) singoli membri della comunità
27
, che al contrario possono legittimamente rientrare nella pro-
spettiva del bilanciamento
28
. Questi ultimi diritti si distinguono dai precedenti perché il cittadino è au-
torizzato a richiedere la relativa protezione in quanto singolo, indipendentemente dal fatto che la sua
richiesta sia sostenuta da altri.
Non è difficile applicare questi assunti in ambiente processuale penale, con particolare riferi-
mento al diritto al confronto. È evidente che il singolo cittadino, estraneo alla vicenda processuale, non
ha alcun diritto ad impugnare la decisione di un tribunale penale con l’obiettivo di assicurare
l’interesse pubblico alla giustizia, laddove egli semplicemente ritenga che giustizia non sia stata fatta.
In verità, la stragrande maggioranza dei sistemi contemporanei di giustizia penale non considera op-
22
Non è questa la sede opportuna per illustrare a fondo il pensiero giuridico e politico del filosofo del New England, di cui si è tenuto conto
nell’elaborazione dei fondamenti teoretici di questo lavoro. Per un commento introduttivo si rinvia, oltre alle opere citate nel prosieguo, alle
riflessioni a suo tempo svolte da G. REBUFFA, Costituzionalismo e giusnaturalismo: Ronald Dworkin e la riformulazione del diritto naturale,
in Materiali storia cult.giur., 1980, p. 209-229. In svariati passaggi della sua opera letteraria, DWORKIN espone una teoria costituzionalistica
del diritto che riflette le istanze del liberalismo filosofico-politico contemporaneo. Ai fini di questa trattazione, peraltro, è sufficiente osserva-
re che l’Autore ridefinisce la c.d. rights thesis, ossia la tesi secondo cui gli individui sono titolari di diritti che precedono il momento delle
decisioni politiche e che trovano fondamento in principi soverchianti rispetto agli obiettivi propri di queste ultime; cfr. R. M. DWORKIN,
Law’s empire, Harvard univ.press, Cambridge, 1986, p. 355 s. (in italiano, R.M. DWORKIN, L’impero del diritto (trad.it. a cura di L. CARAC-
CIOLO), Il saggiatore, Milano, 1989).
23
Cfr. R. M. DWORKIN, Taking rights seriously, Harvard univ.press, Cambridge, 1978, p. 184 s. Il libro è disponibile anche in traduzione ita-
liana, cfr. R. M. DWORKIN, I diritti presi sul serio (trad.it. a cura di F. ORIANA), Il Mulino, Bologna, 1982.
24
In casi del genere «la mancata tutela di quel diritto […] dimostrerebbe come il suo previo riconoscimento fosse pura ipocrisia», così R. M.
DWORKIN, Taking rights seriously, cit., p. 200.
25
Impareggiabile resta, in proposito, l’insegnamento di A. DE TOCQUEVILLE, De la démocratie en Amérique, Lévy, Parigi, 17
a
ed., 1888, vol.
III, p. 21: «Pour moi, quand je sens la main du pouvoir qui s’appesantit sur mon front, il m’importe peu de savoir qui m’opprime, et je ne
suis pas mieux disposé à passer ma tête dans le joug, parce qu’un million de bras me le présentent» (per la versione in lingua italiana, cfr. A.
DE TOCQUEVILLE, La democrazia in America, Utet, Torino, 1884, p. 436). La tesi che afferma che i diritti fondamentali siano, per natura,
«anti-maggioritari» non intende con ciò suggerire che essi siano anche «anti-democratici», poiché i testi legislativi che li riconoscono sono
essi stessi il frutto di una decisione liberamente assunta con cui lo Stato riduce ovvero elimina la stessa possibilità di operare future compres-
sioni di tali diritti, secondo M. LOUGHLIN, Rights, democracy, and law, cit., p. 42.
26
Tale definizione è parzialmente sovrapponibile a quella di «diritti individuali a dimensione collettiva», cui si riferisce F. SUDRE, Droit in-
ternational et européen des droits de l’homme, PUF, Parigi, 5
a
ed., 1995, p. 175.
27
R.M. DWORKIN, Taking rights seriously, cit., p. 194.
28
I tre scenari teorici che, soli, legittimano una restrizione di diritti individuali fondamentali verranno descritti infra, §2.2.
Capitolo I
8
portuno attribuire tale diritto neppure alla vittima
29
del reato. A maggior ragione, lo stesso cittadino
non ha alcun diritto di invocare l’utilizzo ovvero l’ammissione a fini di prova della dichiarazione e-
xtra-processuale di un testimone d’accusa che sia invece esclusa dal novero dalle norme di procedura e
di prova di un determinato ordinamento. Ne segue immediatamente che l’interesse pubblico ad una
pretesa non-dispersione
30
del materiale probatorio raccolto in assenza di contraddittorio non è giustifi-
cazione idonea, di per sé, alla limitazione del fondamentale diritto individuale al confronto con
l’accusatore.
§2.2. Diritto al confronto e tutela dei contro-interessi
Si è poc’anzi suggerito che il diritto al confronto non è assoggettabile a limitazioni in virtù di un mero
richiamo all’«interesse pubblico» poiché tale nozione è, strutturalmente e funzionalmente, incompati-
bile con il concetto di diritto individuale «fondamentale» di matrice giusnaturalistica. Ciò non porta a
concludere che il right to confrontation sia anche un diritto assoluto inderogabile. Questo lavoro, al
contrario, riconosce ed illustra un’ampia tipologia di deviazioni dal «paradigma del contraddittorio»
che, nel capitolo II, saranno ordinate sistematicamente nelle categorie dei testimoni «assenti», «ano-
nimi» e «vulnerabili».
Occorre soffermarsi, a questo punto, sulla formulazione letterale dei diritti fondamentali nei
testi di rilievo costituzionale. Sovente, tali testi si premuniscono di affiancare all’enunciazione solenne
del diritto una serie di ragioni sostanziali che autorizzano lo Stato a ridurne la libera disponibilità. Co-
sì, per esempio, la Costituzione italiana riconosce la libertà religiosa sempre che essa non confligga
con il buon costume (art. 19 Cost.). Parimenti, la Convenzione europea per i diritti dell’uomo garanti-
sce la libertà di espressione ma precisa che il suo esercizio può essere sottoposto alle «formalità, con-
dizioni, restrizioni o sanzioni che […] costituiscono misure necessarie alla sicurezza nazionale,
all’integrità territoriale o alla pubblica sicurezza o alla difesa dell’ordine e alla prevenzione dei reati,
alla protezione della salute o della morale […]» (art. 10 Cedu)
31
. Talvolta, il testo rinvia ad un’autorità
(tipicamente «la legge» ovvero un organo della pubblica amministrazione) che, sola, è autorizzata a
determinare, con un grado di discrezionalità variabile ma in ogni caso ineliminabile, i casi e i modi
della compressione del diritto di cui si tratta
32
. In altre ipotesi, numericamente assai più limitate, il di-
ritto fondamentale è proclamato invece con una formula secca, ossia senza rinvii, incisi, deroghe, limi-
ti o clausole. Il right to confrontation rientra in tale ultima categoria: l’imputato ha diritto di esaminare
i testimoni d’accusa, punto. Così si esprimono i trattati internazionali e gli statuti delle corti di giusti-
zia che verranno esaminati nel prosieguo dell’esposizione e che derivano la propria formulazione, in
ultima analisi, dall’asciutto enunciato del Sesto Emendamento alla Costituzione federale statuniten-
29
Il tema è stato affrontato in tempi recenti da M. CHIAVARIO, Il «diritto al processo» delle vittime dei reati e la Corte europea dei diritti
dell’uomo, in Riv.dir.proc., 2001, p. 938-947. Pur argomentando nel senso di una valorizzazione del ruolo della vittima in alcuni filoni della
giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, l’Autore finisce per riconoscere come nell’art. 6 Cedu «non possa trovarsi» alcun
fondamento giuridico per attribuire a quest’ultima il diritto ad intentare di propria iniziativa un’azione penale; cfr. Corte eur.dir.uomo, 29
ottobre 1991, Helmers c. Svezia, Serie A n. 212-a, §28. Sul punto cfr. anche F. STELLA, Giustizia e modernità: la protezione dell'innocente e
la tutela delle vittime, Giuffrè, Milano, 2
a
ed., 2002.
30
Sul concetto di «non dispersione» della prova nella storia recente della procedura penale italiana si ritornerà al momento di esporre la ver-
sione italiana del diritto al confronto (cfr. infra, §7.1 e cap. IV). È opportuno rinviare sin d’ora, tuttavia, ai contributi fortemente critici di P.
FERRUA, Anamorfosi del processo accusatorio, in ID., Studi sul processo penale. II, Giappichelli, Torino, 1992, p. 157 s., O. DOMINIONI, Un
nuovo idolum theatri: il principio di non dispersione probatoria, in Riv.it.dir.proc.pen., 1997, p. 736-773. Promuove la formula della non di-
spersione della prova quale principio generale del processo penale, viceversa, A. MAMBRIANI, Giusto processo e non dispersione delle pro-
ve, Celt, Piacenza, 2002, p. 1337 s.
31
Si noti che la formulazione degli artt. 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare), 9 (libertà di pensiero, di coscienza e di religione)
10 (libertà di espressione) e 11 (libertà di riunione e di associazione) Cedu è strutturalmente analoga, nella misura in cui all’enunciato del
primo comma segue, nel secondo, il riconoscimento della legittimità di interferenze che siano «necessarie nell’ambito di una società demo-
cratica»; sul punto cfr. A. ASHWORTH, Human rights, serious crime and criminal procedure, Sweet & Maxwell, Londra, 2002, p. 76 s.
32
Cfr., per esempio, art. 7, 10, 11 Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino (Francia, 1789); art. 5 (diritto alla libertà e alla sicurez-
za) Cedu; art. 13, 14 Cost.
Capitolo I
9
se
33
. Leggermente diverso il disposto dell’articolo 111 della Costituzione italiana, secondo cui nel pro-
cesso penale, la legge assicura che la «persona accusata di un reato […] abbia la facoltà
34
, davanti al
giudice, di interrogare o di far interrogare le persone che rendono dichiarazioni a suo carico»
35
.
Non è tuttavia opportuno sovrastimare le implicazioni relative alla formulazione letterale di un
diritto fondamentale. A ben guardare, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo ammette che taluni
diritti espressi in forma secca siano derogabili in situazioni d’emergenza
36
, mentre altri non lo siano
nonostante lo loro enunciazione originaria sia soggetta a talune clausole restrittive
37
. La stessa Costitu-
zione italiana, peraltro, afferma l’inviolabilità di libertà personale e domicilio (artt. 13, 14 Cost.), salvo
illustrare contestualmente le procedure da seguire per limitarli.
In verità, sostenere che il diritto al confronto abbia natura assoluta e inderogabile sarebbe con-
troproducente per i suoi stessi fautori. Muovendo dall’indiscutibile assunto che nessun sistema di giu-
stizia penale ha mai interamente rinunciato ai contributi lato sensu «testimoniali» di individui non sot-
toposti al confronto con l’imputato, i detrattori di questa garanzia avrebbero buon gioco ad invocare
l’argomento letterale secondo cui l’enunciato del diritto al confronto faccia riferimento solo ed esclu-
sivamente ai «testimoni» in senso tecnico
38
. Tale approccio è invece censurabile perché disconosce la
molteplicità delle situazioni in cui un sapere testimoniale dai contenuti «accusatori» - cioè, più sempli-
cemente, sfavorevoli all’imputato - possa essere legittimamente portato alla conoscenza dei giudici o
dei giurati, incidendo così nella formazione del loro personale convincimento.
Non s’intende dunque contestare che esistano una serie di contro-interessi in potenziale rotta
di collisione con il diritto al confronto. Non si tratta di una notazione particolarmente originale, ma è il
punto fermo da cui prendere le mosse per ogni ulteriore approfondimento. Si rifletterà ora astrattamen-
te su quali siano i valori e i principi che possono fondare una legittima restrizione di diritti individuali
fondamentali. Le osservazioni che seguono saranno richiamate nel capitolo II, quando verrà verificata
la solidità delle ragioni che sono solitamente invocate per giustificare l’impiego delle dichiarazioni
d’accusa dei testimoni «assenti» (cap. II, §6.1), «anonimi» (cap. II, §6.2) e «vulnerabili» (cap. II,
§6.3).
Si è detto che il riconoscimento di un diritto fondamentale comporta un costo sociale elevatis-
simo per l’ordinamento giuridico che lo afferma e si voglia impegnare seriamente per tutelarlo. È que-
sta la ragione per cui ogni sistema giuridico limita, con un certo rigore, il catalogo dei diritti fonda-
mentali che è disposto a riconoscere ai propri cittadini ovvero a chiunque sia accidentalmente soggetto
alla sua giurisdizione. Da almeno un cinquantennio, peraltro, la società occidentale pare aver definiti-
vamente riconosciuto il right to confrontation quale diritto naturale di chi sia formalmente accusato
della commissione di un reato.
33
«No ifs, buts or ands» ne caratterizzano la formulazione, come sottolineato da A. R. AMAR, Foreword: Sixth Amendment first principles, in
George.law journal, 1996, vol. 84, p. 647. Prima dell’approvazione del nuovo art. 111 Cost., esprimeva il dubbio che l’inserimento in Costi-
tuzione di formule tanto perentorie «potesse ingessare il sistema processuale penale nell’ossequio a regole assolute, che non consentirebbero
alcuna possibilità di bilanciamento rispetto ad altri interessi costituzionalmente rilevanti», V. GREVI, Garanzie soggettive e garanzie oggetti-
ve nel processo penale secondo il progetto di revisione costituzionale, in Riv.it.dir.proc.pen., 1998, p. 739.
34
Per alcune considerazioni sull’impiego del termine «facoltà» invece dell’assai più appropriato «diritto» si veda infra, §7.2.
35
In Italia, eventuali compressioni del diritto al confronto trovano una copertura costituzionale nel successivo art. 111 comma 4° Cost., se-
condo cui «la legge regola i casi in cui la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato o per accertata
impossibilità di natura oggettiva o per effetto di provata condotta illecita». La dottrina italiana legge tali fenomeni quali forme di contraddit-
torio «implicito», «impossibile» o «inquinato», cfr. G. UBERTIS, Giusto processo e contraddittorio in ambito penale, in Cass.pen., 2003, p.
2104 s. Per uno studio approfondito del diritto al confronto nell’ordinamento processuale penale italiano si vedano, infra, §7 e cap. IV.
36
Ex art. 15 Cedu, gli Stati contraenti sono autorizzati ad adottare misure in deroga agli obblighi derivanti dalla Convenzione, previa infor-
mativa al Segretariato generale del Consiglio d’Europa, «in caso di guerra o altro pericolo pubblico che minacci la vita della Nazione». I soli
articoli non derogabili sono quelli riproducenti i c.d. «diritti intangibili» (secondo la definizione di F. SUDRE, Droit international et européen
des droits de l’homme, cit., p. 205) ossia gli artt. 2, 3, 4 commi 1 e 7 Cedu; cfr. infra, cap. III, nota n. 36.
37
Cfr. art. 2 Cedu. Fino all’approvazione del Protocollo 6, relativo all’abolizione della pena di morte, in data 28 aprile 1983, tale norma po-
neva una semplice riserva di legge a protezione della vita dell’individuo, legittimando così la pronuncia e l’esecuzione di sentenze capitali a
norma delle regole di diritto interno.
38
Come si vedrà, invece, è essenziale che la garanzia del confronto trovi applicazione con riferimento a chiunque rilasci «dichiarazioni te-
stimoniali», nel senso precisato nel cap. II, §2.
Capitolo I
10
È decisivo comunque sottolineare che l’affermazione di un diritto fondamentale si risolvereb-
be in una formula vuota qualora esso potesse essere sacrificato semplicemente perché, in un caso de-
terminato ovvero in una classe di scenari, il costo sociale che a tale diritto si associa non sia politica-
mente sostenibile. Ciò negherebbe la natura fondamentale del diritto, contraddicendone in sostanza la
stessa affermazione. Solo ed esclusivamente altre ragioni possono attribuire legittimità alla decisione
dell’ordinamento di non sostenere il costo sociale associato alla salvaguardia di quello specifico dirit-
to. In particolare, tre sembrano essere gli scenari che giustificano la restrizione di un diritto fondamen-
tale: (a) quando è dimostrato che, nel caso di specie, i valori protetti dal diritto fondamentale non sono
in realtà a rischio, o lo sono solo in forma assolutamente attenuata; (b) quando i diritti fondamentali di
altri individui sono con esso in conflitto; (c) quando il costo per la società è talmente elevato da ecce-
dere in maniera assolutamente sproporzionata quanto la stessa società aveva previsto di spendere per
tutelarlo
39
.
I principi appena espressi si adattano con straordinaria semplicità allo studio del right to con-
frontation già in questa fase preliminare della trattazione. Si supponga, per un momento, che il diritto
al confronto dei testimoni di accusa si sostanzi nel dovere, per le autorità giudiziarie di condurre in
giudizio chiunque abbia già deposto a carico dell’accusato di fronte alla polizia, pena l’inutilizzabilità
o inammissibilità delle sue precedenti dichiarazioni
40
. La domanda che si pone è la seguente: quali cir-
costanze legittimano l’impiego probatorio delle dichiarazioni precedentemente rese se il soggetto non
si sia, di fatto, presentato in dibattimento? Nell’esempio, è evidente che il diritto al confronto è stabili-
to precisamente per imporre che il testimone (per semplicità, Tizio) sia localizzato e obbligato a com-
parire. Giustificare la deviazione affermando che le autorità non sono state in grado di rintracciare Ti-
zio non ha senso alcuno perché disconosce che il perseguimento di quell’obiettivo è ragione fondante
del riconoscimento di quel diritto.
Si considerino ora gli esempi seguenti, tendendo a mente i tre scenari «eccezionali» descritti in
precedenza. Può accadere che Tizio abbia già deposto nel contraddittorio delle parti, in un’udienza ad
hoc svoltasi prima del processo, su iniziativa delle medesime autorità, preoccupate del fatto che
l’esame non sarebbe stato ripetibile in un momento successivo. Nonostante la lettera del diritto non sia
rispettata (Tizio non è comparso durante il processo) i valori che esso esprime lo sono, perché è ragio-
nevole sostenere che l’accusato abbia avuto un’occasione «adeguata e sufficiente»
41
per confrontarsi
con il suo accusatore. È inoltre possibile che, al tempo del processo, Tizio sia in punto di morte e la
sua traduzione dall’ospedale al tribunale possa comprometterne definitivamente lo stato di salute: in
questo caso, il diritto al confronto dell’accusato dovrà essere bilanciato dalla necessità di proteggere
l’aspettativa di Tizio a beneficiare di un trattamento sanitario adeguato. Può inoltre accadere che la
magistratura sia riuscita a localizzare Tizio il quale però, malauguratamente, si trovi in un Paese estero
non disposto a cooperare alla richiesta di citazione. Non sarebbe sensato sostenere che lo Stato interes-
sato alla citazione debba muovere guerra a quel Paese per catturare Tizio e tradurlo in giudizio, perché
i costi del conflitto eccedono di gran lunga quelli relativi alla mancata tutela del singolo imputato, né
erano ragionevolmente prevedibili quando il diritto al confronto è stato affermato. In casi del genere,
dunque, l’eventuale ammissibilità o utilizzabilità delle dichiarazioni rese da Tizio alla polizia non po-
trà essere riguardata come violazione del diritto al confronto e l’accusato soffrirà un personale svan-
taggio, giustificato dai contro-interessi appena menzionati. Esistono peraltro alcuni opportuni mecca-
nismi, di tipo procedurale e sostanziale, che consentono di minimizzare tale svantaggio e sulla disci-
plina dei quali ci si soffermerà compiutamente nel prosieguo (cap. II, §5).
39
R. M. DWORKIN, Taking rights seriously, cit., p. 200, l’Autore prosegue affermando che se «la legge di una Nazione assicura un diritto
quale fondamentale, la possibilità di deviare da tale diritto resta confinata solamente ai casi in cui si prospetti una ragione eccezionale, che
sia in linea con le supposizioni che hanno condotto alla stessa approvazione di quel diritto».
40
Non è il caso, per ora, di dilungarsi sulle svariate modalità di conduzione dell’esame testimoniale né sull’esatto valore probatorio, nei di-
versi ordinamenti, di quanto sia stato affermato di fronte ad autorità di pubblica accusa in sede extra-processuale..
41
È questo, per esempio, il parametro utilizzato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo per verificare se sussista una violazione dell’art. 6
comma 3 lett. d) Cedu (cap. III, §5.1).
Capitolo I
11
§3. DIRITTO AL CONFRONTO E PROVA PENALE
§3.1. Un impatto trasversale
Si è riconosciuto in apertura come ogni «versione» - nazionale o internazionale - del diritto al confron-
to risenta, in larga misura, delle regole concernenti la gestione processuale (sotto i diversi profili
dell’ammissione, assunzione e valutazione) di svariati mezzi di prova. È venuto il momento di rendere
concreta questa asserzione con un elementare esempio.
Tizio entra in banca per effettuare un prelievo. Dopo pochi istanti, un rapinatore armato fa in-
gresso nel locale, sequestra un cassiere, intasca il bottino e fugge indisturbato. Da posizione privilegia-
ta, Tizio osserva la scena, notando il volto del rapinatore, l’inflessione della sua voce e il modello del
revolver. Se è ragionevole supporre che Tizio attenda pazientemente l’arrivo della polizia e collabori
alle relative indagini, non è complicato prospettare un epilogo alternativo. Si immagini che Tizio deci-
da di allontanarsi il prima possibile dalla filiale per evitare ritardi e fastidi, salvo imbattersi all’uscita
nell’agente Sempronio. Alle richieste di spiegazione avanzate da quest’ultimo, Tizio riporta
l’accaduto, fornendo tuttavia generalità false per evitare di essere successivamente rintracciato. Tizio
fa quindi ritorno a casa e, dopo aver raccontato i fatti alla moglie Tizia, annota i dettagli della propria
movimentata giornata nella sua personale autobiografia.
Sebbene unica sia la fonte del sapere probatorio in questione (Tizio), assai diversi sono i mezzi
attraverso cui tale sapere può essere riferito in un’aula di tribunale. Si noti, tuttavia, che il ricorso
all’uno piuttosto che all’altro mezzo non modifica di una virgola l’aspettativa dell’imputato Caio di
confrontarsi con Tizio, per contestarne la sincerità, lo spirito d’osservazione così come la sua espe-
rienza nell’identificazione di accenti e armi da fuoco. Nell’epilogo «ordinario», Tizio verrà presumi-
bilmente citato a comparire e presterà testimonianza, confermando ovvero ritrattando quanto affermato
nell’imminenza del delitto. L’epilogo «alternativo», al contrario, apre la via ad una pluralità di scenari
probatori. In taluni ordinamenti, l’accusa potrà convocare quale testimone d’accusa il negligente agen-
te Sempronio affinché riporti il contenuto delle dichiarazioni a suo tempo verbalizzate. È possibile i-
noltre che Tizia, cittadina modello, si faccia avanti sua sponte per esporre il racconto del marito. Non è
nemmeno escluso che un funzionario di polizia si imbatta nel diario di Tizio durante una perquisizio-
ne, lo sequestri e lo alleghi al materiale da sottoporre all’esame della corte incaricata del giudizio sulla
rapina. Si anticipa fin d’ora (ma il tema sarà approfondito infra, cap. II, §2.1.1.) che simili situazioni
generano un potenziale conflitto con le esigenze di tutela del diritto al confronto ogniqualvolta la di-
chiarazione di Tizio possa essere utilizzata dalla corte a prova della verità degli enunciati fattuali ivi
affermati. Viceversa, tale problema non sussiste quando la dichiarazione rileva in sede processuale
come mero fatto, ossia per dimostrare che essa è stata effettivamente resa.