2
Da una parte coloro i quali sostenevano l’esigenza,
primaria per lo Stato, della tutela degli interessi unitari collegati
all’azione internazionale, dall’altra chi, invece, sosteneva
l’altrettanto essenziale esigenza delle Regioni di un effettivo
riconoscimento pratico e di una reale garanzia dell’autonomia,
legislativa ed amministrativa, che la Costituzione loro attribuisce.
I sostenitori di un vero e proprio monopolio statale nei
rapporti internazionali, tale da rendere illegittimo l’intervento in
materia di qualsiasi altro soggetto, contrapposti a chi, invece,
affermava, la possibilità di una gestione, anche nei rapporti
esterni, delle materie costituzionalmente attribuite alla
competenza regionale.
Nelle more di questo confronto tra opposte posizioni
dottrinali, in assenza di una sostanziale razionalizzazione del
tema del potere estero regionale, si veniva a creare una
situazione che, per molti versi, aveva del paradossale.
Nonostante nell’espressione potere estero, associato alle
Regioni, si continuasse a ravvisare una sorta di figura retorica, un
ossimoro, una contrapposizione tra due termini opposti poiché le
Regioni, per definizione, non potevano avere alcun rilievo in una
dimensione territoriale che non fosse quella confinata nell’ambito
nazionale, nonostante ciò, per molti anni, il potere estero delle
Regioni si è prodotto prevalentemente in via di fatto e
consolidato attraverso il conflitto costituzionale.
Traendo linfa vitale dalla lettera dell’art. 5 della
Costituzione, che sancisce l’unità e l’indivisibilità della
Repubblica, temperandole con l’esigenza di un riconoscimento di
un’autonomia a livello locale e di un decentramento
3
amministrativo, la Corte Costituzionale ha svolto il ruolo di
arbitro in una sorta di selezione naturale delle attività estere delle
Regioni.
Attraverso una copiosa giurisprudenza, il potere estero
regionale è venuto via via affermandosi, evolvendosi da
un’iniziale mera tolleranza da parte dello Stato di alcune attività
regionali all’estero, ad un riconoscimento, in capo alle Regioni,
della titolarità di una certa gradazione di potere estero.
Tenuto fermo un nocciolo duro di attribuzioni riservate
allo Stato centrale (la determinazione delle linee di politica
estera, la responsabilità internazionale e lo ius contrahendi), il
resto è rientrato, attraverso questa lenta evoluzione pretoria e, in
parte, normativa, nell’ambito d’azione delle Regioni: il potere
estero regionale risulta così una procedura cooperativa, che
prevede l’obbligo per la Regione di informare lo Stato e nel
corrispondente dovere statale di motivare l’eventuale diniego allo
svolgimento delle attività, fatta sempre salva la possibilità del
ricorso al conflitto costituzionale per la verifica del rispetto dei
limiti delle rispettive attribuzioni
3
.
Si può pertanto ritenere che, ancor prima che la riforma del
Titolo V della Costituzione riconoscesse loro un vero e proprio
potere estero, le regioni proiettavano la loro attività al di fuori dei
confini nazionali in un sistema che si basava sul principio della
leale collaborazione con lo Stato.
L’attribuzione di un potere estero ad un ente territoriale,
quindi, ne proietta l’attività, o quanto meno una parte di essa,
3
F. Palermo, Titolo V e potere estero delle Regioni. I vestiti nuovi dell’imperatore, in Le
Istituzioni del Federalismo. Bimestrale di studi giuridici e politici della regione Emilia
Romagna, 5/2002.
4
oltre i confini istituzionalmente e convenzionalmente tracciati,
spostandone il raggio d’azione in un contesto di relazioni
internazionali, nell’ambito di quella che viene definita politica
estera.
Questa particolare attribuzione legittima l’ente al dialogo
internazionale autorizzandolo a svolgere una propria attività
estera.
Cerchiamo ora di capire in cosa consiste l’attività estera.
Iniziamo con l’operare un distinguo abbastanza netto tra rapporti
internazionali tout court, da una parte, e rapporti con l’Unione
Europea, dall’altra.
La distinzione, che potrebbe apparire superflua, è invece
fondamentale in quanto è la stessa legislazione statale vigente a
porre su due differenti piani l’ordinamento comunitario e quello
giuridico internazionale.
Senza approfondire oltremodo l’analisi possiamo
individuare, per grandi linee, due momenti fondamentali nello
svolgimento dell’attività estera nell’ambito dell’UE, e cioè una
fase ascendente del diritto comunitario, che consiste nella
partecipazione alla formazione degli atti normativi comunitari e
la successiva fase discendente, quindi l’attuazione e
nell’esecuzione degli atti dell’Unione Europea all’interno dei
propri territori.
Passando invece ad analizzare l’attività estera svolta al di
fuori dei confini unitari, distinguiamo tre diversi livelli di potere
estero:
5
• un primo livello consiste nella possibilità, per soggetti
dotati di personalità di diritto internazionale, di concludere
trattati, accordi e intese.
Per meglio comprendere la differenza tra le tre possibilità,
facciamo riferimento alla Convenzione di Vienna sul
diritto dei Trattati
4
, che del “trattato” dà la definizione di
“accordo internazionale concluso per iscritto tra Stati e
regolato dal diritto internazionale, che sia costituito da un
solo strumento o da due o più strumenti connessi,
qualunque ne sia la particolare denominazione”
5
,
appannaggio esclusivo, quindi, dei soli Stati.
Per “accordi” si intendono, invece, le manifestazioni di
volontà consensuale, che assumono valore giuridico,
intercorse tra soggetti di cui almeno uno è uno Stato.
Le “intese”, pur configurandosi come manifestazioni di
volontà consensuale con valore giuridico, vengono
stipulate tra soggetti diversi dagli Stati;
• un secondo livello è rappresentato dalle “attività
promozionali” svolte all’estero che, come ha sentenziato la
Corte Costituzionale nel 1987
6
, consistono anche in
“accordi in senso proprio” e sono comprensive di
“qualsiasi comportamento diretto allo sviluppo economico,
sociale e culturale
7
”.
4
Conclusa a Vienna il 23 maggio 1969, ratificata dall’Italia con la Legge n° 112 del 12
febbraio 1974 ed entrata in vigore dal 27 gennaio 1980.
5
Art. 2, c. 1, sub a.
6
Sentenza n° 179 del 1987, giudizi per conflitti di attribuzioni, promossi con ricorsi della
Presidenza del Consiglio dei ministri contro la Regione Puglia, la Regione Marche e la
Regione Lombardia in materia di c.d. "potere estero".
7
Considerato in diritto, punto 6.
6
La possibilità di svolgere delle attività promozionali
all’estero ha funzionato da traino per la crescita delle
Regioni, attraverso la propaganda di attività produttive
regionali e di iniziative turistico alberghiere, oltre che,
ovviamente, la partecipazione a fiere e esposizioni;
• Un terzo livello è rappresentato da quelle iniziative di
vario tipo che non possono rientrare nel novero delle
attività promozionali; attività che vengono definite di
“mero rilievo internazionale” e che la Corte Costituzionale
ha definito “attività di vario contenuto congiuntamente
compiute dalle Regioni e da altri (di norma omologhi)
organismi esteri, aventi per oggetto finalità di studio o di
informazione (in materie tecniche), oppure la previsione di
partecipazione a manifestazioni dirette ad agevolare il
progresso culturale o economico in ambito locale, ovvero
infine l’enunciazione di propositi intesi ad armonizzare
unilateralmente le rispettive condotte”
8
.
Come si può facilmente intuire, le attività regionali di
mero rilievo internazionale non sono suscettibile di una
definizione univoca ma hanno comunque come comune
denominatore la caratteristica di non essere collegate a
situazioni che coinvolgono l’intero territorio nazionale.
Possiamo quindi concludere delineando due profili di
questa attività estera: uno, che comprende l’autorità di
concludere trattati, accordi e intese, e che implica l’assunzione
diretta di impegni in ambito internazionale con ripercussioni
nella politica estera che coinvolgono l’interesse dello Stato; un
8
Sentenza n° 179 del 1987, considerato in diritto, punto 7.
7
altro che include le attività promozionali all’estero e le attività di
mero rilievo internazionale, che di regola non incidono sulla
politica estera e nei rapporti internazionali dello Stato.
Tuttavia, anche se non è possibile riconoscere loro una
diretta incidenza nei rapporti esteri dello Stato, non è da
sottovalutare la capacità di interferenza che le suddette attività
possono svolgere in questo ambito, una capacità che è
sicuramente maggiore per le attività promozionali, di quanto non
lo sia per le attività di mero rilievo internazionale.
8
CAPITOLO PRIMO
Il potere estero regionale prima della
riforma
1. Il “monopolio” dello Stato in materia di potere
estero
Affrontando lo studio delle tematiche relative al potere
estero regionale, non si può non notare che, per un lungo lasso di
tempo, un’impostazione di carattere fortemente centralista ha
condizionato e indirizzato la dottrina, la giurisprudenza e anche il
sistema politico-amministrativo, verso una decisa esclusione non
solo di un autonomo potere estero regionale, ma anche di una
partecipazione, delle Regioni, a quello statale.
Questa impostazione considerava lo stato come unico
titolare di soggettività internazionale, unico abilitato a stipulare
trattati e di conseguenza responsabile (unico) verso gli altri Stati
dell’esecuzione degli obblighi così contratti.
9
In questa ottica, le Regioni risultavano essere delle
articolazioni interne dello Stato, senza alcuna rilevanza nel diritto
internazionale, poiché è sempre e solo lo Stato a comparire sulla
scena internazionale.
Una siffatta visione del potere estero come monopolio
statale, affondava le sue radici in una interpretazione restrittiva
del dettato costituzionale, una tendenza interpretativa avallata, in
particolare, dall’argomentazione che insisteva sull’enumerazione
delle attribuzioni regionali come criterio ispiratore dei rapporti
competenziali tra Stato e Regioni.
Se facciamo un piccolo passo indietro e leggiamo l’art.
117, così come strutturato prima della riforma costituzionale del
2001, rileviamo che la Costituzione (così come anche gli Statuti
delle Regioni “speciali”
1
) affida alle Regioni competenze in
materie rigidamente elencate
2
, tanto da far, giustamente,
sostenere l’impossibilità di un allargamento delle loro
competenze motivato da considerazioni di ordine generale e non
previsto espressamente da una legge Costituzionale.
Questo costituiva un primo, ma decisivo, punto a favore
dell’illegittimità di un “potere internazionale regionale”.
1
Art. 3, Statuto Sardegna; art. 2, St. Valle d’Aosta; art. 4, st. Trentino–Alto Adige; art. 3,
St. Friuli–Venezia Giulia.
2
L’individuazione delle materie di competenza regionale è un problema di rilevante
importanza, il legislatore costituente aveva tre possibilità: enumerazione delle materie di
competenza statale (con competenza residua le affidata alle Regioni); enumerazione delle
materie regionali; enumerazione delle competenze dello Stato e della regione con una
clausola per le eventuali residue. Il criterio dell’enumerazione regionale (detta anche
decentrata) corrispondeva maggiormente allo schema dello stato regionale, cosicché sia gli
Statuti speciali per le Regioni differenziate, sia la Costituzione per le Regioni ordinarie,
hanno adottato il criterio dell’enumerazione delle materie di competenza regionale.
10
Ancora, la Carta Costituzionale affida espressamente
l’esclusività della competenza ad autorizzare con legge alcune
determinate categorie di trattati internazionali al Parlamento
nazionale
3
e subordina l’esecuzione dei trattati stessi alla ratifica
da parte del Capo dello Stato
4
.
A favore della tesi “centralistica”, la dottrina che ne
sosteneva la fondatezza, avvertiva come la possibilità di un
“treaty-making power”
5
delle Regioni avrebbe potuto portare
all’instaurazione ed allo sviluppo di distinte “politiche estere”
regionali, magari non omogenee né coordinate tra di loro e
potenzialmente non coincidenti con la “politica generale” e con
la “unità di indirizzo politico e amministrativo”
6
dello Stato
argomentando che la previsione della Repubblica come “una ed
indivisibile”
7
imponeva l’unità anche nella sua proiezione verso
l’esterno, non consentendo l’apparizione oltre i confini della
Repubblica di entità autonome e separate
8
.
3
“Le Camere autorizzano con legge la ratifica dei trattati internazionali che sono di natura
politica, o prevedono arbitrati o regolamenti giudiziari, o importano variazioni del territorio
od oneri alle finanze o modificazioni di leggi.” [ art. 80 C.].
4
“ Il Presidente della Repubblica […] ratifica i trattati internazionali, previa, quando
occorra, l’autorizzazione delle Camere […]” [ art. 87 C.].
5
Per “treaty making power” si intende la capacità internazionale di stipulare accordi con
Stati terzi.
6
Art. 95 C.
7
Art. 5 C.
8
Nel 1996, la Corte Costituzionale, nel giudizio promosso con ricorso del Presidente del
Consiglio dei Ministri per conflitto di attribuzione nei confronti della Provincia autonoma
di Bolzano, sorto a seguito dell'Accordo di collaborazione tra la Provincia stessa e il
Voivodato di Suwalki (Polonia), accogliendo il ricorso sentenzia che non spetta alla
Provincia autonoma di Bolzano il potere di stipulare l'accordo di collaborazione con il
Voivodato di Suwalki e, rifacendosi a sentenze del passato (n. 425 del 1995, nn. 256 e 42
del 1989, n. 564 del 1988, n. 179 del 1987 e n. 187 del 1985), ribadisce che l'esclusiva
competenza statale in materia di rapporti internazionali, connessa al principio di unità ed
indivisibilità della Repubblica, affermato dall'art. 5 della Costituzione, ed all'esclusiva
soggettività internazionale dello Stato, non consente il frazionamento o la pluralità di
titolari della politica estera. (sent. n. 343 del 1996).
11
Sul piano interno, il riflesso di tale concezione, è
l’imposizione, alle Regioni nell’esercizio della loro competenza
legislativa nelle materie enumerate, del rispetto degli obblighi
internazionali
9
che si traduce nella sottrazione anche totale alle
Regioni delle loro attribuzioni concernenti fattispecie incise da
tali obblighi
10
.
La conseguenza di tale posizione era il diniego alle
Regioni della titolarità di qualsiasi tipo e forma di potere estero, e
cioè di contatti con organismi esterni alla Repubblica, e
tendenzialmente del potere di dare esecuzione ad impegni esterni
dello Stato incidenti su materie di loro competenza.
Questo approccio tendenzialmente restrittivo rispetto al
riconoscimento di un potere estero regionale, veniva, quindi,
avallato, nella sostanza, dalle decisioni della Corte
Costituzionale
11
che richiamava i limiti posti in capo alle
9
Nella sentenza n. 43 del 1963, la Corte Costituzionale afferma che soltanto lo Stato e'
soggetto nell'ordinamento internazionale e ad esso vengono imputati giuridicamente in tale
ordinamento gli atti normativi posti in essere dalle Regioni. La Costituzione accorda alle
Regioni, comprese quelle a statuto speciale, una sfera di autonomia più o meno ampia, ma
non la sovranità. Tale principio vale anche per la Regione Siciliana, sebbene il suo Statuto
non menzioni espressamente il "rispetto degli obblighi internazionali", fra i limiti della sua
potestà legislativa.
10
Nella sentenza n. 46 del 1961, sempre nell’ambito del rispetto degli obblighi
internazionali come limite dell’autonomia delle Regioni e delle province, la Corte sancisce
che “è incontrovertibile il principio che affida allo Stato e solo ad esso l'esecuzione
all'interno degli obblighi assunti in rapporti internazionali con altri Stati. Il rispetto degli
obblighi internazionali e' dettato nell'art. 4 Statuto Trentino-Alto Adige a limite solo della
autonomia della Regione e della Provincia e, quindi, puo' essere fatto valere per invalidare
le norme emesse da queste in violazione del medesimo, ma non puo' mai invocarsi per
legittimare l'assunzione da parte dei predetti enti di competenze non previste dalla legge
costituzionale. All'accordo di Parigi puo' essere fatto riferimento, quando occorra, soltanto
quale sussidio interpretativo delle norme statutarie emanate appunto per dargli esecuzione,
mentre e' da queste ultime solamente, oltre che da quelle della Costituzione, che sono da
trarre i criteri per la risoluzione delle questioni relative all'ordine delle competenze”.
11
Fino agli anni’70, la Corte si distingue per una giurisprudenza decisamente rigida in
materia; tra le altre, da segnalare, in particolare, le sentenze 27/1958, 28/1958, 32/1960,
46/1961, 49/1962, 49/1963, 44/1967, 49/1967, 21/1968, 138/1972, 96/1974, 203/1974,
182/1976, 44/1977.
12
Regioni, in particolare, come già visto sopra, quello dell’interesse
nazionale oltre al limite degli obblighi internazionali.
Questo indirizzo della Corte era certamente condizionato,
stante il clima dell’epoca, da un approccio fortemente
centralistico, ma altri due elementi fondamentali vanno segnalati.
Prima di tutto, bisogna ricordare che il regionalismo, fino
ai primi anni ’70, era una parola senza quasi significato, sia per la
mancanza delle Regioni a statuto ordinario
12
ma anche per la
compressione dell’autonomia di quelle a statuto speciale,
cosicché, la Corte non aveva molte occasioni per intervenire su di
una questione che si collocava ben oltre i problemi che le
Regioni dovevano affrontare in quei tempi.
In secondo luogo, di conseguenza, la Corte non poteva non
risentire delle grandi difficoltà politiche che, per lungo tempo,
hanno impedito l’istituzione delle Regioni, evitando quindi che
sorgesse la necessità di un intervento chiarificatore in materia.
12
Bisogna ricordare che, nonostante la Costituzione avesse previsto tempi molto più brevi,
le prime elezioni dei consigli regionali delle Regioni ordinarie si svolgono, sulla base della
legge elettorale, per la prima volta il 7 giugno 1970. E’ dell’anno successivo (tra maggio e
luglio del 1971) l’approvazione, con legge della Repubblica, degli Statuti delle Regioni
ordinarie, ma nell’esercizio effettivo delle loro funzioni, le Regioni sono entrate dal 1°
aprile 1972, data stabilita dall’art. 1 del D.L. 28 dicembre 1971, n. 1121, convertito con L.
25 febbraio 1972, n. 15.
13
2. I primi anni ’70: una fase interlocutoria
Anche con l’introduzione delle Regioni a statuto ordinario,
la situazione non cambiò di molto, almeno non nell’immediato.
Nel biennio 1970-1972, viene dato inizio al trasferimento
delle funzioni dallo Stato alle Regioni: i decreti delegati,
complice il silenzio degli Statuti in materia, non contenevano
alcuna previsione sul potere estero regionale e in più occasioni
facevano esplicito richiamo alla riserva statale della proiezione
esterna delle materie trasferite
13
.
Il Governo, negando la propria autorizzazione e
promuovendo, in diversi casi, conflitti di attribuzione davanti alla
Corte Costituzionale, rafforzava l’interpretazione che negava, in
via di principio, qualunque competenza regionale in tema di
attività di rilievo internazionale, ammettendo, tuttavia, lo
svolgimento, di fatto, di alcune attività, pur se previa
autorizzazione da concedersi caso per caso. Il Governo, infatti,
non negava a priori la possibilità che le Regioni intrattenessero
rapporti con organismi stranieri, ma precisava che esse avrebbero
dovuto farlo solo attraverso il Ministero degli Esteri, in quanto
attività non rientranti nell’autonomia regionale
14
.
13
Se si ripercorre la copiosa legiferazione di quei tempi, si può notare come il legislatore
impieghi espressioni diverse, come “rapporti internazionali”, “attività di rilievo
internazionale”, tutte volte a significare attività regionali destinate a relazionare l’ente
regionale con enti posti al di fuori del proprio territorio; questa scarsa chiarezza, anche
terminologica, testimonia un’insufficiente chiarezza concettuale anche del legislatore.
14
Sul tema, la circolare della Presidenza del Consiglio dei Ministri (Ufficio per le Regioni)
inviata ai Commissari di Governo il 20 ottobre 1970 (n. 200/4884/1. 12 S.O.) o, ancora, la
circolare 11 gennaio 1972, n. 200/250.
14
La presunta monoliticità della riserva statale di qualunque
rapporto estero delle Regioni inizia ad incrinarsi (in misura
blanda e assolutamente eccezionale), grazie alla graduale presa di
coscienza del ruolo di enti politici che le Regioni erano destinate
ad assumere. Anche al fine di evitare che, attraverso un uso
indiscriminato della riserva statale nelle relazioni internazionali,
il Governo le scavalcasse in funzioni per loro essenziali, le
Regioni cominciavano a muovere i primi passi verso una sorta di
emancipazione in tema di potere estero.
Ciò avveniva sia nella ricerca del contatto diretto con gli
organismi comunitari, sia attraverso la predisposizione di
iniziative comuni all’estero.
Di rilevante importanza, sotto questo punto di vista, i casi
originati dalle attività poste in essere in particolare dall’Umbria
15
,
dalla Lombardia
16
, dalla Valle d’Aosta
17
, ma anche da altre
15
Nel 1973 la regione Umbria firmò a Perugia un accordo di amicizia e cooperazione con il
distretto di Potsdam (nella allora Repubblica Democratica Tedesca). Il Governo negò
l’autorizzazione e promosse il conflitto di attribuzione davanti alla Corte Costituzionale. La
Corte dichiarò inammissibile il ricorso (sent. 170/1975), riconoscendo la competenza
regionale a compiere attività estere a patto di non contenere apprezzamenti di politica
estera. L’importanza della sentenza in oggetto risiede nella posizione di assoluta
avanguardia della Corte che, anticipando i tempi, delinea la distinzione tra potere estero e
attività di mero rilievo internazionale, ammettendo implicitamente che le regioni possano
validamente porre in essere iniziative volte a stabilire rapporti diretti con stati stranieri o
loro enti territoriali.
16
Nel 1976 il Governo approvò l’iniziativa di un’intesa tra la regione Lombardia e la
regione Somala del Benadir, in questo caso, però, l’intensa attività collaborativi tra regione
e Governo, che precedette l’intesa, giocò probabilmente un ruolo fondamentale.
17
Nel 1976, la regione Valle d’Aosta si vide annullare il protocollo di collaborazione
sottoscritto con la regione somala del basso Scebelli, in quanto considerato “un vero e
proprio accordo con un ente territoriale facente parte di uno Stato straniero” e quindi non
idoneo a produrre effetti sui rapporti internazionali tra Italia e Somalia (sent. 187/1985). In
una nota a commento di questa sentenza, P. Caretti, ravvede in questa pronuncia degli
elementi favorevoli alle regioni, in quanto l’annullamento fu stabilito per il mancato
rispetto (da parte della Giunta Regionale) del principio di collaborazione, perciò va letto
come un richiamo al rispetto di tale principio, piuttosto che un ridimensionamento del ruolo
delle Regioni (P. Caretti, Una sconfessione definitiva, in Reg. 1985, 1187 e ss).
15
Regioni
18
.
La dottrina cominciava così a notare come fosse da
riconoscersi “la possibilità di una distinzione tra attività di
politica estera suscettibili di essere perseguite dalle regioni senza
danno dello Stato e attività internazionali a questo strettamente
riservate[…]”
19
Contemporaneamente vedevano la luce importanti attività
di cooperazione transfrontaliera che coinvolgevano diverse
regioni italiane, venivano così costituiti organismi come l’Arge-
Alp
20
, l’Alpe-Adria
21
o la CRPM.
22
18
Fra gli altri, degno di nota è il trattato italo - jugoslavo di Osimo, posto in essere dalla
regione Friuli-Venezia Giulia nel 1975. Il trattato si componeva essenzialmente di due
documenti: il trattato vero e proprio relativo alla definizione delle controversie territoriali
fra i due paesi, e l'accordo di collaborazione economica cui era allegato, fra l'altro, un
protocollo relativo all'istituzione di una zona franca industriale a cavallo del confine
sull'altipiano carsico.
19
S. Bartole, Atti e Fatti(di rilevanza internazionale) nei conflitti di attribuzione tra Stato e
Regioni, in Giurisprudenza Costituzionale 1975, pag. 3128.
20
Comunità di lavoro delle regioni alpine, costituita il 12 ottobre 1972 a Mösern in Tirolo
dai Presidenti del Libero Stato di Baviera, del Cantone dei Grigioni, dei Länder austriaci
Vorarlberg, Salisburgo e Tirolo, dalla Regione Lombardia e dalla Provincia Autonoma di
Bolzano. In un secondo momento la Giunta della Provincia Autonoma di Trento deliberò
anch’essa l'adesione alla Comunità e successivamente altre tre regioni accettarono di
aderire all'Arge Alp, e più precisamente nel 1982 il Cantone San Gallo, nel 1986 il Canton
Ticino e nel 1989 il Land Baden-Württemberg.
21
Comunità di lavoro dei Länder e delle Regioni delle Alpi Orientali, costituita con un
Protocollo d’Intesa firmato a Venezia il 20 novembre del 1978 alla quale partecipano in
qualità di membri “[…] Regione autonoma Friuli Venezia Giulia, Land Carinzia,
Repubblica socialista di Croazia, Land Austria Superiore, Repubblica socialista di
Slovenia, Land Stiria, Regione Veneto” (art. 1 del Protocollo d’Intesa) e che ha il compito
di “[…]trattare in comune, a livello informativo e tecnico, e di coordinare problemi che
sono nell’interesse dei suoi membri.” (art. 3).
22
Conferenza permanente delle regioni periferiche e marittime d’Europa, costituita a Saint
Malò (in Bretagna) nel 1973, al momento dell’allargamento della Comunità dei sei al
Regno Unito, Irlanda e Danimarca. La conferenza nacque come una sorta di sindacato di
rappresentanza degli interessi delle Regioni marittime e delle zone svantaggiate d’Europa
scopo di rendere effettiva la partecipazione delle regioni alla elaborazione delle politiche
comunitarie di sviluppo in materie di industrializzazione, trasporti e sfruttamento del mare.
La Conferenza è oggi forte di 145 Regioni membri ed è attualmente la maggiore tra le
organizzazioni interregionali europee, interlocutrice riconosciuta della Commissione, del
Parlamento Europeo e del Comitato delle Regioni.