6
Ho scelto, a questo scopo, di adottare come punto di vista privilegiato quello delle
donne immigrate; utilizzando l'approccio narrativo, come prospettiva dal basso, per
cercare di cogliere con "uno sguardo da vicino" le complesse sfacettature che
accompagnano le condizioni di vita delle migranti, assegnando alla dimensione
lavorativa uno spazio privilegiato di analisi.
Ma questo affrontare la complessità delle esperienze non è una passeggiata
culturale, è un lavoro lungo che comporta, come dice Laura Balbo, "l’imparare e il
disimparare, disimparare rispetto a gerarchie (di valori, di meriti) che diamo per
ovvie, con un atteggiamento di continua attenzione e revisione rispetto a quel che ci
è stato trasmesso e, soprattutto, voglia di capire quello che siamo abituati a non
vedere”.
Il lavoro è strutturato in tre capitoli, in ognuno di questi si focalizza l'attenzione su
un aspetto chiave per la comprensione del fenomeno.
Nel primo capitolo si analizzano i motivi di questa "nuova presenza".
L'impianto teorico si articola in una disamina dei molteplici e interdipendenti fattori
che hanno inciso sulla crescita della domanda di cura e sull'impossibilità per molti
nuclei familiari di continuare ad autoaddossarsi le responsabilità di assistenza dei
soggetti più deboli. Si farà particolare riferimento ai cambiamenti della struttura
familiare e all'inserimento della donna nel mercato del lavoro. Donne autoctone, che
in seno alla famiglia si sono tradizionalmente prese cura di bambini, anziani e
invalidi, ma che oggi, vista la crescente partecipazione al mondo del lavoro, fanno
sempre più fatica ad armonizzare i tempi della "doppia presenza".
Nella seconda parte si evidenzia il contesto economico, demografico e sociale nel
territorio della ULSS17 di Conselve - Este - Monselice - Montagnana, dove a
seguito di un'attenta valutazione dei bisogni territoriali è stato pianificato un
modello di intervento formativo per l'inserimento socio - lavorativo delle donne
extracomunitarie e per la creazione di una struttura di informazione e
accompagnamento per le famiglie che assumono una badante.
Infine, nell'ultima parte, è stato dedicato ampio spazio all'indagine qualitativa.
Attraverso undici interviste semi-strutturate la ricerca si propone di esplorare i
difficili percorsi migratori che queste donne hanno affrontato per arrivare in Italia
7
e valutare gli aspetti dell'integrazione sociale, con particolare riguardo
all'inserimento lavorativo e ai rapporti instaurati con le famiglie in cui prestano
servizio come badanti.
A questo scopo ho intervistato le donne straniere che hanno frequentato il corso e
hanno svolto per diversi anni questo lavoro, presso una o più famiglie.
8
CAPITOLO I
I PERCHE' DI UNA NUOVA PRESENZA
L'inserimento delle donne immigrate nel settore domestico va ricondotto alla forte
domanda di servizi alle famiglie e di cura alla persona che si manifesta, nel nostro
Paese, in misura sempre più marcata e conseguentemente al fatto che tale domanda
non è adeguatamente corrisposta dalla manodopera locale.
I fattori che hanno inciso sulla crescita della domanda di lavoro in questo specifico
ambito sono molteplici e tra loro interdipendenti, riguardano da un lato la mancanza
di adeguate politiche sociali per la famiglia e dall'altro le trasformazioni della
struttura familiare, i cambiamenti demografici e sociali che hanno caratterizzato
l'Italia degli ultimi decenni.
1.1 IL MODELLO MEDITERRANEO DI WELFARE
La cura e l'assistenza sono da sempre affidate in Italia prevalentemente alle pratiche
familiari e solo in modo residuo all'operato delle agenzie pubbliche.
Lo scarso sviluppo di un mercato sociale di servizi di cura nel nostro Paese è
imputabile all'organizzazione di un sistema di welfare che ha dato alla famiglia e in
subordine alle reti parentali la responsabilità prioritaria di tutela dell'individuo dai
rischi socio-economici; e ha invece attribuito allo stato, in base al principio di
sussidiarietà, compiti residuali e cioè la possibilità di offrire sostegno ai soggetti
solo nel momento in cui essi non possono trovare nella famiglia di appartenenza
sufficienti mezzi di sussistenza.
Tale sistema organizzativo si basa sull'assunto implicito che la famiglia si strutturi
secondo un modello di tipo male breadwinner, ovvero che vi sia all'interno del
9
nucleo familiare una chiara divisione di genere
1
del lavoro. Pertanto, all'uomo
(lavoratore) spetta occuparsi prioritariamente di guadagnare il reddito e di far fronte
alle esigenze familiari, mentre la donna deve dedicarsi alle attività di cura e ai
servizi domestici.
Oltre all'assunzione implicita del principio di divisione di genere, questo sistema si
basa su un principio di solidarietà familiare che dallo stretto nucleo coniugale
estende obblighi e reciprocità anche alla parentela allargata.
Tre sono i principali elementi costitutivi di questo modello, definito da Manuela
Naldini, "di solidarietà familiare e parentale"
2
:
1) Un'ampia definizione delle obbligazioni familiari che non conosce confini né
nella comune residenza dei suoi membri, né nella famiglia nucleare, ma che estende
obblighi e doveri anche a parenti e affini.
2) Il trasferimento delle risorse pubbliche attraverso il male bradewinner non solo
alla moglie e ai figli dipendenti ma anche ai genitori, ai fratelli e alle sorelle (come
per esempio attraverso gli assegni familiari, con le detrazioni fiscali e le pensioni ai
superstiti).
3) Il persistere nel tempo dell'idea che il lavoro di cura non sia una responsabilità
collettiva, ma femminile, familiare e parentale.
Se per lungo tempo questo sistema di protezione sociale ha saputo rispondere alla
domanda di servizi richiesti dalla popolazione, l'ultimo decennio ha visto emergere
una crescente pressione al cambiamento, dovuta sia all'esplodere di una nuova
domanda sociale di cura, connessa all'invecchiamento della popolazione, sia
dall'indebolimento delle reti di aiuto informale. Come andremo a vedere in seguito,
i fattori alla base di questo indebolimento possono essere ricondotti soprattutto al
crescente inserimento della donna nel mercato del lavoro e alle trasformazioni
demografiche, che hanno modificato i tradizionali equilibri tra generazioni.
1
Il termine genere viene introdotto ufficialmente nel discorso scientifico da Gayle Rubin nel 1975,
all'interno dell'espressione sex gender system. Con questa espressione l'autrice denomina l'insieme
dei processi, adattamenti, modalità di comportamento e di rapporti, con i quali la società trasforma la
sessualità biologica in prodotti dell'attività umana e organizza la divisione dei compiti tra gli uomini
e le donne, differenziandoli l'uno dall'altro: creando appunto, il "genere". PICCONE STELLA S.,
SARACENO C. (a cura di ), Genere. La costruzione sociale del femminile e del maschile, Il Mulino,
Bologna 1996.
2
NALDINI M. Le politiche sociali e la famiglia nei Paesi Mediterranei. Prospettive di analisi
comparata, in "Stato e Mercato", n.34, 2002, pp.73-99.
10
Questi cambiamenti ci segnalano che gli assunti impliciti su cui si è retto il modello
di welfare italiano non possono più essere dati per scontati: non si può più contare
su una riserva familiare di lavoro di cura femminile per far fronte ai crescenti
bisogni di assistenza.
L'invecchiamento della popolazione, l'indebolimento della famiglia nella sua
capacità di tutela dei soggetti più deboli, le trasformazioni e la complessificazione
del lavoro familiare, sono tutti segnali che disegnano i contorni di una nuova
questione sociale, da cui emergono nuovi profili di rischio: famiglie non in grado di
provvedere autonomamente alla cura di un membro non autosufficiente; giovani
madri con figli minori a carico; famiglie che necessitano di due redditi e non sanno
a chi affidare l'accudimento dei figli; adulti con genitori anziani a carico; anziani
che vivono soli e non del tutto autosufficienti; anziani che si prendono cura di altri
anziani
3
.
Complessivamente tali trasformazioni in atto nella domanda sociale indicano come
vi sia un continuo aumento della stessa non solo di tipo quantitativo, ma anche
qualitativo, sotto il profilo del cambiamento della natura del bisogno, della
pluralizzazione e della frammentazione dello stesso.
L'attuale sistema di welfare non appare attrezzato a dare risposte adeguate a questi
nuovi profili di rischio sociale, infatti, pur essendo di impronta familista prevede un
insieme di programmi di sostegno alle famiglie che anziché ridurre i nuovi bisogni
sembra andare in una direzione opposta: gli interventi (di sostegno) si fondano
essenzialmente su trasferimenti monetari anziché sulla fornitura di servizi
assistenziali diretti, incoraggiando di fatto la solidarietà familiare e parentale.
Questo sistema è stato costruito per proteggere i cittadini, e principalmente i
lavoratori salariati, da un'ampia gamma di rischi, tutti riconducibili all'inabilità al
lavoro oppure all'insufficienza di reddito disponibile. Perciò sul versante sociale lo
stato ha provveduto a distribuire benefici sotto la forma prevalente di trasferimenti
finanziari, subordinando l'accesso agli schemi di protezione all'acquisizione di una
posizione contributiva collegata a un'occupazione stabile.
Come afferma Ferrera:
3
RANCI C. (a cura di ), Il mercato sociale dei servizi alla persona, Carrocci Editori, Roma 2001.
11
" Le assicurazioni obbligatorie continuano a convogliare risorse verso la protezione
sociale di rischi che hanno smesso di generare bisogni, almeno per larghe fasce
della popolazione. Vengono così offerte prestazioni anche molto generose a
individui e famiglie colpiti da uno dei vari rischi (disoccupazione, vecchiaia,
invalidità ....(…)... dall'altro lato non viene offerta invece alcuna protezione o solo
protezioni molto modeste a individui e famiglie che si trovano in condizioni di
bisogno non associate alle tradizionali fattispecie di rischio. Pensiamo ad una madre
sola, a un disoccupato di lungo periodo con familiari a carico, a una persona molto
anziana non autosufficiente: figure ormai sempre più diffuse ma vistosamente
sottoprotette" (Ferrera M., 1998: pp.18-19).
Inoltre questo sistema ha posto in primo piano problemi di natura finanziaria e di
sostenibilità, avendo un impatto molto forte sull'economia.
Per quanto riguarda l'erogazione di servizi socio-sanitari, dai servizi per bambini a
quelli per gli anziani, essi appaiono insufficienti e scarsamente diffusi sul territorio
(anche se con una grande variabilità tra le regioni del nord e del sud Italia); inoltre
la rigidità nei vincoli di accesso e spesso la standardizzazione dell'offerta, si
scontrano con una domanda sempre più ampia ed eterogenea.
In conclusione possiamo sostenere che la mancanza di alternative strutturate,
nonché di forme attive di incentivazione e sostegno alla famiglia, fa sì che il lavoro
di cura sia, ancora oggi in Italia, incentrato sulla notevole capacità dei legami
familiari di sviluppare pratiche di accudimento. Ed è in particolare la donna, a
svolgere un ruolo importante nel gestire queste attività di cura e sostegno delle
persone più fragili (anziani, bambini, portatori di handicap).
La famiglia pur restando un solido riferimento è sempre maggiormente sottoposta a
tensioni e affaticamenti, che si ripercuotono sia sulla qualità dell'assistenza prestata
che sul benessere complessivo dei familiari.
Lo scenario che andiamo ad analizzare esemplifica chiaramente questa situazione,
dalla quale emerge come il ricorso a servizi alternativi all'offerta pubblica e al
mercato regolare dell'assistenza privata sia un'esigenza sempre più pressante per
famiglie italiane.
12
1.2 LA VARIETA' DELLE STRUTTURE FAMILIARI CONTEMPORANEE
Se come abbiamo visto è all'interno della famiglia che spesso prendono forma
disagi e problematiche e dall'altro è nelle reti familiari che, di norma trova risposta
la maggior parte dei bisogni di cura e supporto dei soggetti deboli, è interessante
proporre come filo conduttore dell'analisi la categoria del mutamento familiare.
Vediamo in primo luogo, come le trasformazioni in atto nel sistema demografico
cambiano la struttura familiare e la capacità della famiglia di prestare le attività di
cura tradizionalmente affidate alla sua responsabilità.
Consideriamo innanzitutto le modifiche intervenute nella composizione numerica
della popolazione in conseguenza delle tendenze demografiche iniziate intorno alla
fine degli anni '60 di questo secolo: l'invecchiamento della popolazione e il calo
della fecondità.
Per quanto riguarda la fecondità, è noto, che l'Italia è uno dei paesi con i tassi di
fecondità più bassi al mondo. Tra i Paesi industrializzati dell'occidente solo Spagna
e Portogallo hanno tassi altrettanto bassi. Le stime parlano di un numero medio di
figli per donna attorno a 1.2
4
.
La riduzione delle nascite è riconducibile a una molteplicità di fattori, ma tra le
diverse spiegazioni, quella più comunemente adottata dagli analisti fa riferimento
innanzitutto al rapido sviluppo economico italiano degli anni successivi al
dopoguerra; sviluppo che è stato accompagnato a cambiamenti nei modelli di
consumo e di vita, a trasformazioni comportamentali che incidono sulla formazione
delle nuove famiglie e sulle stesse tipologie familiari.
Assistiamo a una diversa strutturazione temporale dei corsi di vita individuali e di
coppia: i giovani adulti tendono a prolungare la loro permanenza in famiglia e a
posticipare l'età del matrimonio provocando necessariamente lo slittamento di altre
fasi del ciclo di vita familiare.
Conseguentemente all'aumento dell'età al matrimonio, si è verificato un mutamento
dell'età media in cui le giovani donne diventano madri. Alla fine degli anni '70 circa
4
BEIN RICCO E. (a cura di), Nuovi volti della famiglia. Tra libertà e responsabilità, Claudiana
Editrice, Torino 1997.
13
il 60% delle donne aveva 25 anni di età alla nascita del primo genito, oggi l'età
media delle madri al primo parto è salita a 27.4 anni.
La riproduzione, anche per la diffusione di nuove tecniche contraccettive, non è più
un fatto casuale, ma ragionato e spesso programmato. Nel caso delle giovani coppie
la scelta di avere un figlio viene rimandata a qualche anno dopo le nozze e
l'innalzamento dell'età alla nascita del primo figlio fa diminuire anche la probabilità
di averne un secondo o un terzo. Si diffonde quindi un modello familiare centrato su
un basso numero di figli, spesso figli unici e per una parte importante dei nuovi
nuclei la mancanza di prole diventa una scelta definitiva.
Gli effetti di un modello riproduttivo di questo tipo, oltre ad avere conseguenze
dirette sul tasso di crescita naturale della popolazione, oggi pari allo 0,02% annuo e
quindi insufficiente per mantenere l'equilibrio demografico, si riflette sulla famiglia,
riducendone le dimensioni: sotto lo stesso tetto abitano in media 2,6 persone, contro
le 3,8 del 1961
5
.
Parallelamente la durata media della vita si è allungata fino a valori impensabili,
comportando un aumento della popolazione anziana sia in valore assoluto, sia,
ancor di più, data la diminuzione dei quozienti di natalità, in termini di incidenza
relativa. Oggi le persone con più di 65 anni sono quasi 10,2 milioni, pari al 17,7 %
della popolazione
6
, circa il doppio di quanto si registrava cinquant'anni fa.
Se buona parte di questi anziani sono in condizioni di salute buone o discrete, è pur
vero che il numero di coloro che sono afflitti da malattie e disabilità cresce
all'aumentare dell'età. Tenendo conto che le persone con almeno una disabilità sono
meno del 10% nella fascia di età tra i 65 e i 69 anni, ma superano il 50% tra gli
ultraottantenni, si può stimare che almeno una famiglia su dieci abbia al proprio
interno un componente anziano disabile, che necessita di continue cure e assistenza.
Il cambiamento della struttura per età all'interno della popolazione cambia la
fisionomia familiare e i rapporti tra generazioni.
La famiglia diventa sempre più stretta e lunga: si assiste a una rarefazione dei
bambini; ci sono meno fratelli, sorelle, cugini e coetanei. Vi sono al contrario più
adulti e particolarmente più generazioni (genitori, nonni, bisnonni)
5
ISTAT, Rapporto annuale 2002, Istat, Roma 2002.
6
GOLINI A., Tendenze demografiche e politiche per la popolazione. Terzo rapporto IRP, Il Mulino,
Roma 1994.
14
contemporaneamente in vita. Essere genitori, così come essere figli è una
condizione che tende a durare per un arco della vita molto lungo, senza quella
alternanza tra i due ruoli che in epoche passate era piuttosto la norma che
l'eccezione. Si designano così, in modo più o meno conflittuale nuovi modelli di
relazioni familiari: la famiglia per lunghi archi di tempo diviene una comunità di
adulti di varia età cui sono riconosciuti ampi gradi di autonomia, pur entro rapporti
di dipendenza e responsabilità di vario genere.
Nello stesso periodo si sono verificati mutamenti relativi alle tipologie familiari, ad
aspetti qualitativi, come l'affermarsi di nuovi comportamenti, di nuovi stili di vita,
ognuno dei quali ha inciso in modo evidente sulla crescita della domanda di cura da
parte di un sempre più elevato numero di soggetti e sull'impossibilità da parte delle
nuove generazioni di occuparsene.
Se la “famiglia” per gli italiani resta la coppia coniugata con figli, il processo di
nuclearizzazione delle strutture familiari ossia la frammentazione delle famiglie
estese e la costituzione di nuclei autonomi, vede il crescente affermarsi di altra
forma familiare: quella unipersonale.
La costante crescita delle persone sole è una formula familiare tipica delle società a
forte invecchiamento. Se infatti le famiglie unipersonali rappresentano un universo
molto eterogeneo, che si differenzia innanzitutto per età e per le diverse motivazioni
che possono condurre gli individui ad optare per questa condizione di vita, in buona
parte si tratta di persone anziane e in numero maggiore di vedove. Il loro aumento è
dovuto essenzialmente a tre fenomeni:
1) Il venir meno della coabitazione tra generazioni (nella società contemporanea è
normale, che nel momento del matrimonio, due giovani seguano una forma di
residenza neolocale).
2) Al prolungamento della durata della vita, per cui gli anziani vivono ancora a
lungo dopo che i figli sono usciti di casa;
3) Il fatto che le donne siano più longeve degli uomini, e sommando a questa
differenza di mortalità la differenza di età al matrimonio (le donne si sposano
circa tre anni prima degli uomini) il risultato è che mediamente le donne
sopravvivono 10 anni ai loro mariti o compagni.
7
7
ZANATTA A.L.,Le Nuove famiglie, Il Mulino, Bologna 1997.
15
Ecco perché in tutti i paesi occidentali, le persone sole sono in maggioranza donne
anziane vedove e se in passato la convivenza nel nucleo familiare di elezione
permetteva all'anziano di trovare supporto, quando con l'aumento dell'età e la
comparsa di malattie invalidanti non poteva più badare a se stesso, oggi è
considerata la categoria più vulnerabile. Vivere da soli non significa affatto o
necessariamente essere abbandonati o privi di relazioni nella parentela più
prossima, tuttavia i mutamenti nei modi di formazione della famiglia, di cui
abbiamo parlato precedentemente, in particolare la riduzione della fecondità e
l'instabilità coniugale, fanno sì che una quota crescente di anziani non abbia nella
propria rete parentale le risorse necessarie a far fronte sia alla solitudine che a una
eventuale non autonomia. A ciò si aggiunge il problema della ri-coabitazione,
ovvero l'accoglimento dell'anziano genitore nella famiglia di un figlio/a. Questo tipo
di soluzione può essere onerosa per tutti i soggetti coinvolti, infatti richiede una
complessa riorganizzazione non solo degli spazi, ma anche delle abitudini, dei ritmi
di vita e delle relazioni tra familiari; spesso è lo stesso anziano a rifiutarla.
Un'altra manifestazione del cambiamento delle forme di fare famiglia è il
progressivo aumento delle famiglie monogenitore.
La formazione di famiglie con un solo genitore, pur non essendo un fenomeno
nuovo (si pensi alle situazioni di vedovanza e alle madri nubili) assume tratti diversi
rispetto al passato e aspetti particolarmente problematici dal punto di vista delle
politiche sociali: è infatti a causa della crescita delle separazioni e divorzi che
questa tipologia familiare rappresenta oggi il 20 % di tutti i nuclei.
Anche in questo caso è prevalentemente la donna a formare una famiglia
monogenitore (più dell'80% dei casi). Questo avviene perché nel caso di rottura
matrimoniale, specie se i figli sono piccoli, vengono abitualmente affidati alla
madre. Come vedremo in seguito questa forma familiare è soggetta a maggiori
rischi di povertà: l’impatto della fine di un matrimonio (o di una convivenza) da un
lato espone il membro della coppia economicamente più debole (in genere la donna)
a elevati rischi di svantaggio economico e povertà; dall’altro può avere importanti
ricadute sulle condizioni materiali e immateriali di vita dei figli.
La famiglia quindi, non solo può assumere una varietà di forme, ma anche al suo
interno non è un'entità omogenea; la convivenza di soggetti che attraversano diversi
16
cicli di vita fa sì che essa diventi il luogo in cui si intrecciano percorsi, esperienze e
aspettative diverse. Ciascuno dei suoi membri, essendo portatore di proprie
esigenze, esprimerà una differente domanda di servizi che risulta condizionata dalle
varie tipologie familiari.
Quindi la domanda di servizi per le famiglie cresce e si diversifica non solo
quantitativamente, ma anche qualitativamente, richiedendo risposte sempre più
specializzate e professionalizzate.
Nei prossimi paragrafi verranno analizzati i due principali fattori, correlati in modo
diretto con le trasformazioni sociali e demografiche sopra citate, che tendono a
sovraccaricare la famiglia di nuove funzioni e a rendere sempre più difficoltoso
l'autoaddossamento delle responsabilità di cura e assistenza: l'entrata della donna
nel mondo del lavoro e la minore possibilità che le prestazioni siano fornite da reti
di aiuto informale.
1.3 IL LAVORO DELLE DONNE
La sensibile crescita di interesse da parte delle donne a svolgere un'attività
lavorativa fuori casa, riconducibile a fattori di varia natura (come l'aumento del
livello di istruzione o l'ampliamento della domanda nel settore terziario) rappresenta
sicuramente uno degli aspetti di maggior novità della società italiana degli ultimi
vent'anni, trattandosi di un'esperienza che coinvolge un sempre più consistente
numero di donne, anche tra quelle sposate e madri.
Questo decisivo cambiamento, che da un lato contribuisce all'emancipazione sociale
e economica dell'universo femminile, dall'altro pone in primo piano il problema
della conciliazione tra i diversi mondi vitali - dalla famiglia al lavoro, alle diverse
agenzie di socializzazione- all'interno dei quali la donna si trova collocata, ognuno
con il proprio ritmo, le proprie esigenze e il proprio sistema valoriale.
Se, in effetti, sotto il profilo culturale e legislativo, la parità tra uomo e donna e la
legittimità dell'impegno femminile in più sfere sociali, tra cui quella lavorativa,
sono valori accettati, ampiamente condivisi e in parte tutelati, persistono molte
17
discriminazioni e asimmetrie, sia all'interno che all'esterno della famiglia
8
.
La realtà, sia a livello familiare che lavorativo, appare ancora decisamente
contrassegnata da strutture di genere anche se, certamente, nel corso del tempo i
termini di questa diversità si sono modificati.
La disuguaglianza è rimasta evidente nella quotidianità, soprattutto per quanto
concerne il lavoro familiare. Indipendentemente dalla presenza di un impegno
extra-domestico più o meno esigente in termini emozionali e di tempo all'interno
del mercato del lavoro, alla donna rimangono ancora essenzialmente attribuite le
responsabilità di cura e accudimento. Ben pochi passi avanti si sono fatti nella
redistribuzione dei compiti tra coniugi.
Da questo punto di vista sono le donne che hanno dimostrato e dimostrano, sul
piano della dimensione quotidiana, di essere in grado di assumere ruoli che escono
dall'ambito privato e di riuscire, nonostante tutte le difficoltà di natura strutturale e
culturale con cui devono misurarsi, a coniugare tempi di famiglia, tempi di lavoro,
tempi di cura.
1.3.1 Complessificazione del lavoro familiare
In questo scenario, dobbiamo inoltre rilevare che l'impegno quotidiano della donna
nella e per la famiglia, è andato nel tempo trasformandosi e complessificandosi,
tanto che oggi parlare di lavoro domestico sembra riduttivo e viene utilizzato al suo
posto il termine di lavoro familiare.
Questa espressione designa un insieme di attività rivolte alla famiglia che non
riguardano semplicemente la cura della casa e dei suoi membri, ma si estendono
anche al di fuori di questa, richiedendo alla donna una capacità organizzativa, un
dispendio di tempo, un coinvolgimento emotivo, una volta, forse, meno pressanti.
Seguendo a questo proposito la distinzione di Laura Balbo
9
, si possono individuare
nell'ambito del lavoro familiare diverse dimensioni, e precisamente il lavoro
domestico, il lavoro di consumo e il lavoro di rapporto.
8
SCISCI A., La donna tra famiglia e lavoro: il caso italiano, in "Rassegna italiana di sociologia",
n.4, 2002, pp.235-251.
9
BALBO L., La doppia presenza, in "Inchiesta", n.32, 1978, pp.3-11.
18
Il primo comprende le mansioni ripetitive e ricorrenti di pulizia e di manutenzione
della casa, la preparazione dei pasti, ma anche la manutenzione dell'apparato
tecnologico-domestico (come i rapporti con gli operai, artigiani addetti alla
manutenzione).
Il secondo riguarda invece l'organizzazione degli acquisti o il ricorso a servizi, che
la donna assume in quanto mediatrice tra bisogni della famiglia e mercato
(svolgimento di pratiche burocratiche, contatti con la scuola, con servizi sociali e
sanitari o l'organizzazione di acquisti e pagamenti).
Il terzo di tipo di lavoro ha natura relazionale, concerne il costante impegno e
l'attenzione ai membri della famiglia, dalla risoluzione di conflitti interni ai rapporti
esterni.
E' un lavoro dunque multiplo e complesso, che presenta vari tipi di difficoltà.
Numerose indagini e studi sottolineano come per le donne l'intersecarsi delle attività
di lavoro con quelle familiari, oltre a costituire un carico materiale e psicologico,
tende a scontrarsi con l'articolazione dei diversi tempi sociali e con le modalità con
cui le diverse funzioni urbane sono organizzate nello spazio e nel tempo (c.d.
rigidità incrociate). In tal modo un peso supplementare per la popolazione
femminile deriva dalle necessità funzionali connesse con gli spostamenti e le
difficoltà a sincronizzare diverse attività che richiedono contatti con negozi, uffici,
agenzie pubbliche o private che operano secondo orari rigidi e prestabiliti; un
esempio in tal senso, sono alcune istituzioni pubbliche (come l'asilo nido), che per
quanto aiutino la famiglia ad alleggerirsi di una parte dei compiti di cura e
assistenza, al tempo stesso attribuiscono nuovi compiti, soprattutto sotto forma di
lavoro di partecipazione, adattamento e integrazione.
La denuncia argomentata dei problemi che derivano da quanto esplicato si inserisce
in una più generale rivendicazione del diritto a un funzionamento della città che
accresca la qualità della vita degli abitanti e la renda user friendly, ovvero amica di
chi la usa.
10
La conciliazione lavoro-famiglia, è dunque complessa e fonte di quotidiane tensioni
anche per le trasformazioni del lavoro familiare.
10
BALBO L., Tempi di vita. Studi e proposte per cambiarli, Feltrinelli, Milano 1991.
19
D'altra parte come si è già visto, per effetto delle trasformazioni demografiche, sono
anche aumentati i soggetti che richiedono attività di cura: oltre alla tradizionale
categoria dei bambini (oggi sempre più spesso figli unici, che provocano un alto
investimento in risorse e aspettative da parte dei genitori) si è prolungata la
permanenza in famiglia dei giovani adulti.
Parallelamente, il progressivo invecchiamento della popolazione e l'allungamento
medio della vita hanno fatto crescere il numero di persone anziane che vivono sole e
inevitabilmente, con l'aumento dell'età, sono soggette a perdere la propria
autonomia; oltre a disabili e persone affette da handicap che restano inseriti per
lungo tempo nelle famiglie di origine.
1.3.2 La doppia presenza
Nonostante l'aggravarsi delle responsabilità familiari, il consistente aumento
dell'occupazione femminile, in precedenza ricordato, fa sì che la condizione di un
numero crescente di donne, sia caratterizzato dall'esperienza del lavoro e per la
famiglia.
Non dobbiamo dimenticare, infatti, che nella realtà contemporanea il lavoro della
donna e il relativo reddito sono necessari perché molti nuclei familiari siano in
grado di mantenere un equilibrio tra risorse e bisogni.
Il caso più emblematico in questa direzione è certamente costituito dai nuclei
monoparentali, dove la madre con il suo lavoro rappresenta il sostegno economico
più rilevante per la famiglia, e dove generalmente da sola deve far fronte a tutte le
esigenze formative e educative dei figli
11
.
11
In Italia le madri sole che lavorano sono molte più numerose di quelle in coppia: mentre tra le
prime le occupate sono oltre il 60%, fra le seconde superano appena il 40%. Molti fattori concorrono
a spiegare questa maggiore presenza: essa può essere favorita da un livello di istruzione mediamente
più elevato di quello delle donne coniugate (questo è vero soprattutto per le divorziate e separate),
oltre dal fatto di avere figli più grandi e in minor numero. Infatti, sono proprio le donne che già
lavorano ad essere più propense delle casalinghe alla separazione e al divorzio. Tuttavia queste
ragioni non bastano a spiegare gli elevati livelli di occupazione delle madri sole. Bisogna aggiungere
la mancanza di interventi sociali verso questa categoria che si trova spesso in difficoltà per l'eseguità
degli assegni di mantenimento pagati dal coniuge o per l'impossibilità di ottenerne il pagamento.
Tutto ciò può obbligare molte di queste donne a presentarsi sul mercato del lavoro per far fronte alle
esigenze economiche del nucleo familiare. Per queste ragioni molti studiosi sono concordi nel
ritenere le famiglie monogenitore un gruppo sociale particolarmente esposto al rischio di povertà.
ZANATTA A., Le nuove famiglie, Il Mulino, Bologna 1997.