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CAPITOLO I
BIOETICA E ISLAM
SOMMARIO: § 1. Aspetti e problemi. - § 2. Temi e problemi.
§ 1. Aspetti e caratteri.
Abbiamo un primo problema di fondo comune a tutte le religioni. Una cosa è la
religione, con i suoi dettati e le sue regole, altra cosa è il suo utilizzo, che a volte risulta
perfino aberrante e in antitesi con i principi religiosi stessi. E’ il caso - in tutte le religioni
appunto - degli integralisti o, peggio ancora, dei terroristi. Per ciò che riguarda la religione
islamica, sono tali non per eccesso di Islam, ma per mancanza di Islam. In questo utilizzo, vi
sono poi diversificazioni d’ordine non religioso ma solamente socio-economico-politico,
che si rifrangono ancor più nelle diversità di classe e di nazione.
Certo è che il mondo dell'Islam non è un monoblocco compatto e granitico ma, al pari
del Cristianesimo, si presenta con un variare di suddivisioni, di comunità, di sètte, di realtà
socio-economico politiche talmente in antitesi a volte, che il verbo stesso del Corano è
interpretato in modi anche differenti, e l’ignoranza, o la miseria, o la presunzione spesso
superano il dettato coranico stesso, e creano casi specifici, locali, personali, che a volte nulla
hanno a che vedere con la religione e le sue leggi, pur se sono dotati d’una forza
difficilmente sradicabile, per cui non si può generalizzare né si può pretendere di applicare il
vero Verbo dell’Islam pedissequamente a tutte le categorie di genti islamiche.
Vi è poi un altro ostacolo alla corretta applicazione della realtà religiosa islamica nel
contesto sociale italiano, e ancor più specificatamente in un organismo complesso, scuola o
ospedale che sia, oggi diventato multietnico: l’ignoranza che dell’Islam si ha ancor oggi in
Occidente. Ignoranza dei considerevoli valori dell’Islam in ogni campo lungo tutti i secoli;
ignoranza a volte variegata dalla malafede, che permette a mestatori - in malafede appunto -
di dichiararsi in Italia musulmani, e addirittura capi musulmani, approfittando
dell’ignoranza di molti italiani - ma anche di molti musulmani - in materia di cultura
islâmica, sorprendendone così la buonafede, ma anche approfittando della inerzia e delle
divisioni di molti musulmani stessi.
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Per conseguenza non è possibile tradurre in poche parole e in poco tempo una realtà
molto complessa e dalle molteplici sfaccettature e varietà. L’Islam non è un blocco
monolitico, come non lo è d'altronde il Cristianesimo. Traccerò quindi un panorama per
sommi capi, per forza estremamente superficiali.
Sta di fatto che il nostro argomento odierno, la Bioetica è, globalmente parlando, un
approccio tematico nuovo alle scienze tradizionali, e propone problemi nuovi non solo
all'Islam, ma a tutti i contesi sociali del mondo intero. Possiamo dire che l’Islam affronta
questi problemi nuovi operando in un contesto culturale e politico pluralistico. Mentre i
valori Bioetici occidentali sono caratterizzati da una molteplicità di posizioni ideologiche
(laiche, atee, religiose), i Comitati Nazionali di Bioetica e i Comitati Nazionali di Etica
Medica attivi in molti paesi musulmani sono concordi nella comune appartenenza di ogni
membro all’Islam, fruendo al contempo di una caratteristica precipua dell’Islam, che
permette di esprimere posizioni anche del tutto differenti sui vari temi nuovi. Segnalo ad
esempio il Comitato di Etica Medica della Tunisia (1994) che attiva numerosi enti locali
consimili; il Consiglio Nazionale dell’Etica delle Scienze della Salute in Algeria (1996); il
Comitato di Bioetica dei Medici del Libano; il Comitato Nazionale di Bioetica dell’Egitto
(1996); mentre in Turchia questi problemi erano già stati affrontati sin dal 1931. Tutti i
Comitati musulmani di Bioetica si caratterizzano per la dipendenza dal Diritto musulmano,
con riferimenti ai principi di Bioetica occidentali, in perfetta autonomia dal puro contesto
religioso - autonomia per altro incentivata dal Corano stesso -. Vi sono poi i numerosissimi
Congressi di dottori della Shari’a, promossi in varie parti del mondo, a partire da quelli
dell'Università di âlÂzhar, al Cairo, l'Università più antica al mondo. Ad ogni modo, negli
stati Islamici, a causa forse di un quadro socio-politico-economico estremamente variegato,
il problema e le discussioni che esso genera rimangono elitari e limitati agli operatori
specifici.
Traccerò allora uno schema, in relazione a quattro punti salienti:
1) Principi coranici in difesa del bambino;
2) Principi coranici di rispetto per tutte le religioni e le etnie;
3) Alcuni accenni allo studio del problema neuropsichiatrico infantile nel corso dei
secoli;
4) Come questo problema è visto e studiato oggi nei paesi Islâmici.
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1° punto) Dice Si Hamza Boubakeur, uno dei più importanti teologi islamici del XX
secolo: «Nessun testo sacro si è occupato tanto della donna, e del bambino, dei loro diritti e
del loro benessere, quanto il Corano» In effetti, considerando il Corano anche come un testo
di Giurisprudenza, vediamo che il settanta per cento di questa parte giurisprudenziale si
occupa appunto dei diritti e della tutela della donna e del bambino. Ad esempio: non sussiste
nell’Islam il concetto del bastardo: tutti i figli di un uomo, da qualsiasi donna nati, sono
fratelli fra di loro e tutti eredi ad eguale titolo. La donna deve (o almeno dovrebbe) allattare
il bambino per due anni, tempo durante il quale è consigliato che non abbia altri figli.
Sulla base delle attenzioni coraniche per la condizione sociale della donna e del bambino
ne consegue che le pratiche contraccettive non sono proibite, né è proibito l’aborto, con tutta
una lunga casistica religioso-giuridica relativa, che va dalle necessità demografiche generali
sino a quelle specificatamente personali. Va da sé che tutta una lunga sequenza di regole, di
leggi, di posizioni giuridico-religiose relative pone i problemi della Bioetica su una
posizione differente da quella religiosa del mondo occidentale, tant’è che per l’Islam le
posizioni della Chiesa Cattolica in merito a certi aspetti della Bioetica sono considerate
troppo rigide.
2° punto) Il senso globale del comportamento musulmano risulta anche
dall’atteggiamento che deve avere nei confronti delle altre religioni secondo ciò che predica
il Corano.
(2º 62) Sì, i musulmani, gli ebrei, i Cristiani e i Sabei, chiunque ha creduto in Dio e nel
Giorno ultimo e compiuto opera buona, per costoro la loro ricompensa presso il Signore.
Su di essi nessun timore, e non verranno afflitti.
(2ª136) Dì: noi crediamo in Dio, in quel che ci ha rivelato, e in quello che ha rivelato ad
Abramo, a Ismaele, a Isacco, a Giacobbe, alle Tribù, in quel che è stato dato a Mosè e a
Gesù, e in quel che è stato dato ai profeti dal loro Signore: noi non facciamo differenza
alcuna con nessuno di loro. E a Lui noi siamo sottomessi.
(5º 68-69) Dì: Genti del Libro, sarete sul nulla fintanto che non seguirete la Thora, il
Vangelo e ciò che vi è stato rivelato dal vostro Signore [...]. Sì, i musulmani, gli Ebrei, i
Sabei, i Cristiani - chiunque crede in Dio e nel Giorno ultimo e compie opera buona -
nessun timore per loro e non verranno afflitti.
(9ª6) Se un idolatra ti chiede asilo, concedigli asilo. Ascolterà la Parola di Dio. Poi
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fallo giungere in un luogo per lui sicuro. Ciò perché in verità è gente ignara.
(2ª256) Nessuna costrizione in fatto di religione: la giusta direzione si distingue dall’
errore, e chiunque rinnega il Ribelle e crede in Dio ha afferrato l'ansa più solida, che non
si spezza. Dio sente e sa.
(18ª29) La verità emana dal Signore. Creda chi vuole, non creda chi non vuole.
Junaid - Maestro sufi del IX secolo - disse: «Il colore dell’acqua è il colore del suo
recipiente», intendendo che tutte le religioni sono eguali; differiscono per ambiente, nome e
ritualistica, ma non possono differire nella sostanza. La divinità, assoluta, non può essere
contenuta in una cosa perché è l'origine - e l’essenza - di tutte le cose, e quindi anche di tutte
le religioni. Più ci si avvicina a Dio, e più si capisce che tutte le religioni sono tentativi per
avvicinarlo.
3° punto) L’essere umano deve studiare al fine di capire se stesso, la sua posizione
davanti a Dio, la sua posizione nell'ordine universale, il suo rapporto con gli altri esseri
umani. Il Corano incentiva il libero approfondimento delle scienze. D’altronde il Profeta
affermò: «Il sangue di colui che studia è superiore al sangue dei martiri», e: «Seguite la via
di una scienza, doveste per questo andare sino in Cina» O ancora: «A colui che segue la via
di una scienza Dio apre più grandi le porte del paradiso.» Fu così che nell'Islam vennero
fondati, i primi ospedali, i primi manicomi, le prime università, le più cospicue biblioteche
pubbliche dell'antichità.
Base di tutto è il concetto che l’essere umano è composto da quattro parti, che debbono
essere in perfetta sinergia fra di loro, e quindi debbono essere studiate e ottimalizzate in pari
grado. Due parti sono materiali, una è spirituale, la quarta è globale. La parte spirituale è
l’anima, goccia di quell'oceano infinito che è Dio, al quale tende ed al quale ambisce
tornare. La prima parte materiale è il corpo (comprese le sue valenze apoproteiche e il SNC,
che ne determinano pulsioni e reazioni), e la seconda è la psiche, sorta di ponte fra anima e
corpo, che permette al corpo di attingere a valori spirituali e all'anima di manifestarsi nella
materia. Se questo ponte è stretto, ostacolato, crollante, caduto, il passaggio diventa difficile
o addirittura impossibile. La quarta parte, globale, è l’ambiente, che incide
considerevolmente nella formazione dell’individuo, come dice il Corano stesso. Ecco quindi
perché per l’Islam - beninteso un Islam correttamente osservato - è di sostanziale
importanza lo studio della Bioetica.
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Ma proseguiamo su questo terzo punto. E’ ben noto che la medicina occidentale dipende
in prima istanza dal Canone di uno dei più considerevoli medici e filosofi musulmani, il
turco Avicenna (?-1037), turco anche se qualche autore europeo disinformato insiste nel
chiamarlo arabo. Di Avicenna George Sarton scrisse: «Il più famoso scienziato dell’Islam e
uno dei più eminenti di tutte le genti, di tutti i luoghi e di tutti i tempi.».
Oggi per intenderci ipotizziamo la sussistenza di un carattere e di una personalità;
distinzione e termini già presenti nel Sîra âlFalsafiyya (Medicina spirituale) del trattatista
iraniano Âbû Bakr âlRâzî (854-925). Su questa base agì Fakh âlDîn âlRâzî (?-1209),
maestro di medicina psicosomatica, non separando mai il fisico dal mentale, aprendo così la
via alla bioetica infantile, via seguita anche da Îbn Tufayl (?-1185), da Maimonide, e da
Hibatullâh ben Jâmî (1112-1198). Quest’ultimo, nel suo âlÎrshad li-Masilih âlÂnfas wa
âlÂjsad (Disposizioni che interessano le anime e i corpi), per primo affermò che nel
bambino il carattere si forma in base alle istanze ricevute dal mondo esterno, in particolare a
causa dei ricatti morali (âlÂntaqâm âlÂdabî), delle ingiunzioni negative e delle
disconferme; mentre la personalità si forma sulla base delle interpretazioni a proposito delle
istanze del mondo esterno, che formuliamo noi stessi e che a volte sono del tutto errate.
L’incidenza dell’ambiente sulla formazione del bambino venne studiata anche dal già citato
Avicenna, che nel Birinci Kitâb âlShifâ’ tradotto in turco da Ma`arûf, scrisse: «Entro i primi
sei anni della sua vita il bambino assorbe come una spugna le istruzioni delle figure
parentali più care, sia perché dipende da loro, sia perché le vede solenni, sia perché vorrebbe
poter essere al posto loro. Soprattutto per ottenere approvazione, protezione e carezze sia
materiali sia psichiche egli nutre le pulsioni di terzo grado adattandosi alle esigenze
dell’ambiente, e accettando anche gli errori che gli vengono insegnati, giusto come dice il
Corano e il nostro Profeta: “Ogni essere umano nasce sottomesso a Dio, e poi i genitori
fanno di lui un ebreo, un cristiano o un musulmano, a seconda della loro religione.» Son
così definiti diciotto stati della psiche (considerata, come dicevo, una parte materiale
dell’essere), ognuno dei quali ha un nome specifico. Seguirono poi - a partire dal XV secolo
e soprattutto nei paesi turchi - numerosi trattati di neuropsichiatria infantile e di psicoterapia
infantile, la cui enumerazione esula da questo contesto. Basti sapere che esistono.
4° punto) In 5ª32 il Corano dice: Chiunque uccide un essere umano è come se avesse
ucciso tutta l'umanità, e chiunque gli fa dono della vita, è come se lo facesse a tutte le genti.
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Sussiste poi, imperioso, il detto del Profeta: «Dio ha creato una cura per ogni malattia. Sta a
voi cercarla, ma non usate metodi proibiti». Il principio giuridico generale recita poi che
«Pressanti necessità consentono perfino ciò che è proibito». Vi è poi il principio che
permette di accedere al male minore, a quello del beneficio pubblico, a quello del carattere
sacro della persona umana da porsi al di sopra delle argomentazioni di coloro che discutono.
Ecco perché la totale ricerca scientifica ha avuto nell’Islam diritto di cittadinanza sin dai
primi tempi, e la storia ce ne ha mostrato il considerevole fiorire.
Dice il Versetto 2ª255 del Corano: Della Sua scienza essi abbracciano solo ciò che Egli
vuole che abbraccino. Ne risulta che, stando questo e ad altri Versetti consimili, Dio crea
ciò che vuole e l'umanità trova solo ciò che Egli vuole che essa trovi. Quindi ogni nuova
tecnica - anche nel contesto procreativo - tende ad essere giuridicamente tollerata, sia quelle
volte a limitare la procreazione, sia quelle introdotte per aggirare la sterilità.
Rimane soltanto un atteggiamento preclusivo o critico verso la fecondazione artificiale,
ma con possibilità di un lecito superamento in molti casi. I casi, come tutti i casi che si
pongono all'attenzione della giurisprudenza islamica, che dipende dalla Religione, vengono
risolti alla luce di una precisa attenzione etica e non secondo la morale, che per i mistici
dell’Islam, i Sufi, è da ritenersi restrittiva, integralista e a volte anche aberrante. I casi, cioè,
vanno di volta in volta risolti con l’ausilio dell’intelligenza, della bontà, della competenza,
del consenso comune teso a non nuocere, e di quella umanità che deriva da una ben intesa
dipendenza da Dio, non da una supina dipendenza da regole vuote e fondamentaliste. Hanno
espresso questa posizione molte eminenti personalità musulmane, tra cui Si Hamza
Boubakeur, Dalil Boubakeur, Muhammad Tantàwi, Sayed Hosein Nasr.
Oltre al problema del clonaggio, che risponde a un ben preciso passo coranico (Corano
4ª118-119). [Satana disse a Dio:] «Certo, ne coglierò, tra i Tuoi fedeli, una certa parte.
Certo, li svierò, darò loro desideri vani; io ordinerò e loro fenderanno le orecchie al
bestiame; io ordinerò e loro altereranno la creazione di Dio». Pertanto il clonaggio di un
essere umano è considerato suggestione diabolica ed emblematicamente è vietato.
Vi è comunque un aspetto sul quale l’etica cristiana e quella musulmana tassativamente
divergono: la contraccezione e l’aborto. La differente posizione si basa sempre sulla lettera
del Corano. Per ciò che riguarda l'aborto il musulmano parte addirittura da ciò che dice la
Bibbia: Dio crea Adamo, e solo quando lo ha plasmato gli insuffla il Sui spirito vitale. A
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questa stregua il feto non ha anima, e la riceve solo quando tira il primo respiro. La donna
ha quindi il diritto di abortire, secondo quattro commi stabiliti dalla Legge.
Per ciò che riguarda i contraccettivi. Il Corano dice: (2ª223) Uomini, andate alle vostre
donne e coltivatele come si coltiva un giardino, (2ª187) perché voi siete un vestito [un
contentamento, un piacere, un gradimento] per esse, ed esse sono un vestito per voi. Se
l'uomo non assolve a questo compito, la donna può reclamare un indennizzo tramite un
giudice. Quindi il piacere sessuale legittimo è un dono di Dio, ma se viene inquinato dalla
paura di avere un figlio, non è più un piacere. Il Gran Muftì del Regno di Giordania, shaykh
ÂbdÂllâh âlQalqili, in una fatwa del 1964 comunicava che le quattro Scuole giuridiche
ortodosse hanno da sempre accettato i contraccettivi. Per analogia risulta accettabile il
ricorso a farmaci abortivi prima di 120 giorni. In questo caso la scuola hanafita, che
comprende la maggior parte dei giuristi negli ultimi secoli, risulta storicamente la più
disponibile ad accettare comunque l'aborto.
Allo stato attuale dei fatti, vige l’annuncio ufficiale della legittimità dell’aborto, dei
contraccettivi e del controllo delle nascite fatto a Rabat nel 1971, ripreso in numerose
fatâwâ dalla maggior parte degli Stati musulmani (in Algeria dal Consiglio superiore
islamico; in Pakistan dall’Istituto delle Scienze di Deoband; eccetera).
La fatwâ più determinante e completa in questo senso venne emessa nel 1995 da
Muhammad S. Tantâwi, gran muftì della Repubblica di Egitto e rettor magnifico
dell’Università di âlÂzhar, al Cairo, la più antica Università al mondo.
Comunque prevale oggi l’opinione che l'aborto è attuabile solo entro i primi 120 giorni
dal concepimento, mentre l'aborto terapeutico può superare del tutto questo limite. Se la
gravidanza minaccia la salute o la vita della madre, è addirittura obbligatorio e la questione
esce dalla giurisdizione religiosa per entrare totalmente nell'ambito della scienza, la
decisione essendo affidata esclusivamente al medico. Ma chi ne sa di più è Dio
1
.
1
Bioetica (Pavia), relazione di GABRIEL MANDEL KHAN, Vicario generale per l’Italia della
confraternita dei Sufi Jerrahi-Helveti.
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§ 2. Temi e problemi.
Attualmente per individuare posizioni il più possibile rappresentative della vasta
comunità dei fedeli sui nuovi problemi ci si affida spesso ai responsi di congressi e
conferenze pan-islamiche (es. la lega del Mondo Musulmano, l’Organizzazione della
Conferenza islamica) oltre ai vari Comitati nazionali delle Fatawa, ecc., il cui valore,
tuttavia, rimane sostanzialmente quello di opinini giuridiche (fatawa) contestabili da altri
soggetti giuridici. Accanto a questi responsi andrebbero valutati i documenti emessi da
organismi biomedici in quanto non sono rari i contrasti tra le posizioni espresse dai sanitari
e dalle autorità religiose.
Bisogna ricordare che l’opera di modernizzazione sanitaria nei paesi arabo-musulmani è
stata prevalentemente promossa dai medici e dalle autorià politiche a cui ha fatto
generalmente seguito, una volta interpellate in materia, l’avallo delle autorità religiose
ufficiali (dipendenti dallo Stato).
Negli ultimi decenni l’autorità dei dottori della Legge, anche se quasi sempre limitata al
campo morale, ha trovato un nuovo terreno di applicazione sui temi della bioetica nei quali,
anzi, la “vera religione” intende svolgere un ruolo determinante; ciò alla luce del primato
della propria legge di fronte ad un Occidente percepito come un innovatore invadente ma,
soprattutto, eticamente disorientato.
Nello stesso tempo, i nuovi problemi aperti dalla bioetica stimolano ad un
aggiornamento della poderosa struttura del ditritto musulamno per quanto sempre più spesso
trascurato dal diritto positivo vigente nei singoli stati. Il giurista shafi’ita Aharami
rafigurava la Shiari’a come un albero da cui si protendono i rami, cioè i vari istituti del
diritto. Corano, Sunna, consensus populi (igma’) e ragionamento analogico (qiyas)
costituirebbero le fonti o radici (usul), cioè il tronco da cui dipendono i rami (furu) del
diritto musulamno
2
. Tuttavia l’aggiornamento non avviene tanto tramite una rielaborazione
dall’interno quanto, piuttosto, tramite una semplice eliminazione di tutto ciò che non appare
conciliabile con la modernità. Quando idee, concetti, istituti giuridici classici forniscono
elementi irrecuperabili ad un tema contemporaneo, vengono facilmente abbondanti. La
2
Vedi ATIGHETCHI D., Islam e Bioetica. Tradizione e Ricerca, “Etica per le Professioni”, 2000, 2 (3),
87-94 e anche ATIGHETCHI D., Islam, musulmani e bioetica, Armando Editore, 2002, 256 pp.
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conseguenza è un pesante sfoltimento della ricchezza dell’albero raffigurato da Sharani,
vale a dire uno strutturale impoverimento della quasi onnicomprensiva capacità di
regolazione del diritto musulamno classico.
Si rammenti, infine, che secondo il diritto musulamno ogni regola non espressa nel
Corano o nei “detti” del Profeta (ahadith), o non legittimamente dedotta da loro, è bid’a
cioè “innovazione”, parola diventua presto sinonimo di eresia e facilamente utilizzata da
parte di autori conservatori per contestare o rifiutare ogni novità o modificazione delle
regole classiche. Comunque sia, qualsiasi mutamento giuridico o nuova pratica, in assenza
di regolamentazioni risalenti alle fonti sacre, può essere accettata dai vari organismi
giuridico-religiosi ma non giudizi che mancheranno sempre, presso l’opinione pubblica
islamica, di quel carisma e autorità che caratterizza il consenso ai fondamenti del diritto
musulano e alle norme di culto.
Quando mancano indicazioni chiare da parte della tradizione si assiste al formarsi di una
notevole mole di responsi differenti, anche opposti; ciò suscita l’impressione di una sorta di
pluralismo intrinseco alle comunità islamiche. In realtà l’Islam si percepisce come il
monoteismo perfetto fondato sull’ultima e perfetta Rivelazione (il Corano),
Contemporaneamente la Shiari’a è, secondo la tradizione, la perfetta e onnicomprensiva
Legge divina (l’Islam è Religione e Stato cioè Din wa Dawla) in grado di rispondere a tutti i
problemi delle socità umane in qualsiasi periodo storico. Tra i risultati, ogni opinione
(soprattutto attinenet l’etica) deve rimanere ancorata alle fonti sacre per essere legittimata;
tutte le variazioni che permangono all’interno dell’Islam rischiano altrimenti di squalificarsi
e di perdere la possibilità di presentarsi pubblicamente.
Fatte salve queste premesse, la liceità della pluralità delle opinioni all’interno della
comunità islamica era già attestata dal Profeta in due ahadith. Il primo considerava tale
molteplicità come benedizione voluta da Dio, mentre il secondo precisava che la comunità
musulmana non si sarebbe mai accordata su un errore. Si tratta, comunque, di differenze
che non devono intaccare i fondamenti della fede e del culto. Casi classici rappresentati
dalle molteplici posizioni assume storicamente dai giurespeti in merito alla liceità della
contraccezione, all’interruzione della gravidanza prima dell’infusione deel’anima oppure,
passando a temi solo moderni, allo xenotrapianto, all'espianto da cadavere, clonazione, ecc.
Il termine “pluralismo” appare quindi inadatto per descrivere la situazione vigente, mentre
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più appropriate sembrano espressioni quali “differenze e varietà di posizioni entro un
comune contesto relitioso” ed altre analoghe.
Non è da ignorare come il pluralismo, politico ed ideologico venga facilmente associato,
presso l'opinione pubblica, ad un relativismo etico inaccettabile secondo l'ottica islamica.
Islàm, in quanto fede nella perfetta Rivelazione (il Corano) e regolato secondo i precetti
dell'ultima Legge divina (la Shari’a), non necessita di alcun pluralismo etico. La verità ed i
valori sono già presenti nelle fonti sacre, bisogna solo recuperarli oppure "interpretare"
quest'ultime correttamente.
Operando in un contesto culturale e politico pluralistico, i Comitati Nazionali di Bioetica
(ed organismi analoghi) del mondo nordoccidentale appaiono caratterizzati da una
molteplicità di posizioni ideologiche (es. laici, atei, religiosi) con visioni del mondo talvolta
antitetiche; ciò si traduce in contrasti su molti importanti problemi (quando inizia la vita
umana - la sperimentazione sull'embrione; quando termina la vita umana – l’eutanasia -,
ecc.).
Viceversa i Comitati Nazionali di Bioetica e i Comitati Nazionali di Etica Medica attivi
in determinati Stati musulmani
3
prevedono, ovviamente, una varietà nelle specializzazioni e
competenze dei partecipanti nell'ambito clinico, sociale e filosofico-religioso, ma rimane
scontata la comune appartenenza di ciascun membro all'Islàm (qualora religione di Stato)
anche se si, possono esprimere posizioni variegate sui singoli temi.
Circa le peculiarità di alcuni di questi organismi si segnala la creazione in Algeria del
Consiglio Nazionale dell’Etica delle Scienze della Salute
4
con decreto n. 96-122 del
6/4/1996 (il 6/7/1992 grazie al decreto n. 92-276 è stato varato il Codice di Deontologia
Medica algerino) composto di 20 membri di cui almeno 15 medici (compreso un medico
militare); tra gli altri ci sono un rappresentante del Ministro di Giustizia, uno del Consiglio
Superiore Islamico, ecc. Una simile prevalenza di medici ha suscitato diverse critiche tra le
quali quella che vi rileva una concezione falsa e superata dell’etica, intesa ancora come un
3
Alcuni Stati possiedono entrambi, altri solo uno dei due o un loro analogo, altri ancora presentano una
pluralità di Comitati a livello nazionale, mentre si assiste allo sviluppo dei comitati locali di etica.
4
OSSUKINE A., Un Conseil d’Ethique ou de Déontologie (BIS), « Revue Algerienne Scieces Juridique,
Economiques et Politiques », 1997, XXXV, 1, 263-255. OUYAHIA A., Décret exécutif n. 96-122 du 18 Dhou
El Kaada 1416 corresponadnt au 6 avril 1996portant composition, organisation et fonctionnement du
Conseil National de l’Etique des Sciences de la Santé, « Revue Algerienne Scieces Juridique, Economiques
et Politiques », 1997, XXXV, 1, 254-252.
18
prolungamento naturale della medicina e della biologia
5
. Tale giudizio intende evidenziare
che medici e scienziati non possiedono una competenza specifica nel campo morale; ragion
per cui l’elaborazione etica da parte di tecnici - accompagnata da una marginalizzazione
dei religiosi e dei giuristi - pregiudicherebbe di fatto e di diritto una reale riflessione
interdisciplinare. L’art.10 del decreto non precisa quali siano i compiti del Comitato
(dandoli forse per scontati) al contrario di ciò che avviene per le normative costitutive di
altri Comitati di Etica Medica e di Bioetica (es. Tunisia, Libano). Inoltre il Comitato
algerino intende colmare un vuoto legislativo e dottrinale, fatta eccezione per i responsi dei
giurisperiti islamici. Il decreto, infine, non stabilisce quale sia il peso dei pronunciamenti
del Consiglio.
Il Comitato Nazionale di Etica Medica della Tunisia è un organismo pluridisciplinare con
un ruolo consultivo, informativo ed orientativo, con lo scopo principale di consentire al
Parlamento ed al governo di legiferare o emanare regolamenti che non ostacolino il
progresso della scienza medica. Creato con il decreto n. 94-1939 in data 19/9/1994
6
si
compone (art. 3) di un presidente; un membro del Consiglio Costituzionale; un membro del
Consiglio Superiore Islamico; un membro del Comitato per i diritti dell’uomo e le libertà
fondamentali; un consigliere della Corte di Cassazione; uno del Tribunale Amministrativo;
un professore di filosofia; uno di sociologia ed uno di diritto; i presidenti del Consiglio
nazionale dell’ordine dei medici, dei veterinari e farmacisti; i presidi delle facoltà di
medicina e farmacia; tre personalità appartenenti al campo della sanità; una personalità
competente dei problemi sociali. La Tunisia è stato uno degli Stati musulmani più solleciti
nell’attivare dei comitati di etica locali in parecchi ospedali universitari, nel rispetto delle
indicazioni internazionali (CIOMS, 1993) che invitano i medici-ricercatori a richiedere
l'opinione di un comitato etico per l’approfondimento di determinate problematiche
biomedico-cliniche o attinenti la ricerca. Il CNEM tunisino ha richiesto
7
che simili comitati
vengano istituiti presso tutti i centri ospedalieri ed universitari. Il loro compito non consiste
nel prendere decisioni al posto dei professionisti della salute, ma nel ricoprire una funzione
5
OSSUKINE, art. cit., 259.
6
REPUBLIQUE TUNISIENNE, Decret n. 94-1939 du 19 september 1994, fixant les attributions, la
composition et les modalites de fonctionnement du Comité National d’Ethique Medicale, «Journal Officiel de
la Republiqeu Tunisienne », 27/09/1994, n. 76, 1590.
7
COMITE’ NATIONAL D’ETHIQUE MEDICAL, Republique Tunisienne, Avis n. 2, Avril 1997 : Rapport
sur Comites d’Ethique Locaux, CNEM, Tunis, 18-23.
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consultiva ed educativa e, in particolare: a) aiutare i sanitari ospedalieri ad elaborare
decisioni di carattere etico concernenti la pratica medica; b) vigilare sull'applicazione delle
regole etiche dei protocolli dei programmi di ricerca (nel rispetto del consenso informato del
malato, di un accettabile rapporto rischi/benefici e la pertinenza del fine scientifico della
ricerca); c) partecipare attivamente alla formazione del personale sanitario in campo etico.
Le opinioni dei comitati etici locali non hanno forza obbligante.
Lo Statuto del Comitato di Bioetica dell'Ordine dei Medici del Libano
8
fissa il ruolo del
Comitato nel fornire semplici opinioni sulle questioni morali attinenti la pratica clinica; il
documento esplicita di voler sempre tenere in considerazione le diversità “culturali e
religiose” presenti storicamente nel paese (art. 4). La composizione prevede una
maggioranza di medici (art. 7).
In Egitto un’ordinanza del 25/11/1996 del Ministero dell’Educazione ha varato il
Comitato Nazionale di Bioetica comprendente membri della comunità scientifica, del
mondo accademico e rappresentanti della società. Nella sua prima sessione (9/1/1997) è
stato eletto presidente il prof J. Badran. Giornate nazionali di etica sono previste a scadenza
annuale.
Finora, nella bibliografia islamica, appaiono esigui i tentativi di una lettura problematica
(e, a maggior ragione, critica) della riflessione prodotta da musulmani sui temi trattati dalla
bioetica con attenzione alle contraddizioni e ai contrasti tra le posizioni, oltreché al loro
sviluppo sul piano diacronico e sincronico. A fronte di una notevole varietà di opinioni, gli
autori musulmani tendono a non dare grande rilievo a queste differenze. In altre parole,
temendo che la diversificazione appaia sinonimo di relativismo etico, si preferisce, fornire
un'immagine alquanto monolitica della bioetica islamica, soprattutto quando rivolta a non-
musulmani. Del resto, ciò che il fedele richiede dalla “vera religione”, sono risposte chiare
ed esaurienti, anziché arbitrarie riflessioni filosofiche o orientamenti incerti che in
Occidente abbonderebbero. Non appare casuale il fatto che questa riflessione bioetica risulti
fortemente propensa all'apologia, cioè all'esaltazione della verità dei principi coranici e della
Tradizione, soprattutto in riferimento alla situazione caotica vigente in Occidente, il quale
produce la modernità ma non avrebbe la capacità di guidarla eticamente.
8
COMITE’ DE BIOETHIQUE DE L’ORDRE DES MEDECINS DU LIBAN, “Journal International de
bioethique”, 1998, 9 (1-2), 139-140.
20
Poiché 1’Islàm è Religione e Stato, oltreché “vera religione”, rischia di diventare un alibi
dietro cui rifugiarsi per evitare il confronto critico con i gravi problemi socio-sanitari
presenti nella maggior parte degli Stati musulmani. Vincolata ad un impianto apologetico,
tale bioetica manca di una propensione alla denuncia delle gravi carenze súl piano sociale,
economico, civile e politico che possono verificarsi a scapito della tutela del malato, di
un'equa distribuzione delle risorse sanitarie e del principio di giustizia. Del resto proprio il
caratterizzarsi dell'Islam come Religione e Stato implica che una critica allo Stato possa
essere arbitrariamente e faziosamente rifiutata da quest'ultimo in quanto anti-islamica.
Infine, la pratica medica richiede un riequilibrio continuo tra una massimizzazione della
resa diagnostico-terapeutica degli strumenti sanitari disponibili rispetto ai loro costi e ai
limiti di spesa imposti. In alcuni Stati petroliferi musulmani, come in Arabia Saudita o
Kuwait, l’assistenza sanitaria è sostanzialmente gratuita e i budget sanitari sono molto
cospicui; in queste condizioni si incontrano problemi etico-finanziari particolari legati ad un
facile spreco di analisi e test non strettamente indispensabili per una diagnosi e terapia della
malattia, ma facili da utilizzare a causa di una ridotta coscienza del problema dei costi della
salute (problema invece drammatico negli Stati musulmani poveri), fino ad arrivare ad
investimenti sanitari motivati principalmente da g esigenze di immagine e di prestigio
9
.
In assenza di un equivalente in lingua araba e in quella di altri Stati islamici il termine
“bioetica” viene tuttora utilizzato nella versione inglese o francese (bioethics, bioéthique).
La bioetica islamica non ha ancora acquisito i caratteri di una disciplina autonoma e per
questa ragione mancano studi di un certo spessore sulla sua metodologia e su un suo statuto.
Sono inevitabilmente assenti studi, sui rapporti tra la bioetica islamica con altre
discipline, in particolare col diritto musulmano di cui, per ora, la bioetica islamica appare
come un'articolazione. Quest’ultimo dato è importante in quanto tale riflessione conserva un
taglio fortemente giuridico, volto soprattutto ad individuare regole e risposte ai problemi
piuttosto che ad incrementare una riflessione preventiva alla fase decisionale clinica in un
contesto in cui, comunque, non viene riconosciuta al sanitario una significativa autonomia
decisionale. Uno dei risultati è la ridotta propensione speculativa della bioetica nel mondo
islamico.
9
UMEH J.C., The Prescription for Health Cost Control: Increased Dose of Cost Consciousness in Saudi
Public Sector Physicians, “Saudi Medical Journal”, 1996, 17 (3), 272-280.
21
Gli studi esistenti si limitano frequentemente a rintracciare nelle fonti sacre dell’Islàm i
principi della bioetica occidentale prevalentemente ripresi dall’”etica dei principi” o
“principalism” di T.L. Beauchamp e J.F. Childress, senza riferimenti alle teorie etiche che li
giustificano, e cioè all’”utilitarismo della norma” e alla “teoria deontologica”. I principi in
questione sono: l’autonomia (rispetto della libertà di scelta di un individuo competente e
tutela della persona incompetente), beneficence (promuovere il benessere del prossimo),
non-maleficence (non fare il male) e giustizia (promuovere una giusta allocazione e
distribuzione di oneri e benefici sanitari a cui va connessa un'adeguata compensazione per
errori o mancanze effettuate su individui e gruppi). In realtà appare facile individuare questi
quattro principi generali in qualsiasi testo sacro monoteista, in quanto Dio chiama il
credente ad una scelta di fede responsabile, a fare il bene, evitare il male e ad applicare la
giustizia. Nella bioetica di derivazione islamica i quattro principi citati devono ancora
trovare un equilibrio con almeno tre dei principi generali del diritto musulmano: necessità,
beneficio pubblico e giustizia.
A titolo comparativo non può sfuggire il diverso peso e significato che assume il
principio di autonomia nella società nord-americana ed europea, rispetto a qualsiasi società
islamica soprattutto se ancorata alla tradizione. Nel primo caso, infatti, la priorità riservata
al principio di autonomia (a cominciare dalla gerarchia dei principi della bioetica) non è
altro che la proiezione nell'ambito bioetico dell'importanza della matrice liberal-
individualistica caratterizzante la cultura giuridico-politica del mondo occidentale pur con le
forti differenziazioni al proprio interno. A1 contrario, nel contesto islamico il primato
dovrebbe essere riservato al principio del beneficio pubblico (maslaha) e al principio di
giustizia (1’Islàm è una “religione di legge”) in quanto l’interesse collettivo ha la
precedenza su quello del singolo. Il principio di giustizia e del beneficio pubblico sono
variamente applicabili anche all'allocazione delle risorse per l’assistenza ai pazienti cronici,
terminali ecc., ma una speculazione sistematica su queste ricadute è agli inizi
10
.
10
Rispetto alle caratteristiche in fieri della riflessione bioetica islamica, il "personalismo" cattolico,
indipendentemente dalle diverse correnti, appare un modello eccessivamente rigido. A tratti esso appare
addirittura estremista, come dimostra la posizione della Chiesa Cattolica sull'aborto terapeutico, sul rifiuto
delle tecniche di procreazione assistita omologa, ecc., rispetto all'elasticità e possibilità di adattamento
offerte dalla dottrina giuridica islamica, soprattutto grazie al principio di necessità e a quello del beneficio
pubblico. Tutto ciò che non è stato regolato dal diritto musulmano classico è inevitabilmente soggetto a
oscillazioni in una banda assai larga, incentivato dall'assenza di un'autorità suprema e di un magistero.