2
Dunque ho avuto, sempre più, la voglia di conoscere in maniera più
approfondita il sistema economico italiano degli ultimi due
decenni, in particolare degli anni Novanta, al fine di poter elevare il
mio grado di professionalità e conoscere più a fondo ciò che mi
circonda quotidianamente.
Il lavoro si è svolto senza particolari problemi grazie all’aiuto ed
alla competenza dei responsabili della biblioteca Federico Caffè
4
,
della facoltà di Economia e Commercio dell’Università la
Sapienza.
Inoltre devo ringraziare la mia famiglia, senza la quale non avrei
mai raggiunto l’obiettivo della laurea.
Infine tutti coloro che mi sono stati vicino in questi lunghi anni di
studio, in particolare, in ordine sparso: Luigi Nascani, Clizia
Gurreri, Concetta Pianura, Francesco Gasbarri, Giuseppe e Robert
Scarica, Francesco Carlotta, Massimiliano Clemente.
4
Federico Caffè è stato uno dei più illustri economisti italiani del Novecento,
dapprima presso la Banca d'Italia, poi docente universitario a Messina, a Bologna
ed infine e lungamente a Roma. Come studioso e docente ha lasciato nei suoi
interlocutori, colleghi ed allievi un'impronta straordinaria, divenendo una figura
quasi leggendaria sia per la sua profonda umanità, sia per il suo rigore morale e
intellettuale, sia per il suo intenso ed incessante impegno scientifico, pedagogico
e civile. E' scomparso misteriosamente nell'aprile 1987.
Opere di Federico Caffè: tra le sue numerose opere scientifiche, didattiche e
d'intervento civile: Saggi sulla moderna <<economia del benessere>>; Politica
economica, due volumi; Teorie e problemi di politica sociale; Un'economia in
ritardo; Lezioni di politica economica; In difesa del welfare state; La solitudine
del riformista.
3
INTRODUZIONE
Agli importanti eventi occorsi negli anni Novanta, come la
svalutazione della lira del 1992, l’introduzione dell’euro, le
privatizzazioni, ecc. il capitalismo italiano ha risposto, secondo
alcuni osservatori, con una <<vivacità>> imprenditoriale, che ha
consentito alle imprese italiane di superare le mille difficoltà,
strutturandosi in nuove forme organizzative o adattando le vecchie
alle nascenti esigenze, inoltre tale dinamismo ha permesso di
cogliere le opportunità che strada facendo si prospettavano.
Le privatizzazioni, i nuovi codici
5
, l’ingresso dell’Italia nell’area
euro, la nascita di <<nuovi protagonisti>>, in particolare, hanno
profondamente cambiato gli scenari politici ed economici su cui
ruotava il capitalismo italiano.
All’interno di questo quadro, il sistema industriale italiano si
presenta apparentemente come un sistema <<dicotomico>>: da un
lato la grande impresa, privata e pubblica, la quale, dopo i rilevanti
progressi degli anni Cinquanta e Sessanta, non è più riuscita a
svolgere il ruolo di modernizzazione e di propulsione alla crescita,
che da essa ci si attendeva; dall’altro il sistema delle piccole
5
Dal testo unico della Banca del 1993 al testo unico della Finanza del 1998.
4
imprese, caratterizzato da una notevole <<vivacità>> e
<<flessibilità>>, ma anche della limitata capacità di effettuare
<<salti>> dimensionali. Tuttavia non tutti gli studiosi ritengono
che l’assenza di rapidi processi di crescita delle Pmi sia da
considerare un fattore di debolezza del nostro sistema industriale.
In particolare, gli studiosi dei sistemi locali di piccola impresa, o
distretti industriali, pongono l’accento sulla necessità di riferire la
capacità competitiva al sistema piuttosto che alle singole imprese.
Tali mutamenti delle condizioni del contesto in cui operano le
imprese stanno determinando l’evoluzione interna dei sistemi nella
struttura e nell’organizzazione delle relazioni di sub-fornitura, di
gestione del magazzino, dell’approvvigionamento, della raccolta
degli ordini, delle attività di marketing, ecc.
Partendo da tali premesse, l’oggetto e compito di questo lavoro è di
individuare, all’interno del panorama italiano, i <<nuovi
protagonisti>> alla luce degli eventi epocali che hanno attraversato
il nostro Paese e di analizzare la loro capacità di competere con le
altre aziende in un mercato sempre più globale.
Questa tesi è stata articolata in tre capitoli.
Il primo è suddiviso a sua volta in tre paragrafi, dedicati al Sistema
monetario europeo (Sme), alle privatizzazioni ed all’ingresso
dell’Italia in Europa con l’adozione dell’euro.
5
L’analisi dello Sme parte dal 1979, data di partenza del sistema
fino alla crisi valutaria del 1992, quando l’Italia decide di uscirne
fuori. In particolare vengono analizzate le motivazioni che
spingono l’Italia ad aderire al Patto e le conseguenze che tale
adesione ha sull’economia italiana.
Il secondo paragrafo si occupa delle privatizzazioni, dai primi
tentativi non andati a buon fine dei primi anni Ottanta fino alla
dismissione del patrimonio dell’Iri e la sua conseguente
liquidazione. Nell’appendice A viene trattata la privatizzazione e la
riforma del sistema bancario italiano dal 1992 al 1998.
Nel terzo paragrafo si delineano le manovre poste in essere per
aderire alla moneta unica ed i riflessi che hanno sull’economia
italiana.
Tutto il primo capitolo ha il ruolo di introdurre e far conoscere il
sistema economico italiano nella sua evoluzione storica, al fine di
poter analizzare le particolarità dei <<nuovi protagonisti>> e di
come si inseriscono in questo contesto.
Il secondo capitolo sviluppa in maniera esauriente il tema centrale
della tesi, ossia chi sono i <<nuovi protagonisti>>, perché
emergono e quali sono le caratteristiche che li differenziano dagli
altri operatori sul mercato.
6
Il primo paragrafo permette al lettore di identificare il fattore
organizzativo-imprenditoriale (O-I) alla base della crescita dei
<<nuovi protagonisti>>, mentre il secondo si occupa della
riorganizzazione aziendale dei primi anni Ottanta. Nel paragrafo si
fa riferimento ai nuovi metodi di organizzazione aziendale che
vengono utilizzati: dalla deverticalizzazione, all’introduzione della
meccanizzazione flessibile.
Nel terzo paragrafo viene analizzato il tema centrale della tesi: i
<<nuovi protagonisti>>, chi sono e la loro rilevanza.
L’identificazione è basata su tre criteri.
Il primo è che l’attività risulti da iniziative imprenditoriali avviate
nel secondo dopoguerra; il secondo, che non ci siano stati passaggi
di proprietà nel periodo considerato, ad esclusione di passaggi
generazionali o management buy-out
6
, i quali abbiano comunque
garantito la continuità della gestione strategica; il terzo, infine, che
l’azienda abbia assunto dimensioni di rilievo nell’ambito
dell’industria manifatturiera nazionale.
6
Acquisizione dall'interno. L'acquisizione del controllo di maggioranza o della
totalità del capitale di un'impresa da parte dei suoi dirigenti, che provvedono
successivamente a gestirla in proprio. Il capitale necessario per l'operazione
viene preso in prestito dando come garanzia le attività dell'impresa, generalmente
tali operazioni sono supportate da elevati volumi di debito.
7
Lo studio continua analizzando la dislocazione geografica, i tassi di
crescita, il fatturato e con il confronto tra i <<nuovi protagonisti>>
ed i leader di ogni settore.
L’ultimo capitolo, invece si occupa del nodo della competitività, in
particolare degli elementi di criticità, che sono la diminuzione delle
esportazioni, il basso tasso di R&S, il livello non adeguato di
capitale umano, l’esigua percentuale della forza lavoro impiegata,
la paura di perdere il controllo famigliare delle imprese,
l’inefficiente gestione finanziaria delle imprese e del loro rapporto
con il sistema bancario e la fragilità del modello di specializzazione
internazionale dell’industria italiana.
Ognuno di questi elementi viene analizzato per fornire un quadro il
più possibile ampio della situazione attuale dell’economia italiana.
8
CAPITOLO 1
IL CAPITALISMO ITALIANO
9
Il Sistema Monetario Europeo (1979-92)
L’economia italiana, dopo il periodo della <<ricostruzione>> e del
<<miracolo>> economico, ha sempre registrato, di decennio in
decennio, una riduzione dei tassi di crescita
7
.
Negli anni Sessanta s’era registrata la convergenza straordinaria di
fenomeni quali:
- l’ampia disponibilità a basso prezzo di un fattore
produttivo, il lavoro, grazie soprattutto alla
migrazione interna dal sud verso il nord;
- l’apporto del progresso tecnico teso ad innovare i
processi produttivi;
- la dinamica esplosiva della domanda.
Invece negli anni Settanta l’aumento del costo del lavoro, la
debolezza della crescita della domanda non consentono di
effettuare ulteriori massicci investimenti, con conseguente
irrigidimento delle strutture di costo, nella ricerca di nuove
economie di scala.
7
FILIPPI E. – ZANETTI G. (2001), “La grande impresa italiana nell’ultimo
quarto di secolo.”, L’industria, 4, pp. 603
10
Inoltre, l’Italia è sottoposta agli effetti destabilizzanti degli shock
petroliferi, delle spinte inflazionistiche alimentate dalla spesa
pubblica e da un’aggressiva politica salariale, che la portano ad una
grave crisi valutaria, con forti ripercussioni sul cambio e per
fronteggiare tale emergenza, chiede di aderire al Sistema monetario
europeo. Ci fu scontro interno
8
, perché vincolarsi a questo regime
significava abbandonare la pratica, molto utilizzata negli anni
Settanta, delle svalutazioni
9
per rendere competitiva un’economia,
come la nostra, segnata da forte inflazione e debito pubblico in
costante aumento. In considerazione di questi problemi, le autorità
monetarie italiane avevano chiesto e ottenuto per l’Italia un regime
di favore, nel senso che il margine tollerato di oscillazione, che per
tutti i Paesi era stato fissato al 2,75 per cento al di sopra ed al di
sotto della parità centrale, venne portato per l’Italia al 6 per cento.
10
Con queste precauzioni, nell’aprile 1979, il Parlamento approvò
l’ingresso dell’Italia nello Sme. Al Sistema aderirono inizialmente i
sei Paesi della Comunità economica europea.
8
Alla proposta del governo Andreotti, si oppose duramente il Pci e forti
perplessità giunsero anche da Paolo Baffi, governatore della Banca d’Italia.
9
Diminuzione (ufficiale) del valore di una divisa nei confronti di un'altra divisa,
in un regime di cambi fissi o controllati, permette a chi la opera di esportare
maggiormente prodotti legati al fattore prezzo, perché con la svalutazione della
moneta questi costano meno e sono più appetibili per gli stranieri.
10
Lo stesso trattamento venne riservato alla Gran Bretagna e alla Spagna,
quando, negli anni successivi, aderirono al Sistema monetario europeo.
11
Lo Sme aveva tre obiettivi fondamentali:
- stabilizzare i tassi di cambio per correggere
l'instabilità esistente;
- ridurre l'inflazione;
- preparare, mediante la cooperazione, l'unificazione
monetaria europea.
Gli elementi basilari di questo Sistema erano tre:
- L'European currency unit (ecu): si trattava di una
moneta composta, o paniere di monete, formata da
percentuali determinate da ognuna delle monete
partecipanti stabilite in funzione dell'apporto del
relativo Paese alla Comunità ed agli scambi
comunitari. Il valore del paniere si calcolava
moltiplicando il peso attribuito ad ogni moneta per il
suo tasso di cambio rispetto all'ecu.
È una moneta che si utilizzava concretamente per
specificare il bilancio comunitario, non essendo
moneta di corso legale. Serviva come mezzo di
pagamento e riserva delle banche centrali.
12
- Un meccanismo di tassi di cambio ed intervento
(Mtc): è il nucleo basilare dello Sme. Lo Mtc
stabiliva per ognuna delle monete un tipo di cambio
centrale dell'ecu, perno centrale, ed alcuni tassi di
cambio centrali o parità fisse di ogni moneta rispetto
alle restanti, perni laterali.
Attorno alla griglia di uguaglianza, formata da tutti i
tassi di cambio bilaterali, dovevano stabilizzarsi i
distinti tassi di cambio delle monete partecipanti,
essendo le banche centrali compromesse ad
intervenire per cercare di mantenere le loro monete
sempre entro il margine di fluttuazione stabilito.
- Fondo europeo di cooperazione monetaria (Fecom):
creato nell'ottobre 1972, le cui funzioni principali
erano:
facilitare gli interventi nei mercati di valute;
effettuare le liquidazioni tra le banche
centrali;
gestire le agevolazioni di credito a breve
termine associate allo Sme.
13
La creazione di un mercato finanziario unico, che aveva lo scopo
di tenere per quanto possibile, stabili i cambi
11
nell’ambito dei
Paesi europei, produsse come conseguenza la necessità per ogni
Paese di adeguare i propri tassi d’interesse interni ai tassi vigenti
nei mercati europei. In questa situazione, i tassi d’interesse di ogni
Paese dovevano equilibrarsi a quelli dei mercati internazionali: un
livello più basso avrebbe scatenato fughe di capitali, mentre un
livello più alto non era necessario, non essendovi disavanzi delle
partite correnti da compensare mediante importazioni di capitali. Al
tempo stesso, la possibilità di fare affidamento sul mercato
internazionale per ottenere importazioni di capitali consentiva ai
Paesi partecipanti di considerare il vincolo della bilancia
commerciale come assai meno rigido di prima, poiché un eventuale
passivo nei movimenti di merci poteva infatti essere compensato da
una equivalente importazione di capitali
12
.
Sul piano istituzionale, il primato degli obiettivi finanziari su quelli
reali venne consacrato con l’affermazione che in ogni Paese la
11
GRAZIANI A. (1998), “Lo sviluppo dell’economia italiana. Dalla
ricostruzione alla moneta europea.”, Torino, Bollati Boringhieri, pp. 129 il
quale, inoltre aggiunge che tale obiettivo, porta in secondo piano quello
dell’occupazione e dell’integrazione finanziaria.
12
Come ricorda Graziani, Ibidem, pp. 177 se cambi esteri e prezzi sono rigidi, è
sempre possibile agire sul tasso d’interesse e stimolare movimenti di capitali: per
questa via, un disavanzo dei movimenti di merci può essere compensato
mediante un avanzo nei movimenti di capitali fino a riportare in pareggio la
bilancia dei pagamenti.
14
Banca centrale, riconosciuta come custode dell’equilibrio
monetario, avrebbe dovuto godere di una autonomia sempre più
completa e svincolarsi dal controllo delle autorità politiche,
tendenzialmente inclini a violare gli equilibri finanziari pur di
soddisfare le istanze provenienti dai più diversi settori sociali. In
Italia fino al 1981, anno del <<divorzio
13
>> tra Banca d’Italia
14
e
Tesoro, il controllo della base monetaria non è ancora saldamente
in mano a Banca d’Italia.
Quest’ultima è infatti costretta ad essere acquirente residuale dei
titoli emessi dal Tesoro e non collocati sul mercato. Vi è, quindi, un
parziale finanziamento automatico del fabbisogno del Tesoro con
base monetaria. Dopo il <<divorzio>> del 1981 cessa l’obbligo per
la Banca d’Italia di intervento residuale in asta
15
.
13
Processo che può dirsi concluso solo nel 1993 dopo che, nel 1992, il tasso di
sconto è stato dichiarato di competenza esclusiva della Banca d’Italia e, nel
1993, una decisione analoga ha riguardato le riserve obbligatorie.
14
Come evidenzia ADDIS E. (1987), “Banca d’Italia e politica monetaria: la
riallocazione del potere fra Stato, Mercato e Banca centrale, Stato e mercato, 1,
pp.73-95, la banca centrale si incarica di determinare, in vista di una certa
gestione dell’economia, la quantità di liquidità, il tasso d’interesse ed il tasso di
cambio, ora questo è predeterminato con l’introduzione dell’euro.
15
Il funzionamento del mercato delle obbligazioni si basa su di un sistema di
asta suddiviso in quattro fasi: asta preventiva, definitiva, fase di aggiudicazione e
fase di chiusura. La prima fase ha luogo dalle 8,45 alle 10,15 ed è deputata
all’inserimento degli ordini. Nella seconda fase ha luogo l’asta vera e propria e
vengono determinati i prezzi, mentre nella terza fase vengono incrociate le
proposte che vengono perfezionate nella fase di chiusura. Il regolamento
(pagamento dei titoli) deve avvenire entro due giorni nel caso dei Bot ed entro
tre giorni nel caso degli altri titoli di Stato. Il prezzo ufficiale è rappresentato dal
prezzo di apertura.
15
Il passaggio dal controllo diretto al controllo indiretto del credito
non consentiva più al Tesoro di far ricorso a vincoli amministrativi
per agevolare il collocamento dei titoli presso le banche, né
permetteva un elevato finanziamento con base monetaria del suo
fabbisogno
16
.
I riflessi del nuovo corso monetario, che ormai era saldamente in
mano alla Banca d’Italia
17
, si manifestarono con un aumento dei
tassi di rendimento che lo Stato ebbe a pagare per finanziarsi.
Già a partire dal 1981 i tassi di interesse in termini reali divennero
positivi e presto si portarono ad un livello superiore al saggio di
crescita del reddito.
Effetti peraltro voluti in un primo momento dall’impostazione
antinflazionistica della politica monetaria che avviò così il processo
di rientro dall’inflazione.
ù d
16
ARCELLI M. – MICOSSI S. (1997), “La politica economica negli anni
Ottanta, e primi anni Novanta.”, Economia italiana, ½, pp. 306
17
ADDIS E. (1987), op. cit., pp. 92