16
insomma essenziale alla struttura dell’impresa manifatturiera, che ha
decentrato alcune fasi della produzione, o all’impresa di servizi
altamente automatizzata, non solo ricercare le nuove professionalità
ma anche immaginare una struttura contrattuale capace di incorporare
una nuova dimensione temporale e spaziale del lavoro.
La ricerca della flessibilità nell’utilizzo del lavoro
costituisce la nuova frontiera degli imprenditori europei, tanto
importante da sollecitare l’interesse dei poteri pubblici, intervenuti
con variazione di intensità a disciplinare il fenomeno. Certo il più
marcato ingresso sulla scena, dei pubblici poteri, rispetto al passato,
ha avuto un obbiettivo preciso. Esso non si è tradotto sempre, come
era auspicabile, in una dinamica in ascesa dell’occupazione ma anche
ha favorito la richiesta di modifica delle regole del gioco per
assicurare l’incontro tra domanda ed offerta di lavoro flessibile.
Sembra certo, infatti, che l’occupazione del fattore lavoro
nel settore privato, se ha segnato una crescita negli Stati Uniti, ha
registrato un debole aumento nei Paesi comunitari e tra i motivi
sottostanti alle due tendenze sono indicate, accanto alla più elevata
sindacalizzazione degli occupati nei Paesi europei rispetto agli Stati
Uniti, le politiche di stabilizzazione economica effettuate dai Governi
europei
2
.
Queste ultime se aumentano la stabilità dei sistemi
economici dall’altro determinano un livello di occupazione stagnante
o di crescita moderata. Non solo, ma è la stessa qualità degli standard
legali protettivi dell’occupazione, più forti nel contesto europeo
rispetto a quello statunitense, che frenerebbe l’incremento
occupazionale
3
.
1
Accornero, Carmignani, I paradossi della disoccupazione, Il Mulino, Bologna.
2
Predetti, Ostacoli alla flessibilità dell’impiego, IS.
3
Carra, Pugliese, I cambiamenti dell’occupazione in Italia nel quadro europeo, DLRI.
17
La politica degli imprenditori europei è dunque tutta
proiettata sulla gestione elastica della forza lavoro nella duplice
direzione della ricerca di sottotipi contrattuali con i quali acquisire
nuova forza lavoro all’impresa (flessibilità cd. esterna o numerica) e
della modificabilità delle condizioni normative alle quali gli occupati
prestano lavoro (flessibilità cd. interna o funzionale)
4
.
È convinzione diffusa che se la sicurezza del lavoro resta
l’obiettivo primario per i lavoratori, la protezione del “posto”
attraverso regole giuridiche introduce un elemento di rigidità
economica nel mercato del lavoro
5
.
Le tendenze verso la creazione di un mercato comune
europeo sembrano orientate in direzione di una politica deregolativa
piuttosto sostenuta; è interessante allora vedere in che misura la
richiesta della flessibilità è stata accolta dai pubblici poteri e
amministrata dagli stessi in sintonia o distonia con gli altri soggetti del
mercato, se quindi il contratto di lavoro è in grado ancora oggi di
svolgere la funzione di “contenitore” di quell’equilibrio tra gli
interessi coinvolti nella relazione sociale di lavoro.
La flessibilità può riguardare non solo i profili temporali del
contratto di lavoro e della prestazione ma può porsi come variazione
dell’oggetto della stessa, e cioè il lavorare per un datore di lavoro
diverso da quello da cui si è assunti. La domanda di flessibilità per la
verità ha fatto emergere in superficie un fenomeno diffuso e
4
Oecd, Labour Market Flexibility, E&L: secondo questo autorevole osservatorio internazionale le
condizioni di lavoro, le consuetudini e gli accordi sul lavoro insieme al costo del lavoro e alle
discipline legislative relative al mercato del lavoro, alla mobilità interna ed esterna,
all’addestramento e alla formazione, sono i fattori che condizionano maggiormente la flessibilità
del mercato del lavoro.
5
Oecd, …, E&L: i provvedimenti relativi alla sicurezza del posto di lavoro impongono
generalmente costi aggiuntivi sulle imprese; tali politiche assicurano posti stabili ai lavoratori, ma
impediscono adattamenti rapidi ai mutamenti nelle condizioni di lavoro e incoraggiano spesso
l’utilizzo di lavoro irregolare o nero.
18
largamente conosciuto
6
. Si tratta di una relazione socio-economica
triangolare tra impresa da cui dipende giuridicamente il lavoratore,
quest’ultimo e l’imprenditore che si avvale del suo lavoro,
ricevendone effettivamente la prestazione. Ma la novità rispetto al
passato è nel sostanziale assestamento della figura al fine di renderla
compatibile con l’ispirazione antifraudolenta che assiste la disciplina
generalmente inderogabile in tema di incontro tra domanda ed offerta
di lavoro.
Il modello presenta una singolare dicotomia tra l’obbligo del
lavoratore di dipendere dal datore di lavoro, al quale è legato da un
rapporto spesso formalizzato in contatto, e l’obbligo di sopportare
all’autorità dell’impresa che di fatto utilizza la prestazione.
Sociologicamente, ed anche dal punto di vista economico, il lavoro
prestato è sempre facilmente identificabile dal momento che esso
costituisce il contenuto di una prestazione effettiva fornita a vantaggio
di una impresa a cui il lavoratore non è contrattualmente vincolato.
La flessibilità in questa fattispecie si presenta nella sua
versione per così dire più pura, dal momento che è la stessa
subordinazione ad essere sublimata nella forma della messa a
disposizione da parte del lavoratore delle proprie energie. È come se,
nel momento in cui egli instaura un rapporto con un imprenditore, si
impieghi a essere a disposizione, senza condizioni, dell’altro
contraente.
La manifestazione del consenso nel momento in cui egli
accetta di stipulare un contratto di tale tipo lo impegna in modo da
ridurre ogni determinazione ulteriore della sua volontà, che si annulla
nella fase di svolgimento del rapporto.
6
Naletto, Limiti all’introduzione del “travail interimaire” nell’ordinamento italiano, RDL.
19
I rischi connessi sono molteplici sia nella direzione
dell’aggiramento della disciplina statale del collocamento, che in
quella della certezza degli obblighi e dei diritti che scaturiscono dal
duplice rapporto che il lavoratore instaura con chi lo assume e con chi
esercita la funzione di datore di lavoro.
Si spiega così l’evoluzione subita dalla disciplina della
figura che si assesta sulle coordinate normative proposte dalla legge e
dalla contrattazione collettiva.
Ambedue hanno elaborato antidoti alla flessibilità del titolo,
riconducendolo anzitutto nel quadro di una fisionomia contrattuale che
riduca l’incertezza e la precarietà del rapporto sottostante.
Si tratta del lavoro interinale propriamente detto,
inquadrabile come i precedenti, secondo la maggior parte delle
esperienze europee, nella categoria del lavoro temporaneo e distinto
da figure consimili, pur diffuse nello scacchiere europeo, quali il
prestito dei propri dipendenti ad un terzo o il comando degli stessi
all’interno di società collegate
7
.
La definizione che ne fornisce la Direttiva CEE del 25
giugno 1991, n. 383, che completa le misure volte a promuovere il
miglioramento della sicurezza e della salute durante il lavoro dei
lavoratori aventi un rapporto a durata determinata o un rapporto di
lavoro interinale, descrive il fenomeno come un rapporto esistente “tra
l’agenzia di lavoro interinale, che è il datore di lavoro, e il lavoratore,
quando quest’ultimo è messo a disposizione per lavorare per e sotto il
controllo di una impresa e/o di uno stabilimento utilizzatore”. La
definizione che troviamo in questa Direttiva è sicuramente “a maglie
larghe”, tale da comprendere e regolamentare nella fattispecie l’intero
fenomeno interpositorio.
7
Veneziani, The New Labour…, Giornale di diritto del lavoro e di relazioni industriali n. 58, 1993
20
2. Le politiche dei Governi europei in materia di
occupazione
L’insieme dei provvedimenti che sono stati approvati dal
Governo in materia di occupazione vanno giudicati nel loro
complesso.
La necessità di considerare l’insieme delle politiche
finalizzate all’occupazione, che sono fra esse diversificate, è ormai
messa in rilievo dagli esperti e da tutte le istituzioni internazionali e
nazionali che si occupano della materia. Indicazioni chiare in questo
senso si trovano nei documenti dell’Unione Europea, in particolare nel
cosiddetto “libro bianco” di Delors che costituisce la base da cui sono
state sviluppate le politiche europee dell’impiego e le prese di
posizione dei Consigli dei Ministri europei.
La complessità delle politiche di sostegno dell’occupazione
implica che nessuna specifica iniziativa da sola è sufficiente ad
affrontare il problema; un problema che sembra insolubile soprattutto
in Europa. Occorre un “mix” calibrato di politiche diverse, che
secondo le indicazioni europee combinino tra loro almeno tre linee di
azione principali:
1) investimenti selettivi soprattutto in grandi infrastrutture e in settori
nuovi ad altra intensità di lavoro;
2) misure di flessibilità del mercato del lavoro;
3) investimenti in educazione e informazione nonché in ricerca, per
massimizzare la qualità del “capitale umano”.
Queste linee di azione sono alla base anche delle iniziative
prese di recente dal Governo italiano. Nel caso dell’Italia
21
l’applicazione delle indicazioni europee richiede un’attenta
specificazione perché il nostro Paese, oltre che per altri settori,
presenta aspetti particolari anche per la questione occupazionale.
Del resto questo non è un motivo di sorpresa; la
disoccupazione, pur essendo un male europeo e una questione di
dimensione internazionale, è un fenomeno in sé diseguale.
Il caso italiano dimostra in modo esemplare la
diseguaglianza del problema occupazionale in diverse aree
geografiche e per diversi gruppi di popolazione; ma analoghi
fenomeni si trovano anche in altri Paesi.
L’Italia, poi, è caratterizzata da una corposa area di
sommerso e da un elevato rapporto tra lavoro autonomo e lavoro
subordinato.
22
3. L’evoluzione dell’ordinamento verso forme
flessibili di impiego della manodopera.
Esigenze e modi della flessibilità.
“Flessibilità” non è più solo un termine per dibattiti alla
moda, usato invariabilmente con carica retorica favorevole o
sfavorevole: per il giurista del lavoro è ormai, da qualche anno,
termine di confronto concreto, riassunto di un’evoluzione reale del
nostro ordinamento. Da bandiera sventolata con vigore da un mondo
imprenditoriale voglioso di cambiamenti (e forse di qualche rivincita),
esso è divenuto carattere importante dell’evoluzione legislativa degli
anni ’80, sino ad entrare nello strumentario concettuale del
giuslavorista e di altri operatori del settore, compresi quelli di parte
sindacale
8
.
Come sempre accade, tuttavia, la traduzione concreta nei
dati normativi di spinte emergenti della realtà economica, ne smussa
gli spigoli più pungenti: ciò avviene non solo in virtù dei meccanismi
del compromesso politico e sociale che stanno alla base di ogni atto
legislativo, ma anche per la forza di resistenza dei principi
dell’ordinamento e dei suoi singoli settori, principi che si formano in
tempi lunghi più che sulla spinta dell’attualità. E così può dirsi
senz’altro che l’ordinamento lavoristico italiano conosce oggi molta
più flessibilità che in passato, ma anche che tale flessibilità si è
espansa gradualmente nella nostra legislazione, e tutto sommato
armonizzandosi con le sue linee di fondo (anche se spesso in maniera
difficoltosa sul piano tecnico), contribuendo nel contempo a mutarle.
23
La linea di lettura che emerge dalla riflessione dottrinale
sembra compendiare sufficientemente le varie spinte ed esigenze che
stanno alla base della flessibilità: se è vero che questa emerge
soprattutto come esigenza dell’impresa, e pone in maniera ancora più
forte il problema del controllo sull’uso di manodopera marginale e
perciò più debole, è anche vero che, almeno per alcune fasce di
lavoratori, essa può realizzare una “liberazione del tempo” come
“produzione di nuove occasioni di occupazione e di nuovi schemi di
vita non orientati dai valori lavorativi”
9
.
Le analisi più recenti, in realtà, avanzano forti dubbi sulla
riuscita della strategia delle forme flessibili di impiego come lotta alla
disoccupazione, anche se rimane probabilmente vera “l’indicazione
della regolazione flessibile come strumento per l’emersione a legalità
di fasce di lavoro nero e sommerso”
10
.
Ciò che più importa, ai nostri fini, è comprendere quali
siano le linee fondamentali e omogenee di una legislazione che, nel
corso di più di un decennio, ha istituito o regolamentato per la prima
volta figure particolari di lavoro subordinato (contratti di formazione e
lavoro, part-time), ha allargato le possibilità di accesso a istituti in
precedenza visti con sfavore (contratti a termine), ha incentivato
soluzioni flessibili di singole crisi occupazionali (cassa integrazione,
contratti di solidarietà, nuova disciplina dei licenziamenti collettivi e
procedure di mobilità), ha persino istituito specifiche forme di
impiego esterne all’area del lavoro subordinato (rapporti con lo
svolgimento di attività di utilità collettiva), ecc.
All’organizzazione sindacale, come agente contrattuale, o
nel ruolo istituzionale o partecipe di organismi pubblici di controllo, è
8
Scarpelli Franco, L’ipotesi del lavoro intermittente tramite agenzia nell’ordinamento giuridico
italiano, DRI, n. 1, 1992.
9
Vaselli, La produzione di nuove occasioni di occupazione, 1986.
24
spesso attribuito il compito, certo non facile, di garantire le condizioni
della flessibilità, e l’orientamento di questa a reali esigenze funzionali
e produttive più che al mero abbattimento del costo del lavoro.
Il coinvolgimento sempre maggiore dell’organizzazione
sindacale, nella doppia veste contrattuale e istituzionale, è dunque
probabilmente il fenomeno più appariscente e interessante, le cui
radici possono rintracciarsi in realtà nella stessa legislazione “di
sostegno” al lavoro degli anni ’60 e ’70.
Affrontando nel quadro così sommariamente richiamato
l’ipotesi del lavoro interinale, si pone il problema, ancora prima di
valutare quello specifico della sua legittimità, della sua omogeneità o
disomogeneità rispetto alle linee sistematiche dell’ordinamento;
l’ipotesi del lavoro intermittente va ad incidere su uno dei cardini
essenziali della disciplina del lavoro subordinato
11
: la tassativa
riconduzione della titolarità e della responsabilità giuridica del
rapporto di lavoro al soggetto che effettivamente utilizza la
prestazione, ovvero la necessaria identificazione del creditore della
prestazione lavorativa in colui che la organizza e gestisce come
subordinata. Il concetto di “utilizzazione” della prestazione richiama
immediatamente la normativa del 1960 in tema di interposizione:
normativa la cui validità, in rapporto stretto con la nozione centrale di
subordinazione dettata dall’art. 2094 c.c., è stata da tempo sottolineata
e della quale si è per molto discusso, tentando una rilettura evolutiva
anche con riferimento alle esigenze dei settori più avanzati
dell’economia.
I lavoratori interessati a tale forma di impiego sembrano
destinati, come e più dei lavoratori a termine, part-timers, giovani in
formazione e lavoro, ecc., a costituire una fascia tendenzialmente
10
Giugni,1983.
25
debole sul piano dell’organizzazione sindacale. Potranno forse
immaginarsi delle vie di interazione, sul piano collettivo, tra lavoratori
intermittenti dipendenti dalle agenzie e lavoratori delle imprese
utilizzatrici, introducendo ad esempio strumenti di controllo da parte
dei sindacati presso le imprese utilizzatrici sull’impiego e sui
trattamenti dei lavoratori intermittenti; o ancora introducendo
meccanismi di collegamento tra i trattamenti goduti dai lavoratori
intermittenti e quelli delle imprese utilizzatrici come già previsto per
la manodopera impiegata in appalti di fasi del ciclo produttivo, le cui
numerose difficoltà tecniche ne rendono dubbia l’efficacia
12
.
Realisticamente, non può dirsi, né prevedersi, insidiata la
centralità del lavoro dipendente a tempo pieno e indeterminato, né la
conseguenza tipica della utilizzazione della manodopera nella
fabbrica, cioè il diffuso sistema di garanzie poste a presidio di tale
utilizzazione
13
.
Altrettanto realisticamente, peraltro, va preso atto che
diversi fattori, quali il riassetto tecnologico, la recessione e la
disoccupazione presentano, con rilevanza sicuramente maggiore
rispetto al passato, esigenze di flessibilità quanto all’organizzazione
dell’impresa e alla utilizzazione della manodopera.
La “impresa flessibile” si organizza sempre più per cerchi
concentrici: al centro, e con posizione di permanente prevalenza, la
forza lavoro stabile (specificamente professionalizzata e fedele),
vincolata da contratto a tempo indeterminato; successivamente, in
11
Ichino, Subordinazione e autonomia del diritto del lavoro, Milano, Giuffré, 1979.
12
Scarpelli Franco, L’ipotesi del lavoro intermittente…, citato alla precedente nota 8.
13
Spagnuolo Vigorita Luciano, Note sul lavoro intermittente tramite agenzia, DRI, 1992.
26
periferia, il personale ad impiego ridotto, e tra questo, nella zona più
lontana dal centro, appunto il personale a lavoro intermittente
14
.
L’interesse imprenditoriale alla flessibilità dell’impiego
della manodopera spinge al ricorso di strumenti giuridici diversi ed
innovativi.
Attraverso la flessibilità funzionale
15
, si tende a rendere più
elastica la concreta utilizzazione della forza lavoro:
- accentuando il profilo del “dominio” della prestazione (mobilità
interna, professionalità polifunzionale, orari di lavoro flessibili);
- viceversa, rinunciando al “dominio” della prestazione (ad esempio
il telelavoro), anche mediante l’eliminazione della personalità della
prestazione (job sharing) peraltro con forte accentuazione della
componente del risultato della prestazione (in termini qualitativi,
quantitativi, di risparmio, di continuità del flusso).
Attraverso la flessibilità numerica
16
si tende a garantire all’impresa
elasticità di accesso alla utilizzazione della manodopera, sia in termini
qualitativi, quanto alla selezione del personale da reclutare, sia in
termini quantitativi, e nel senso, articolatamente:
- di conservare la più ampia facoltà di risoluzione del rapporto di
lavoro;
- di poter limitare nel tempo l’impiego della manodopera (contratto a
termine e in particolare lavoro solo festivo e notturno);
- di avere la facoltà di perseguire risultati affini a quelli affidati al
“dominio” della prestazione lavorativa, peraltro senza incardinare i
relativi rapporti (lavoro a domicilio, lavoro decentrato);
14
Perulli, Le relazioni industriali e i due fronti della flessibilità, DLRI, 1986; Spallacci, Politiche e
strumenti di flessibilità del lavoro, in Atti del Convegno, Flessibilità del lavoro: strumento di
competitività per gli anni ’90, Milano, 3 maggio 1991.
15
La cosiddetta “flessibilità interna”.
16
La cosiddetta “flessibilità esterna”
27
- di assicurarsi lo stesso “dominio” della prestazione, però ancora
senza acquisire la titolarità del rapporto.
Ed è appunto quest’ultimo lo strumento di flessibilità che,
insieme al “comando” o “distacco”, riguarda la fattispecie del lavoro
interinale.
Riguardo alla flessibilità, è da tempo accertato un interesse
dei soggetti implicati (imprese, sindacati, lavoratori) a compiere
insieme una parte di percorso: la tradizionale strategia sindacale, di
rappresentare interessi tendenzialmente uniformi e generali, viene
modificata a ritmi incalzanti, e avanza l’idea che la flessibilità del
lavoro possa rappresentare non un vincolo, ma la base per una nuova
strategia sindacale.
È tuttavia evidente che, tra le parti, gli obiettivi di fondo
della flessibilità non possono essere convergenti
17
: per i lavoratori,
infatti, l’attenuazione della uniformità e rigidità delle regole deve, per
un verso, essere rivolta a dare impulso all’acquisizione di più elevati
livelli di professionalità, e quindi alla contrattazione delle singole
condizioni di lavoro, nonché a svincolare l’applicazione lavorativa da
rigide esigenze produttive; per un altro verso, tuttavia, deve pur
sempre escludere così l’emarginazione dall’impiego, come la
utilizzazione della prestazione lavorativa a condizioni degradate.
Le esigenze di flessibilità, dunque, impongono la
individuazione di idonee soluzioni, tali da contemperare tutti gli
interessi in gioco.
Il messaggio proveniente dalla Comunità, per un verso,
indica con chiarezza il carattere strutturale e la irreversibilità del
diffuso ricorso al lavoro interinale e fa obbligo agli Stati membri di
eliminare le norme ostative alla conclusione di contratti che lo abbiano
17
Perulli, Diritto del lavoro e flessibilità. Linee di ricerca, LD, 1989.
28
ad oggetto; e, per un altro verso, concepisce la soluzione di una
disciplina certo meritevole di attenzione: quella di sottoporre anche la
prestazione di lavoro interinale allo stesso trattamento economico e
normativo in atto presso la singola impresa utilizzatrice.