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CAPITOLO 1
PARTNERSHIPS: OPPORTUNITA’ E PROBLEMATICHE
1.1 Il contesto di riferimento
Profondi e articolati processi di ristrutturazione economica, sociale e politica
hanno attraversato i paesi dell’Unione Europea nel corso degli ultimi vent’anni.
In particolare essi sono riconducibili a tre gruppi di processi collegati e
interdipendenti (Mingione 1996; 1997):
• La ristrutturazione industriale e l’aumento della pressione competitiva per
le imprese;
• La crisi dei sistemi di Welfare nazionali e dei servizi pubblici;
• Le nuove forme assunte dai percorsi di rappresentanza politica e di
cittadinanza;
Il primo punto è direttamente collegato ai processi di globalizzazione economica
in atto a partire dalla seconda metà degli anni ‘80.Tali processi si sostanziano
principalmente, seguendo quanto detto da Veltz, in processi di globalizzazione
finanziaria e crescita degli investimenti diretti transnazionali che hanno come
risultato un’apertura multiforme e multidirezionale delle singole economie
nazionali.
La dimensione nazionale nell’analisi economica diviene più problematica e meno
esplicativa, a causa di una competizione economica tra regioni sub-nazionali e
città che si aggiunge, e a volte si sostituisce, a quella tra singoli paesi.
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Le tradizionali modalità di governance basate su una chiara gerarchia di territori
(locale, regionale, nazionale, sovra-nazionale) vengono meno, e le nuove forme di
concorrenza e sviluppo economico richiedono la ricerca di nuovi percorsi di
governance.
Questo non significa però che l’economia vada perdendo ogni ancoraggio al
territorio e si stia trasformando in un’economia di flusso del tutto autonoma da
esso, poiché esistono alcune controtendenze che fanno riemergere l’importanza
dei contesti territoriali, e in particolare di quelli locali, all’interno dell’analisi
economica.
Due in particolare sono le controtendenze, individuate da Veltz, che spingono
verso un ancoraggio nel territorio dell’economia: la crescente importanza per la
competitività delle imprese sia delle competenze umane sia della dimensione
relazionale dell’economia.
Le competenze umane, il cui impatto è decisivo non solo nei settori dell’economia
“immateriale” ma anche in quelli dell’economia manifatturiera, sono incorporate
nelle persone che le possiedono.Da questo discende la loro scarsa mobilità e la
loro localizzazione territoriale, dato che il fattore produttivo rappresentato dal
lavoro è il meno mobile in assoluto.
Per crescita della componente relazionale dell’economia si intende invece che “le
componenti della competitività nel contesto attuale hanno in comune il fatto di
rinviare alla densità e alla qualità delle cooperazioni all’interno delle catene
produttive – all’interno delle imprese, fra imprese, fra imprese e clienti o utenti,
fra imprese e istituzioni – all’opposto delle segmentazioni e delle chiusure tipiche
dell’universo della grande impresa taylorista”
1
.
In questi termini, la fiducia fra gli attori economici delle diverse catene produttive
diviene una risorsa di primaria importanza per la competitività.Ma proprio la
fiducia diventa un aspetto problematico in un’economia sempre più aperta, fatto
1
Pierre Veltz, Le città europee nell’economia mondiale in “Le città nell’Europa Contemporanea”,
Napoli: Liguori Editore 2001, pag. 60.
5
da cui consegue il riemergere del territorio locale come di una dimensione
spaziale in cui la fiducia si può costruire e utilizzare.
Le imprese si sono dovute nel tempo adeguare a queste nuove caratteristiche
dell’economia rivedendo, tra le altre cose, i propri schemi organizzativi e il loro
rapporto con l’ambiente circostante. Sono così emerse nuove forme di lavoro
particolarmente precarie: part-time, occupazioni a basso salario, occupazioni a
tempo determinato e occupazioni saltuarie. A fronte cioè di una gran parte dei
cittadini dell’ Unione Europea che hanno beneficiato dei cambiamenti nella nuova
economia globale in termini di aumento dei redditi e marcato miglioramento delle
condizioni di vita, esiste comunque una cospicua parte di popolazione che ha
invece sperimentato fenomeni di disoccupazione e povertà.
Disoccupazione e povertà sono diffuse in maniera molto eterogenea nei territori
dei paesi membri dell’ Unione Europea.
In particolare, nel recente dibattito scientifico e politico il punto centrale è stato lo
slittamento dal concetto di povertà verso il concetto di esclusione sociale.
Il concetto di esclusione sociale è un concetto scivoloso e contestato (Mingione,
1996), la cui caratteristica principale è quella di andare oltre la povertà intesa
come “semplice” deprivazione materiale per porre l’accento invece su un insieme
di deprivazioni (tra cui anche quelle materiali) che impediscono a un cittadino di
esercitare completamente i propri diritti sociali, politici ed economici (Leibfried,
1993).
Il concetto di esclusione sociale si connota per una caratteristica molto
importante: la sua multidimensionalità. I processi che portano il singolo individuo
all’interno di dinamiche di esclusione si originano e agiscono cioè all’interno di
diversi ambiti o sfere:quella sociale, quella politica e quella economica.In altri
termini, una serie di deprivazioni di diverso grado e natura (come una inadeguata
istruzione, la mancanza di un posto di lavoro, la perdita del sostegno famigliare,
un deterioramento delle condizioni di salute, etc.) interagiscono tra di loro
all’interno di un circolo vizioso che può condurre l’individuo a divenire una figura
di non incluso nella società, non in grado di esercitare nel suo significato più
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ampio la propria cittadinanza (vedi anche Negri e Saraceno 2000).
Nel fronteggiare questi fenomeni i singoli Stati nazionali e i loro sistemi di
Welfare si sono trovati ad affrontare un insieme di crescenti difficoltà.
Rispetto alla multidimensionalità del fenomeno sopra esposto, la strutture
“classiche” del policy making nazionale sembrano essere inadeguate.
Proprio la struttura dei government nazionali non è che in grado di vedere solo
una parte dei problemi e, di conseguenza, di fornire una parte delle risposte, la cui
efficacia è poi un altro tema di dibattito. Proprio l’agire su dimensioni diverse
diventa critico per le autorità pubbliche.Si pensi a proposito alle difficoltà che i
singoli Stati nazionali hanno dovuto affrontare rispetto ai problemi posti da
un’economia che è soggetta a forze opposte che contemporaneamente spingono
verso fenomeni di globalizzazione e localizzazione. Il raggio di intervento della
politica pubblica è allo stesso troppo “lungo” per gestire fenomeni che hanno
caratteristiche specificatamente locali, e troppo “corto” per regolare processi che
assumono dimensioni transnazionali fino a divenire praticamente globali.
E’ emersa così la necessità di sviluppare nuovi approcci ai problemi sociali, in
grado di reimpostare in maniera più efficace ed efficiente i rapporti tra i diversi
livelli di government (dal livello locale fino a quello transnazionale, ad esempio
europeo) e tra le diverse sfere di intervento (sociale, economica e politica).
I percorsi e le forme della governance in Europa sono stati così rivoluzionati in
almeno tre dimensioni (Benington, 2001 ):
• Cambiamento dei rapporti tra i livelli, regionale, nazionale e sovra-
nazionale dello Stato; incremento della portata, delle competenze e
dell’influenza dell’Unione Europea; la costituzione di nuove istituzioni di
governance e amministrazione regionale e il rafforzamento dei rapporti
con i networks delle autorità locali;
• Cambiamento delle relazioni tra attori e istituzioni appartenenti alle sfere
dello Stato, del mercato e della società civile con l’attraversamento e la
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sfumatura dei confini tra queste sfere, anche come risultato dei processi di
privatizzazione e contracting out dei servizi pubblici;
• Lo sviluppo di nuove forme organizzative trasversali ( tra pubblico e
privato, policy community transnazionali, etc.) sempre più importanti con
l’emergere di sistemi pluralistici di networked governance;
Una delle forme caratteristiche emergenti in questo ambito è quella delle
partnerships, sia di quelle orizzontali tra pubblico, privato, organizzazioni del
volontariato e della comunità, sia quelle tra i livelli locale, regionale, nazionale e
sovra-nazionale del government.
Superare le barriere esistenti tra diverse sfere (sociale, economica, politica)
mettendo all’opera gli uni accanto agli altri partners diversi per natura, scopi e
interessi sembra essere una strategia vincente per attuare sia quell’integrazione di
conoscenze, esperienze e pratiche fondamentale per affrontare i multidimensionali
e trasversali problemi sociali e non oggi esistenti, sia per ricomporre in un quadro
unitario interessi e attori diversi con l’obiettivo di accrescere la coesione sociale in
seno ai paesi europei.
Proprio per questo quella delle partnerships è vista da alcuni come l’approccio
chiave nella lotta ai fenomeni di esclusione.
1.2 L’evoluzione storica delle partnerships
Il principio e la pratica delle partnership non sono nuovi all’interno dell’Unione
Europea.Lo sviluppo del concetto e della pratica delle partnerships è riconducibile
infatti a tre fasi principali temporalmente successive (Geddes e Benington, 2001).
In una prima fase, che dura in linea di massima per tutti gli anni ’80, si sviluppa
un modello tradizionale di partnership.Essa viene concettualizzata in maniera
strettamente formale come un insieme di relazioni istituzionalizzate tra attori
formali e rappresentativi.In questi termini la pratica delle partnerships ha per
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modello gli accordi tra capitale, lavoro e Stato che hanno caratterizzato lo
sviluppo europeo nella fase immediatamente successiva al secondo conflitto
mondiale.Le partnerships non sono altro in questa fase iniziale che grandi
concertazioni tra rappresentanti del governo, dell’universo imprenditoriale e dei
lavoratori (sindacati).
In una seconda fase, temporalmente posizionabile nel corso degli anni ’90, il
concetto di partnership ha subito un sostanzioso processo di approfondimento e
allargamento, fino a diventare una delle caratteristiche chiave delle pratiche
comunitarie in un insieme piuttosto ampio di settori di intervento.In questa fase
l’enfasi sulla pratica delle partnerships è supportata da un eterogeneo insieme di
attori rilevanti in ambito comunitario che vi vedono un importante modello di
sviluppo economico-sociale caratteristico del territorio europeo
(ECOSOC,ETUC,UNICE, etc.).
A metà degli anni ’90 è posizionabile una terza decisiva fase di sviluppo.In questo
periodo si è inteso specificare che nella pratica delle partnerships devono essere
coinvolte non solo le diverse autorità pubbliche territoriali (nazionali, regionali e
locali) all’interno di un frame cooperativo, ma anche altre realtà, rappresentative
dell’universo imprenditoriale, sindacale, e del volontariato. Inoltre, tale
partecipazione non deve più tradursi in una semplice consultazione, ma deve
avere gradi crescenti di partecipazione attiva per tutti i partners presenti.Le
partnerships vanno così ad assumere una fisionomia che è quella che arriva ai
giorni nostri.
Le partnerships diventano così la pratica dominante nel mainstreaming dei Fondi
Strutturali Europei e delle Iniziative Comunitarie tale da diventare “la nuova
ortodossia per la lotta all’esclusione sociale in Europa”
2
.
E’ tuttavia teoricamente ed empiricamente complesso riuscire a distinguere le
partnerships da altri fenomeni di collaborazione tra enti pubblici, privati e del
terzo settore che sono comunque attualmente presenti. In effetti, molte delle
2
Mike Geddes, International Journal of Urban and Regional Research, vol.24.4 Dicembre 2000,
pag.783.
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caratteristiche dei fenomeni di partenariato sono del tutto analoghe a quelle
mostrate da diversi fenomeni di lavoro inter-organizzativo e di collaborazione tra
organizzazioni appartenenti ad ambiti d’azione diversi.
E’ possibile, per fare chiarezza, pensare alle partnerships come a un punto posto
su un continuum i cui estremi sono rappresentati da relazioni tra i partners formali
e ben definite da una parte (assimilabili a quelle stabilite da un contratto), e da
relazioni più deboli e fluide dall’altro (assimilabili queste ultime invece a quelle
che caratterizzano una rete o network).
La messa in pratica dei partenariati in diversi paesi europei ha mostrato comunque
come essi possano possedere allo stesso tempo caratteristiche che li assimilino ad
entrambe le forme organizzative prima identificate, quelle del contratto e del
network.
Ciò nonostante è possibile individuare alcune caratteristiche che sono proprie dei
partenariati e che permettono di dare una definizione di lavoro specifica delle
partnerships (Benington e Geddes, 2001).
Tali caratteristiche sono:
• Una struttura organizzativa formale per il policy-making e la sua
implementazione;
• La mobilitazione di una coalizione di interessi e l’impegno di un certo
numero di partners;
• Un agenda comune e un programma di azione multidimensionale;
• L’essere un forum attraverso il quale combattere la disoccupazione, la
povertà e l’esclusione sociale favorendo la coesione sociale e l’inclusione;
E’ necessario tuttavia comprendere come la creazione e la messa al lavoro dei
partenariati racchiuda in sé un certo numero di tensioni, contraddizioni e
potenzialità che possono essere inserite in diversi ambiti problematici che
andremo ora ad analizzare.
10
1.3 Partnerships come risposta alla crisi di legittimazione dello Stato
Un primo importante ambito di discussione riguardo il fenomeno delle partnerhips
è quello riferito alla loro valutazione come di una particolare forma di “networked
governance” in grado di rispondere e risolvere in parte i problemi di legittimità
che nei diversi paesi europei và incontrando lo Stato.
A partire dagli anni ’70 le società europee sono state interessate da una serie di
processi che hanno avuto in comune il fatto di aumentarne la complessità. Esse
sono state sempre più coinvolte da processi di differenziazione e
autonomizzazione dei sotto-sistemi sociali che, aumentandone la frammentazione,
hanno reso la loro governabilità sempre più difficile e problematica.
Lo Stato, in questo contesto, sembra andare incontro a difficoltà crescenti nello
svolgere le proprie funzioni.La sua azione sembra essere spesso inefficace, e
questo ha come effetto che essa in un certo qual modo si delegittimi.Ad esempio,
alcuni autori fanno notare come lo Stato sia, in un’economia globalizzata,
incapace di mediare tra il capitale globale e le comunità locali, cosicché la
“cittadinanza in un paese a capitalismo avanzato non assicura l’inclusione nei
benefici del capitale” (Magnusson e Walker, 1998).
Questa difficoltà dello Stato ad agire e la sfiducia nella sua azione si accompagna
a ben marcati processi in atto che contribuiscono alla sua crisi nelle sue forme
tradizionali.
In tutti i paesi si sta registrando infatti un deciso calo dei partecipanti ai diversi
turni elettorali, una marcata erosione della fiducia nei confronti della classe
politica, un crescente disinteresse di interi segmenti della popolazione (si pensi ai
giovani) alle pratiche e ai processi della politica (Benington, 2001).
La frammentazione, l’incoerenza, l’assoluto bisogno di ricerca di nuove forme e
percorsi di legittimazione, la problematica inerente la ricerca di nuove strategie di
negoziazione in grado di rendere possibile le politiche pubbliche minimizzandone
gli effetti perversi hanno, come possibile risposta, quella delle partnerships.
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L’istituzione di partenariati ha il merito di rendere esplicita e in un certo qual
modo visibile la negoziazione e il confronto tra interessi diversi e conflittuali.Ciò
condurrebbe a una serie di vantaggi. Coloro i quali partecipano ai partenariati, e le
materie stesse di cui essi si occupano, sarebbero visibili e quindi sottoponibili a un
controllo pubblico. I diversi interessi (delle autorità pubbliche, dei privati, del
terzo settore, della comunità) diventerebbero espliciti e verrebbero, all’interno
delle procedure partenariali, confrontati gli uni agli altri e indirizzati verso
compromessi.
L’esito di tutto questo sarebbe una nuova forma di legittimità dell’azione
pubblica, diversa da quella autoritativa (top-down) che, come abbiamo visto, è
oggi in forte crisi.
Essa si legittima in forma diversa perché, in un partenariato, non è più il prodotto
esclusivo di un’autorità pubblica, ma lo è di diverse autorità pubbliche
appartenenti a livelli istituzionali gerarchicamente diversi che collaborano tra loro,
e di attori estranei alla sfera delle istituzioni del government, come imprenditori,
sindacati, associazioni di volontariato, agenzie del terzo settore, rappresentanti
della comunità ed anche cittadini individualmente considerati.
Bisogna inoltre comprendere come, rinunciando a parte delle proprie
caratteristiche autoritative, le amministrazioni pubbliche vadano sempre più
assumendo funzioni diverse come quelle di “pilotage”, “enabling” e “regia”.
La delega a privati di funzioni un tempo esclusive delle autorità pubbliche e il
coinvolgimento di attori esterni rispetto ad esse pone però degli evidenti problemi
di responsabilità, controllo, gestione; una serie di problematiche cioè riconducibili
alla dimensione democratica delle partnerships.
Una prima domanda fondamentale che emerge al riguardo si riferisce a chi abbia
la titolarità a sedersi sul tavolo delle partnerships. Chi partecipa ad una
partnership? Chi decide, e mediante quali strumenti e regole, chi può o meno
partecipare? E a che titolo può partecipare?
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1.4 La composizione dei partenariati
E’ chiaro che queste domande si riferiscono a un nodo cruciale del fenomeno dei
partenariati, laddove la loro capacità di incorporare e orchestrare partners diversi
per natura, scopi e interessi è una caratteristica decisiva per l’elaborazione di un
comune progetto operativo per affrontare problematiche complesse e trasversali
(che attraversano cioè le sfere del sociale, dell’economia e delle politica).
Si possono analiticamente distinguere 5 categorie di partners in base agli interessi
che rappresentano (Geddes, 2000):
1) Settore pubblico: tale categoria è ulteriormente suddivisibile in settore
pubblico locale e settore pubblico regionale e nazionale. I partners di
questo settore sono quelli presenti nella maggioranza delle partnerships
(vedi grafico 1, riferito a uno studio su 86 partnerships contro l’esclusione
sociale svoltisi in diversi paesi europei nel corso degli anni ’80 e ‘90), con
un ruolo che spesso è centrale nello svolgimento delle partnerships stesse e
che include funzioni di conduzione e controllo;
2) Settore privato/imprenditori: la partecipazione di tali partners è stata nel
tempo fortemente sostenuta sia dalle Istituzioni Europee che con una certe
enfasi da alcuni singoli paesi (come la Gran Bretagna).Anche se sono
presenti in circa metà delle partnerships, l’impegno di tali partners si
risolve in molti casi in una partecipazione più formale che concretamente
operativa. I motivi che spingono alla partecipazione sono molto
eterogenei: dallo sviluppo di interessi commerciali su larga scala a motivi
di ricerca di prestigio in ambito locale;
3) Associazioni sindacali: nonostante l’impegno dell’Unione Europea nel
coinvolgimento attivo di tali partners essi sono presenti all’incirca in solo
un terzo delle partnerships.La loro presenza è maggiore in quei paesi in cui
l’influenza dell’Unione Europea è più forte e in quelle partnerships che
hanno come materia di interessi fenomeni di disoccupazione;
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4) Settore del volontariato: di tale settore fanno parte attiva delle
partnerships sia organizzazioni di grandi dimensioni (si pensi alla Caritas),
sia associazioni di volontariato molto più piccole e a base squisitamente
locale.In alcuni paesi, specialmente in quelli dell’Europa meridionale,
dove i sistemi di welfare sono sempre dipesi in maniera abbastanza
marcata dal settori non governativi, la presenza del volontariato è più
marcata che altrove;
5) Comunità: il coinvolgimento della comunità e dei suoi interessi
all’interno dei partenariati (che avviene in metà delle partnerships) passa
attraverso un diverso numero di possibilità: dall’elezione e nomina di suoi
rappresentanti alla partecipazione di sue associazioni già esistenti.Bisogna
però porre l’attenzione sul fatto che in molti partenariati gli interessi della
comunità sono rappresentati (o si pensa che lo siano) da politici locali o da
agenzie pubbliche locali;
La composizione delle partnerhips è come si vede molto variabile. Essa in
linea di massima varia da paese a paese e dipende in maniera marcata da quelli
che sono gli obiettivi del partenariato e i requisiti di partecipazione che
richiede. La variabilità della composizione è un indicatore dell’estrema
flessibilità dello strumento del partenariato nell’ adeguarsi a quelle che sono le
esigenze del progetto e al coinvolgimento degli attori locali e non.
Ciascuna categoria di partners mostra negli scopi e nelle forme della
partecipazione caratteristiche peculiari.
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Grafico 1: partners in the local partnerships.
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Fonte: Mike Geddes, International Journal of Urban and Regional Research,
vol.24.4 December 2000.
1.5 I partners: settore privato
Il coinvolgimento dei partners privati, intesi sia come singoli imprenditori, sia
come associazioni datoriali di rappresentanza, si inscrive all’interno dei più
generali processi di coinvolgimento di attori privati nel governo delle città. I
processi di globalizzazione economica e di integrazione europea hanno
sviluppato nuove forme di competizione e collaborazione tra le città, che si
identificano nel loro complesso come nuovi attori politici ed economici.In
questo quadro, la partecipazione degli attori privati si riferisce alla costruzione
di regimi di governance urbana. L’accento posto sui temi dello sviluppo
economico e sul contemporaneo aumento delle forme di aggiustamento
reciproco tra autorità locali e attori privati è un tema complesso su cui due
principali contributi teorici hanno cercato di far luce: la teoria sulle coalizioni
per la crescita urbana (urban growth coalitions, Logan e Molotch, 1987) e la
teoria dei regimi urbani (urban regime, Stone, 1989; Elkin, 1987).